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    Gas, diritto internazionale e alleanze regionali: ecco perché l’Ue può e farà poco in Nagorno-Karabakh

    Bruxelles – L’Unione europea condanna e si inquieta ma di fronte alla nuova offensiva azera nel territorio contestato del Nagorno-Karabakh fa quel che può, poco, molto poco. Per ragioni giuridiche, geo-politiche, e per una politica estera alle volte inesistente e ancora tutta da costruire e le contraddizioni di un progetto solo in parte federale ma ancora troppo confederato. La questione armeno-azera, frutto dei rimasugli dell’era sovietica che non si è saputo risolvere ripropone solo una volta di più una questione di lungo corso: un’Europa che si muove in modo confuso e sparso, e che a tratti appare estremamente debole.
    Il diritto internazionale stabilisce e riconosce la regione del Caucaso come parte dell’Azerbaijan, che l’Armenia occupa illegalmente dal 1991. L’Assemblea generale dell’Onu, con tanto di risoluzione, già il 14 marzo 2008 ha stabilito l’integrità territoriale dell’Azerbaijan chiedendo il ritiro di tutte le forze armene. Una risoluzione approvata con 39 voti a favore, 100 astensioni e appena 7 contrari (con 46 Stati assenti al momento del voto). Gli Stati dell’Ue non hanno di fatto mai preso una posizione chiara. La Francia ha votato contro, schierandosi dunque con Yerevan. Gli altri Stati dell’Ue alle Nazioni Unite si sono astenuti.
    Di fronte a questo schieramento per l’Ue diventa difficile fare più di quanto fatto finora, vale a dire tentare di mediare ed invitare al dialogo. Ma in un periodo in cui, sopratutto a Bruxelles, è continuo insistere su “valori”, “diritti” e loro rispetto, trovarsi nella scomoda situazione di dover dire qualcosa senza poter essere davvero incisivi mette a nudo tutta l’affidabilità di un’Unione con cui comunque si interagisce.
    L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, in questi momenti concitati, ha capito perfettamente quello che sta per succedere. “Questa escalation militare non deve essere usata come pretesto per forzare l’esodo della popolazione locale”, e dunque un cacciata degli armeni da parte degli azeri. Non ha capito come può evitarlo, e probabilmente non potrà. Interventi, del resto non sono possibili. Ci sono troppi attori, e tutti scomodi, in gioco. La Russia, tradizionalmente amica dell’Armenia, anche se dell’Armenia internazionalmente riconosciuta, e che potrebbe ‘far pagare’ l’accresciuta cooperazione militare con Stati Uniti e Nato nonostante l’Armenia sia attualmente membro dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), guidata dalla Russia.
    La Turchia, dichiaratamente dalla parte di Baku, con tanto di accordo bilaterale turco-azero di mutuo sostegno in caso di aggressione militare. Ecco il dilemma. Se le forze armene dovessero aprire il fuoco contro quelle azere, in un territorio considerato azero, potrebbe innescarsi un nuovo conflitto alle porte dell’Europa. E poi gli Stati Uniti, tra i sette contrari alla risoluzione Onu del 2008. Ancora l’Iran, che condivide le proprie frontiere con entrambi i contendenti.
    L’Ue non si immolerà per la causa armena in Nagorno-Karabakh. Anche per ragioni squisitamente economiche. Alla vigilia dell’ultimo incontro del Consiglio di cooperazione Ue-Azerbaigian del 19 luglio 2022, in pieno conflitto russo-ucraino e crisi energetica, le due parti hanno firmato un memorandum d’intesa (MoU) su un partenariato energetico strategico, volto ad aumentare le forniture di gas azerbaigiano all’Ue attraverso il Corridoio Sud del Gas ad almeno 20 miliardi di metri cubi all’anno entro il 2027 (da 8,1 miliardi nel 2021).

    Una mancata azione in politica estera e ragioni squisitamente economiche legate alle forniture di gas dall’Azerbaigian

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    Nemmeno un giorno di tregua. L’Unione Europea condanna i bombardamenti dell’Azerbaigian sul Nagorno-Karabakh

    Bruxelles – La speranza per una distensione è durata poco meno di 24 ore, o più probabilmente è stata solo un’illusione dopo settimane di escalation. Dal Nagorno-Karabakh arrivano oggi (19 settembre) “notizie devastati”, come le ha definite il presidente del Consiglio Europeo e primo sponsor del dialogo tra Azerbaigian e Armenia, Charles Michel. L’esercito azero ha iniziato un’offensiva militare contro l’enclave separatista, che il ministero della Difesa di Baku considera “un’attività antiterroristica locale”  per “reprimere le provocazioni su larga scala”. Diversi filmati mostrano i bombardamenti sul territorio mentre a Stepanakert, capitale de facto dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh, risuonano da questa mattina le sirene dell’antiaerea.
    “Le azioni militari dell’Azerbaigian devono essere immediatamente interrotte per consentire un dialogo autentico tra Baku e gli armeni del Nagorno-Karabakh”, è la secca esortazione di Michel, a cui fanno eco le parole dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “L’Unione Europea condanna l’escalation militare lungo la linea di contatto e in altre località del Nagorno-Karabakh, chiediamo l’immediata cessazione delle ostilità e che l’Azerbaigian interrompa le attività militari in corso”. L’offensiva militare arriva con un messaggio che fa temere il peggio di una guerra totale e la pulizia etnica: nella “zona pericolosa” sarà messa in atto una “evacuazione” della popolazione civile a maggioranza armena. Il governo azero sostiene che l’offensiva è legata esclusivamente a mettere fuori gioco “mezzi di combattimento e strutture militari armene” dopo la morte di quattro soldati e due civili a causa dello scoppio di mine anti-uomo, ribadendo di essere impegnato nella “protezione della popolazione locale”. Ma non è passato inosservato nel corso delle ultime settimane l’ammassamento di convogli azeri – tutti contrassegnati con una A rovesciata (che in modo inquietante ricorda la Z dell’esercito russo in Ucraina) – sul confine con l’Armenia e lungo la linea di contatto nel Nagorno-Karabakh. In un’intervista a Politico il premier armeno, Nikol Pashinyan, aveva avvertito che “non è possibile escludere uno scenario di escalation“.
    “È urgente tornare al dialogo tra Baku e gli armeni del Nagorno-Karabakh, questa escalation militare non deve essere usata come pretesto per forzare l’esodo della popolazione locale“, è l’appello dell’alto rappresentante Borrell, che continua a chiedere “un ambiente favorevole ai colloqui di pace e di normalizzazione” attraverso un “impegno genuino di tutte le parti per lavorare verso risultati negoziali facilitati dall’Ue”. L’escalation arriva dopo mesi di negoziati infruttuosi condotti da Bruxelles e dalla contrapposizione sempre più netta tra il premier armeno e il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev. Il primo cerca ancora l’appoggio militare della Russia – lamentando però che Mosca non è più in grado di agire come garante della sicurezza di Yerevan dopo l’invasione dell’Ucraina – mentre Baku riceve il sostegno della Turchia per un possibile intervento che metta fine a un conflitto congelato da decenni.
    I bombardamenti azeri sul Nagorno-Karabakh sono al contempo una doccia fredda diplomatica e un possibile stop alla politica energetica dell’Unione. In primis perché è da un anno e mezzo che il presidente Michel tenta di spingere per una risoluzione delle tensioni tra i due leader caucasici attraverso il dialogo. Il passaggio del primo convoglio con aiuti internazionali martedì scorso (12 settembre) attraverso la rotta Ağdam-Askeran e poi lo sblocco del corridoio di Lachin proprio ieri (18 settembre) dopo quasi nove mesi di crisi umanitaria sembravano aver indirizzato la situazione nella regione verso uno sviluppo positivo, ma non erano stati considerati i risvolti militari in atto da parte delle forze di Baku. Allo stesso tempo non va dimenticato che nel luglio dello scorso anno la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, si era recata in visita ufficiale in Azerbaigian per siglare un accordo sulla fornitura di gas naturale e – nonostante le perplessità degli analisti sul rischio di sostituire Putin con un altro autocrate – aveva definito Aliyev “un partner affidabile e degno di fiducia“.
    Il corridoio meridionale del gas
    La guerra congelata in Nagorno-Karabakh
    Tra Armenia e Azerbaigian è dal 1992 che va avanti una guerra congelata, con scoppi di violenze armate ricorrenti incentrate nella regione separatista del Nagorno-Karabakh. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Dopo un anno e mezzo la situazione è tornata a scaldarsi a causa di alcune sparatorie alla frontiera a fine maggio 2022, quando è diventato sempre più evidente che la tensione sarebbe tornata a salire. La priorità dei colloqui di alto livello stimolati dal presidente del Consiglio Europeo è stata posta sulla delimitazione degli oltre mille chilometri di confine. Tuttavia, mentre a Bruxelles si sta provando da allora a trovare una difficilissima soluzione a livello diplomatico, da settembre sono riprese le ostilità tra Armenia e Azerbaigian, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.
    Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan
    La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue. Dopo il compromesso iniziale con Yerevan e Baku raggiunto il 6 ottobre a Praga in occasione della prima riunione della Comunità Politica Europea, 40 esperti Ue sono stati dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin e da allora sono in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Gli unici a poterla percorrere sono i soldati del contingente russo di mantenimento della pace e il Comitato internazionale della Croce Rossa.
    A seguito dell’aggravarsi della situazione nel corridoio di Lachin, il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, con l’obiettivo di contribuire alla stabilità nelle zone di confine e garantire un “ambiente favorevole” agli sforzi di normalizzazione dei due Paesi caucasici. Ma la tensione è tornata a crescere lo scorso 23 aprile, con la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco, con la giustificazione di voler impedire la rotazione dei soldati armeni nel Nagorno-Karabakh “che continuano a stazionare illegalmente nel territorio dell’Azerbaigian”. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello tra Michel, Aliyev e Pashinyan il 15 luglio.
    Soldati dell’Azerbaigian al posto di blocco sul corridoio di Lachin (credits: Tofik Babayev / Afp)
    L’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni crescenti sul campo ha portato a uno degli episodi più allarmanti almeno fino a oggi, che ha messo in pericolo gli osservatori Ue presenti dallo scorso 20 febbraio in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. L’evento aveva provocato qualche imbarazzo a Bruxelles, dopo che Yerevan aveva dato la notizia secondo cui l’esercito azero aveva “scaricato il fuoco contro gli osservatori dell’Ue”. Sulla stessa pagina X della missione civile Ue in Armenia era apparso un post (poi cancellato) con un perentorio “falso”, ma poche ore più tardi è stato pubblicato l’aggiornamento di rettifica che ha dato ragione ai portavoce armeni, almeno nella parte in cui è stata confermata la presenza della pattuglia europea durante gli spari, senza nessun riferimento alla responsabilità azera.

    Dopo lo sblocco del rifornimenti umanitari attraverso il corridoio di Lachin, il governo di Baku ha lanciato un’offensiva nell’enclave separatista giustificandola come “attività antiterroristica locale”. Le istituzioni Ue chiedono “l’immediata cessazione delle ostilità” e il “ritorno al dialogo”

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    Le forniture di aiuti umanitari nel Nagorno-Karabakh sono finalmente riprese. L’Ue esorta a “regolarizzare il passaggio”

    Bruxelles – Dopo mesi di stallo e di completa chiusura dei rifornimenti umanitari, gli oltre 120 mila abitanti del Nagorno-Karabakh possono tornare a sperare in un flusso costante di cibo e farmaci, gas e acqua potabile. “Accogliamo con favore il passaggio simultaneo di carichi umanitari attraverso Lachin e Ağdam“, è il commento soddisfatto del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, alla notizia di oggi pomeriggio (18 settembre) dell’ingresso di camion del Comitato internazionale della Croce Rossa carichi di aiuti umanitari nella regione separatista a maggioranza armena sul territorio dell’Azerbaigian: “Questo passaggio deve essere regolarizzato“.
    Il primo convoglio umanitario a fare ingresso nell’enclave a maggioranza cristiana nel sud-ovest dell’Azerbaigian (a maggioranza musulmana) era arrivato martedì scorso (12 settembre) ma dal territorio azero attraverso la rotta Ağdam-Askeran. Altri convogli francesi e armeni erano rimasti invece finora bloccati, nonostante l’accordo del 9 settembre tra il governo azero e quello armeno per riaprire il corridoio di Lachin. Per questo motivo il leader del Consiglio Ue aveva chiesto “a tutte le parti interessate di dare prova di responsabilità e flessibilità” nel “facilitare la riapertura dell’unica via di accesso all’Armenia e al mondo esterno per decine di migliaia di abitanti dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh. Dopo la svolta di oggi – che mette forse fine a una crisi che va avanti da nove mesi – per Bruxelles “è essenziale avviare colloqui tra Baku e gli armeni del Nagorno-Karabakh sui loro diritti e la loro sicurezza“, ha messo in chiaro Michel, anticipando che “l’Ue è pronta a sostenere”.
    L’Unione Europea è diventata da un anno e mezzo il principale mediatore tra il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, e si spiega così l’entusiasmo di Bruxelles nel vedere i primi segnali di distensione tra due Paesi caucasici. “Accogliamo la consegna di aiuti umanitari della Croce Rossa attraverso Lachin e Ağdam agli armeni del Nagorno-Karabakh”, ha ribadito il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano. Quello che le istituzioni comunitarie ora si aspettano è “garantire forniture regolari alla popolazione”, spingere per un “dialogo significativo” tra Baku e i separatisti e soprattutto “diminuire le tensioni sulla linea di contatto e sul confine internazionale“. La crisi dura da mesi e il dispiegamento di truppe azere lungo il confine armeno ha aumentato i timori per lo scoppio di un nuovo conflitto tra Baku e Yerevan per il controllo del Nagorno-Karabakh.
    La tensione in Nagorno-Karabakh
    Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan
    Tra i due Paesi caucasici la guerra congelata va avanti dal 1992, con scoppi di violenze armate ricorrenti. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Dopo un anno e mezzo la situazione è tornata a scaldarsi a causa di alcune sparatorie alla frontiera a fine maggio 2022, quando è diventato sempre più evidente che la tensione sarebbe tornata a salire. La priorità dei colloqui di alto livello stimolati dal presidente del Consiglio Europeo è stata posta sulla delimitazione degli oltre mille chilometri di confine. Tuttavia, mentre a Bruxelles si sta provando da allora a trovare una difficilissima soluzione a livello diplomatico, da settembre sono riprese le ostilità tra Armenia e Azerbaigian, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.
    La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue. Dopo il compromesso iniziale con Yerevan e Baku raggiunto il 6 ottobre a Praga in occasione della prima riunione della Comunità Politica Europea, 40 esperti Ue sono stati dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin e da allora sono in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Gli unici a poterla percorrere sono i soldati del contingente russo di mantenimento della pace e il Comitato internazionale della Croce Rossa.
    Soldati dell’Azerbaigian al posto di blocco sul corridoio di Lachin (credits: Tofik Babayev / Afp)
    A seguito dell’aggravarsi della situazione nel corridoio di Lachin, il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, con l’obiettivo di contribuire alla stabilità nelle zone di confine e garantire un “ambiente favorevole” agli sforzi di normalizzazione dei due Paesi caucasici. Ma la tensione è tornata a crescere lo scorso 23 aprile, con la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco, con la giustificazione di voler impedire la rotazione dei soldati armeni nel Nagorno-Karabakh “che continuano a stazionare illegalmente nel territorio dell’Azerbaigian”. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello tra Michel, Aliyev e Pashinyan il 15 luglio.
    L’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni crescenti sul campo ha portato a uno degli episodi più allarmanti per gli osservatori Ue presenti dallo scorso 20 febbraio in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. L’evento aveva provocato qualche imbarazzo a Bruxelles, dopo che Yerevan aveva dato la notizia secondo cui l’esercito azero aveva “scaricato il fuoco contro gli osservatori dell’Ue”. Sulla stessa pagina X della missione civile Ue in Armenia era apparso un post (poi cancellato) con un perentorio “falso”, ma poche ore più tardi è stato pubblicato l’aggiornamento di rettifica che ha dato ragione ai portavoce armeni, almeno nella parte in cui è stata confermata la presenza della pattuglia europea durante gli spari, senza nessun riferimento alla responsabilità azera.

    Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha accolto la notizia del passaggio di convogli attraverso il corridoio di Lachin, che collega l’Armenia alla regione separatista passando dal territorio dell’Azerbaigian: “Oa è essenziale avviare colloqui sui loro diritti e la loro sicurezza”

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    L’Ue guarda con speranza ai primi convogli umanitari arrivati in Nagorno-Karabakh: “Sia riaperto il corridoio di Lachin”

    Bruxelles – Forse qualcosa si sta davvero sbloccando, o almeno questa è la speranza dell’Unione Europea. Dopo che martedì (12 settembre) ha fatto ingresso nel Nagorno-Karabakh un primo convoglio umanitario proveniente dal territorio azero, per Bruxelles potrebbe essere arrivato il momento di dare una spallata decisiva per risolvere la situazione in uno dei punti più delicati nei rapporti tra Armenia e Azerbaigian: il corridoio di Lachin. “Ci aspettiamo che crei uno slancio per la ripresa di regolari consegne umanitarie alla popolazione locale“, è quanto si legge in una nota del Consiglio Europeo.
    È proprio il leader dell’istituzione comunitaria, Charles Michel, il più impegnato negli ultimi mesi per implementare soluzioni per la de-escalation delle tensioni armate e della situazione umanitaria degli armeni del Nagorno-Karabakh, anche attraverso una serie di conversazioni telefoniche con il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, e con un confronto con il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, a margine del G20 a Nuova Delhi. “La situazione sul campo si sta deteriorando rapidamente, è fondamentale garantire la fornitura di prodotti essenziali” ai cittadini dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh), è l’esortazione del Consiglio Ue, che guarda all’apertura della rotta Ağdam-Askeran come un “passo importante” che dovrebbe “facilitare la riapertura anche del corridoio di Lachin”. Ovvero dell’unica via di accesso all’Armenia e al mondo esterno per gli oltre 120 mila abitanti del Nagorno-Karabakh: “Chiediamo a tutte le parti interessate di dare prova di responsabilità e flessibilità”.
    Altri convogli francesi e armeni sono ancora bloccati, nonostante sabato scorso (9 settembre) il governo azero avesse annunciato un accordo con quello armeno per riaprire il corridoio di Lachin. “Questa difficile situazione sul terreno è durata troppo a lungo” e Bruxelles mette in chiaro che gli sforzi ora devono essere incanalati nel “trovare soluzioni sostenibili e reciprocamente accettabili per garantire l’accesso umanitario, anche in vista della stagione autunnale e invernale”. Sforzi sostenuti dal rappresentante speciale dell’Ue per il Caucaso meridionale e Georgia, Toivo Klaar, la cui presenza nella regione permette alle istituzioni comunitarie di ribadire la “ferma convinzione che il corridoio di Lachin debba essere sbloccato”, parallelamente con “altre vie di approvvigionamento”. Queste esortazioni si riassumono nella richiesta netta da parte del Consiglio Ue di far seguire ai primi segnali di apertura “passi più concreti nei prossimi giorni e settimane” nel processo di pace tra Armenia e Azerbaigian. La guerra congelata tra i due Paesi caucasici va avanti dal 1992, con scoppi di violenze armate ricorrenti. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh
    La mediazione Ue sul Nagorno-Karabakh
    Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan
    La mediazione di Bruxelles con il premier armeno Pashinyan e il presidente azero Aliyev è diventata sempre più frequente dopo le sparatorie alla frontiera tra i due Paesi di fine maggio 2022, quando è diventato sempre più evidente che la tensione sarebbe tornata a salire. La priorità dei colloqui di alto livello è stata posta – e lo è tutt’ora – sulla delimitazione degli oltre mille chilometri di confine. Tuttavia, mentre a Bruxelles si sta provando da allora a trovare una difficilissima soluzione a livello diplomatico, da settembre sono riprese le ostilità tra Armenia e Azerbaigian, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.
    La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue. Dopo il compromesso iniziale con Yerevan e Baku raggiunto il 6 ottobre a Praga in occasione della prima riunione della Comunità Politica Europea, 40 esperti Ue sono stati dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin e da allora sono in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Gli unici a poterla percorrere sono i soldati del contingente russo di mantenimento della pace e il Comitato internazionale della Croce Rossa.
    Soldati dell’Azerbaigian al posto di blocco sul corridoio di Lachin (credits: Tofik Babayev / Afp)
    A seguito dell’aggravarsi della situazione nel corridoio di Lachin, il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, con l’obiettivo di contribuire alla stabilità nelle zone di confine e garantire un “ambiente favorevole” agli sforzi di normalizzazione dei due Paesi caucasici. Ma la tensione è tornata a crescere lo scorso 23 aprile, con la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco, con la giustificazione di voler impedire la rotazione dei soldati armeni nel Nagorno-Karabakh “che continuano a stazionare illegalmente nel territorio dell’Azerbaigian”. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello tra Michel, Aliyev e Pashinyan il 15 luglio.
    L’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni crescenti sul campo ha portato a uno degli episodi più allarmanti per gli osservatori Ue presenti dallo scorso 20 febbraio in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. L’evento aveva provocato qualche imbarazzo a Bruxelles, dopo che Yerevan aveva dato la notizia secondo cui l’esercito azero aveva “scaricato il fuoco contro gli osservatori dell’Ue”. Sulla stessa pagina X della missione civile Ue in Armenia era apparso un post (poi cancellato) con un perentorio “falso”, ma poche ore più tardi è stato pubblicato l’aggiornamento di rettifica che ha dato ragione ai portavoce armeni, almeno nella parte in cui è stata confermata la presenza della pattuglia europea durante gli spari, senza nessun riferimento alla responsabilità azera.

    Il Consiglio Europeo accoglie il primo sblocco positivo di uno stallo che dura dal 12 dicembre dello scorso anno: “Ora è importante trovare soluzioni sostenibili per garantire l’accesso umanitario” in vista dell’inverno. Ma continua a preoccupare la situazione di tensione sul campo

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    Gli osservatori Ue coinvolti nelle sparatorie di confine tra Armenia e Azerbaigian. Nessun ferito

    Bruxelles – Continuano, senza pausa, le tensioni tra Armenia e Azerbaigian lungo il confine e in Nagorno-Karabakh. Ma nell’ultimo episodio di escalation armata è rimasta indirettamente coinvolta anche l’Unione Europea. Come confermato su X (precedentemente Twitter) dalla missione civile Ue in Armenia (Euma) una pattuglia di osservatori europei “è intervenuta in occasione di una sparatoria nella nostra area di responsabilità”, ma “nessun membro Euma è stato ferito“. Si tratta di una prima volta dall’inizio delle operazioni a febbraio – e nel pieno degli sforzi diplomatici di Bruxelles – anche se gli spari di confine tra i due Paesi caucasici al momento sono di origine e responsabilità non chiarita.
    La comunicazione dell’Euma è stata caratterizzata da un equivoco quantomeno bizzarro. Dopo che il segretario stampa del ministero della Difesa armeno, Aram Torosyan, aveva per primo dato notizia ieri (15 agosto) sul fatto che l’esercito azero aveva “scaricato il fuoco contro gli osservatori dell’Ue”, sulla stessa pagina X della missione civile Ue in Armenia era apparso un post (poi cancellato) con un perentorio “falso”. Solo poche ore più tardi è stato pubblicato l’aggiornamento di rettifica che ha dato ragione al portavoce armeno, almeno nella parte in cui è stata confermata la presenza della pattuglia europea durante gli spari, senza nessun riferimento alla responsabilità azera. Da parte di Baku è stata respinta l’accusa armena degli spari da parte dell’Azerbaigian come “teoricamente e praticamente impossibili”, dal momento in cui l’esercito era a conoscenza della presenza di pattuglie Ue nella zona. Dallo scorso 20 febbraio Euma è presente in Armenia con l’obiettivo di contribuire alla stabilità nelle zone di confine tra Armenia e Azerbaigian.
    Il nuovo episodio di tensione si iscrive in una guerra congelata che va avanti dal 1992 , con scoppi di violenze armate ricorrenti. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Mentre l’Ue è impegnata in un difficilissimo sforzo di mediazione diplomatica e sul campo per risolvere la questione dei confini e dell’integrità territoriale, per oggi (16 agosto) è prevista una riunione di emergenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sull’aggravarsi della crisi umanitaria nel Nagorno-Karabakh, in particolare dopo che l’Azerbaigian ha preso il controllo del corridoio di Lachin e ha bloccato la fornitura di aiuti umanitari.
    La difficile mediazione Ue sul Nagorno-Karabakh
    Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan
    Dopo le sparatorie alla frontiera tra i due Paesi di fine maggio dello scorso anno il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ha cercato di rendere sempre più frequenti i contatti diretti con il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev. La priorità dei colloqui di alto livello è sempre stata posta sulla delimitazione degli oltre mille chilometri di confine. Tuttavia, mentre a Bruxelles si sta provando da allora a trovare una difficilissima soluzione a livello diplomatico, sul terreno non si è mai allentata la tensione. Nel mese di settembre sono riprese le ostilità tra Armenia e Azerbaigian, che si accusano a vicenda di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.
    La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue. Dopo il compromesso iniziale con Yerevan e Baku raggiunto il 6 ottobre a Praga in occasione della prima riunione della Comunità Politica Europea, 40 esperti Ue sono stati dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin, l’unica via di accesso all’Armenia e al mondo esterno per gli oltre 120 mila abitanti dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh). Da 154 giorni su questa strada sono in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile, e gli unici a poterla percorrere sono i soldati del contingente russo di mantenimento della pace e il Comitato internazionale della Croce Rossa.
    Soldati dell’Azerbaigian al posto di blocco sul corridoio di Lachin (credits: Tofik Babayev / Afp)
    A seguito dell’aggravarsi della situazione nel corridoio di Lachin, il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, con l’obiettivo di contribuire alla stabilità nelle zone di confine e garantire un “ambiente favorevole” agli sforzi di normalizzazione dei due Paesi caucasici. Ma la tensione è tornata a crescere lo scorso 23 aprile, con la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco, con la giustificazione di voler impedire la rotazione dei soldati armeni nel Nagorno-Karabakh “che continuano a stazionare illegalmente nel territorio dell’Azerbaigian”. Da Bruxelles è arrivata la risposta secca dell’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “I diritti e la sicurezza degli armeni del Nagorno-Karabakh devono essere sempre garantiti”. Dopo la ripresa delle discussioni a maggio, lo scorso 15 luglio si è tenuto un nuovo round di negoziati di alto livello tra Michel, Aliyev e Pashinyan – “una delle fasi più complete e vigorose dei negoziati tra Armenia e Azerbaigian”, ha garantito il presidente del Consiglio Ue – ma ormai è diventata una costante l’alternarsi di speranze diplomatiche e tensioni crescenti sul campo.

    Lo ha riportato la stessa missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) che monitora la situazione in Nagorno-Karabakh. Scambio di accuse tra Yerevan e Baku sulla responsabilità, mentre è prevista una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite

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    L’Ue cerca (ancora) di distendere la tensione tra Armenia e Azerbaigian. Ma è scambio di accuse sul Nagorno-Karabakh

    Bruxelles – L’Unione Europea ci riprova, per la seconda volta in due mesi. Il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ha convocato sabato (15 luglio) il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, per un nuovo round di negoziati di alto livello tra i due Paesi da anni in conflitto, a bassa o alta intensità. “Il nostro è stato l’ultimo di una serie di intensi e produttivi incontri che hanno coinvolto i leader dell’Armenia e dell’Azerbaigian, i vice-premier e i ministri degli Esteri dall’inizio di maggio a Bruxelles, Chișinău, Washington, Mosca e sul confine bilaterale“, ha reso noto al termine del confronto lo stesso leader del Consiglio, facendo riferimento all’intensificazione degli sforzi diplomatici multilaterali che hanno ormai l’Unione come motore propulsore.
    Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan (15 luglio 2023)
    Dopo la ripresa delle discussioni tra il premier azero e il presidente azero a Bruxelles lo scorso 14 maggio, l’obiettivo dei negoziatori Ue ora è quello di mantenere salda la presa sulle due parti, nonostante l’assenza di reali passi avanti e una retorica che rimane incendiaria. “Stiamo attraversando una delle fasi più complete e vigorose dei negoziati tra Armenia e Azerbaigian“, ha voluto ribadire Michel, riconoscendo però che l’incontro “si è svolto nel contesto di un preoccupante aumento delle tensioni sul terreno”. La dimostrazione è arrivata dalle accuse del ministro degli Esteri azero, Jeyhun Bayramov, all’indirizzo di Yerevan di non aver rispettato “molte disposizioni” del cessate il fuoco del 2020 e contro la Russia – tradizionale mediatrice nella guerra che prosegue tra alti e bassi dal 1992 – per non aver garantito la “piena attuazione della dichiarazione nell’ambito dei suoi obblighi”.
    È dal 1992 che si protrae in quest’area del Caucaso meridionale un conflitto congelato, con scoppi di violenze armate ricorrenti. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. È per questo tra le questioni più complesse c’è la questione dell’integrità territoriale – “il territorio dell’Armenia copre 29.800 chilometri quadrati e quello dell’Azerbaigian 86.600”, ha ricordato Michel – e della delimitazione dei confini, con la volontà di “intensificare e accelerare il lavoro delle due commissioni di confine” dopo la riunione di mercoledì scorso (12 luglio): “Le discussioni sulle basi della delimitazione sono avanzate”. Preoccupa da mesi la situazione della popolazione che abita l’enclave cristiana del Nagorno-Karabakh nel sud-ovest dell’Azerbaigian (Paese a maggioranza musulmano) e più nello specifico lo stato “chiaramente non sostenibile” nell’area attorno al corridoio di Lachin: “Ho sottolineato la necessità di aprire la strada e ho preso atto della disponibilità dell’Azerbaigian di fornire aiuti umanitari attraverso Aghdam”. Il presidente del Consiglio Ue ha fatto poi sapere dell’intenzione di convocare una nuova riunione di alto livello a Bruxelles “dopo l’estate” e un nuovo un incontro a cinque – “con la partecipazione anche dei leader di Francia e Germania” – a margine del prossimo vertice della Comunità Politica Europea in programma il 5 ottobre a Granada.
    La mediazione Ue tra Armenia e Azerbaigian
    Dopo le sparatorie alla frontiera tra i due Paesi di fine maggio dello scorso anno il presidente Michel ha cercato di rendere sempre più frequenti i contatti diretti con il leader azero Aliyev e il premier armeno Pashinyan. La priorità dei colloqui di alto livello è sempre stata posta sulla delimitazione degli oltre mille chilometri di confine. Tuttavia, mentre a Bruxelles si sta provando da allora a trovare una difficilissima soluzione a livello diplomatico, sul terreno non si è mai allentata la tensione. Nel mese di settembre sono riprese le ostilità tra Armenia e Azerbaigian, che si accusano a vicenda di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.
    Soldati dell’Azerbaigian al posto di blocco sul corridoio di Lachin (credits: Tofik Babayev / Afp)
    La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue. Dopo il compromesso iniziale con Yerevan e Baku raggiunto il 6 ottobre a Praga in occasione della prima riunione della Comunità Politica Europea, 40 esperti Ue sono stati dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale (attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati) il corridoio di Lachin, l’unica via di accesso all’Armenia e al mondo esterno per gli oltre 120 mila abitanti dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh. Da 154 giorni su questa strada sono in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile, e gli unici a poterla percorrere sono i soldati del contingente russo di mantenimento della pace e il Comitato internazionale della Croce Rossa.
    A seguito dell’aggravarsi della situazione nel corridoio di Lachin, il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, con l’obiettivo di contribuire alla stabilità nelle zone di confine e garantire un “ambiente favorevole” agli sforzi di normalizzazione dei due Paesi caucasici. Ma la tensione è tornata a crescere lo scorso 23 aprile, con la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco, con la giustificazione di voler impedire la rotazione dei soldati armeni nel Nagorno-Karabakh “che continuano a stazionare illegalmente nel territorio dell’Azerbaigian”. Da Bruxelles è arrivata la risposta secca dell’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “I diritti e la sicurezza degli armeni del Nagorno-Karabakh devono essere sempre garantiti”.

    Secondo vertice in due mesi voluto dal numero uno del Consiglio Ue, Charles Michel, con il presidente azero, Ilham Aliyev, e il premier armeno, Nikol Pashinyan. Sul tavolo le discussioni su confini e corridoio di Lachin, sullo sfondo di una retorica che non agevola i colloqui di pace

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    L’Ue non demorde sulla mediazione tra Azerbaigian e Armenia. Michel riceve i due leader e definisce l’agenda

    Bruxelles – Continua la missione impossibile dell’Unione Europea nella regione del Caucaso meridionale, alla ricerca di una pace complicatissima tra Armenia e Azerbaigian. “L’Ue non ha un’agenda nascosta, il nostro unico obiettivo è aiutare l’Armenia e l’Azerbaigian a raggiungere una pace completa ed equa“, è stato il commento del presidente del Consiglio, Charles Michel, al termine del nuovo round di discussioni di alto livello a Bruxelles insieme al presidente azero, Ilham Aliyev, e il premier armeno, Nikol Pashinyan.
    Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente della Francia, Emmanuel Macron, il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, a Praga il 6 ottobre 2022 (credits: Ludovic Marin / Afp)
    Quello di ieri (14 maggio) è stato il quinto incontro trilaterale nel dialogo tra Baku e Yerevan mediato dall’Unione: “I nostri scambi sono stati franchi, aperti e orientati ai risultati”, ha sottolineato Michel, cercando di mettere in evidenza i punti più positivi in agenda, in un momento particolarmente delicato per gli equilibri nel Caucaso meridionale. Il numero uno del Consiglio Ue ha chiesto di “compiere passi decisivi verso la firma di un accordo di pace globale” tra Armenia e Azerbaigian, a partire da una serie di nuovi incontri a Bruxelles “tutte le volte che sarà necessario”. In calendario è già fissato un nuovo appuntamento tra i tre leader “a luglio”, mentre il primo giugno a margine del secondo vertice della Comunità Politica Europea a Chișinău (Moldova) “ci incontreremo insieme al presidente francese Macron e al cancelliere tedesco Scholz” (lo stesso invito arriverà al terzo vertice di Granada in ottobre).
    Per quanto riguarda le discussioni sul tavolo, la sfida è enorme se si guarda al quadro generale. È dal 1992 che si protrae in quest’area del Caucaso meridionale un conflitto congelato, con scoppi di violenze armate ricorrenti. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. È per questo che la delimitazione dei confini rimane una delle questioni più complesse da mettere a terra, auspicabile solo attraverso la “ripresa degli incontri bilaterali concordata” da Aliyev e Pashinyan: “La delimitazione definitiva del confine sarà concordata attraverso i negoziati”, ha ribadito Michel. Più nello specifico nell’enclave cristiana nel sud-ovest dell’Azerbaigian (Paese a maggioranza musulmano) è necessario garantire “diritti e sicurezza agli armeni che vivono nell’ex-provincia autonoma del Nagorno-Karabakh”. Baku è stata incoraggiata a “impegnarsi nello sviluppo di un’agenda positiva” ed entrambe le parti ad “astenersi dalla retorica ostile, impegnarsi in buona fede e mostrare leadership per raggiungere soluzioni reciprocamente accettabili”.
    Tra gli altri temi affrontati anche le questioni umanitarie sulle persone scomparse, lo sminamento e il rilascio dei detenuti “nelle prossime settimane”, con la tutela dell’intesa “sul fatto che i soldati che hanno attraversato il confine continueranno a essere rilasciati attraverso una procedura rapida”. Nonostante il constante conflitto a bassa intensità le due parti hanno compiuto “chiari progressi nelle discussioni volte a sbloccare i trasporti e i collegamenti economici nella regione“, ha reso noto Michel, parlando di posizioni che “si sono avvicinate molto”, in particolare per quanto riguarda la riapertura dei collegamenti ferroviari attraverso la Repubblica Autonoma del Nakhchivan, enclave azera in Armenia.
    Un anno di difficile mediazione Ue tra Armenia e Azerbaigian
    Dopo le sparatorie alla frontiera tra i due Paesi di fine maggio dello scorso anno il presidente Michel ha cercato di rendere sempre più frequenti i contatti diretti con il leader azero Aliyev e il premier armeno Pashinyan. La priorità dei colloqui di alto livello è sempre stata posta sulla delimitazione degli oltre mille chilometri di confine. Tuttavia, mentre a Bruxelles si sta provando da allora a trovare una difficilissima soluzione a livello diplomatico, sul terreno non si è mai allentata la tensione. Nel mese di settembre sono riprese le ostilità tra Armenia e Azerbaigian, che si accusano a vicenda di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.
    Soldati dell’Azerbaigian al posto di blocco sul corridoio di Lachin (credits: Tofik Babayev / Afp)
    La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue. Dopo il compromesso iniziale con Yerevan e Baku raggiunto il 6 ottobre a Praga in occasione della prima riunione della Comunità Politica Europea, 40 esperti Ue sono stati dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale (attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati) il corridoio di Lachin, l’unica via di accesso all’Armenia e al mondo esterno per gli oltre 120 mila abitanti dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh. Da 154 giorni su questa strada sono in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile, e gli unici a poterla percorrere sono i soldati del contingente russo di mantenimento della pace e il Comitato internazionale della Croce Rossa.
    A seguito dell’aggravarsi della situazione nel corridoio di Lachin, il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, con l’obiettivo di contribuire alla stabilità nelle zone di confine e garantire un “ambiente favorevole” agli sforzi di normalizzazione dei due Paesi caucasici. Ma la tensione è tornata a crescere lo scorso 23 aprile, con la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco, con la giustificazione di voler impedire la rotazione dei soldati armeni nel Nagorno-Karabakh “che continuano a stazionare illegalmente nel territorio dell’Azerbaigian”. Da Bruxelles è arrivata la risposta secca dell’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “I diritti e la sicurezza degli armeni del Nagorno-Karabakh devono essere sempre garantiti”.

    Dopo gli ultimi colloqui di ottobre 2022 con il presidente azero, Ilham Aliyev, e il premier armeno, Nikol Pashinyan, il numero uno del Consiglio li ha ricevuti a Bruxelles per un confronto su confini, questioni umanitarie e diritti in Nagorno-Karabakh: “Vogliamo una pace completa ed equa”

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    Le mosse dell’Azerbaigian nel Nagorno-Karabakh irritano Bruxelles: “Posti di blocco unilaterali non riducono le tensioni”

    Bruxelles – Mentre l’attenzione internazionale è focalizzata sull’invasione russa in Ucraina e sulle tensioni tra Cina e Taiwan, un altro fronte di conflitto a bassa intensità da un anno è sempre attivo e, nonostante gli intensi sforzi diplomatici da parte delle istituzioni comunitarie, non sembra trovare alcuna via di risoluzione. “Il posto di blocco unilaterale dell’Azerbaigian lungo il corridoio di Lachin è contrario agli appelli dell’Ue a ridurre le tensioni e a risolvere le questioni con il dialogo”, ha denunciato l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, a proposito delle recenti decisioni sul piano militare di Baku nel Nagorno-Karabakh.
    È dal 12 dicembre dello scorso anno che l’Azerbaigian ha bloccato in modo informale (attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati) il corridoio di Lachin, l’unica via di accesso all’Armenia e al mondo esterno per gli oltre 120 mila abitanti dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh. Da 136 giorni su questa strada sono in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile, e gli unici a poterla percorrere sono i soldati del contingente russo di mantenimento della pace e il Comitato internazionale della Croce Rossa. Ma con la decisione di domenica scorsa (23 aprile) è stata formalizzata la chiusura del collegamento strategico tra l’enclave cristiana nel sud-ovest dell’Azerbaigian (Paese a maggioranza musulmano) e l’Armenia. Baku ha giustificato la creazione del posto di blocco con la volontà di impedire la rotazione dei soldati armeni nel Nagorno-Karabakh, “che continuano a stazionare illegalmente nel territorio dell’Azerbaigian”.
    L’irritazione a Bruxelles è legata al fatto che, nonostante l’impegno a “promuovere la pace e la stabilità nel Caucaso meridionale”, da un anno i due interlocutori – e in particolare l’Azerbaigian – continuano a non mostrare una seria volontà per la de-escalation: “I diritti e la sicurezza degli armeni del Nagorno-Karabakh devono essere garantiti“, ha ribadito senza mezzi termini l’alto rappresentante Ue Borrell. Guardando al quadro più ampio, è dal 1992 che si protrae in quest’area del Caucaso meridionale un conflitto congelato, con scoppi di violenze armate ricorrenti. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh.
    Cosa sta succedendo tra Azerbaigian e Armenia
    Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente della Francia, Emmanuel Macron, il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, a Praga il 6 ottobre 2022 (credits: Ludovic Marin / Afp)
    Dopo le sparatorie alla frontiera tra i due Paesi di fine maggio dello scorso anno il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ha reso sempre più frequenti i contatti diretti con il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, e il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan, ponendo come priorità dei colloqui di alto livello la delimitazione degli oltre mille chilometri di confine. Tuttavia, mentre a Bruxelles si sta provando da allora a trovare una difficilissima soluzione a livello diplomatico, sul terreno non si è mai allentata la tensione. Nel mese di settembre sono riprese le ostilità tra Armenia e Azerbaigian, che si accusano a vicenda di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.
    La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue. Dopo il compromesso iniziale con Yerevan e Baku raggiunto il 6 ottobre a Praga in occasione della prima riunione della Comunità Politica Europea, 40 esperti Ue sono stati dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. A seguito dell’aggravarsi della situazione nel corridoio di Lachin, il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, con l’obiettivo di contribuire alla stabilità nelle zone di confine e garantire un “ambiente favorevole” agli sforzi di normalizzazione dei due Paesi caucasici.

    L’alto rappresentante Josep Borrell ha denunciato la presenza permanente di soldati azeri nel corridoio di Lachin, l’unica via di accesso all’Armenia per gli abitanti dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh: “È contrario agli appelli dell’Ue a risolvere le questioni con il dialogo”