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    Armenia e Azerbaigian potrebbero non essere lontane da un accordo di pace

    Bruxelles – Il conflitto più che trentennale tra l’Armenia e l’Azerbaigian potrebbe essere avviato verso una conclusione che, se raggiunta, sarebbe senz’altro storica. Ma rimangono ancora dei problemi irrisolti sulla strada della completa pacificazione tra Yerevan e Baku, a cominciare dall’annosa questione dei confini e dal riarmo di entrambi i Paesi. Così, in un’area dove si intrecciano le influenze politiche e gli interessi strategici di vari attori internazionali, la soluzione duratura che da tempo si ricerca potrebbe non essere ancora a portata di mano. Durante una conferenza stampa lo scorso 31 agosto, il premier armeno Nikol Pashinyan ha annunciato di aver inoltrato a Baku una proposta per la stipula di un trattato di pace che possa mettere fine al conflitto tra i due Paesi del Caucaso meridionale iniziato trentasei anni fa, nel 1988 (ancora prima della dissoluzione dell’Urss) e incentrato intorno alla sovranità contesa sull’area del Nagorno-Karabakh. Dopo varie fasi di guerra, alternate a periodi di relativa stabilità in cui il conflitto è parso congelato, l’Azerbaigian nell’autunno del 2023 ha riconquistato militarmente l’enclave armena entro i propri confini.Stando a quanto anticipato da Pashinyan, la bozza comprenderebbe 17 articoli: su 13 ci sarebbe già un “accordo totale” delle due parti, mentre su altri tre ci sarebbe un “accordo parziale“. Mancherebbe dunque l’accordo su un ultimo punto, ma non è stato spiegato quali siano i temi rimasti irrisolti (anche se non è difficile immaginarlo, come vedremo tra un attimo). La proposta di Yerevan a Baku è, sostanzialmente, di siglare un trattato contenente i punti già concordati, e di lasciare ad una seconda fase di negoziati il resto.Con la firma, ha dichiarato il primo ministro armeno, le due ex repubbliche sovietiche avvierebbero anche formali relazioni diplomatiche, prendendo a modello i negoziati bilaterali che hanno portato, lo scorso dicembre, al rilascio dei prigionieri armeni catturati dall’esercito azero nell’offensiva di pochi mesi prima e più recentemente ad un accordo per la creazione di una commissione mista per la demarcazione dei confini tra i due Paesi. Dopo diversi mesi in cui il processo negoziale sembrava in stallo, si tratta sicuramente di un’iniezione di fiducia per trovare la difficile quadra in una regione che non conosce pace da decenni. Sicuramente, una delle questioni ancora irrisolte ha a che fare con la costituzione armena, che include un riferimento alla riunificazione tra l’Armenia e il Nagorno-Karabakh (la riunificazione è citata in un documento risalente al 1989, a sua volta ripreso dalla dichiarazione d’indipendenza del 1990 cui la carta fondamentale del Paese fa riferimento in un preambolo). Ora, l’Azerbaigian ha ripetutamente chiesto la rimozione di tale riferimento, ma pare che solo lo scorso maggio Pashinyan abbia chiesto all’organo incaricato di rivedere la costituzione (creato nel 2022) di riscrivere interamente la carta, per sottoporla a referendum popolare nel 2027, anche se l’opinione pubblica armena non sembra ancora accettare la perdita definitiva della regione azera.Un’altra annosa questione, che parrebbe essere stata recentemente sciolta (o forse, probabilmente, solo rimandata), è quella del corridoio di Zangezur che Baku richiedeva per connettere l’exclave di Nakhchivan al territorio azero. Secondo alcuni analisti, le autorità azere avrebbero fatto questa concessione a Yerevan proprio in cambio delle citate modifiche costituzionali.Ma sulla strada della pacificazione potrebbe mettersi di traverso anche la corsa al riarmo di entrambi i Paesi. Ad oggi, le forze armate azere vantano una netta superiorità, con Baku che viene rifornita da Turchia, Israele, Pakistan e una serie di Stati europei inclusa l’Italia, mentre Yerevan riceve armi ed equipaggiamenti militari da Francia e India. I governi armeno e azero sostengono pubblicamente di non avere intenzione di attaccarsi a vicenda, ma data la storia martoriata della regione fare previsioni sul futuro è tutt’altro che semplice.Negli ultimi anni, l’Armenia sta cercando di allontanarsi dall’orbita russa e di avvicinarsi all’Ue, con la quale ha approfondito i legami diplomatici, politici e militari. Del resto, Bruxelles ha sempre incentivato il processo negoziale tra i due Paesi, impiegando anche una missione di pace sul confine armeno. Quanto all’Azerbaigian, Baku è diventato uno dei principali partner energetici dei Ventisette dopo l’avvio dell’invasione russa dell’Ucraina (sempre dal Paese caucasico arriva in Italia, peraltro, il gas naturale trasportato dal Tap).

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    Armenia e Azerbaigian verso un accordo di pace auspicato dall’Ue: “I confini sono un passo essenziale”

    Bruxelles – È ancora difficile dire se il conflitto più che trentennale tra Armenia e Azerbaigian stia per indirizzarsi verso una fine, ma gli ultimi sviluppi sul piano diplomatico sono i più positivi da quando a fine maggio 2022 l’Unione Europea ha intensificato gli sforzi per riavvicinare il premier armeno, Nikol Pashinyan, e il presidente azero, Ilham Aliyev, per una risoluzione definitiva delle tensioni sul terreno (sfociate nell’autunno 2023 nella conquista della regione del Nagorno-Karabakh da parte dell’esercito di Baku). “Accolgo con grande favore l’accordo tra Armenia e Azerbaigian sulla Dichiarazione di Alma Ata del 1991 come base per la delimitazione dei confini tra i due Paesi“, è il commento del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, all’annuncio della restituzione da parte di Yerevan di alcuni paesi all’Azerbaigian.Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il primo ministro dell’Armenia, Nikol PashinyanL’accordo di sabato (20 aprile) tra i due Paesi ex-sovietici potrebbe costituire uno dei passi più concreti per raggiungere quell’accordo di pace generale che il premier armeno Pashinyan dall’Aula del Parlamento Europeo aveva prospettato per fine 2023. “La Repubblica di Armenia riceve una riduzione dei rischi associati alla delimitazione del confine e alla sicurezza”, ha commentato l’ufficio del primo ministro per spiegare la decisione di cedere alcuni villaggi – deserti, ma in posizione strategica per il transito del gas russo – che il portavoce del ministero degli Affari esteri azero, Aykhan Hajizada, ha definito “sotto occupazione dai primi anni Novanta” in un post su X (con allegata mappa dei confini). La delimitazione dei confini “basata sul riconoscimento inequivocabile dell’integrità territoriale” di ciascun Paese è stata “un elemento chiave anche delle discussioni a Bruxelles” degli ultimi due anni, ha voluto sottolineare Michel a proposito dell’intesa siglata dalle commissioni di confine: “Servirà come passo essenziale verso la normalizzazione e l’apertura pacifica dell’intera regione“.Mentre per oggi (22 aprile) è atteso al Cremlino un incontro tra il presidente azero Aliyev e l’autocrate russo, Vladimir Putin, sul partenariato strategico e sulle questioni regionali – a seguito del ritiro completo delle forze di pace russe dal Nagorno-Karabakh – l’Armenia sta inevitabilmente considerando un ri-orientamento delle alleanze. La tradizionale sponda russa si sta sostituendo con quella dell’Unione Europea, l’unico attore internazionale che davvero si è speso negli ultimi mesi per sostenere Yerevan di fronte all’esodo della popolazione di etnia armena dall’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh (oltre 100 mila profughi riversatisi in un Paese di 2,8 milioni di abitanti) a seguito della conquista da parte dell’esercito azero il 20 settembre 2023. Oltre all’erogazione di oltre 30 milioni di euro a sostegno dei rifugiati, a inizio aprile la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, hanno annunciato al premier Pashinyan di aver iniziato i preparativi per un Piano di resilienza e crescita da 270 milioni di euro in sovvenzioni per i prossimi quattro anni.Il conflitto tra Armenia e AzerbaigianTra Armenia e Azerbaigian è dal 1992 che va avanti una guerra congelata, con scoppi di violenze armate ricorrenti incentrate nella regione separatista del Nagorno-Karabakh. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Dopo un anno e mezzo la situazione è tornata a scaldarsi a causa di alcune sparatorie alla frontiera a fine maggio 2022, proseguite parallelamente ai colloqui di alto livello stimolati dal presidente del Consiglio Ue, fino alla ripresa delle ostilità tra Yerevan e Baku a settembre, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue, con 40 esperti dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre 2022. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin, mettendo in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Il 23 gennaio 2023 è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, ma la tensione è tornata a crescere il 23 aprile dopo la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello il 15 luglio tra Michel, il primo ministro armeno Pashinyan e il presidente azero Aliyev.Esplosioni in Nagorno-KarabakhL’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni sul campo ha messo in pericolo anche gli osservatori Ue presenti dal 20 febbraio 2023 in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. Solo un mese più tardi è sembrato che la situazione potesse pian piano stabilizzarsi, con il passaggio del primo convoglio con aiuti internazionali il 12 settembre attraverso la rotta Ağdam-Askeran e poi lo sblocco del corridoio di Lachin il 18 settembre dopo quasi nove mesi di crisi umanitaria. Neanche 24 ore dopo sono però iniziati i bombardamenti azeri contro l’enclave separatista che – per la sproporzione di forze in campo – ha determinato il cessate il fuoco e la resa fulminea dei militari di Stepanakert, con la presa totale del controllo da parte dei soldati di Baku e l’inizio dell’esodo verso Yerevan.

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    L’Ue sta preparando un Piano di resilienza e crescita per l’Armenia da 270 milioni di euro

    Bruxelles – L’Unione Europea cerca di diventare il partner di fiducia dell’Armenia, per togliere alla Russia anche l’ultimo alleato nella regione caucasica. “Stiamo rispettando la promessa fatta a ottobre di stare a fianco dell’Armenia e di fornire una visione per il nostro partenariato”, ha assicurato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nel corso di un punto stampa con il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, prima della riunione di alto livello di oggi (5 aprile) a Bruxelles.

    Da sinistra: il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken (5 aprile 2024)Un partenariato che “sarà plasmato su un Piano di resilienza e crescita da 270 milioni di euro in sovvenzioni per i prossimi quattro anni“, è l’annuncio di von der Leyen, che ha promesso che l’Unione investirà su “economia e società armena”. A partire dalle piccole e medie imprese, fino a “progetti di infrastrutture-chiave, produzione di rinnovabili in Armenia e migliori interconnessioni con la Georgia”. Come rende noto lo stesso esecutivo Ue, il Piano di resilienza e crescita per l’Armenia sosterrà la diversificazione degli scambi commerciali, rafforzerà la cooperazione settoriale con l’Unione Europea e “contribuirà a soddisfare le esigenze a lungo termine degli sfollati” dal Nagorno-Karabakh. Proprio su questa “priorità” si è soffermata anche la presidente von der Leyen, ricordando che “dallo scorso settembre abbiamo erogato oltre 30 milioni di euro a sostegno dei rifugiati e siamo pronti a fare di più per sostenere l’integrazione a lungo termine”.L’esodo della popolazione di etnia armena verso Yerevan (oltre 100 mila profughi riversatisi in un Paese di 2,8 milioni di abitanti) è iniziato dopo la presa dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh da parte dell’esercito azero il 20 settembre 2023. Da allora non hanno fatto progressi i contatti tra Bruxelles, Yerevan e Baku per arrivare a quell’accordo di pace generale che il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, dall’Aula di Strasburgo aveva prospettato per fine 2023 se solo il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, avesse deciso di non ostacolare il processo come aveva invece fatto al terzo vertice della Comunità Politica Europea del 5 ottobre in Spagna (quando aveva disertato il quintetto con il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e il presidente francese, Emmanuel Macron). La tensione è rimasta sempre alta, fino all’episodio più grave lo scorso 13 febbraio, quando quattro soldati armeni sono stati uccisi in uno scontro a fuoco con le forze di Baku lungo il confine.Il conflitto tra Armenia e AzerbaigianTra Armenia e Azerbaigian è dal 1992 che va avanti una guerra congelata, con scoppi di violenze armate ricorrenti incentrate nella regione separatista del Nagorno-Karabakh. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Dopo un anno e mezzo la situazione è tornata a scaldarsi a causa di alcune sparatorie alla frontiera a fine maggio 2022, proseguite parallelamente ai colloqui di alto livello stimolati dal presidente del Consiglio Ue, fino alla ripresa delle ostilità tra Armenia e Azerbaigian a settembre, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue, con 40 esperti dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre 2022. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin, mettendo in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Il 23 gennaio 2023 è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, ma la tensione è tornata a crescere il 23 aprile dopo la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello il 15 luglio tra Michel, il primo ministro armeno Pashinyan e il presidente azero Aliyev.Esplosioni in Nagorno-KarabakhL’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni sul campo ha messo in pericolo anche gli osservatori Ue presenti dal 20 febbraio 2023 in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. Solo un mese più tardi è sembrato che la situazione potesse pian piano stabilizzarsi, con il passaggio del primo convoglio con aiuti internazionali il 12 settembre attraverso la rotta Ağdam-Askeran e poi lo sblocco del corridoio di Lachin il 18 settembre dopo quasi nove mesi di crisi umanitaria. Neanche 24 ore dopo sono però iniziati i bombardamenti azeri contro l’enclave separatista che – per la sproporzione di forze in campo – ha determinato il cessate il fuoco e la resa fulminea dei militari di Stepanakert, con la presa totale del controllo da parte dei soldati di Baku.

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    Alla plenaria dell’Eurocamera il premier armeno spinge per un accordo di pace con l’Azerbaigian “entro la fine dell’anno”

    Bruxelles – Il tappeto rosso era stato steso all’ultima sessione plenaria di due settimane fa con una risoluzione del Parlamento Ue durissima sull’invasione azera del Nagorno-Karabakh. Oggi (17 ottobre) il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, ha avuto l’occasione di rivolgersi direttamente agli eurodeputati riuniti a Strasburgo per rivendicare il ruolo di Yerevan nella ricerca di una soluzione diplomatica alla crisi nel Caucaso meridionale – passata in secondo piano dopo lo scoppio del conflitto tra Hamas e Israele – e per ribadire che il suo Paese è pronto a stringere con più forza i legami con l’Unione Europea, dopo la delusione determinata dall’atteggiamento dello storico alleato russo.Il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo (17 ottobre 2023)“Conosciamo il Parlamento Europeo come un alleato al nostro fianco, avete fatto sentire la vostra voce per diffondere la verità sul Nagorno-Karabakh e voglio ringraziarvi per aver chiamato con il proprio nome quello che sta succedendo”, ha esordito nel suo intervento il premier armeno, facendo riferimento alla risoluzione adottata a largissima maggioranza lo scorso 5 ottobre che condanna la “pulizia etnica” operata dall’Azerbaigian nell’enclave separatista. Accogliendo il leader dell’Armenia, la presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, ha ricordato che “l’Unione Europea continuerà a sostenere i vostri sforzi nell’accogliere i rifugiati” dal Nagorno-Karabakh – 100 mila profughi in un Paese di 2,8 milioni di abitanti – “gli Stati membri hanno donato attrezzature, forniture mediche e cibo con il Meccanismo di protezione civile Ue”. Dopo la resa delle forze separatiste dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh all’esercito azero lo scorso 20 settembre, Yerevan ha dovuto fare fronte a una situazione critica, ma “li abbiamo accolti tutti senza ricorrere a campi rifugiati o tendopoli”, ha voluto sottolineare con forza Pashinyan, senza dimenticare di ricordare gli aiuti umanitari inviati a stretto giro da Bruxelles: 5 milioni di euro di sostegno d’emergenza per assistere sia gli sfollati in Armenia, sia le persone vulnerabili all’interno del Nagorno-Karabakh.Il premier armeno non ha risparmiato critiche alla comunità internazionale per “non essere stata in grado di impedire la pulizia etnica”, con un riferimento implicito a Mosca, i cui soldati avrebbero dovuto vigilare sul rispetto degli accordi nelle aree più instabili: “Non solo non ci hanno aiutati, ma hanno anche chiesto di cambiare il nostro regime democratico”. Eppure l’Azerbaigian “aveva già dimostrato di voler rendere impossibile la vita degli armeni del Nagorno-Karabakh” dalla fine dello scorso anno con il blocco del corridoio di Lachin (la strada che collega l’Armenia con la regione separatista): “Sono stati presi di mira i civili e abbiamo alzato l’allarme sul piano azero che voleva ridurre gli armeni alla fame”, prima che iniziasse la vera e propria operazione armata da parte dell’esercito di Baku il 19 settembre. Tutto questo considerato, il premier Pashinyan ha portato agli eurodeputati un messaggio: “Il Caucaso ha bisogno di pace e stabilità, con confini aperti, legami economici, politici e culturali e la possibilità di risolvere le difficoltà attraverso il dialogo e la diplomazia“. In altre parole, “la nostra visione di stabilità non è in contrapposizione con gli interessi della regione, se il Caucaso è in pace, noi siamo in pace”.Il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola (17 ottobre 2023)È qui che si inserisce la questione degli sforzi per la normalizzazione delle relazioni con il Paese confinante. “Entro quest’anno si potrebbe arrivare a un accordo di pace, ma Baku si rifiuta, come dimostrato a Granada“, ha attaccato il leader armeno, ricordando l’assenza pesante del presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, al terzo vertice della Comunità Politica Europea lo scorso 5 ottobre in Spagna, quando si sarebbe dovuto ripresentare il quintetto con il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e il presidente francese, Emmanuel Macron, per tentare di portare avanti una soluzione diplomatica in linea con i colloqui di luglio. “Se i principi illustrati saranno riconfermati in una riunione questo mese a Bruxelles, allora un accordo tra Armenia e Azerbaigian entro la fine dell’anno sarebbe realistico”, ha ribadito Pashinyan. Il riferimento è ai principi sanciti lo scorso anno all’inaugurazione della Comunità Politica Europea a Praga: sovranità territoriale, inviolabilità del confini, ritiro delle truppe dalle rispettive enclave. Ma anche ripresa dei collegamenti regionali, come il progetto presentato dal premier armeno a Strasburgo: “Una crocevia della pace per il movimento di merci, persone, condutture elettriche e gasdotti”. La garanzia è rappresentata proprio dall’Unione Europea e dal suo Parlamento – “Yerevan è un partner vitale nel vicinato dell’Ue“, ha sottolineato Metsola – con il leader armeno che per la prima volta si è sbilanciato sulla partnership con i Ventisette: “Siamo pronti ad avvicinarci all’Ue, nella maniera in cui Bruxelles lo ritenga necessario“.Il conflitto tra Armenia e AzerbaigianTra Armenia e Azerbaigian è dal 1992 che va avanti una guerra congelata, con scoppi di violenze armate ricorrenti incentrate nella regione separatista del Nagorno-Karabakh. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Dopo un anno e mezzo la situazione è tornata a scaldarsi a causa di alcune sparatorie alla frontiera a fine maggio 2022, proseguite parallelamente ai colloqui di alto livello stimolati dal presidente del Consiglio Ue, fino alla ripresa delle ostilità tra Armenia e Azerbaigian a settembre, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue, con 40 esperti dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin, mettendo in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, ma la tensione è tornata a crescere il 23 aprile dopo la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello il 15 luglio tra Michel, il primo ministro armenoPashinyan e il presidente azero Aliyev.Esplosioni in Nagorno-KarabakhL’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni sul campo ha messo in pericolo anche gli osservatori Ue presenti dallo scorso 20 febbraio in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. Solo un mese più tardi è sembrato che la situazione potesse pian piano stabilizzarsi, con il passaggio del primo convoglio con aiuti internazionali il 12 settembre attraverso la rotta Ağdam-Askeran e poi lo sblocco del corridoio di Lachin il 18 settembre dopo quasi nove mesi di crisi umanitaria. Neanche 24 ore dopo sono però iniziati i bombardamenti azeri contro l’enclave separatista che, per la sproporzione di forze in campo, ha determinato il cessate il fuoco e la resa fulminea dei militari di Stepanakert.
    Nel suo intervento davanti agli eurodeputati a Strasburgo, Nikol Pashinyan ha rivendicato l’impegno diplomatico di Yerevan anche di fronte alla pulizia etnica in Nagorno-Karabakh: “Siamo pronti ad avvicinarci all’Ue, nella maniera in cui Bruxelles lo ritenga necessario”

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    Il terzo vertice della Comunità Politica Europea all’ombra delle tensioni Armenia-Azerbaigian. E di due assenze pesanti

    Bruxelles – Quello che doveva essere un forum di confronto e dialogo tra i leader dei Paesi Ue ed extra-Ue per evitare escalation di tensione non desiderate tra i suoi membri, si sta arenando già dopo un anno dalla sua inaugurazione. Il terzo vertice della Comunità Politica Europea è andato in scena a Granada (Spagna) con le solite enfatiche promesse di grandezza, ma a risaltare davvero sono state le assenze e le discussioni su uno dei temi che la diplomazia europea non sta riuscendo in nessun modo a risolvere: il conflitto congelato tra Armenia e Azerbaigian. Le assenze sono state quelle del presidente azero, Ilham Aliyev, e del suo alleato più stretto, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che con la loro diserzione hanno inviato un messaggio chiaro agli altri 45 partecipanti del vertice di Granada: la Comunità Politica Europea non è un luogo gradito dove discutere di controversie tra gli Stati partecipanti, a maggior ragione dopo interventi armati.Da sinistra: il cancelliere della Germania, Olaf Scholz, il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il presidente della Francia, Emmanuel Macron, al vertice della Comunità Politica Europea a Granada il 5 ottobre 2023 (credits: Ludovic Marin / Afp)“Non potremo discutere di una tragedia come la fuga di oltre centomila persone e di un attacco militare che condanniamo, perché né l’Azerbaigian né la Turchia sono qui”, è stata l’accusa lanciata dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, facendo ingresso al vertice di Granada: “Spero che a Bruxelles ci possano essere riunioni di mediazione tra Armenia e Azerbaigian, soprattutto per evitare che il conflitto peggiori”. Solo nelle ultime due settimane oltre 100 mila profughi hanno lasciato l’enclave armena in Azerbaigian per il timore di una pulizia etnica dopo la conquista della regione separatista da parte dell’esercito azero. “Siamo scioccati dalla decisione dell’Azerbaigian di utilizzare la forza militare” in Nagorno-Karabakh, ha rincarato la dose il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, a margine della riunione di Granada, facendo sapere di aver avuto una conversazione telefonica con il presidente Aliyev martedì (3 ottobre) in cui gli ha comunicato che Bruxelles aiuterà l’Armenia “ad affrontare le conseguenze di questa operazione militare”. Visibilmente indispettito per l’assenza del leader azero a Granada dopo il lavoro negli ultimi giorni “per preparare un incontro” con il premier armeno, Nikol Pashinyan, con “idee su stabilità e serenità nell’affrontare le conseguenze umanitarie”, Michel ha rifiutato di commentare pubblicamente la decisione: “Ho avuto occasione di dirgli direttamente quali sono i miei sentimenti a riguardo”.Proprio il presidente del Consiglio Europeo ha sottolineato l’importanza – anche se per il momento fallimentare – della diplomazia europea nel Caucaso meridionale. “Prima degli sforzi di mediazione l’Ue non era molto presente nella regione, ma poi abbiamo fatto progressi con risultati tangibili, come sulla liberazione dei prigionieri, sulla definizione dei confini e sulla connettività”. L’Unione è una “mediatrice naturale, perché non abbiamo un’agenda nascosta, è chiarissima: prosperità, sicurezza, pace” e per questo motivo Bruxelles spinge con forza per “ulteriori sforzi diplomatici”. A partire da quello a Granada con il premier armeno, l’unico delle parti coinvolte nel conflitto congelato a essere presente al vertice della Comunità Politica Europea, che si è intrattenuto in un quartetto al termine della sessione plenaria con Michel, il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e il presidente francese, Emmanuel Macron. All’appello mancava solo il presidente azero Aliyev, che non ha voluto replicare il quintetto di Praga dello scorso anno.Il supporto Ue all’ArmeniaIn questo momento per l’Unione è prioritario supportare l’Armenia di fronte a un afflusso di profughi di dimensioni enormi rispetto alla popolazione (oltre 100 mila persone in fuga dal Nagorno-Karabakh su un totale di due milioni di cittadini armeni). Ecco perché anche la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha voluto un bilaterale con il premier Pashinyan per illustrargli le ulteriori misure di sostegno di emergenza e a lungo termine con cui “l’Ue sosterrà fortemente l’Armenia” parallelamente al “dialogo con l’Azerbaigian”. L’assistenza umanitaria che ha toccato i 5,2 milioni di euro “sarà raddoppiata” a 10,4 milioni e sarà il commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, a valutare domani (6 ottobre) in Armenia la situazione, per discutere di “un ulteriore sostegno mirato” attraverso il Meccanismo di protezione civile Ue. A questo si aggiungono 15 milioni di euro come finanziamenti nell’ambito dei programmi annuali per l’Armenia, “che potranno essere utilizzati come sostegno al bilancio dello Stato per far fronte alle esigenze socio-economiche e all’acquisto di cibo e carburante”.Il programma EU4Peace sarà integrato con altri 800 mila euro per sostenere l’assistenza d’emergenza, ma anche le misure di rafforzamento dei media “noti per la loro informazione equilibrata”. Come assistenza tecnica la Commissione Ue discuterà con le autorità armene sulla mobilitazione di fondi dai programmi Taiex e Twinning, “per affrontare questioni come la sicurezza aerea e la sicurezza nucleare”. E infine a Bruxelles si sta lavorando sia sul Piano economico e di investimento da 2,6 miliardi di euro di investimenti per le infrastrutture (che al momento ha visto l’erogazione di 413 milioni), sia sulla partecipazione di Yerevan a progetti regionali come il cavo elettrico del Mar Nero con Azerbaigian, Georgia, Ungheria e Romania.Il conflitto in Nagorno-KarabakhTra Armenia e Azerbaigian è dal 1992 che va avanti una guerra congelata, con scoppi di violenze armate ricorrenti incentrate nella regione separatista del Nagorno-Karabakh. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Dopo un anno e mezzo la situazione è tornata a scaldarsi a causa di alcune sparatorie alla frontiera a fine maggio 2022, proseguite parallelamente ai colloqui di alto livello stimolati dal presidente del Consiglio Ue, fino alla ripresa delle ostilità tra Armenia e Azerbaigian a settembre, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue, con 40 esperti dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin, mettendo in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, ma la tensione è tornata a crescere il 23 aprile dopo la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello il 15 luglio tra Michel, il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev.L’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni sul campo ha messo in pericolo anche gli osservatori Ue presenti dallo scorso 20 febbraio in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. Solo un mese più tardi è sembrato che la situazione potesse pian piano stabilizzarsi, con il passaggio del primo convoglio con aiuti internazionali il 12 settembre attraverso la rotta Ağdam-Askeran e poi lo sblocco del corridoio di Lachin il 18 settembre dopo quasi nove mesi di crisi umanitaria. Neanche 24 ore dopo sono però iniziati i bombardamenti azeri contro l’enclave separatista che, per la sproporzione di forze in campo, ha determinato il cessate il fuoco e la resa fulminea dei militari di Stepanakert
    Il presidente azero, Ilham Aliyev, e il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, hanno disertato la riunione di Granada in cui è stata centrale la questione dell’intervento armato in Nagorno-Karabakh. L’Ue annuncia il raddoppio del budget per l’assistenza umanitaria a Yerevan

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    Nemmeno un giorno di tregua. L’Unione Europea condanna i bombardamenti dell’Azerbaigian sul Nagorno-Karabakh

    Bruxelles – La speranza per una distensione è durata poco meno di 24 ore, o più probabilmente è stata solo un’illusione dopo settimane di escalation. Dal Nagorno-Karabakh arrivano oggi (19 settembre) “notizie devastati”, come le ha definite il presidente del Consiglio Europeo e primo sponsor del dialogo tra Azerbaigian e Armenia, Charles Michel. L’esercito azero ha iniziato un’offensiva militare contro l’enclave separatista, che il ministero della Difesa di Baku considera “un’attività antiterroristica locale”  per “reprimere le provocazioni su larga scala”. Diversi filmati mostrano i bombardamenti sul territorio mentre a Stepanakert, capitale de facto dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh, risuonano da questa mattina le sirene dell’antiaerea.
    “Le azioni militari dell’Azerbaigian devono essere immediatamente interrotte per consentire un dialogo autentico tra Baku e gli armeni del Nagorno-Karabakh”, è la secca esortazione di Michel, a cui fanno eco le parole dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “L’Unione Europea condanna l’escalation militare lungo la linea di contatto e in altre località del Nagorno-Karabakh, chiediamo l’immediata cessazione delle ostilità e che l’Azerbaigian interrompa le attività militari in corso”. L’offensiva militare arriva con un messaggio che fa temere il peggio di una guerra totale e la pulizia etnica: nella “zona pericolosa” sarà messa in atto una “evacuazione” della popolazione civile a maggioranza armena. Il governo azero sostiene che l’offensiva è legata esclusivamente a mettere fuori gioco “mezzi di combattimento e strutture militari armene” dopo la morte di quattro soldati e due civili a causa dello scoppio di mine anti-uomo, ribadendo di essere impegnato nella “protezione della popolazione locale”. Ma non è passato inosservato nel corso delle ultime settimane l’ammassamento di convogli azeri – tutti contrassegnati con una A rovesciata (che in modo inquietante ricorda la Z dell’esercito russo in Ucraina) – sul confine con l’Armenia e lungo la linea di contatto nel Nagorno-Karabakh. In un’intervista a Politico il premier armeno, Nikol Pashinyan, aveva avvertito che “non è possibile escludere uno scenario di escalation“.
    “È urgente tornare al dialogo tra Baku e gli armeni del Nagorno-Karabakh, questa escalation militare non deve essere usata come pretesto per forzare l’esodo della popolazione locale“, è l’appello dell’alto rappresentante Borrell, che continua a chiedere “un ambiente favorevole ai colloqui di pace e di normalizzazione” attraverso un “impegno genuino di tutte le parti per lavorare verso risultati negoziali facilitati dall’Ue”. L’escalation arriva dopo mesi di negoziati infruttuosi condotti da Bruxelles e dalla contrapposizione sempre più netta tra il premier armeno e il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev. Il primo cerca ancora l’appoggio militare della Russia – lamentando però che Mosca non è più in grado di agire come garante della sicurezza di Yerevan dopo l’invasione dell’Ucraina – mentre Baku riceve il sostegno della Turchia per un possibile intervento che metta fine a un conflitto congelato da decenni.
    I bombardamenti azeri sul Nagorno-Karabakh sono al contempo una doccia fredda diplomatica e un possibile stop alla politica energetica dell’Unione. In primis perché è da un anno e mezzo che il presidente Michel tenta di spingere per una risoluzione delle tensioni tra i due leader caucasici attraverso il dialogo. Il passaggio del primo convoglio con aiuti internazionali martedì scorso (12 settembre) attraverso la rotta Ağdam-Askeran e poi lo sblocco del corridoio di Lachin proprio ieri (18 settembre) dopo quasi nove mesi di crisi umanitaria sembravano aver indirizzato la situazione nella regione verso uno sviluppo positivo, ma non erano stati considerati i risvolti militari in atto da parte delle forze di Baku. Allo stesso tempo non va dimenticato che nel luglio dello scorso anno la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, si era recata in visita ufficiale in Azerbaigian per siglare un accordo sulla fornitura di gas naturale e – nonostante le perplessità degli analisti sul rischio di sostituire Putin con un altro autocrate – aveva definito Aliyev “un partner affidabile e degno di fiducia“.
    Il corridoio meridionale del gas
    La guerra congelata in Nagorno-Karabakh
    Tra Armenia e Azerbaigian è dal 1992 che va avanti una guerra congelata, con scoppi di violenze armate ricorrenti incentrate nella regione separatista del Nagorno-Karabakh. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Dopo un anno e mezzo la situazione è tornata a scaldarsi a causa di alcune sparatorie alla frontiera a fine maggio 2022, quando è diventato sempre più evidente che la tensione sarebbe tornata a salire. La priorità dei colloqui di alto livello stimolati dal presidente del Consiglio Europeo è stata posta sulla delimitazione degli oltre mille chilometri di confine. Tuttavia, mentre a Bruxelles si sta provando da allora a trovare una difficilissima soluzione a livello diplomatico, da settembre sono riprese le ostilità tra Armenia e Azerbaigian, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.
    Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan
    La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue. Dopo il compromesso iniziale con Yerevan e Baku raggiunto il 6 ottobre a Praga in occasione della prima riunione della Comunità Politica Europea, 40 esperti Ue sono stati dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin e da allora sono in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Gli unici a poterla percorrere sono i soldati del contingente russo di mantenimento della pace e il Comitato internazionale della Croce Rossa.
    A seguito dell’aggravarsi della situazione nel corridoio di Lachin, il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, con l’obiettivo di contribuire alla stabilità nelle zone di confine e garantire un “ambiente favorevole” agli sforzi di normalizzazione dei due Paesi caucasici. Ma la tensione è tornata a crescere lo scorso 23 aprile, con la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco, con la giustificazione di voler impedire la rotazione dei soldati armeni nel Nagorno-Karabakh “che continuano a stazionare illegalmente nel territorio dell’Azerbaigian”. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello tra Michel, Aliyev e Pashinyan il 15 luglio.
    Soldati dell’Azerbaigian al posto di blocco sul corridoio di Lachin (credits: Tofik Babayev / Afp)
    L’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni crescenti sul campo ha portato a uno degli episodi più allarmanti almeno fino a oggi, che ha messo in pericolo gli osservatori Ue presenti dallo scorso 20 febbraio in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. L’evento aveva provocato qualche imbarazzo a Bruxelles, dopo che Yerevan aveva dato la notizia secondo cui l’esercito azero aveva “scaricato il fuoco contro gli osservatori dell’Ue”. Sulla stessa pagina X della missione civile Ue in Armenia era apparso un post (poi cancellato) con un perentorio “falso”, ma poche ore più tardi è stato pubblicato l’aggiornamento di rettifica che ha dato ragione ai portavoce armeni, almeno nella parte in cui è stata confermata la presenza della pattuglia europea durante gli spari, senza nessun riferimento alla responsabilità azera.

    Dopo lo sblocco del rifornimenti umanitari attraverso il corridoio di Lachin, il governo di Baku ha lanciato un’offensiva nell’enclave separatista giustificandola come “attività antiterroristica locale”. Le istituzioni Ue chiedono “l’immediata cessazione delle ostilità” e il “ritorno al dialogo”

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    Le forniture di aiuti umanitari nel Nagorno-Karabakh sono finalmente riprese. L’Ue esorta a “regolarizzare il passaggio”

    Bruxelles – Dopo mesi di stallo e di completa chiusura dei rifornimenti umanitari, gli oltre 120 mila abitanti del Nagorno-Karabakh possono tornare a sperare in un flusso costante di cibo e farmaci, gas e acqua potabile. “Accogliamo con favore il passaggio simultaneo di carichi umanitari attraverso Lachin e Ağdam“, è il commento soddisfatto del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, alla notizia di oggi pomeriggio (18 settembre) dell’ingresso di camion del Comitato internazionale della Croce Rossa carichi di aiuti umanitari nella regione separatista a maggioranza armena sul territorio dell’Azerbaigian: “Questo passaggio deve essere regolarizzato“.
    Il primo convoglio umanitario a fare ingresso nell’enclave a maggioranza cristiana nel sud-ovest dell’Azerbaigian (a maggioranza musulmana) era arrivato martedì scorso (12 settembre) ma dal territorio azero attraverso la rotta Ağdam-Askeran. Altri convogli francesi e armeni erano rimasti invece finora bloccati, nonostante l’accordo del 9 settembre tra il governo azero e quello armeno per riaprire il corridoio di Lachin. Per questo motivo il leader del Consiglio Ue aveva chiesto “a tutte le parti interessate di dare prova di responsabilità e flessibilità” nel “facilitare la riapertura dell’unica via di accesso all’Armenia e al mondo esterno per decine di migliaia di abitanti dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh. Dopo la svolta di oggi – che mette forse fine a una crisi che va avanti da nove mesi – per Bruxelles “è essenziale avviare colloqui tra Baku e gli armeni del Nagorno-Karabakh sui loro diritti e la loro sicurezza“, ha messo in chiaro Michel, anticipando che “l’Ue è pronta a sostenere”.
    L’Unione Europea è diventata da un anno e mezzo il principale mediatore tra il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, e si spiega così l’entusiasmo di Bruxelles nel vedere i primi segnali di distensione tra due Paesi caucasici. “Accogliamo la consegna di aiuti umanitari della Croce Rossa attraverso Lachin e Ağdam agli armeni del Nagorno-Karabakh”, ha ribadito il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano. Quello che le istituzioni comunitarie ora si aspettano è “garantire forniture regolari alla popolazione”, spingere per un “dialogo significativo” tra Baku e i separatisti e soprattutto “diminuire le tensioni sulla linea di contatto e sul confine internazionale“. La crisi dura da mesi e il dispiegamento di truppe azere lungo il confine armeno ha aumentato i timori per lo scoppio di un nuovo conflitto tra Baku e Yerevan per il controllo del Nagorno-Karabakh.
    La tensione in Nagorno-Karabakh
    Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan
    Tra i due Paesi caucasici la guerra congelata va avanti dal 1992, con scoppi di violenze armate ricorrenti. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Dopo un anno e mezzo la situazione è tornata a scaldarsi a causa di alcune sparatorie alla frontiera a fine maggio 2022, quando è diventato sempre più evidente che la tensione sarebbe tornata a salire. La priorità dei colloqui di alto livello stimolati dal presidente del Consiglio Europeo è stata posta sulla delimitazione degli oltre mille chilometri di confine. Tuttavia, mentre a Bruxelles si sta provando da allora a trovare una difficilissima soluzione a livello diplomatico, da settembre sono riprese le ostilità tra Armenia e Azerbaigian, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.
    La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue. Dopo il compromesso iniziale con Yerevan e Baku raggiunto il 6 ottobre a Praga in occasione della prima riunione della Comunità Politica Europea, 40 esperti Ue sono stati dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin e da allora sono in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Gli unici a poterla percorrere sono i soldati del contingente russo di mantenimento della pace e il Comitato internazionale della Croce Rossa.
    Soldati dell’Azerbaigian al posto di blocco sul corridoio di Lachin (credits: Tofik Babayev / Afp)
    A seguito dell’aggravarsi della situazione nel corridoio di Lachin, il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, con l’obiettivo di contribuire alla stabilità nelle zone di confine e garantire un “ambiente favorevole” agli sforzi di normalizzazione dei due Paesi caucasici. Ma la tensione è tornata a crescere lo scorso 23 aprile, con la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco, con la giustificazione di voler impedire la rotazione dei soldati armeni nel Nagorno-Karabakh “che continuano a stazionare illegalmente nel territorio dell’Azerbaigian”. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello tra Michel, Aliyev e Pashinyan il 15 luglio.
    L’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni crescenti sul campo ha portato a uno degli episodi più allarmanti per gli osservatori Ue presenti dallo scorso 20 febbraio in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. L’evento aveva provocato qualche imbarazzo a Bruxelles, dopo che Yerevan aveva dato la notizia secondo cui l’esercito azero aveva “scaricato il fuoco contro gli osservatori dell’Ue”. Sulla stessa pagina X della missione civile Ue in Armenia era apparso un post (poi cancellato) con un perentorio “falso”, ma poche ore più tardi è stato pubblicato l’aggiornamento di rettifica che ha dato ragione ai portavoce armeni, almeno nella parte in cui è stata confermata la presenza della pattuglia europea durante gli spari, senza nessun riferimento alla responsabilità azera.

    Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha accolto la notizia del passaggio di convogli attraverso il corridoio di Lachin, che collega l’Armenia alla regione separatista passando dal territorio dell’Azerbaigian: “Oa è essenziale avviare colloqui sui loro diritti e la loro sicurezza”

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    L’Ue guarda con speranza ai primi convogli umanitari arrivati in Nagorno-Karabakh: “Sia riaperto il corridoio di Lachin”

    Bruxelles – Forse qualcosa si sta davvero sbloccando, o almeno questa è la speranza dell’Unione Europea. Dopo che martedì (12 settembre) ha fatto ingresso nel Nagorno-Karabakh un primo convoglio umanitario proveniente dal territorio azero, per Bruxelles potrebbe essere arrivato il momento di dare una spallata decisiva per risolvere la situazione in uno dei punti più delicati nei rapporti tra Armenia e Azerbaigian: il corridoio di Lachin. “Ci aspettiamo che crei uno slancio per la ripresa di regolari consegne umanitarie alla popolazione locale“, è quanto si legge in una nota del Consiglio Europeo.
    È proprio il leader dell’istituzione comunitaria, Charles Michel, il più impegnato negli ultimi mesi per implementare soluzioni per la de-escalation delle tensioni armate e della situazione umanitaria degli armeni del Nagorno-Karabakh, anche attraverso una serie di conversazioni telefoniche con il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, e con un confronto con il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, a margine del G20 a Nuova Delhi. “La situazione sul campo si sta deteriorando rapidamente, è fondamentale garantire la fornitura di prodotti essenziali” ai cittadini dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh), è l’esortazione del Consiglio Ue, che guarda all’apertura della rotta Ağdam-Askeran come un “passo importante” che dovrebbe “facilitare la riapertura anche del corridoio di Lachin”. Ovvero dell’unica via di accesso all’Armenia e al mondo esterno per gli oltre 120 mila abitanti del Nagorno-Karabakh: “Chiediamo a tutte le parti interessate di dare prova di responsabilità e flessibilità”.
    Altri convogli francesi e armeni sono ancora bloccati, nonostante sabato scorso (9 settembre) il governo azero avesse annunciato un accordo con quello armeno per riaprire il corridoio di Lachin. “Questa difficile situazione sul terreno è durata troppo a lungo” e Bruxelles mette in chiaro che gli sforzi ora devono essere incanalati nel “trovare soluzioni sostenibili e reciprocamente accettabili per garantire l’accesso umanitario, anche in vista della stagione autunnale e invernale”. Sforzi sostenuti dal rappresentante speciale dell’Ue per il Caucaso meridionale e Georgia, Toivo Klaar, la cui presenza nella regione permette alle istituzioni comunitarie di ribadire la “ferma convinzione che il corridoio di Lachin debba essere sbloccato”, parallelamente con “altre vie di approvvigionamento”. Queste esortazioni si riassumono nella richiesta netta da parte del Consiglio Ue di far seguire ai primi segnali di apertura “passi più concreti nei prossimi giorni e settimane” nel processo di pace tra Armenia e Azerbaigian. La guerra congelata tra i due Paesi caucasici va avanti dal 1992, con scoppi di violenze armate ricorrenti. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh
    La mediazione Ue sul Nagorno-Karabakh
    Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan
    La mediazione di Bruxelles con il premier armeno Pashinyan e il presidente azero Aliyev è diventata sempre più frequente dopo le sparatorie alla frontiera tra i due Paesi di fine maggio 2022, quando è diventato sempre più evidente che la tensione sarebbe tornata a salire. La priorità dei colloqui di alto livello è stata posta – e lo è tutt’ora – sulla delimitazione degli oltre mille chilometri di confine. Tuttavia, mentre a Bruxelles si sta provando da allora a trovare una difficilissima soluzione a livello diplomatico, da settembre sono riprese le ostilità tra Armenia e Azerbaigian, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.
    La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue. Dopo il compromesso iniziale con Yerevan e Baku raggiunto il 6 ottobre a Praga in occasione della prima riunione della Comunità Politica Europea, 40 esperti Ue sono stati dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin e da allora sono in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Gli unici a poterla percorrere sono i soldati del contingente russo di mantenimento della pace e il Comitato internazionale della Croce Rossa.
    Soldati dell’Azerbaigian al posto di blocco sul corridoio di Lachin (credits: Tofik Babayev / Afp)
    A seguito dell’aggravarsi della situazione nel corridoio di Lachin, il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, con l’obiettivo di contribuire alla stabilità nelle zone di confine e garantire un “ambiente favorevole” agli sforzi di normalizzazione dei due Paesi caucasici. Ma la tensione è tornata a crescere lo scorso 23 aprile, con la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco, con la giustificazione di voler impedire la rotazione dei soldati armeni nel Nagorno-Karabakh “che continuano a stazionare illegalmente nel territorio dell’Azerbaigian”. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello tra Michel, Aliyev e Pashinyan il 15 luglio.
    L’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni crescenti sul campo ha portato a uno degli episodi più allarmanti per gli osservatori Ue presenti dallo scorso 20 febbraio in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. L’evento aveva provocato qualche imbarazzo a Bruxelles, dopo che Yerevan aveva dato la notizia secondo cui l’esercito azero aveva “scaricato il fuoco contro gli osservatori dell’Ue”. Sulla stessa pagina X della missione civile Ue in Armenia era apparso un post (poi cancellato) con un perentorio “falso”, ma poche ore più tardi è stato pubblicato l’aggiornamento di rettifica che ha dato ragione ai portavoce armeni, almeno nella parte in cui è stata confermata la presenza della pattuglia europea durante gli spari, senza nessun riferimento alla responsabilità azera.

    Il Consiglio Europeo accoglie il primo sblocco positivo di uno stallo che dura dal 12 dicembre dello scorso anno: “Ora è importante trovare soluzioni sostenibili per garantire l’accesso umanitario” in vista dell’inverno. Ma continua a preoccupare la situazione di tensione sul campo