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    L’Italia ha aperto alla possibilità di ‘spacchettare’ il dossier macedone-albanese per sbloccare l’adesione UE di Tirana

    Bruxelles – Tra fallimenti, accuse e proposte per sbloccare gli stalli, la due giorni di vertici – dei leader UE e con i Balcani Occidentali – ha lasciato il segno anche per l’Italia. Per la prima volta, il governo italiano ha aperto esplicitamente alla possibilità di ‘spacchettare’ il dossier sull’adesione UE Macedonia del Nord-Albania, per permettere a Tirana di avanzare con il suo processo senza più attendere che si risolva la controversia tra Skopje e la Bulgaria.
    Nel corso della conferenza stampa post-vertice, il premier Mario Draghi ha messo in chiaro che “uno degli effetti della riunione di ieri è stato che non ci saranno più ritardi” per quanto riguarda l’avanzamento dei sei Paesi balcanici (oltre ai due già nominati, anche Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Montenegro e Serbia). “Da un lato significa che i governi di questi Paesi dovranno impegnarsi nelle riforme richieste, dall’altro lato significa che l’Unione e i suoi membri devono aiutarli”. Tuttavia, il primo ministro italiano ha riferito ai 26 colleghi che “se i lavori sulla Macedonia del Nord si dovessero bloccare di nuovo, chiederemo che l’Albania prosegua da sola“. Quanto suggerito dal premier Draghi è il significato pratico del cosiddetto ‘spacchettamento’. Il dossier sull’allargamento UE che al momento vincola l’una all’altra Tirana e Skopje potrebbe essere diviso in due pacchetti – uno macedone e uno albanese – da affrontare ciascuno indipendentemente dai progressi dell’altro.
    La possibilità ventilata oggi è una novità assoluta per l’Italia, che finora difendeva quella che fonti diplomatiche – nel corso del vertice UE-Balcani Occidentali dello scorso anno a Kranj (Slovenia) – definivano “una questione di coerenza“. Tra il 2018 e il 2019 – e fino al Consiglio UE del marzo 2020 – il dossier macedone-albanese si era bloccato in Consiglio per l’opposizione di Francia, Danimarca e Paesi Bassi, con la richiesta di implementare le riforme strutturali in particolare dell’Albania, mentre la Macedonia del Nord era pronta a cominciare. Allora l’Italia aveva deciso che fosse prioritario mandare il messaggio alla regione che nessun Paese sarebbe stato lasciato indietro. Dopo il veto bulgaro nel dicembre 2020 all’avvio dei negoziati con Skopje, la situazione si è ribaltata e l’Italia ha voluto mantenere la posizione “seria” di rinunciare a fare giravolte sulle promesse fatte fino a pochi mesi prima.
    Il possibile passo indietro deriva invece dal persistere di una situazione di stallo tra Bulgaria e Macedonia del Nord che sembra non si riesca a risolvere, a causa della decisione di Sofia di non rinunciare al proprio diritto di veto in seno al Consiglio sull’avvio dei negoziati, per una disputa bilaterale di natura storico-culturale. Le frustrazioni stanno montando non solo a Skopje, ma anche a Tirana, che si sta vedendo negare da anni l’apertura dei capitoli negoziali senza nemmeno essere direttamente coinvolta nella contesa. Lo ha evidenziato con particolare durezza il premier Edi Rama nel corso della conferenza stampa post-vertice UE-Balcani Occidentali: “Sono dispiaciuto per l’UE, incapace di liberare due ostaggi, che sono anche membri NATO, dalla Bulgaria“. Qualche speranza ora è rappresentata dal voto favorevole del Parlamento di Sofia alla revoca del veto all’avvio dei negoziati di adesione della Macedonia del Nord – e di conseguenza anche dell’Albania – ma le condizioni altamente sfavorevoli per Skopje rendono probabili ulteriori rallentamenti nel prossimo futuro. Il premier Draghi, come tutti i leader dell’Unione, ne è consapevole: ecco perché gli anni del temporeggiamento sono finiti e anche lo ‘spacchettamento’ del dossier macedone-albanese non sarà più un tabù per l’Italia.

    Il premier, Mario Draghi, ha annunciato che “se i lavori sulla Macedonia del Nord si dovessero bloccare di nuovo, chiederemo che Tirana prosegua da sola”. Finora il governo italiano si è attenuto a un “principio di coerenza” sul mantenere legati i due cammini verso l’adesione

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    L’irricevibile proposta francese per lo sblocco dei negoziati di adesione della Macedonia del Nord all’Unione Europea

    Bruxelles – Con la revoca del veto della Bulgaria all’avvio dei negoziati di adesione UE della Macedonia del Nord approvata oggi (venerdì 24 giugno) dal Parlamento di Sofia, si iniziano già a sentire le fanfare del momento storico per lo sblocco di uno stallo divenuto ormai cronico. Il presidente francese, Emmanuel Macron, artefice della proposta ‘risolutoria’ – a cui Eunews ha avuto accesso – ha già iniziato a esultare per “l’inizio dei lavori sulla formalizzazione di un accordo nei prossimi giorni, la macchina si è avviata” e probabilmente, in tutto questo trionfalismo, si cercherà di aprire presto i negoziati (il commissario europeo per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, già punta alla convocazione delle prime conferenze intergovernative).
    Ma basta spostarsi di un paio di centinaia di chilometri dalla sede del Parlamento bulgaro per capire che per la controparte macedone la proposta francese è semplicemente irricevibile. Fonti qualificate a Skopje, che conoscono a fondo la proposta, in un briefing con Eunews hanno definito così il tentativo di trasferire a livello di negoziati tra UE e Paese candidato una questione bilaterale – con la Bulgaria – di natura puramente identitaria, con pesanti conseguenze sullo stesso processo di allargamento dell’Unione. In tutti gli sforzi passati delle presidenze del Consiglio dell’UE che hanno preceduto quella francese da metà 2020 (tedesca, portoghese e slovena) la linea rossa da non varcare sul futuro negoziato con Skopje era proprio questa, mentre l’Eliseo ha deciso di forzarla. Le stesse fonti hanno riferito che la maggior parte dei governi UE la considerano un “vaso di Pandora”, che solo il commissario ungherese Várhelyi aveva osato socchiudere: se aperto, potrebbe portare alla “morte” del processo di allargamento.
    Ci sono tre elementi che giustificano le rimostranze di Skopje e che fanno parlare di una delocalizzazione del problema, più che di revoca del veto bulgaro. Per prima cosa, l’UE imporrebbe alla Macedonia del Nord di includere la componente bulgara nel preambolo della Costituzione nazionale, non come minoranza ma come popolo costituente, con l’inizio della riforma da programmare prima dell’inizio dei negoziati. Il problema è che il governo non può contare sulla maggioranza dei due terzi in Parlamento per cambiare la Carta fondamentale del Paese (ammesso e non concesso che abbia intenzione di farlo) e che alcuni partiti al governo hanno già annunciato che in caso di via libera sono pronti a farlo cadere. “Significherebbe un’agonia per trovare una maggioranza nei prossimi anni”, hanno spiegato le fonti di Skopje, rilevando la contemporanea intransigenza di Sofia, che “inequivocabilmente” non riconoscerà nel corso dei negoziati di adesione UE la lingua e “qualsiasi menzione” di natura identitaria macedone. Una chiara violazione dell’articolo 3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), che prevede il “rispetto della ricchezza della sua diversità culturale e linguistica” del patrimonio culturale europeo.
    Il premier della Macedonia del Nord, Dimitar Kovačevski, con il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, a Bruxelles
    Seconda criticità. Come si legge nella nuova proposta che modificherebbe la posizione del Consiglio del dicembre 2020, durante il rilevamento dei progressi nei negoziati attraverso gli annuali Pacchetti allargamento della Commissione, si assisterebbe a un’inedito screening di DG NEAR (il direttorato generale responsabile delle politiche in materia di allargamento UE) sulle questioni storiche, culturali e di istruzione. Nulla che sia previsto dai criteri di Copenaghen, cioè le basilari condizioni democratiche, economiche e politiche (istituzioni stabili, Stato di diritto, diritti umani, economia di mercato, capacità di mantenere l’impegno) che devono essere rispettate dal Paese candidato.
    A questo si aggiunge il fatto che nel cluster Fundamentals’ sono stati inseriti nuovi paragrafi che non sono mai stati previsti nella storia dell’allargamento: tra questi una serie di elementi – hate speech, storia, istruzione – che vanno al di là della tradizionale definizione di ‘protezione dei diritti delle minoranze’. Questo elemento porta direttamente al terzo e più preoccupante problema: i report della Commissione dovranno passare dall’approvazione degli Stati membri, perché possano mantenere il pieno controllo dei negoziati, ancora sotto la scure dell’unanimità. In altre parole, se la Bulgaria deciderà di mettere il veto alla posizione del Consiglio sui cluster – quello sui principi fondamentali sarà il primo ad aprirsi e l’ultimo a chiudersi – non se ne farà niente. Come nell’ultimo anno e mezzo.
    Per tutte queste ragioni è chiaro che a Skopje non c’è spazio per la proposta francese “e forse è un bene per l’autorità morale dell’UE nella regione”. Le fonti macedoni pongono l’attenzione sul fatto che il primo ministro non ha spazio di manovra politica, ma soprattutto che “sono già stati fatti danni”, avvelenando il processo di allargamento con questioni bilaterali, “che comunque non sarebbero risolte”. Questa decisione del presidente francese Macron è frutto quantomeno della fretta di cercare “qualche successo, anche se è falso” sullo stato di avanzamento dell’allargamento alla regione balcanica, considerate le contemporanee richieste di adesione di Ucraina, Moldova e Georgia. È necessaria però una riflessione su cosa sta diventando il processo di allargamento in ostaggio dell’unanimità: anche se i negoziati con Skopje iniziassero, il diritto di veto della Bulgaria penderebbe ancora sulla testa dei macedoni.
    A quanto si apprende, il clima generale in Consiglio non è positivo, con la maggioranza degli Stati membri consci del problema anche per l’Unione. La linea che prevale sarebbe un ‘no’, a meno che sia a Sofia sia a Skopje si registrasse un voto favorevole sulla questione (già arrivato dalla Bulgaria, difficilmente dalla Macedonia del Nord). L’opinione pubblica macedone è tendenzialmente contraria e il premier Kovačevski ha già messo in chiaro ieri, al termine del vertice UE-Balcani Occidentali, le linee rosse del suo governo. La speranza è di “non essere soli”, dal momento in cui a Skopje è ancora riconosciuto il credito dell’accordo di Prespa nel 2018 (con la Grecia, sul cambio di nome in Macedonia del Nord) come “campione di compromesso”. I Ventisette – meno uno – sono consapevoli delle ragioni di un’eventuale opposizione: “Sanno che sarebbe balcanizzata l’Unione, quando dovrebbero unire i Balcani“, avvertono con molta cautela le fonti macedoni.
    Una posizione che viene messa in luce anche dall’ex-ministro degli Esteri, Nikola Dimitrov, che in un tweet ha spiegato che “nonostante i titoli dei giornali parlino del via libera di Sofia alla Macedonia del Nord e all’Albania, il testo adottato dice in realtà qualcosa di molto diverso”, considerato il fatto che “il Parlamento ha posto 4 nuove precondizioni e se saranno soddisfatte la Bulgaria potrà sostenere i colloqui di adesione con la Macedonia del Nord”. Proprio lo stesso Dimitrov, in un editoriale per European Western Balkans, ha fatto notare che “il diavolo sta nei dettagli”.

    Although the news headlines speak of Sofia’s green light to North Macedonia & 🇦🇱 the adopted text actually says something very different. The Parliament set 4 new preconditions and once/if they are fulfilled 🇧🇬 will be able to support the accession talks with 🇲🇰 Here they are 1/5
    — Nikola Dimitrov (@Dimitrov_Nikola) June 24, 2022

    Il tentativo di mediazione del presidente Macron porta a livello UE le ragioni del veto di Sofia, creando nuovi ostacoli al cammino di Skopje. Fonti macedoni qualificate spiegano come sarebbero minati i principi dell’intero processo di allargamento

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    Il Parlamento della Bulgaria ha approvato la revoca del veto alla richiesta di adesione UE della Macedonia del Nord

    Bruxelles – Con 170 favorevoli, 37 contrari e 21 astensioni, la sessione plenaria del Parlamento della Bulgaria ha approvato la revoca del veto sull’avvio dei negoziati di adesione all’Unione Europea della Macedonia del Nord. La notizia è stata diffusa dall’ambasciata bulgara presso l’Unione Europea, che ha reso noto il via libera alla proposta di portare i negoziati all’interno di un quadro UE, secondo quanto previsto dalla mediazione avanzata all’inizio del mese dal presidente della Francia (e di turno del Consiglio dell’UE), Emmanuel Macron. Il blocco bulgaro va avanti dal dicembre del 2020, quando Sofia aveva esercitato il proprio decisivo diritto di veto in seno al Consiglio, considerata la necessità di raggiungere l’unanimità tra i Ventisette per dare il via ai negoziati di adesione (sia con la Macedonia del Nord, sia con l’Albania, legata dallo stesso dossier).

    Le parlement bulgare a approuvé les propositions de la @Europe2022FR pour le cadre des négociations d’adhésion de la République de la Macédoine du Nord dans l’UE. 🇪🇺
    — Bulgaria in the EU (@BGPermRepEU) June 24, 2022

    Dopo un vertice UE-Balcani Occidentali fallimentare sul piano dello sblocco dei negoziati di adesione UE della Macedonia del Nord, ieri pomeriggio (giovedì 23 giugno) la commissione Esteri del Parlamento bulgaro aveva dato il via libera alla proposta di mediazione – francese ed europea – che prevede di inserire buona parte delle richieste bulgare nel quadro dei negoziati a livello UE. Contro la proposta si sono schierati i socialisti di BSP, i nazionalisti filo-russi di Vazrazhdane e il movimento populista fondato dallo showman Slavi Trifonov C’è un popolo come questo (ITN), co-responsabile della caduta del governo guidato da Kiril Petkov e del voto di sfiducia arrivato mercoledì (22 giugno), che ha impedito di arrivare a un tentativo di risoluzione della disputa già al summit di ieri. A favore si sono schierati invece il partito Noi continuiamo il cambiamento del premier sfiduciato Petkov, Il Movimento dei Diritti e delle Libertà (minoranza turca) e i conservatori di GERB (Cittadini per lo Sviluppo Europeo della Bulgaria) dell’ex-premier Boyko Borissov.
    Dopo il voto favorevole del Parlamento bulgaro, la palla passa a Skopje. Ma è proprio qui che potrebbero arrivare altri problemi e non tutti per colpa della controparte macedone. La proposta di mediazione francese prevede di inserire nel quadro negoziale dell’Unione con Skopje buona parte delle richieste bulgare: in altre parole, significa elevare la disputa bilaterale a livello UE, accogliendo – acriticamente – la posizione di Sofia. Una questione particolarmente spinosa, dal momento in cui si tratta di questioni di natura storico-culturale e identitaria, che spaziano dai padri fondatori delle due nazioni alla lingua in uso.
    Il primo ministro della Macedonia del Nord, Dimitar Kovačevski, e l’omologo della Bulgaria, Kiril Petkov (25 gennaio 2022)
    La questione identitaria è dominante nella disputa tra Bulgaria e Macedonia del Nord. Sofia non riconosce l’esistenza di una nazione macedone distinta da quella bulgara, negando la possibilità di utilizzare l’attributo ‘macedone’ in ogni aspetto socio-culturale. Ne deriva di conseguenza l’opposizione al riconoscimento dell’esistenza di una minoranza macedone sul proprio territorio, o di una bulgara in Macedonia del Nord, dal momento in cui si tratterebbe dello stesso popolo (anche se Sofia esige che venga inserita nel preambolo della Costituzione macedone, tra i popoli costituenti). Questa intransigenza si riflette anche in ambito linguistico: secondo il governo di Sofia la lingua macedone altro non è che un dialetto del bulgaro, artificialmente elevato a lingua sotto il regime di Tito (tra il 1944 e il 1991 la Repubblica Socialista di Macedonia era una delle sei repubbliche della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia).
    Se non esiste un’identità macedone nel presente, non poteva esistere nemmeno nel passato: è così che entrambi i Paesi sostengono di essere eredi esclusivi di alcuni personaggi storici, in particolare Goce Delčev, il patriota che ha dato il via all’insurrezione balcanica anti-ottomana del 1903. Qualche decennio prima, il territorio macedone era stato acquisito dal neonato regno di Bulgaria con il trattato di Santo Stefano, stipulato dopo la guerra russo-turca (1877-78), ma con la seconda guerra balcanica del 1913 era divenuto parte del Regno dei Serbi (poi Regno dei Serbi, Croati e Sloveni al termine della prima guerra mondiale). In virtù di tutte queste considerazioni, Sofia si rifiuta categoricamente di considerare come un’invasione la sua occupazione militare del territorio macedone nel maggio del 1941, quando la Bulgaria monarchica era alleata della Germania nazista. Il motivo è sempre lo stesso: non esiste una nazione macedone distinta da quella bulgara e, al tempo, si trattava di un territorio sottratto alla Bulgaria ingiustamente.

    Con 170 favorevoli, 37 contrari e 21 astensioni, la sessione plenaria ha dato il via libera allo sblocco dello stallo sull’avvio dei negoziati con Skopje. Ora tutta l’attenzione è sul vicino balcanico, che dovrà valutare la proposta di mediazione dell’Unione (presentata dalla presidenza francese)

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    I leader UE al lavoro sulla proposta della comunità politica europea. La palla nelle mani del presidente Charles Michel

    Bruxelles – Si mette in moto la macchina dell’Unione Europea sulle idee che circolano ormai da più di un mese nelle sedi delle istituzioni comunitarie. Nelle conclusioni del vertice dei leader UE ha trovato spazio anche la proposta della comunità politica europea, un tentativo di ridisegnare la politica di integrazione sul continente che superi l’attuale visione binaria dentro/fuori l’Unione.
    Il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, con la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e della Francia, Emmanuel Macron (di spalle)
    Durante la prima giornata di Consiglio Europeo (giovedì 23 giugno) i Ventisette hanno tenuto una “discussione strategica” su come far evolvere il rapporto con i partner in Europa, partendo da quanto avanzato dal presidente francese, Emmanuel Macron, all’evento conclusivo della Conferenza sul Futuro dell’Europa del 9 maggio scorso (in qualità di presidente di turno del Consiglio dell’UE). Si tratterebbe di “un’organizzazione che permetterà a nazioni europee democratiche che condividono gli stessi valori di trovare nuovo spazio di cooperazione politica, economica, energetica, di sicurezza, di trasporti, investimenti e infrastrutture, e di circolazione di persone”, aveva spiegato l’inquilino dell’Eliseo. E nel documento approvato questa notte dai Ventisette questa idea inizia a prendere corpo: l’obiettivo della comunità politica europea sarebbe quello di “offrire una piattaforma di coordinamento politico per i Paesi europei in tutto il continente“, in particolare con quelli con cui l’UE ha già “strette relazioni”.
    È evidente che sono profonde le implicazioni per il processo di allargamento che, come si è visto al vertice UE-Balcani Occidentali di ieri mattina a Bruxelles, sta rischiando di arrivare al capolinea per l’incapacità dell’Unione di rispettare le promesse fatte negli anni. Il presidente Macron aveva promesso che la creazione della comunità politica europea “aiuterà l’avvicinamento e lo faciliterà per chi vorrà proseguirlo, senza rendere obbligatoria l’adesione all’Unione” e proprio su queste basi sono arrivate le risposte positive di tutta la regione balcanica. Anche nel corso di una conferenza stampa particolarmente polemica, i tre leader dell’iniziativa Open Balkan – il premier albanese, Edi Rama, il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e il premier macedone, Dimitar Kovačevski – si sono dimostrati tutti aperturisti su una proposta che “potrebbe essere l’unico modo per noi di essere ascoltati dai nostri colleghi dell’Unione”.
    Il quadro entro cui si dovrebbe iscrivere questa iniziativa “non sostituirà le politiche e gli strumenti dell’UE esistenti, in particolare l’allargamento“, specificano le conclusioni, “e rispetterà pienamente l’autonomia decisionale dell’Unione Europea”. Come fanno sapere fonti europee, la comunità politica europea si baserebbe su incontri regolari a livello di leader per creare uno spazio per le discussioni politiche e per contribuire alla “comprensione reciproca e a una cultura strategica comune”. A questo punto la palla passa nelle mani del presidente del Consiglio UE, Charles Michel, che sarà responsabile di portare avanti il progetto insieme alle presidenze di turno del Consiglio dell’UE, quella francese uscente e quella ceca in carica dal primo luglio. È proprio il presidente Michel il secondo maggiore sostenitore della proposta francese, che vorrebbe legare anche a una riforma del processo di adesione all’UE, che diventi “più rapido, graduale e reversibile”.

    Approdata in Consiglio l’idea del leader francese, Emmanuel Macron, di creare una piattaforma per promuovere il dialogo e la cooperazione “su questioni di interesse comune” con i Paesi europei “con i quali abbiamo strette relazioni”, attraverso incontri regolari tra leader

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    Il Bulgaria il governo Petkov è stato sfiduciato. Appese a un filo le speranze di revoca immediata al veto su Skopje nell’UE

    Bruxelles – Non è ancora un naufragio, ma poco ci manca. Con il voto di sfiducia da parte del Parlamento della Bulgaria al governo guidato da Kiril Petkov, si allontanano le speranze per una revoca immediata del veto di Sofia all’avvio dei negoziati per l’adesione UE della Macedonia del Nord (e dell’Albania), possibilmente già durante il vertice UE-Balcani Occidentali di oggi a Bruxelles.
    Il primo ministro della Bulgaria, Kiril Petkov
    Il voto di sfiducia al governo è arrivato nel tardo pomeriggio di ieri (mercoledì 22 giugno) ed è stata una prima volta nella storia politica della Bulgaria: mai nessun esecutivo era caduto in questo modo. A mettere fine a un’esperienza di governo di soli sei mesi sono stati 123 deputati contro 116, complici le divergenze sul bilancio, la linea dura contro la Russia di Putin e anche la disputa sulla proposta francese di far decadere il veto all’avvio dei negoziati di adesione UE per Skopje, inserendo le richieste bulgare nel quadro degli stessi negoziati. A Bruxelles si temeva che fosse l’esecutivo macedone a rischio (ancora molto probabile) e invece a cadere per primo è stato il governo Petkov, che in questi mesi si è speso per trovare una soluzione alla disputa storico-culturale tra Sofia e Skopje con più decisione rispetto al precedente governo di Boyko Borissov, responsabile del veto nel dicembre 2020.
    A proposito dell’ex-premier Borissov, il suo partito conservatore GERB (Cittadini per lo Sviluppo Europeo della Bulgaria) prima del voto di sfiducia ha voluto precisare che se tornerà al governo sosterrà la revoca del veto ai negoziati con Macedonia del Nord e Albania, rinfocolando l’ultima fiammella di speranza che il processo di allargamento UE non sia davvero arrivato al capolinea. Ma per i due Paesi che attendono rispettivamente da 17 e 8 anni di ottenere la luce verde all’apertura dei capitoli negoziali con l’Unione, credere ancora solo alle promesse per il futuro non è più sufficiente. Ecco perché la destituzione del governo Petkov in Bulgaria rischia di essere un colpo durissimo non solo per la regione balcanica, ma anche per gli altri 26 Paesi membri dell’UE che puntavano al vertice di oggi per dare uno scossone al processo di allargamento.
    La svolta dei Ventisette rispetto all’attendismo generale è arrivata dopo l’invasione russa dell’Ucraina, con la dimostrazione di cosa potrebbe implicare una destabilizzazione su scala maggiore nella penisola balcanica. Oltre alle decisioni che i leader UE dovranno prendere sulle richieste di adesione di Ucraina, Moldova e Georgia, le speranze della vigilia per il vertice UE-Balcani Occidentali – programmato nella stessa giornata del Consiglio – erano rappresentate da qualche risultato concreto che dimostrasse il nuovo approccio dell’Unione alla politica nella regione.
    L’accordo che Petkov era pronto a trovare con il governo macedone di Dimitar Kovačevski poteva essere la punta di diamante di questa strategia, che potrà ancora realizzarsi solo se il Parlamento bulgaro dovesse dare in extremis allo stesso primo ministro sfiduciato il mandato di negoziare a Bruxelles lo sblocco dei negoziati sull’adesione della Macedonia del Nord. “Esortiamo il Parlamento della Bulgaria e tutti i partiti a rispettare il loro impegno e a mettere la proposta sulla Macedonia del Nord e l’Albania all’ordine del giorno, per approvarla oggi come proposto“, ha esortato in un tweet il commissario europeo per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi: “L’opposizione di GERB di Boyko Borissov ha già dato prova di leadership presentando la proposta sul tavolo”, ha aggiunto il commissario, sottolineando che “abbiamo bisogno che tutti facciano lo stesso, l’UE deve muoversi“.

    We urge 🇧🇬 Parl & all parties to fulfill their engagement & to put the proposal on 🇲🇰 & 🇦🇱 on agenda of Parl for approval today as proposed. Opposition #GERB @BoykoBorissov already showed leadership by putting the proposal on table. We need everybody to do same. EU needs to move.
    — Oliver Varhelyi (@OliverVarhelyi) June 23, 2022

    La mozione di sfiducia all’esecutivo bulgaro è stata presentata da GERB, dopo che il movimento populista fondato dallo showman Slavi Trifonov C’è un popolo come questo (ITN) era passato all’opposizione, accusando Petkov di non aver tenuto conto degli interessi della Bulgaria durante i colloqui con Skopje, sotto la pressione degli alleati dell’UE e della NATO. Oltre a GERB e ITN – fatta eccezione per alcuni fuoriusciti – hanno votato a favore della sfiducia anche i centristi di Movimento per i Diritti e le Libertà (MRF) e i nazionalisti filo-russi di Vazrazhdane. A questo punto, se le consultazioni per la formazione di un nuovo governo non daranno risultati positivi, il presidente della Repubblica, Rumen Radev, dovrà indire nuove elezioni entro due mesi. Nel frattempo, fino a quando non verrà nominato un esecutivo provvisorio o non si troverà una nuova intesa di governo, Petkov rimarrà in carica per svolgere l’ordinaria amministrazione e per tentare di trovare i sei deputati che servono per formare una nuova maggioranza. Tutte opzioni al momento improbabili, per cui ci si aspetta che la Bulgaria si appresti ad affrontare la quarta tornata elettorale dall’aprile dello scorso anno.

    L’esecutivo in carica da soli sei mesi è stato destituito dopo il voto di sfiducia. Il maggiore partito di opposizione GERB promette di sostenere lo sblocco dei negoziati di adesione con Macedonia del Nord (e Albania), mentre si attende il voto del Parlamento sulla proposta

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    Il premier croato Plenković indica all’UE la “cifra storica” del nuovo millennio: “Le nostre democrazie contro le autocrazie”

    Bruxelles – Democrazie contro autocrazie, “questa è la cifra storica del momento in cui viviamo”. Nel suo intervento alla mini-sessione plenaria del Parlamento UE a Bruxelles, il premier della Croazia, Andrej Plenković, è stato particolarmente chiaro nell’illustrare la posizione che l’Unione deve continuare a portare avanti nell’approccio alla guerra russa in Ucraina e sul piano della dimensione esterna: “Siamo all’apice degli standard globali di democrazia, dobbiamo prendere la leadership della difesa e della promozione dei valori fondamentali, soprattutto nei confronti dei nostri vicini”.
    Il primo ministro della Croazia, Andrej Plenković, alla plenaria del Parlamento UE a Bruxelles (22 giugno 2022)
    Considerando lo “stravolgimento dell’ordine internazionale” provocato dall’invasione russa dell’Ucraina, il premier croato ha iniziato la propria analisi dalle cause che l’hanno determinato. “Mosca ha rilevato e interpretato una serie di debolezze dell’Occidente nel contesto generale“, che vanno dall’abbandono dell’Afghanistan “nel modo non più decoroso possibile” alla Brexit, passando dalla svolta politica epocale in Germania e gli appuntamenti elettorali in Francia: “Su scala più grande, la Russia si è comportata nello stesso modo del 2008, quando dopo le Olimpiadi di Pechino ha invaso la Georgia”, in un parallelismo con l’aggressione militare dell’Ucraina iniziata dopo la cerimonia di chiusura delle Olimpiadi invernali di febbraio, sempre a Pechino.
    Ma nel 2022 “abbiamo assistito a un’enorme mobilitazione internazionale” a favore dell’Ucraina, che come ultimo stadio sta portando i Ventisette – e la Croazia “senza ambiguità” – a sostenere la richiesta di adesione di Kiev all’UE: “C’è una posizione comune sul riconoscimento, che sarà confermata al Consiglio di domani“, ha confermato il premier Plenković. Ma Zagabria è tra gli avanguardisti dell’allargamento dell’Unione: “Sosteniamo anche il conferimento dello status a Moldova e Georgia, perché la scelta di offrire la prospettiva europea è un’evoluzione politica cruciale per l’architettura del nostro continente“, o, in altre parole “una svolta enorme nel dibattito sull’Europa e nei confronti di Paesi che ancora non appartengono all’Unione”.
    E proprio su questo punto il premier della Croazia non ha nascosto che l’UE deve lavorare di più sul piano dell’allargamento ai Balcani Occidentali, in particolare nei confronti della Bosnia ed Erzegovina: “Siamo a favore del riconoscimento dello status di Paese candidato all’adesione anche per Sarajevo, non può essere l’ultima ruota del carro, sarebbe ingiustizia storica“, ha attaccato Plenković. Il tema è delicato e coinvolge direttamente i principi-cardine del processo di adesione all’UE (a cui la Bosnia non si è ancora pienamente allineata). Per questo motivo non sono attesi particolari passi in avanti al vertice UE-Balcani Occidentali in programma a Bruxelles appena prima dell’inizio del Consiglio, anche se la Slovenia – sostenuta da Zagabria – dovrebbe presentare una proposta per allineare Sarajevo a Kiev e Chișinău.
    La spinta in avanti di Zagabria deriva anche dal suo “approccio moderno alla sovranità“, come l’ha definito Plenković, ovvero una politica che mira a “raggiungere i nostri obiettivi nazionali, ma lavorando strettamente insieme ai partner e agli amici europei, superando le difficoltà attraverso la solidarietà comune che ci contraddistingue“. Un approccio che ha permesso a “un Paese che è stato riconosciuto a livello internazionale solo 30 anni fa” di continuare a promuovere “la nostra scelta europea”. È così che la Croazia è riuscita non solo ad aderire all’UE nel 2013, ma anche a “rispettare gli obiettivi economici e finanziari per diventare il 20esimo membro dell’Eurozona“. Dal primo gennaio del 2004 Zagabria riuscirà a realizzare “l’obiettivo di più profonda integrazione”, cioè l’adozione della moneta unica. “Ora attendiamo anche l’ingresso nell’area Schengen”, ha esortato Parlamento e Consiglio il premier croato.
    Nell’ottica della sovranità strategica dell’Unione Europea – un’altra forma di “approccio moderno alla sovranità”, per usare le parole di Plenković – la Croazia può rappresentare “un hub energetico da rafforzare, grazie alla nostra posizione geostrategica”. Zagabria sta potenziando un terminale di gas naturale liquefatto (GNL) “portandolo da 2,9 milioni a 6 milioni di metri cubi, con investimenti che serviranno non solo per la nostra economia, ma potenzialmente anche per Bosnia, Slovenia e Ungheria”. Inoltre, “l’oleodotto nell’Adriatico del Nord potrebbe rifornire anche le raffinerie in Serbia e in Slovacchia”, ha sottolineato il primo ministro croato. Gli investimenti in gasdotti, oleodotti e terminali GNL si iscrivono nella strategia di “diventare indipendenti dalle fonti fossili della Russia, garantendo la sicurezza di approvvigionamento energetico ai nostri cittadini e imprese attraverso reti energetiche europee“, per riprendere a una crisi da cui “nessuno rimarrà immune”, ha concluso il suo intervento il premier Plenković.

    Nel suo intervento alla sessione plenaria del Parlamento Europeo, il primo ministro della Croazia ha esortato l’Unione a “promuovere la leadership anche nella sfera esterna” e a riconoscere lo status di Paese candidato all’adesione a Ucraina, Moldova, Georgia e Bosnia ed Erzegovina

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    Serbia e Kosovo hanno raggiunto a Bruxelles un’intesa per l’attuazione degli accordi in ambito energetico

    Bruxelles – Piccoli passi di disgelo sulla strada del dialogo Pristina-Belgrado facilitato dall’UE. I negoziati a livello tecnico condotti oggi (martedì 21 giugno) a Bruxelles tra i capi-negoziatori di Kosovo, Besnik Bislimi, e Serbia, Petar Petković, hanno prodotto un’intesa per una tabella di marcia che fissa obiettivi specifici per l’attuazione degli Accordi sull’energia del 2013 e del 2015, finora attuati solo parzialmente.
    Come rilevato dal Servizio per l’azione esterna dell’UE (SEAE), l’importanza di questa intesa sulla roadmap per l’energia riguarda il fatto che i due accordi siglati da Serbia e Kosovo presentavano “elementi rilevanti ancora in sospeso”. Dopo mesi di tensione tra Pristina e Belgrado, questo primo – parziale – gesto di riavvicinamento è considerato da Bruxelles “un passo avanti nella normalizzazione delle relazioni, a beneficio di tutti i cittadini“, che dovrebbe dare la spinta per “compiere progressi in tutte le altre attività di attuazione ancora in sospeso”. Tra queste c’è anche quella relativa alla creazione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, vale a dire una comunità di municipalità kosovare a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia, e che al momento Pristina non vuole riconoscere (non rispettando così l’accordo del 2013).

    Good news from the #Brussels-led 🇽🇰 – 🇷🇸 #Dialogue.
    After the year of tensions, we’ve a concrete Action Plan on the implementation of 2013 Energy provisions that will facilitate the energy situation in North of Kosovo. Full trust in @MiroslavLajcak to keep up with the progress. https://t.co/WBV0vPVRFr
    — Viola von Cramon (@ViolavonCramon) June 21, 2022

    L’ottimismo di Bruxelles non è ingiustificato, dal momento in cui l’intesa sull’energia siglata tra Serbia e Kosovo riguarda proprio uno dei punti più controversi del rapporto tra i due Paesi balcanici: la fornitura di elettricità alle municipalità a maggioranza serba in Kosovo. L’accordo garantisce a Elektrosever (società di proprietà serba stabilita in Kosovo e soggetta alla legge kosovara) di operare nelle quattro municipalità settentrionali, “aprendo la strada verso la fine dell’attuale pratica non trasparente e non regolamentata“. Il segretariato della Comunità dell’Energia sarà incaricato di monitorare l’attuazione tecnica dell’accordo commerciale tra Elektrosever e KEDS, la società kosovara di distribuzione dell’energia. Dal 2008 – dopo la dichiarazione d’indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia – queste quattro municipalità hanno goduto di un regime non legale di gratuità dalle bollette dell’energia elettrica, il cui deficit è stato coperto fino al 2017 dai contribuenti del resto del Paese e che ha aperto la strada fino all’inizio di quest’anno a un’intensa attività di estrazione di criptovalute.
    Particolare soddisfazione per l’accordo tra Serbia e Kosovo sulla tabella di marcia per l’energia è stata espressa dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, al termine di una conversazione telefonica con il premier kosovaro, Albin Kurti, e con il presidente serbo, Aleksandar Vučić: “Si tratta di un grande e importante passo in avanti nel dialogo facilitato dall’UE e porterà a risultati concreti per tutti i cittadini”, ha ribadito Borrell, dicendosi “fiducioso” di continuare a lavorare sui prossimi obiettivi dell’intesa tra i due Paesi.

    Spoke to @avucic and @albinkurti to congratulate them on reaching an agreement on the energy roadmap today.
    This is a big & important step forward in the EU-facilitated Dialogue and will deliver concrete results for all citizens. We look forward to continue working on next steps https://t.co/5r2jS0SX8n
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) June 21, 2022

    Trovi un ulteriore approfondimento nella newsletter BarBalcani, curata da Federico Baccini

    All’interno del dialogo facilitato dall’Unione Europea, i capi-negoziatori di Pristina e Belgrado hanno concordato la tabella di marcia che specifica anche obblighi e diritti per la fornitura di elettricità alle quattro municipalità settentrionali del Kosovo a maggioranza serba

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    Decine di migliaia di persone hanno manifestato in Georgia a favore dell’adesione all’Unione Europea

    Bruxelles – Un movimento dal basso per spingere i leader dell’Unione Europea a riconoscere anche alla Georgia i “meriti” per il conferimento dello status di Paese candidato all’adesione UE. Ieri sera (lunedì 20 giugno) nella capitale Tbilisi è andata in scena una grande manifestazione di decine di migliaia di persone – oltre 60 mila secondo i gruppi organizzatori – che ha esortato Bruxelles a garantire all’ex-Repubblica sovietica del Caucaso qualcosa di più della sola “prospettiva europea”.
    La ‘marcia per l’Europa’ è stata organizzata a pochi giorni dal parere formale della Commissione UE sulla richiesta di adesione  arrivata dalla Georgia il 3 marzo scorso. Il gabinetto guidato da Ursula von der Leyen ha riconosciuto le stesse aspirazioni di Ucraina e Moldova – a cui secondo la Commissione dovrebbe essere garantito lo status di candidate all’adesione – e “buone basi per la stabilità”, ma allo stesso tempo ha rilevato la necessità di “ulteriori riforme su una lista di priorità”, aveva spiegato venerdì (17 giugno) il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi.
    Le preoccupazioni di Bruxelles riguardano la polarizzazione politica, lo stato delle riforme giudiziarie, dei progressi sulla lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata, l’indipendenza dei media e la sicurezza dei giornalisti, ma soprattutto sul potere degli oligarchi. Tra questi, in particolare, quello di Bidzina Ivanishvili, leader del partito al governo Sogno Georgiano (di cui fa parte anche l’ex-calciatore del Milan, K’akhaber K’aladze, oggi sindaco di Tbilisi), che per il suo controllo capillare dei media e della politica nazionale è sotto l’occhio delle istituzioni comunitarie: il 7 giugno il Parlamento UE ha approvato una risoluzione non vincolante che chiede l’imposizione di sanzioni personali proprio contro Ivanishvili. Secondo la presidente della Commissione von der Leyen, “la porta dell’Unione è totalmente aperta e le tempistiche dell’adesione dipendono solo dalla Georgia“, anche se per il momento la raccomandazione ai leader UE (che si riuniranno in Consiglio il 23-24 giugno) è quella di garantire solo la prospettiva di diventare membro dell’Unione, fino a quando non saranno soddisfatte tutte le priorità.
    Sulle note dell’Inno alla Gioia – l’inno ufficiale dell’UE – e con in mano cartelli con la scritta We are Europe, i manifestanti si sono radunati davanti alla sede del Parlamento georgiano, sventolando bandiere bianche e rosse delle cinque croci (nazionale) e con le dodici stelle su campo blu (dell’Unione Europea). “L’Europa è una scelta e un’aspirazione storica per i georgiani, per la quale tutte le generazioni hanno fatto sacrifici“, hanno dichiarato gli organizzatori, ribadendo che “libertà, pace, sviluppo economico sostenibile, protezione dei diritti umani e giustizia sono i valori che ci uniscono e che sarebbero garantiti dall’integrazione nell’Unione Europea”. Prima della manifestazione, la presidente georgiana, Salomé Zourabichvili, ha chiamato a raccolta i cittadini in un discorso alla televisione nazionale: “Dobbiamo mobilitarci in questa giornata storica per il Paese, il nostro messaggio è che vogliamo una Georgia europea“.

    One of the largest demonstrations in Tbilisi of last 30 years, in support of EU aspirations and against the government at home. pic.twitter.com/MgyVhnMK0Z
    — Ani Chkhikvadze (@achkhikvadze) June 20, 2022

    È stata la stessa presidente Zourabichvili a inviare oggi (martedì 21 giugno) un invito all’omologo polacco, Andrzej Duda, per esortare la nazione “sorella” membro dell’UE a spingere sulla concessione alla Georgia dello status di Paese candidato all’adesione UE al prossimo Consiglio. “Condividiamo un tragico passato comune, di occupazione, di allontanamento dalla famiglia europea“, ha ricordato la leader georgiana, facendo riferimento ai tempi in cui i due Paesi erano Repubbliche sovietiche. Allo stesso modo, “in questo momento contiamo, come sempre, sulla solidarietà e la fratellanza della Polonia per sostenere il nostro cammino verso l’Europa“.
    La Georgia confina a nord con la Russia e ha chiesto di aderire all’Unione Europea a pochi giorni dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, temendo che il disegno del “nuovo mondo” di Putin possa cancellare anche la propria indipendenza (datata 9 aprile 1991, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica). La candidatura della Georgia all’adesione UE e NATO – sancita dalla Costituzione nazionale – da tempo è causa di tensioni con il Cremlino, che nell’agosto del 2008 aveva portato all’invasione (per cinque giorni) della Georgia da parte dell’esercito russo. Da allora Mosca riconosce i territori separatisi dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia come Stati indipendenti e ha dislocato migliaia di soldati nell’area, per aumentare la propria sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia.
    In un percorso di avvicinamento verso l’Unione Europea, nel 2016 è entrato pienamente in vigore (dopo due anni di provvisorietà) l’Accordo di associazione politica ed economica tra Bruxelles e Tbilisi. La Georgia è anche inclusa dal 2009 nel Partenariato orientale, il programma di integrazione tra l’Unione i Paesi di quest’area geopolitica, insieme a Ucraina, Repubblica di Moldova, Armenia, Azerbaijan e Bielorussia (anche se nel giugno del 2021 quest’ultima ha sospeso l’adesione). Tuttavia, nessuna delle due intese ha come obiettivo o come clausola l’adesione della Georgia all’UE e solo il via libera del Consiglio Europeo potrà aprire la strada verso la candidatura all’adesione.

    My address to President @AndrzejDuda.
    Georgia and Poland share a tragic common past, a past of occupation, of being torn away from the European family. At this time, we count, as always, on the support, solidarity, brotherhood of Poland to support our path toward Europe. pic.twitter.com/06qYbtzPij
    — Salome Zourabichvili (@Zourabichvili_S) June 20, 2022

    La ‘marcia per l’Europa’ a Tbilisi ha esortato i Ventisette a concedere lo status di Paese candidato, dopo che la Commissione ha indicato la necessità di “un’attenta valutazione”. Ma i gruppi europeisti spingono sulla “scelta storica e aspirazione del popolo georgiano”