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    La Bosnia ed Erzegovina è pronta a diventare un nuovo Paese candidato all’adesione Ue. L’ufficialità al prossimo Consiglio

    Bruxelles – Ora la strada per la Bosnia ed Erzegovina è tutta in discesa, facendo attenzione a – improbabili, ma mai da escludere – ostacoli sulla linea del traguardo. Il Consiglio Affari Generali riunitosi oggi (martedì 13 dicembre) a Bruxelles ha dato il proprio parere positivo alla possibilità di concedere lo status di Paese candidato all’adesione Ue per la Bosnia ed Erzegovina, con la raccomandazione ai leader dei 27 Stati membri di confermare la decisione al prossimo Consiglio Europeo di giovedì (15 dicembre).
    Approvando le conclusioni sull’allargamento e sul processo di stabilizzazione e associazione – che valutano la situazione in ciascuno dei Paesi candidati all’adesione e dei partner dell’Unione – i 27 ministri Ue hanno tenuto in particolare considerazione le riforme fondamentali nei settori dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali, dello sviluppo economico e della competitività, ma anche il rafforzamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione, con attenzione agli sviluppi post-voto in Bosnia ed Erzegovina dopo la complessa tornata elettorale dello scorso 2 ottobre. La valutazione parte dalle conclusioni del vertice del 23 giugno, quando i capi di Stato e di governo dell’Ue si erano detti “pronti” a riconoscere lo status a Sarajevo, ma a condizione che la Commissione riferisse “senza indugio” sull’attuazione delle 14 priorità-chiave per il Paese balcanico: l’obiettivo dichiarato era quello di permettere ai leader Ue di “tornare a decidere nel merito” quanto prima.
    Scenario che si è reso concreto nel corso dei mesi successivi e culminato con la decisione dell’esecutivo comunitario di raccomandare al Consiglio la concessione dello status di Paese candidato alla Bosnia ed Erzegovina: “Quella che stiamo offrendo è una grande opportunità, che arriva una volta nella vita e che i cittadini meritano“, aveva sottolineato il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. A due mesi da quel momento-chiave per le prospettive di Sarajevo è arrivato il primo semaforo verde anche dal Consiglio dell’Ue, in attesa di quello definitivo di giovedì, che comunque non sarà privo di condizioni: “Dovranno essere adottate le misure specificate nella raccomandazione della Commissione, al fine di rafforzare lo Stato di diritto, la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, la gestione della migrazione e i diritti fondamentali”, è l’appunto dei 27 ministri.
    “La politica di allargamento dell’Ue è una forte ancora per la pace, la democrazia, la prosperità, la sicurezza e la stabilità nel nostro continente”, ha sottolineato il ministro ceco per gli Affari europei e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Mikuláš Bek, mettendo in chiaro che quello di oggi è “un forte messaggio di impegno nei confronti dell’allargamento”. L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha definito “una buona notizia” la raccomandazione del Consiglio Affari Generali sullo status di candidato per la Bosnia ed Erzegovina: “È un messaggio per tutti i cittadini, il loro futuro è nell’Unione Europea“. Anche il gabinetto von der Leyen rimane ora in attesa dell’approvazione finale del Consiglio Europeo, con l’alto rappresentante Borrell che ricorda la necessità di un “costante progresso sulle riforme per portare avanti questa prospettiva” europea di Sarajevo.
    Il supporto alla Bosnia ed Erzegovina da Strasburgo
    Proprio nel giorno del Consiglio Affari Generali che ha dato il via libera alla concessione alla Bosnia ed Erzegovina dello status di Paese candidato all’adesione Ue (in attesa della conferma dei 27 leader), dall’emiciclo del Parlamento Europeo a Strasburgo sono arrivati due endorsement di peso al cammino di Sarajevo verso l’ingresso nell’Unione. “Con Ucraina e Moldova abbiamo visto quale messaggio potente può dare l’Unione Europea concedendo lo status di Paese candidato all’adesione”, ha sottolineato con forza la presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, che si è esposta senza esitazioni: “Vogliamo infondere questo coraggio anche ai nostri amici in Bosnia ed Erzegovina“.
    La presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, e il primo ministro della Slovenia, Robert Golob (Strasburgo, 13 dicembre 2022)
    Un messaggio rafforzato anche dall’intervento del primo ministro sloveno, Robert Golob, arrivato a Strasburgo per partecipare al consueto appuntamento ‘This is Europe’ tra gli eurodeputati e un leader Ue a rotazione in sessione plenaria: “La Slovenia sostiene il processo di adesione Ue della Bosnia ed Erzegovina, siamo uno Stato membro giovane, ma ricordiamo bene la speranza che nutrivamo in questo percorso”, ha ricordato il premier del Paese entrato nell’Unione 18 anni fa. “È per questo che sappiamo quanto sia importante la prospettiva di adesione” non solo per la Bosnia ed Erzegovina, “ma per tutti i Balcani Occidentali” che “sono in sala d’attesa da ormai vent’anni”, ha ammonito Golob.
    Come già ricordato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, nel corso della sua visita a fine ottobre a Sarajevo, anche il primo ministro sloveno ha puntualizzato il fatto che – come l’Ucraina – anche “la Bosnia è uno dei Paesi europei che ha subito aggressioni armate nel recente passato e noi dobbiamo rendere chiaro che non abbiamo abbandonato i cittadini bosniaci, mentre guardavamo a Kiev“. Di qui la necessità di “accelerare il processo di allargamento, anche se non è sempre semplice, perché è uno strumento essenziale per l’Unione Europea”, ha concluso il suo intervento il premier della sinistra verde e liberale slovena, eletto lo scorso 24 aprile.
    Il punto sull’allargamento dell’Ue
    Il processo di allargamento Ue coinvolge i sei Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia), la Turchia – i cui negoziati sono però cristallizzati dalla politica del presidente Erdoğan – Ucraina e Moldova – a cui è stato concesso al vertice dei leader Ue di giugno lo status di Paesi candidati – e Georgia, a cui è stata riconosciuta la prospettiva europea. Serbia e Montenegro stanno portando avanti i negoziati di adesione rispettivamente dal 2014 e dal 2012, mentre il pacchetto Albania-Macedonia del Nord si è sbloccato a metà luglio dopo quasi tre anni di stallo (prima per il veto di Francia-Paesi Bassi-Danimarca ai danni di Tirana e poi per quello della Bulgaria contro Skopje). La Bosnia ed Erzegovina ha fatto domanda di adesione nel 2016 e dopo sei anni è quasi arrivato il momento della concessione dello status di Paese candidato. Il Kosovo ha solo firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione, ma entro la prossima settimana è attesa la richiesta di adesione all’Unione, come reso noto dalla presidente Vjosa Osmani al vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana martedì scorso (6 dicembre).
    Ricevuta la proposta formale di candidatura all’adesione, per diventare un Paese membro dell’Ue è necessario superare l’esame dei criteri di Copenaghen. Ottenuto il parere positivo della Commissione, si può arrivare o alla firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione – un accordo bilaterale tra l’Unione e il Paese richiedente, utilizzato in particolare per i Balcani Occidentali, a cui viene offerta la prospettiva di adesione – o direttamente il conferimento dello status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri, si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.

    Il Consiglio Affari Generali ha raccomandato ai leader dei 27 Stati Ue di riconoscere a Sarajevo lo status di candidato, a sei anni dalla richiesta. Sostegno dalla Commissione, dal Parlamento Ue e dal premier sloveno, Robert Golob, a Strasburgo: “Non abbiamo abbandonato i cittadini bosniaci”

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    Si riaccendono le tensioni nel nord del Kosovo. Escalation tra barricate, retorica incendiaria e attacco alla missione Ue

    Bruxelles – Un fine settimana di ordinaria follia nel nord del Kosovo, dove da venerdì (9 dicembre) la tensione è tornata ancora a crescere in maniera preoccupante, anche complice la retorica incendiaria di Belgrado. Barricate ai passaggi di frontiera, arresti e granata stordente contro la missione Eulex dell’Unione Europea: l’escalation degli ultimi mesi nelle regioni settentrionali del Paese, dove si concentra la minoranza serba, ha raggiunto uno dei livelli di criticità più alti mai toccati. Anche se parlare di rischio di guerra tra Serbia e Kosovo è al momento del tutto azzardato.
    Tutto è iniziato – di nuovo – nel pomeriggio di venerdì, dopo la decisione di Pristina di inviare alcune centinaia di forze di polizia per tenere sotto controllo la situazione a Kosovska Mitrovica e ai valichi di confine (dal momento in cui gli agenti serbo-kosovari dimessisi in massa a inizio novembre non sono ancora tornati in servizio). Nonostante le rassicurazioni del premier Albin Kurti del fatto che le operazioni non hanno alcun target etnico – ma sarebbero indirizzate a contrastare la criminalità che rischia di prendere il sopravvento nella regione senza un’adeguata presenza di forze dell’ordine – la reazione di Belgrado è stata violentissima. La premier serba, Ana Brnabić, è arrivata a minacciare la possibilità di inviare mille soldati da Belgrado sul territorio kosovaro (cosa non possibile senza il consenso della Nato, secondo quanto previsto dalla Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu del 1999) per contrastare un “comportamento irresponsabile” da parte del governo di Pristina.
    Soldati della Kosovo Force (Kfor) della Nato a Zubin Potok, dove è stata eretta una barricata da manifestanti serbo-kosovara (credits: Armend Nimani /Afp)
    La situazione tesa è andata esasperandosi proprio per la retorica nazionalista dei due governi. Da una parte la presidente kosovara, Vjosa Osmani, ha attaccato Belgrado, affermando che “il sogno egemonico della Serbia non si avvererà, non ci saranno mai poliziotti e militari serbi sul territorio del Kosovo”, mentre la premier serba Brnabić ha alzato l’asticella, avvertendo che il rapporto “è al limite di un nuovo conflitto”. Dichiarazioni che – come fanno notare diversi analisti – rispondo a logiche di rafforzamento politico a livello interno e hanno poca aderenza con la realtà: sul campo è presente la più grande missione militare della Nato, la Kosovo Force (Kfor), con i suoi 3.700 soldati, e un nuovo conflitto armato – dopo quello tra il 1998 e il 1999, conclusosi solo grazie all’intervento dell’Alleanza Atlantica – sarebbe un suicidio diplomatico per entrambi i Paesi.
    Allo stesso tempo la situazione non deve essere sottostimata, dal momento in cui era da mesi che non si vedevano barricate ai valichi di frontiera, alzate dalle frange più estremiste e violente della minoranza serba-kosovara. Nella giornata di sabato le proteste si sono esacerbate con la notizia dell’arresto di un ex-agente della polizia kosovara, Dejan Pantić, accusato di “attacchi terroristici”. I blocchi stradali nel settore nord di Kosovska Mitrovica, Zvecan e Leposavic sono stati realizzati con mezzi pesanti – tra cui anche alcuni donati da Bruxelles attraverso i progetti finanziati dall’Ue – mentre sono aumentati gli atti di sabotaggio, che hanno coinvolto anche Eulex.
    Nel corso della notte tra sabato e domenica (10-11 dicembre) vicino a Rudare una granata stordente ha colpito una pattuglia di ricognizione della missione civile nell’ambito della politica di sicurezza e difesa comune dell’Unione, senza causare nessun ferito né danneggiamento di materiale. “Chiediamo ai responsabili di astenersi da ulteriori azioni di provocazione e sollecitiamo le istituzioni del Kosovo a portare i colpevoli davanti alla giustizia”, si legge in una dichiarazione della missione Eulex. “L’Ue non tollererà attacchi a Eulex o il ricorso ad atti violenti e criminali nel nord del Paese“, è l’attacco dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “I gruppi serbi del Kosovo devono rimuovere immediatamente le barricate” e “tutti gli attori devono evitare un’escalation”.

    Stun grenade attack on #EULEX reconnaissance patrol.
    Read the full statement in English, Albanian and Serbian here:https://t.co/52yvDy8HEx pic.twitter.com/9YZG2vmudZ
    — EULEX Kosovo (@EULEXKosovo) December 11, 2022

    Il rinvio delle elezioni locali nel nord del Kosovo
    A questo si aggiunge la situazione politica nel nord del Kosovo, che si intreccia strettamente con le dimissioni di massa di sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali del 5 novembre, in segno di protesta contro l’obbligo di sostituire le targhe serbe con quelle rilasciate dalle autorità di Pristina (in larga parte utilizzate dalla minoranza serba nel Kosovo settentrionale). Tra i dimissionari ci sono anche i sindaci di Kosovska Mitrovica, Zubin Potok, Zvecan e Leposavic e per questo motivo nelle quattro città si dovrà tornare alle urne, altro elemento di tensione con le frange più estremiste della minoranza serba in Kosovo. Le elezioni anticipate – in programma inizialmente per il 18 dicembre – sono state rinviate il prossimo 23 aprile dalle istituzioni di Pristina, per non rischiare di rendere la situazione fuori controllo. Ad annunciarlo è stata la stessa presidente Osmani, dopo consultazioni con diverse forze politiche.
    Manifestazioni di serbi del Kosovo nel nord del Paese (credits: Armend Nimani / AFP)
    Nel quadro dell’escalation di tensione nel nord del Kosovo, la politica locale si interseca con quella internazionale. In vista di quelli che sono ormai considerati gli ultimi mesi decisivi per chiudere la questione del Kosovo, la proposta di mediazione franco-tedesca che dovrebbe portare a termine il dialogo tra Pristina e Belgrado insisterà sulla completa implementazione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo (comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia). Se il 2023 sarà davvero l’anno dell’accordo definitivo tra i due Paesi balcanici, chi vincerà le elezioni locali nelle quattro città sarà verosimilmente il rappresentante dei serbi del Kosovo all’interno della Associazione delle municipalità. E Belgrado ha tutto l’interesse che Lista Srpska – il partito più vicino al presidente serbo, Aleksandar Vučić – non perda la presa politica sul territorio.
    Non è un caso se il leader serbo ha avuto recentemente uno scatto d’ira per la nomina di Nenad Rašić come ministro per le Comunità e il ritorno dei profughi all’interno del governo kosovaro. Rašić è il leader del Partito Democratico Progressista, formazione serba ostile a Belgrado e concorrente di Lista Srpska, il cui leader Goran Rakić si era dimesso dallo stesso ministero a inizio novembre. Vučić ha definito Rašić “la peggiore feccia serba” proprio perché la questione nel Kosovo settentrionale è strettamente legata alla politica interna serba: “Per anni ha creato una sovrapposizione tra partito e interesse nazionale”, ha spiegato in un’intervista a Eunews Giorgio Fruscione, politologo dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) ed esperto delle questioni balcaniche. Dentro e fuori i confini nazionali Vučić tenta di far apparire “tutti gli esponenti che non ricadono sotto il suo controllo non ‘abbastanza’ serbi”. La mossa di Kurti di posizionare un serbo del Kosovo non fedele a Belgrado “sembra uno scacco matto” e per Belgrado è cruciale che lo stesso scenario non si ripeta nelle quattro amministrazioni locali finora controllate nel nord del Paese.
    Gli sforzi diplomatici dell’Ue
    Dopo settimane di tensione per la questione delle targhe e le nomine ministeriali in Kosovo – che ha spinto lo stesso presidente serbo Vučić a minacciare, e poi ritrattare, un boicottaggio del vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana – i Ventisette stanno spingendo perché i due Paesi balcanici raggiungano “progressi concreti verso un accordo globale giuridicamente vincolante” sulla normalizzazione delle loro relazioni, come messo in chiaro dalle conclusioni del summit in Albania. Bruxelles sta puntando tutte le sue carte su un aggiornamento della proposta franco-tedesca, che – come riportano fonti europee – dovrebbe consentire di raggiungere un’intesa “in meno di un anno”.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (21 novembre 2022)
    Solo tre settimane fa l’alto rappresentante Borrell era riuscito in extremis a far raggiungere un accordo di compromesso tra le due parti per porre termine alla grave crisi sulle targhe nel nord del Kosovo. La mediazione di Bruxelles con i capi-negoziatori, arrivata dopo un incontro fallimentare tra Vučić e Kurti, si è rivelata decisiva anche per l’avanzamento del dialogo per la normalizzazione delle relazioni tra Pristina e Belgrado: il testo del 23 novembre in cinque paragrafi si concentra “pienamente, e con urgenza, sulla proposta di normalizzazione” secondo quanto “presentato questo settembre dal facilitatore dell’Ue e sostenuto da Francia e Germania”. In questo modo la proposta di Parigi e Berlino è entrata ufficialmente nel cuore del dialogo mediato da Bruxelles, che nelle intenzioni dei maggiori attori diplomatici a livello europeo si dovrebbe chiudere entro la fine dell’anno prossimo.
    Anche l’Italia sta cercando di ritagliarsi un ruolo decisivo per la distensione dei rapporti tra Serbia e Kosovo. A fine novembre la missione diplomatica a Belgrado e Pristina dei ministri degli Esteri, Antonio Tajani, e della Difesa, Guido Crosetto, aveva spinto “la ricerca e le soluzioni ai problemi” emersi con sempre più urgenza negli ultimi mesi. Nel corso del vertice di Tirana la stessa premier Giorgia Meloni si era intrattenuta in contatti bilaterali con i presidenti Vučić e Osmani per affrontare “una questione annosa per questa regione” e per “portare avanti il ruolo dell’Italia di amicizia e cooperazione” con i partner balcanici. A fronte della nuova ondata di escalation sul campo il ministro Tajani ha chiesto in particolare a Belgrado di allentare le tensioni e si è rivolto direttamente al presidente serbo in una telefonata, chiedendo “moderazione” per evitare un peggioramento della situazione: “La stabilità della regione è un obiettivo italiano ed europeo“, ha precisato il titolare della Farnesina.
    Il tema è stato oggetto della riunione dei ministri degli Esteri dei Ventisette. Alla luce della situazione l’Alto rappresentante Borrell ha deciso di inviare in missione Tomáš Szunyog, il rappresentante speciale per il Kosovo, così da poter fornire un quadro più preciso della situazione in occasione del vertice dei capi di Stato e di governo. La missione è prevista per mercoledì, 14 dicembre, in tempo utile per poter informare i leader il giorno seguente.

    Una granata stordente ha colpito una pattuglia di ricognizione della missione Eulex: “L’Ue non tollererà il ricorso ad atti violenti e criminali”, avverte l’alto rappresentante Borrell. Posticipate le elezioni locali in quattro città per non aggravare la situazione. Ma non c’è rischio di conflitto

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    I Balcani più vicini all’Ue. Siglata a Tirana la dichiarazione per abbattere i costi roaming (e renderlo gratuito entro il 2027)

    dall’inviato a Tirana – Si apre con un accordo storico sul roaming il vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana, destinato ad avvicinare a livello concreto i cittadini dell’Unione e dei sei Paesi balcanici (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia). A margine del summit iniziato oggi (martedì 6 dicembre) nella capitale albanese i presidenti del Consiglio, Charles Michel, e della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e i sei leader dei Balcani Occidentali hanno siglato la Dichiarazione sul roaming, che porterà benefici a turisti e imprese già dal 2023.
    La cerimonia per la firma della Dichiarazione sul roaming Ue-Balcani Occidentali a Tirana (6 dicembre 2022)
    “Con l’accordo di oggi, gli operatori delle telecomunicazioni inizieranno a ridurre le tariffe di roaming dati tra l’Ue e i Balcani Occidentali a partire dal prossimo anno“, ha annunciato in un tweet la numero uno della Commissione. “È positivo per gli affari e il turismo” ed “è anche un ottimo modo per avvicinare le persone”, ha aggiunto von der Leyen. Come spiegano funzionari Ue a Tirana, la base di partenza è il successo dell’accordo sul Roam like at Home nella regione a partire dal luglio 2021, a cui era seguita la tabella di marcia per l’abolizione del roaming dati tra l’Unione e i Balcani Occidentali al vertice di Kranj (Slovenia) del 6 ottobre seguente.
    Si partirà da una prima riduzione dal primo ottobre 2023, ma l’obiettivo finale è più ambizioso: la completa eliminazione di ogni costo aggiuntivo del roaming entro il 2027, anticipano le stesse fonti. Entro il primo maggio del prossimo anno sarà reso noto l’accordo sugli step per portare avanti l’abbattimento del roaming tra le parti che hanno “volontariamente” deciso di unirsi. L’eliminazione graduale dei costi nel corso dei prossimi cinque anni garantirà a tutti i cittadini comunitari e balcanici di fare chiamate, mandare messaggi e navigare online sul proprio smartphone alla stessa tariffa a casa e negli altri Stati aderenti della dichiarazione firmata questa mattina. “L’Italia è pienamente impegnata” su diversi temi “su cui possiamo lavorare insieme, dall’economia alla sicurezza informatica e il roaming”, ha dichiarato alla stampa la prima ministra italiana, Giorgia Meloni, facendo ingresso al vertice Ue-Balcani Occidentali: “Potete contare su di noi”.

    With today’s agreement, telecom operators will start lowering data roaming charges between the EU and the Western Balkans, starting next year. This is good for business and tourism. It is also a great way of bringing people closer together. pic.twitter.com/ChYncvFpxx
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) December 6, 2022

    Come funziona il roaming gratuito nell’Ue
    Quello a cui si tende con la dichiarazione di oggi è rendere gratuiti i servizi di roaming anche ai Balcani Occidentali entro il decimo anniversario dall’entrata in vigore sul territorio dell’Unione Europea. Nel 2017 era stata siglata un’intesa tra i Ventisette per un periodo di prova di cinque anni, scaduto il 30 giugno di quest’anno. Grazie al via libera dei co-legislatori del Parlamento e del Consiglio dell’Ue alla proposta della Commissione Europea nel dicembre dello scorso anno, il roaming gratuito è stato esteso fino al 2032.
    La prima ministra italiana, Giorgia Meloni, al vertice Ue-Balcani Occidentali a Tirana (6 dicembre 2022)
    Le regole aggiornate permettono ai cittadini europei di continuare a fare chiamate, mandare messaggi e navigare online sul proprio smartphone alla stessa tariffa a casa e negli altri Stati membri. Lavoratori e turisti che viaggiano sul territorio comunitario hanno diritto alla stessa qualità e velocità di connessione mobile – se le condizioni sono disponibili sulla rete del Paese Ue visitato – con il divieto di pratiche che riducono la qualità dei servizi di roaming (per esempio, passare la connessione da 4G a 3G). È gratuito l’accesso ai servizi di emergenza, sia per le chiamate sia per i messaggi di testo, inclusa la trasmissione di informazioni sulla geolocalizzazione.
    Sul territorio comunitario le tariffe di roaming all’ingrosso (il prezzo massimo che gli operatori si addebitano a vicenda quando i rispettivi clienti usano altre reti in roaming nell’Ue) sono limitate a 2 euro per gigabyte, e dal 2027 scenderanno a 1 euro. Se i consumatori superano i limiti sul roaming previsti dal contratto con il proprio operatore, ogni costo aggiuntivo non può essere superiore ai massimali all’ingrosso.

    L’intesa prevede la diminuzione dei costi per chiamate, sms e dati tra i Ventisette e i sei Paesi balcanici già dal primo ottobre 2023, ma si punta a renderlo gratuito (come già succede da cinque anni sul territorio Ue) entro il 2027. Secondo von der Leyen “è positivo per affari e turismo”

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    Il presidente serbo Vučić ci ripensa. Nonostante le tensioni con il Kosovo parteciperà al vertice Ue-Balcani Occidentali

    dall’inviato a Tirana – Nelle ultime ore prima del vertice Ue-Balcani Occidentali in Albania va in scena l’ultima mossa di una partita a scacchi che dura da più di dieci anni. Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, ha annunciato che farà un passo indietro rispetto alla sua decisione di boicottare il summit come ritorsione per gli ultimi avvenimenti in Kosovo. Domani (martedì 6 dicembre) parteciperà ai lavori con gli altri cinque leader balcanici, i capi di Stato e di governo dei Paesi membri Ue e i presidenti del Consiglio, Charles Michel, e della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (21 novembre 2022)
    Scongiurato a meno di ventiquattr’ore dall’inizio del summit la possibilità di un vertice Ue-Balcani Occidentali ‘meno uno’, che avrebbe potuto rappresentare non solo uno sgarbo istituzionale nei confronti del premier albanese, Edi Rama (promotore della prima riunione di questo genere nella regione ancora extra-Ue), ma soprattutto avrebbe reso quasi vane le conclusioni sui rapporti tra Serbia e Kosovo del vertice stesso. “Rientra nel suo gioco di fare la vittima eterna, è un paradigma che ha funzionato nel nazionalismo serbo degli ultimi 30 anni”, spiega a Eunews Giorgio Fruscione, politologo dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) ed esperto delle questioni balcaniche, Serbia in primis. “Non avevo alcun dubbio sul fatto che Vučić avrebbe confermato la sua presenza”, ribadisce Fruscione, sottolineando che il presidente serbo “non può permettersi di fare la voce grossa con Bruxelles in un momento così delicato per il dossier kosovaro“.
    A scatenare le ire di Vučić venerdì scorso (2 dicembre) era stata la nomina di Nenad Rašić come ministro per le Comunità e il ritorno dei profughi all’interno del governo kosovaro guidato da Albin Kurti. Rašić è il leader del Partito Democratico Progressista, formazione serba ostile a Belgrado e concorrente di Lista Srpska. Proprio il leader del partito serbo-kosovaro più vicino a Vučić, Goran Rakić, si era dimesso dal ministero riservato alla minoranza serba nel Paese durante l’ondata di ritiri di sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali a inizio novembre, in segno di protesta contro l’obbligo di sostituire le targhe serbe con quelle rilasciate dalle autorità di Pristina.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić
    Nonostante l’accordo del 24 novembre scorso, che ha risolto la grave tensione tra Serbia e Kosovo sulla questione delle targhe dei veicoli alla frontiera, la maggior parte dei serbi-kosovari dimessisi non è ancora rientrata in servizio e il premier Kurti ha dovuto colmare il vuoto nel suo governo, “continuando a giocare a scacchi con Belgrado”, è l’analisi di Fruscione. Proprio da questa partita a scacchi sulla questione kosovara dipende in parte la rabbia di Vučić: “La mossa di Kurti di posizionare un serbo del Kosovo non fedele a Belgrado sembra uno scacco matto“. Ma c’è di più.
    Una seconda motivazione che ha spinto il leader serbo a rilasciare delle dichiarazioni “al limite del surreale” alla rete filo-governativa Rtv Pink – in cui ha definito Rašić “la peggiore feccia serba” – è legata a questioni di politica interna: “Per anni Vučić ha creato una sovrapposizione tra partito e interesse nazionale”, spiega ancora Fruscione. Di qui il tentativo di far sembrare il Partito Progressista Serbo “l’unico o il migliore rappresentante della bandiera serba” dentro e fuori i confini nazionali (anche se il Kosovo è tutt’ora considerato da Belgrado parte del Paese), mentre “tutti gli esponenti che non ricadono sotto il suo controllo non sono ‘abbastanza’ serbi“.
    Il passo indietro di Vučić
    Il rappresentante speciale UE, Miroslav Lajčák, con il presidente serbo, Aleksandar Vučić, a Belgrado
    Il ripensamento del leader serbo – arrivato senza nessuno stupore degli analisti – è stato annunciato al termine del confronto con il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, volato questa mattina nella capitale serba proprio per cercare di risolvere con la diplomazia uno strappo che si sarebbe fatto sentire al vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana. Nella dura accusa di Vučić di venerdì le istituzioni di Bruxelles erano state definite colpevoli di “mancata condanna” della presunta incostituzionalità della decisione del governo Kurti: anche per questa ragione il boicottaggio dell’imminente summit di Tirana con i Ventisette aveva assunto un significato quantomeno simbolico.
    “La sua partecipazione non dovrebbe cambiare gli equilibri del vertice, ma è servita per scopi interni”, mette in chiaro Fruscione. Anche se “Lajčák non è andato a supplicare Vučić di essere presente a Tirana, c’è sicuramente del lavoro intenso dietro le quinte”, dal momento in cui la partita a scacchi Serbia-Kosovo potrebbe essere arrivata alle battute finali. “Credo che siano giorni e settimane, probabilmente gli ultimi mesi decisivi per chiudere la questione del Kosovo“, in cui la mediazione di Bruxelles – accompagnata da una proposta franco-tedesca in 9 punti – è “l’elemento-chiave per far ragionare le due parti, che approfittano di pretesti come questo per rivendicare interessi nazionali”. Ribaltando l’interpretazione che il presidente Vučić sta cerando di far passare in patria (che l’Ue privilegia il Kosovo e punisce la Serbia), Fruscione puntualizza la “preponderanza almeno nella forma verso Belgrado” da parte delle istituzioni comunitarie. Ma per Bruxelles la missione quasi impossibile ora è chiudere la partita senza far avvertire a nessuna della due parti il peso della sconfitta.

    In Belgrade today, I discussed the way forward on normalisation of relations as a follow-up to the last Dialogue meetings with @predsednikrs @avucic. We also spoke about current issues, including return of Kosovo Serbs to Kosovo institutions, Energy Roadmap and missing persons. pic.twitter.com/NlhE9bfOxm
    — Miroslav Lajčák (@MiroslavLajcak) December 5, 2022

    Il numero uno della Serbia aveva annunciato che avrebbe boicottato il summit di Tirana del 6 dicembre dopo la nomina del serbo-kosovaro Nenad Rasić (ostile a Belgrado) nel governo del Kosovo. Il cambio di decisione dopo l’incontro con il rappresentante speciale Ue, Miroslav Lajčák

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    Tra energia, migrazione, roaming e guerra russa in Ucraina. È tutto pronto per il vertice Ue-Balcani Occidentali a Tirana

    dall’inviato a Tirana – Il primo in assoluto nella regione, dopo una serie di summit tutti ospitati dai Paesi membri dell’Unione Europea. L’importanza del vertice Ue-Balcani Occidentali che si svolgerà domani (martedì 6 dicembre) a Tirana parte da qui, ma va ben oltre la semplice coreografia di una ‘prima volta’. Come spiegano funzionari europei prima dell’appuntamento in Albania tra i capi di Stato e di governo dei Paesi membri Ue, quelli dei sei Paesi balcanici (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia) e i leader delle istituzioni comunitarie (i presidenti del Consiglio Ue, Charles Michel, e della Commissione, Ursula von der Leyen), “questo evento è il simbolo della nostra cooperazione rafforzata in risposta alla guerra russa” in Ucraina.
    Il Palazzo dei Congressi di Tirana, dove si svolgerà il vertice Ue-Balcani Occidentali il 6 dicembre 2022
    La base di partenza sarà lo “scambio franco” tra fine giugno e metà luglio – quando in poco meno di un mese si è passati dal fallimento del vertice Ue-Balcani Occidentali di Bruxelles ai festeggiamenti per l’avvio dei negoziati di adesione di Albania e Macedonia del Nord – ma anche gli ultimi sviluppi del Processo di Berlino, con la firma dei tre accordi sulla mobilità regionale. Non è un caso se il primo summit di questo genere nella regione ancora fuori dall’Unione Europea sarà ospitato proprio dall’Albania : “Il premier Edi Rama ha spinto la candidatura dopo i risultati di luglio e l’Ue l’ha accettata“, precisano le stesse fonti.
    Le priorità del vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana
    La priorità più urgente dei 35 leader dell’Unione e dei Balcani Occidentali (in attesa della decisione finale del presidente della Serbia, Aleksander Vučić, su un suo possibile boicottaggio del summit a causa delle tensioni con il Kosovo) sarà quella di rimanere tutti uniti contro l’escalation della guerra russa in Ucraina, che “mette a rischio la pace e la sicurezza europea e mondiale”, si legge nell’ultima bozza del vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana. “Una visione comune del futuro implica responsabilità reciproche e valori condivisi”, che si rendono indispensabili di fronte all’aggressione armata di uno Stato sovrano. Mentre l’esortazione rimane sempre quella di compiere “progressi rapidi e sostenuti” verso il “pieno allineamento” alla Politica estera e di sicurezza comune (Pesc) – un richiamo implicito alla Serbia e alla sua politica di non-allineamento alle sanzioni contro la Russia – la collaborazione con Bruxelles è considerata come “un chiaro segno dell’orientamento strategico” delle sei capitali.
    In virtù della “determinazione” dei partner più vicini a sostegno dei valori europei, l’Unione è pronta a riconfermare l’impegno “pieno e inequivocabile” a favore della prospettiva di adesione dei Paesi balcanici, anche attraverso un processo di allargamento “reversibile e basato sul merito“. Si attendono discussioni accese sullo status di candidato della Bosnia ed Erzegovina, ma anche sulla liberalizzazione dei visti per i cittadini del Kosovo (che nelle prossime due settimane dovrebbe anche presentare la propria richiesta di adesione).
    Ma una delle sfide maggiori riguarda proprio i rapporti tra Pristina e Belgrado, che da fine luglio fanno registrare intensi periodi di tensione e momenti improvvisi di slancio diplomatico. Dopo l’intesa in extremis raggiunta il 24 novembre sulla questione delle targhe dei veicoli alla frontiera, si sono riaccese le polemiche sulla nomina di Nenad Rašić – serbo-kosovaro ostile a Belgrado – come ministro per le Comunità e il ritorno dei profughi. A seguito della decisione del premier kosovaro, Albin Kurti, venerdì scorso (2 dicembre) il presidente serbo Vučić ha annunciato che boicotterà il vertice Ue-Balcani Occidentali per la “mancata condanna da parte dell’Ue”. Le riserve sulla partecipazione di Belgrado saranno in verità sciolte nella giornata di oggi, mentre Bruxelles continua a ripetere che “tutti i leader dovrebbero essere presenti” a Tirana. Nella bozza delle conclusioni del vertice trova spazio un capitolo specifico sui rapporti tra Serbia e Kosovo, sia sui “progressi concreti verso un accordo globale giuridicamente vincolante” sulla normalizzazione delle relazioni, sia sulla “forte aspettativa che tutti gli accordi passati siano pienamente rispettati e attuati senza indugio”.
    Bulevardi Dëshmorët e Kombit a Tirana, con le bandiere dell’Unione Europea e dell’Albania e le fotografie delle donne e degli uomini che hanno costruito l’Europa
    Nel quadro generale, sarà affrontato in via prioritaria anche il tema della migrazione, a partire dalle proposte del piano d’azione per la rotta balcanica presentate oggi dalla Commissione Ue. “La gestione della migrazione rimane una sfida e una responsabilità comune“, si legge nella bozza delle conclusioni, considerato il fatto che la rotta balcanica rappresenta il movimento migratorio di più ampia portata alle frontiere esterne dell’Unione, maggiore – in termini di ingressi irregolari – anche di quello del Mediterraneo centrale. Secondo i dati recentemente pubblicati da Frontex (l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera), tra gennaio e ottobre 2022 si sono verificati 281 mila attraversamenti irregolari attraverso la rotta balcanica, per un aumento del 77 per cento rispetto allo stesso periodo del 2021 e il totale più alto dal 2016 (oltre 130 mila). I Ventisette porranno l’accento sul rafforzamento della protezione delle frontiere, sull’intensificazione dei rimpatri verso i Paesi di origine, sulla cooperazione con Frontex e sull’allineamento della politica dei visti.
    Le questioni energetiche, verdi e digitali
    Secondo quanto emerge dalla bozza delle conclusioni del vertice Ue-Balcani Occidentali, i leader dell’Unione ribadiscono il loro sostegno ai partner balcanici “nell’affrontare gli effetti negativi sulle loro economie e società” della guerra russa in Ucraina, per cui Mosca rimane “l’unica responsabile” della crisi energetica ed economica. Bruxelles ha risposto a queste crisi con un piano di sostegno da un miliardo di euro complessivo per l’intera regione, come anticipato dalla presidente della Commissione von der Leyen nel corso del suo viaggio nelle sei capitali (fatta eccezione per quella del Montenegro, rinviata a data da destinarsi) di fine ottobre.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, presso il cantiere della ferrovia Tirana-Durrës (27 ottobre 2022)
    Un piano che dovrebbe mobilitare 2,5 ulteriori miliardi di euro in investimenti, aiutando i sei Paesi partner a “mitigare l’impatto della crisi energetica e ad accelerare la transizione energetica nella regione”. Il pacchetto sarà finanziato attraverso lo strumento di assistenza pre-adesione (Ipa III) e sarà diviso in due parti, ciascuna da mezzo miliardo di euro. Da una parte un sostegno diretto al bilancio per affrontare l’impatto degli alti prezzi dell’energia in ciascuno dei sei Paesi dei Balcani Occidentali: 80 milioni per la Macedonia del Nord, altrettanti per l’Albania, 75 per il Kosovo, 70 per la Bosnia ed Erzegovina, 165 per la Serbia (per il Montenegro sarà comunicato al momento della nuova visita di von der Leyen). Dall’altra parte, i restanti 500 milioni saranno invece dedicati al “miglioramento delle infrastrutture per il gas e l’elettricità e gli interconnettori, compreso il Gnl“, ma anche a “nuovi progetti per le rinnovabili, aggiornamenti dei sistemi di trasmissione dell’energia, teleriscaldamento e schemi per migliorare l’efficienza energetica dei vecchi condomini”.
    A questo proposito, nella bozza delle conclusioni del vertice Ue-Balcani Occidentali i Ventisette ricordano la decisione di aprire gli acquisti comuni di gas, Gnl e idrogeno ai Paesi balcanici, chiedendo allo stesso tempo “rapida operatività di questa piattaforma” e incoraggiando i partner a “sfruttare questa opportunità”. Nella bozza si ribadisce anche che il piano RePowerEu è finalizzato a ridurre la dipendenza non solo dell’Ue, ma dell’intera regione balcanica dal gas russo e, attraverso la Comunità dell’energia, l’Unione sta aprendo il proprio mercato dell’elettricità – “anche per quanto riguarda le energie rinnovabili” – ai sei vicini, “a condizione che vengano attuate riforme normative“.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, presso il cantiere della ferrovia Tirana-Durrës (27 ottobre 2022)
    Rivestirà un ruolo centrale nelle discussioni di domani l’attuazione del Piano economico e di investimenti e delle Agende verde e digitale per i Balcani occidentali, “anche attraverso un ulteriore sostegno alla connettività, alla transizione e alla diversificazione delle forniture energetiche”. Nel pacchetto approvato nell’ottobre 2020 – che mobilita quasi 30 miliardi di euro tra sovvenzioni e investimenti – è già stato dato il via libera al finanziamento di 27 progetti-faro per un valore totale di 3,8 miliardi di euro, e nell’ultimo anno sono proseguiti i lavori per la connettività nella regione: dal corridoio ferroviario Oriente-Med per le merci ai ponti transfrontalieri a Svilaj (Croazia) e Gradiška (Bosnia ed Erzegovina). Parallelamente, grazie all’Agenda verde per la regione i leader balcanici rinnoveranno gli impegni climatici assunti con la firma dell’Accordo di Parigi, anche per combattere l’inquinamento, migliorare la gestione dei rifiuti e accelerare la transizione energetica verde. L’Ue li sosterrà invece nello sviluppo di una politica di tariffazione del carbonio nel contesto del meccanismo di aggiustamento delle frontiere del carbonio (Cbam).
    Ultima, ma di certo non per importanza, la questione della connettività digitale. Come rendono noto gli stessi funzionari europei a Tirana, appena prima del vertice Ue-Balcani Occidentali è prevista la firma di una dichiarazione congiunta sul roaming, per l’eliminazione graduale dei costi nei prossimi anni, garantendo così a tutti i cittadini di fare chiamate, mandare messaggi e navigare online sul proprio smartphone alla stessa tariffa a casa e negli altri Stati aderenti (come succede dal 2017 e almeno fino al 2032 nell’Ue). Si parte dal “successo” dell’accordo sul Roam like at Home nella regione a partire dal luglio dello scorso anno, con l’obiettivo di una prima riduzione dei costi dal primo ottobre 2023 e la “prospettiva di una completa eliminazione” al 2027, specificano le stesse fonti a ventiquattr’ore dal primo vertice Ue-Balcani Occidentali nella regione.

    Il 6 dicembre la capitale dell’Albania ospiterà il primo summit nella regione tra i leader dell’Unione e dei sei Paesi balcanici. Secondo quanto emerge dalla bozza delle conclusioni, sarà centrale la risposta alle crisi comuni, con un focus specifico sui rapporti tra Serbia e Kosovo

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    Via libera dai 27 ambasciatori Ue alla liberalizzazione dei visti Schengen del Kosovo “non oltre il primo gennaio 2024”

    Bruxelles – Un passo avanti significativo nell’ormai infinita vicenda della liberalizzazione dei visti per i cittadini del Kosovo – unico Paese europeo (fatta eccezione per Russia e Bielorussia) a cui non è riconosciuta – anche se Pristina dovrà aspettare ancora un poco più di un anno al massimo prima di poter finalmente celebrare l’esenzione del regime dei visti in ingresso nello spazio Schengen. I 27 ambasciatori dei Paesi membri dell’Ue hanno dato il via libera in Coreper (il Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio) al mandato negoziale del Consiglio dell’Ue, in vista degli imminenti negoziati con l’Eurocamera.
    La presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel
    “Oggi [mercoledì 30 novembre, ndr] abbiamo compiuto un passo importante verso l’esenzione dei visti per il Kosovo e speriamo ora di raggiungere rapidamente un accordo con il Parlamento Europeo per trasformare questa promessa in realtà”, ha commentato il ministro degli Esteri ceco e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Jan Lipavský, che ha sottolineato come questo risultato sia stato reso possibile “dagli sforzi del Kosovo per rafforzare i controlli alle frontiere, la gestione dell’immigrazione e la sicurezza”. L’esenzione implica la possibilità di viaggiare senza visto per un soggiorno di massimo 90 giorni (su un periodo di 180) nell’area che ha abolito le frontiere interne, utilizzando il proprio passaporto senza ulteriori requisiti: è in vigore per 63 Paesi di tutto il mondo, compresi quelli dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, ma non il Kosovo), Regno Unito, Moldova, Georgia e Ucraina.
    Secondo la posizione approvata oggi dai 27 ambasciatori, l’esenzione dall’obbligo di visto si applicherebbe a partire dalla data di inizio del funzionamento del Sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (Etias), secondo la proposta francese emersa all’ultima riunione del gruppo di lavoro sui visti del Consiglio a metà ottobre. Si tratta di un sistema digitale per tenere traccia dei visitatori extra-comunitari nella zona Schengen, che riguarderà tutti i viaggiatori provenienti dai 63 Paesi ‘visa free’ per l’Ue e che prevederà la compilazione di un modulo d’ingresso (come per l’Electronic System for Travel Authorization negli Stati Uniti).
    Il vero problema riguarda il fatto che non è ancora stato stabilito quando l’Etias sarà operativo: inizialmente era previsto entro il 2022, poi la data di entrata in vigore è stata posticipata alla primavera 2023 e ancora alla fine del prossimo anno. È per questo motivo che assume particolare rilevanza la specifica degli ambasciatori “e comunque non oltre il primo gennaio 2024” per la liberalizzazione dei visti per i cittadini del Kosovo. “Accolgo con favore l’importante e a lungo attesa decisione odierna del Coreper sull’abolizione dei visti”, ha commentato il primo ministro kosovaro, Albin Kurti. Per Pristina è “un riconoscimento del nostro impegno per lo Stato di diritto, la lotta alla corruzione, il rafforzamento dei controlli alle frontiere e la gestione dell’immigrazione”. Ringraziando la presidenza di turno ceca del Consiglio dell’Ue, Kurti ha sottolineato che ora attende “con impazienza” la finalizzazione del processo.

    I welcome today’s important & overdue decision by COREPER on visa lib. for Kosova, an acknowledgement of our commitment to rule of law, fighting corruption, strengthening border controls & managing migration. Thankful to @EU2022_CZ & look fwd to the finalization of this process.
    — Albin Kurti (@albinkurti) November 30, 2022

    La lunga attesa del Kosovo
    Il dialogo dl Kosovo con la Commissione Europea sulla liberalizzazione dei visti è iniziato il 19 febbraio 2012, a quattro anni dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza dalla Serbia. Nel maggio 2016 la Commissione aveva proposto al Parlamento e al Consiglio dell’Ue (che devono entrambi dare il via libera definitivo) di concedere l’esenzione per i cittadini kosovari, mentre procedevano i lavori per il rispetto degli ultimi due requisiti da parte di Pristina: la demarcazione dei confini (con il Montenegro) e il bilancio della lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione. Due anni più tardi, il 18 luglio 2018, lo stesso esecutivo comunitario aveva confermato che il Kosovo ha soddisfatto tutti i requisiti previsti dalla tabella di marcia per la liberalizzazione dei visti, incoraggiando i co-legislatori ad adottare la proposta di abolirne l’obbligo in ingresso sul territorio dell’Unione. La stessa esortazione è arrivata il 12 ottobre con la presentazione del Pacchetto Allargamento 2022.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Ma dal 2018 a oggi niente si era mosso in Consiglio. Il Parlamento Ue ha più volte accusato i 27 Paesi membri per il “fallimento di non aver mantenuto la promessa” ai cittadini del Kosovo. L’intesa di oggi tra i 27 ambasciatori è considerata cruciale perché supera uno stallo che ha una doppia natura: cinque membri Ue non riconoscono l’indipendenza di Pristina (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e, allo stesso tempo, Francia e Paesi Bassi hanno frenato fino all’ultimo l’iniziativa della Commissione, almeno prima dell’inedito impegno congiunto sull’asse Parigi-Berlino per risolvere le controversie più urgenti che riguardano il Kosovo.
    Come hanno sottolineato i 27 ambasciatori Ue, Pristina in questi anni “ha compiuto progressi significativi in tutti i blocchi della tabella di marcia per la liberalizzazione dei visti“, inclusi i settori della sicurezza dei documenti, della gestione delle frontiere e della migrazione, dell’ordine pubblico e dei diritti fondamentali relativi alla libertà di circolazione. Una volta che entrerà in vigore l’esenzione dall’obbligo di visto anche per i cittadini kosovari – al massimo fra un anno e un mese – l’intera regione dei Balcani Occidentali sarà soggetta allo stesso regime (con la Commissione Ue che continuerà a monitorare “attivamente” l’attuazione dei requisiti, attraverso il meccanismo di liberalizzazione post-visto). Tutti i cittadini europei potranno così viaggiare liberamente con il proprio passaporto sull’intero continente, senza discriminazioni di nazionalità.

    Approvato il mandato del Consiglio dell’Ue per i negoziati con l’Eurocamera. Prima della data-limite, il regolamento sull’esenzione dei visti per i cittadini kosovari potrebbe applicarsi a partire dall’entrata in funzione del Sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (Etias)

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    La Commissione presenterà prima del vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana un piano d’azione sulla rotta balcanica

    Bruxelles – Dopo il Piano per il Mediterraneo centrale la Commissione Europea è pronta a presentare una linea d’azione anche per la rotta balcanica, per affrontare l’aumento di arrivi di persone migranti lungo quello che rimane sempre il movimento migratorio più ampio alle frontiere dell’Unione. “Annuncerò che siamo pronti a preparare velocemente un Piano d’azione per affrontare le sfide sulla rotta balcanica“, ha reso noto alla stampa europea la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, facendo ingresso al vertice straordinario con i 27 ministri Ue questo pomeriggio (25 novembre).
    A confermare la notizia, aggiungendo dettagli, è stato il vicepresidente della Commissione Ue, Margaritis Schinas, sempre a margine del Consiglio Affari Interni straordinario a Bruxelles: “Oggi il focus sarà sulla rotta mediterranea centrale e sul Piano d’azione che abbiamo presentato questa settimana, ma questo non significa che non discuteremo delle altre rotte migratorie” e, nello specifico, “stiamo pianificando di presentare un Piano sulla rotta balcanica, che sarà pronto prima del vertice Ue-Balcani Occidentali a Tirana il 6 dicembre“. Secondo il vicepresidente Schinas, “dobbiamo sempre tenere a mente che il nostro obiettivo è lavorare come degli architetti per un quadro Ue comprensivo e strutturale sulla migrazione e l’asilo”, attraverso l’adozione del Patto presentato dalla Commissione nel settembre 2020.
    Era stata la stessa commissaria Johansson ad anticipare a Politico che “è giunto il momento di presentare un Piano d’azione adeguato anche per la rotta dei Balcani Occidentali”, mettendo in evidenza che “l’Austria è molto colpita” dall’aumento di persone in arrivo alle frontiere dell’Unione. I lavori dell’esecutivo comunitario sono già in corso e ai 27 ministri degli Interni la notifica dell’imminente proposta – da discutere verosimilmente al Consiglio ordinario dell’8 dicembre – arriverà proprio nel vertice straordinario di oggi. A preoccupare la Commissione è la possibilità di farsi trovare impreparati come nel biennio 2015-2016: “È importante affrontare in modo più efficiente la rotta balcanica rispetto a quanto abbiamo fatto finora“, ha avvertito Johansson parlando con la stampa. Secondo i dati recentemente pubblicati da Frontex (l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera), tra gennaio e ottobre 2022 si sono verificati 281 mila attraversamenti irregolari attraverso la rotta balcanica, per un aumento del 77 per cento rispetto allo stesso periodo del 2021 e il totale più alto dal 2016 (oltre 130 mila).
    Le preoccupazioni di Bruxelles sulla rotta balcanica
    È da ottobre che il gabinetto guidato da Ursula von der Leyen – e più precisamente la commissaria Johansson – parla insistentemente dell’aumento del numero di arrivi di persone migranti lungo la rotta balcanica, mettendo in risalto il fatto che “molti arrivano da Paesi per cui non riconosciamo la protezione internazionale“, come India, Tunisia e Burundi, sfruttando la possibilità di viaggiare senza visto in Paesi balcanici e di lì tentare di entrare nell’Ue in modo irregolare.
    Proprio per questo motivo “all’ultimo Consiglio ho proposto quattro pilastri di azione“, ha ricordato la commissaria titolare degli Affari interni. Il primo è un “partenariato anti-trafficanti con i Paesi dei Balcani Occidentali“. In secondo luogo “ho firmato un nuovo accordo Frontex con la Macedonia del Nord” lo scorso 26 ottobre a Skopje, che permetterà all’Agenzia Ue di dispiegare squadre sia alle frontiere con l’Unione (Grecia e Bulgaria) sia con gli altri Paesi balcanici extra-Ue (Serbia, Kosovo e Albania). “E ho ricevuto l’autorizzazione dal Consiglio ad avviare i negoziati con altri quattro Paesi“, ovvero Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Serbia.
    Il terzo punto coinvolge l’erogazione di “finanziamenti contro il traffico di esseri umani in questa rotta” e infine, “lavoriamo sull’allineamento della Serbia alla politica dei visti” dell’Unione Europea. È questo uno dei temi più urgenti per la Commissione Ue, dal momento in cui una parte delle persone migranti – prima di presentarsi alle frontiere dell’Unione – può arrivare in aereo in alcuni Paesi che si trovano sulla rotta balcanica e a cui l’Ue ha riconosciuto un regime di esenzione (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, mentre il Kosovo attende dal 2018 una decisione del Consiglio sulla liberalizzazione dei visti per i propri cittadini). “Non è giusto che l’Unione Europea abbia concesso l’esenzione dei visti ai Paesi dei Balcani Occidentali e che questi abbiano accordi di esenzione con Paesi terzi a cui noi non la riconosciamo“, aveva attaccato il vicepresidente Schinas dopo il suo viaggio in Serbia a inizio ottobre. Pochi giorni dopo Belgrado ha annunciato di aver reintrodotto l’obbligo dei visti per i cittadini del Burundi e della Tunisia (in vigore dal 20 novembre).

    Arriverà entro il 6 dicembre, come confermato dal vicepresidente Margaritis Schinas. La commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, ha reso noto che lo annuncerà oggi ai 27 ministri Ue durante la riunione straordinaria, sottolineando che “dobbiamo essere più efficienti”

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    L’accordo di Cenerentola a Bruxelles. Allo scoccare della mezzanotte Serbia e Kosovo trovano l’intesa sulle targhe

    dall’inviato a Strasburgo – “We have a deal!” Abbiamo un accordo, sulle targhe serbe in Kosovo. Come quasi sempre – tra Pristina e Belgrado – all’ultimo secondo, quando tutto sembra andare per il verso sbagliato. Ad annunciarlo, con un tweet in cui si può leggere tutto il sollievo per una situazione che sembrava essere sfuggita di mano dopo l’ultimo incontro fallimentare a Bruxelles tra il premier kosovaro, Albin Kurti, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić, è stato l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “Sono molto lieto di annunciare che i capi-negoziatori del Kosovo e della Serbia, sotto la guida dell’Ue, hanno concordato misure per evitare un’ulteriore escalation e concentrarsi pienamente sulla proposta di normalizzazione delle loro relazioni”.
    Da sinistra: il capo-negoziatore della Serbia, Petar Petković, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, e il capo-negoziatore del Kosovo, Besnik Bislimi (23 novembre 2022)
    La nuova riunione focalizzata sulla questione delle targhe serbe in Kosovo tra i due capi-negoziatori – il kosovaro Besnik Bislimi e il serbo Petar Petković – era stata convocata nella giornata di ieri (mercoledì 23 novembre) dal rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, a Bruxelles. L’obiettivo era quello di dare un seguito più costruttivo al vertice di alto livello di lunedì (21 novembre), per “trovare una soluzione per allentare le tensioni sul campo” a proposito delle targhe serbe in Kosovo e “lavorare per la normalizzazione delle relazioni“, aveva anticipato lo stesso membro del gabinetto von der Leyen. Dopo diverse ore di negoziati – ormai sullo scadere del termine della proroga di 48 ore concessa da Pristina sull’imposizione di multe per le targhe serbe in Kosovo con la sigla KM (acronimo di Kosovska Mitrovica) e altre utilizzate dalla minoranza serba nel nord del Paese – i diplomatici sono arrivati alla fine a un’intesa complessiva, “grazie al loro impegno costruttivo” e al “supporto inestimabile della diplomazia statunitense”, ha specificato Lajčák.
    Secondo quanto reso noto dall’alto rappresentante Borrell, “la Serbia smetterà di emettere targhe con denominazioni di città kosovare“, mentre “il Kosovo cesserà ogni ulteriore azione relativa alla re-immatricolazione dei veicoli“. Si tratta dello stesso compromesso su cui era naufragata la riunione d’emergenza di lunedì e su cui l’alto rappresentante aveva ribadito con forza l’assoluta irremovibilità da parte dell’Ue. Allo stesso tempo, “le parti sono consapevoli che tutti i precedenti accordi di dialogo devono essere attuati” – a partire dagli Accordi di Bruxelles del 2013 – a ridosso di una convocazione dei due leader balcanici che arriverà “nei prossimi giorni”, per “discutere dei prossimi passi” sulle targhe serbe in Kosovo e sulla normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi. Nonostante Bruxelles rimanga saldamente l’attore internazionale in carica per la mediazione dei rapporti tra Pristina e Belgrado, Borrell ha avvertito senza giri di parole che “in caso di ostruzione da parte di una delle parti, abbiamo concordato che l’Ue può interrompere il processo” che dura ormai da oltre 10 anni.

    We reached an agreement between #Kosovo and #Serbia today that will allow to avoid further escalation.
    We will discuss next steps within the framework of our proposal for normalisation of relations between the two parties. pic.twitter.com/YQ7vVWPOgT
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) November 23, 2022

    Cos’aveva scatenato le tensioni sulle targhe serbe in Kosovo
    Le tensioni imperniate sulle targhe serbe in Kosovo sono cresciute giorno dopo giorno nelle regioni settentrionali del Paese nelle prime tre settimane di novembre, dopo l’introduzione del piano a tappe per l’applicazione delle regole sulla re-immatricolazione dei veicoli lo scorso 28 ottobre. Secondo quanto previsto dal piano, fino al 21 novembre è stato emesso solo un solo avvertimento a chi non si è adeguato alle nuove norme sulle targhe serbe in Kosovo, mentre da giovedì (24 novembre, con una doppia proroga per un totale di tre giorni) e il 21 gennaio le autorità kosovare avrebbero dovuto emettere una multa e tra il 21 gennaio al 21 aprile avrebbero dovuto applicare una targa temporanea. Dal 21 aprile in poi l’entrata in vigore sarebbe dovuta essere invece definitiva e i veicoli non conformi sottoposti a sequestro.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (21 novembre 2022)
    Il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo, Lista Srpska, ha deciso di far dimettere sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali, denunciando la “violazione del diritto internazionale” e la mancata istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo (comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia). La situazione è arrivata a diventare così delicata da essere definita dallo stesso alto rappresentante Borrell “la più pericolosa dal 2013“, anche peggiore rispetto ad agosto, quando si era riaccesa la disputa a proposito delle targhe serbe in Kosovo per colpa dell’assenza di una soluzione definitiva dopo quasi un anno di negoziati. “Meno di 50 poliziotti kosovaro-albanesi stanno gestendo la situazione, questo crea un vuoto di sicurezza sul campo molto pericoloso in una situazione di fragilità evidente”, è stato l’allarme suonato a Bruxelles.
    Lo scorso 14 novembre l’alto rappresentante Borrell ha poi dato il via libera al lavoro dei negoziatori delle due parti, prima di convocare una settimana più tardi i leader Kurti e Vučić, proprio in occasione della prima scadenza (prorogata in quel momento a martedì 22 novembre) sull’entrata in vigore delle multe per chi ancora utilizza targhe serbe in Kosovo. Riunione andata poi malissimo, a causa del “comportamento non costruttivo delle parti e della totale mancanza di rispetto per i loro obblighi legali internazionali, in particolare del Kosovo”, ha attaccato con veemenza Borrell al termine del vertice. Nello specifico, quella presentata era “una proposta che avrebbe potuto risolvere la situazione, che il presidente Vučić ha accettato, mentre il primo ministro Kurti non l’ha fatto“. La stessa proposta, appunto, su cui è stato raggiunto un compromesso sulle targhe serbe in Kosovo nella tarda serata di soli due giorni più tardi.
    Da sinistra: il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e della Difesa, Guido Crosetto (22 novembre 2022)
    Mentre Pristina ha accettato lunedì a mezzanotte una proroga di 48 ore sulle multe contro chi usa targhe serbe in Kosovo – chiesta dall’ambasciatore statunitense nel Paese balcanico, Jeff Hovenier, per tentare di raggiungere un’intesa dell’ultima ora -ft immediatamente si è attivata la diplomazia. L’Italia, in particolare, si è inserita con una missione diplomatica guidata dai ministri italiani degli Esteri, Antonio Tajani, e della Difesa, Guido Crosetto, a Pristina, dedicata alle prospettive di integrazione della regione nell’Unione, affiancandolo a una proposta di mediazione franco-tedesca di ampio respiro su cui anche Bruxelles spinge per chiudere in tempi relativamente brevi un dialogo che ha visto fin troppi colpi di scena dall’8 marzo 2011.

    Ad annunciarlo è stato l’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, sullo scadere della proroga per l’entrata in vigore delle multe per la re-immatricolazione dei veicoli. Belgrado smetterà di emettere targhe con denominazioni di città kosovare, Pristina ulteriori azioni del piano a tappe