Bruxelles – Ci risiamo, si è riacceso lo scontro diplomatico tra Pristina e Belgrado. Ma questa volta, al centro della “battaglia delle targhe” dei veicoli serbi in Kosovo, c’è anche l’Unione Europea e la sua strategia di equidistanza tra le due parti. Mentre Bruxelles sta tentando la ripresa di un dialogo decennale sempre più in salita, la nuova crisi sul confine settentrionale del Kosovo sta rischiando di minare definitivamente la credibilità delle istituzioni europee nel riuscire a portare a termine questo processo di mediazione.
A far scoppiare le tensioni nella regione è stata la decisione del governo di Pristina di imporre il cambio delle targhe ai veicoli serbi in entrata nel territorio kosovaro. Ieri mattina (lunedì 20 settembre) i reparti speciali di polizia sono affluiti ai valichi di confine di Jarinje, Brnjak e Merdare, dove hanno fermato automobili, ciclomotori e camion e imposto l’applicazione di targhe di prova kosovare, il pagamento di una tassa di cinque euro e la stipulazione di contratti di assicurazione. La minoranza serba in Kosovo – concentrata proprio nel nord del Paese – ha protestato con forza, anche se dai suoi rappresentanti politici è arrivato l’appello a non esasperare la tensione e attendere l’intervento delle organizzazioni internazionali presenti sul territorio.
Il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti
Stando a quanto dichiarato dal premier kosovaro, Albin Kurti, a imporre il cambio di targhe automobilistiche è stato il principio di reciprocità: da tempo vige l’obbligo per gli automobilisti del Kosovo di coprire la propria targa con una temporanea rilasciata dalle autorità serbe e di pagare una tassa di due euro, una volta superato il confine. Inoltre, lo scorso 15 settembre è scaduta l’intesa sulle targhe che era stata raggiunta tra i due Paesi nell’ambito dell’accordo di Bruxelles del 2013. Ecco perché, secondo il governo di Pristina, le nuove misure non sono dirette contro la popolazione serba né mirano a destabilizzare la situazione, ma sono un semplice adeguamento alla situazione creata proprio da Belgrado. Ma il rimpallo di accuse tra le due capitali sta mettendo l’Unione Europea al centro della battaglia delle targhe.
La posizione ‘scomoda’ dell’UE
Proprio l’Unione Europea è impegnata in questi giorni in una missione nella regione. Il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, si è recato prima nella capitale kosovara e poi in quella serba, dove ieri pomeriggio si è confrontato con il presidente Aleksandar Vučić. “Sono preoccupato e chiedo una de-escalation immediata“, è stato il commento del rappresentante UE. “È importante ridurre le tensioni, ripristinare un’atmosfera pacifica e consentire la libertà di movimento”, ha aggiunto, sottolineando che le istituzioni europee sono “pronte a facilitare i colloqui su tutte le questioni aperte nel dialogo”.
Prima dell’incontro, il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna, Peter Stano, aveva invitato “entrambe le parti” a utilizzare lo strumento del dialogo mediato dall’UE per risolvere le questioni aperte, “compresa la libertà di circolazione”. Nel caso specifico della battaglia delle targhe tra Serbia e Kosovo, “ci aspettiamo che entrambi i governi promuovano un clima che conduca a una riconciliazione“, aveva precisato Stano.
Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, a Bruxelles con la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen
Tuttavia, da ventiquattro ore Bruxelles sta ricevendo dure critiche per il suo atteggiamento attendista. Il presidente serbo Vučić si è detto “stufo di questi appelli alle due parti”, dal momento in cui il governo di Belgrado non avrebbe fatto “nulla di male”. La parte serba inizia a scalpitare sul rispetto delle condizioni stabilite dall’accordo del 2013 che non sarebbe mai stato rispettato da Pristina: “Qualcuno in Europa deve dirci una volta per tutte se esiste ancora, la nostra pazienza non è illimitata”, ha aggiunto Vučić. Al termine di una riunione del Consiglio per la sicurezza nazionale, questa mattina il presidente serbo ha aggiunto che “la risposta da Bruxelles dovrà arrivare entro un mese”.
La cosiddetta battaglia delle targhe è solo la punta di un iceberg sullo status giuridico della minoranza serba in Kosovo. Tutto nasce dal rifiuto di Pristina di realizzare una misura che ritiene contraria alla sua Costituzione, vale a dire la Comunità delle municipalità serbe in Kosovo. L’associazione delle enclave serbe è prevista proprio dall’accordo dell’aprile 2013, che da allora è rimasta però solo sulla carta: per il governo kosovaro si tratterebbe di una “fase preliminare” della creazione di una nuova Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina). Belgrado insiste invece sul rispetto dei trattati: “Un silenzio europeo significherà che l’accordo di Bruxelles non esiste più e che non vogliono la creazione della Comunità delle municipalità serbe”, ha attaccato il presidente Vučić.
La questione ha evidenti conseguenze sull’intero processo di mediazione facilitato dall’UE, che sarebbe dovuto riprendere a settembre a Bruxelles con un nuovo incontro tra Kurti e Vučić. “La condizione per continuare il dialogo è il ritiro di tutte le formazioni armate dal nord del Kosovo“, ha dichiarato il presidente serbo. “Solo dopo il ritorno allo status quo ci recheremo a Bruxelles”, è stata la precisazione da Belgrado. Se l’Unione Europea non cambierà atteggiamento, dimostrando che esistono ancora margini per rispettare le promesse fatte in questi anni, sarà sempre più difficile superare gli ostacoli sulla strada della normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo.
I briefed EU HoMs on the situation in the north of Kosovo. I’m concerned & call for immediate deescalation. It’s important to reduce tensions, restore a peaceful atmosphere & allow for freedom of movement. We stand ready to facilitate talks on all open issues in the Dialogue. pic.twitter.com/2HvqC0ldmS
— Miroslav Lajčák (@MiroslavLajcak) September 21, 2021
Bruxelles ha invitato “entrambe le parti” alla moderazione e al ripristino della libertà di circolazione alla frontiera. Ma il governo di Belgrado protesta e chiede entro un mese una risposta sul rispetto degli accordi del 2013