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    L’Albania è un nuovo membro del Meccanismo di protezione civile dell’Ue. Potrà ricevere e dare supporto contro catastrofi

    Bruxelles – È Tirana a far toccare quota 35 membri al Meccanismo di protezione civile dell’Ue. Con la firma del primo documento ufficiale dal momento dell’avvio dei negoziati di adesione all’Unione, l’Albania da oggi (venerdì 18 novembre) è un nuovo Stato partecipante al sistema di gestione del rischio di catastrofi dell’Ue. “Questo passo arriva in un momento cruciale in cui i rischi naturali sono più frequenti e più intensi”, ha salutato con calore l’intesa il commissario europeo per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, al momento della firma nella capitale albanese con il premier, Edi Rama, e il ministro della Difesa, Niko Peleshi: “Una catastrofe può colpire ovunque e in qualsiasi momento, i nostri sistemi di risposta alle crisi devono essere pronti a resistere alle conseguenze dei cambiamenti climatici”.
    Il commissario europeo per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, a Tirana (18 novembre 2022)
    In qualità di membro a pieno titolo del Meccanismo di protezione civile dell’Ue, l’Albania potrà sia ricevere sostegno immediato sia inviare assistenza ai Paesi colpiti da una catastrofe, con una risposta alle crisi più forte e meglio coordinata in Europa e nel resto del mondo. Prima di aderire ufficialmente, l’Albania è già stata sostenuta dalle squadre di protezione civile dell’Ue in seguito al terremoto del novembre 2019 e agli incendi delle ultime tre estati. “Desidero ringraziare le autorità di protezione civile albanesi per la determinazione e l’instancabile impegno con cui hanno dato vita a questo importante sviluppo“, ha sottolineato il commissario Lenarčič, che ha ricordato come il lavoro congiunto possa “migliorare significativamente la nostra preparazione alle emergenze e costruire un sistema di gestione delle catastrofi più resiliente in Europa”.
    Cos’è il Meccanismo di Protezione Civile dell’Ue
    Istituito nel 2001 dalla Commissione, il Meccanismo di protezione civile dell’Ue è il mezzo attraverso cui i 27 Paesi membri e altri 8 Stati partecipanti (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Islanda, Macedonia del Nord, Montenegro, Norvegia, Serbia e Turchia) possono rafforzare la cooperazione per la prevenzione, la preparazione e la risposta ai disastri, in particolare quelli naturali. Una o più autorità nazionali possono richiedere l’attivazione del Meccanismo quando un’emergenza supera le capacità di risposta dei singoli Paesi colpiti: la Commissione coordina la risposta di solidarietà degli altri partecipanti con un unico punto di contatto, contribuendo almeno a tre quarti dei costi operativi degli interventi di ricerca e soccorso e di lotta agli incendi. In questo modo vengono messe in comune le migliori competenze delle squadre di soccorritori e si evita la duplicazione degli sforzi. In 21 anni di attività, il Meccanismo di protezione civile dell’Ue ha risposto a oltre 600 richieste di assistenza all’interno e all’esterno del territorio dell’Unione.
    Il Meccanismo comprende un pool europeo di protezione civile, formato da risorse pre-impegnate dagli Stati aderenti, che possono essere dispiegate immediatamente all’occorrenza. Il centro di coordinamento della risposta alle emergenze è il cuore operativo ed è attivo tutti i giorni 24 ore su 24. A questo si aggiunge la riserva rescEu, una flotta di aerei ed elicotteri antincendio (oltre a ospedali da campo e stock di articoli medici per le emergenze sanitarie) per potenziare le componenti della gestione del rischio di catastrofi: nel corso di quest’estate la Commissione ha finanziato anche il mantenimento di una flotta antincendio rescEu aggiuntiva in stand-by, messa a disposizione da Italia, Croazia, Francia, Grecia, Spagna e Svezia. A Bruxelles si sta sviluppando anche una riserva per rispondere a incidenti chimici, biologici, radiologici e nucleari.
    Questo strumento si è dimostrato negli anni la chiave di volta per contrastare gli incendi boschivi e proteggere un ambiente naturale sempre più minacciato dai cambiamenti climatici ed estati che toccano livelli record in termini di temperatura. Nel 2022 sul territorio dell’Unione sono andati bruciati oltre 700 mila ettari di bosco – mai così tanti dal 2006 – ma allo stesso tempo sono state decisive le operazioni congiunte. Quella più grossa di quest’estate ha riguardato la Francia sud-occidentale, dove sei aerei della flotta rescEu (di cui due inviati dall’Italia) e quattro squadre di vigili del fuoco provenienti da Germania, Polonia, Austria e Romania hanno supportato i colleghi francesi per domare gli incendi nel dipartimento della Gironda.

    Con la firma del documento a Tirana alla presenza del commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, il Paese balcanico diventa il 35esimo Stato partecipante del sistema di gestione del rischio di catastrofi dei 27 Paesi membri dell’Unione (più altri 8 partner)

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    I Ventisette hanno autorizzato la Commissione ad avviare i negoziati per dispiegare Frontex nei Balcani Occidentali

    Bruxelles – Il dispiegamento degli agenti Frontex su tutte le frontiere dei Balcani Occidentali si avvicina sempre di più. Dopo la raccomandazione della Commissione Europea dello scorso 26 ottobre, il Consiglio dell’Ue ha deciso oggi (venerdì 18 novembre) di autorizzare i negoziati con Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Serbia per ampliare gli accordi sulla cooperazione dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera.
    Gli accordi negoziati nell’ambito del nuovo mandato di Frontex consentiranno all’agenzia di assistere i quattro Paesi balcanici nella gestione delle persone migranti in arrivo, nel contrastare l’immigrazione irregolare e nell’affrontare la criminalità trans-frontaliera. I nuovi accordi consentiranno al personale Frontex di esercitare poteri esecutivi, come i controlli di frontiera e la registrazione delle persone.
    In altre parole, se il nuovo quadro giuridico sarà negoziato secondo i termini di Bruxelles, i corpi permanenti dell’Agenzia Ue potranno essere dispiegati in tutta regione: non più solo alle frontiere esterne dell’Ue ma anche alle frontiere interne tra Paesi terzi. In questo scenario, Frontex potrà operare con pieni poteri esecutivi anche alle frontiere tra Macedonia del Nord-Albania, Macedonia del Nord-Serbia, Albania-Montenegro, Montenegro-Serbia, Montenegro-Bosnia ed Erzegovina e Serbia-Bosnia ed Erzegovina. Rimane anche sul fronte della gestione congiunta delle frontiere il buco nero del Kosovo, dal momento in cui non c’è ancora l’unanimità tra i Ventisette sul riconoscimento della sua sovranità (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia si oppongono).
    A oggi, il dispiegamento degli agenti può avvenire solo alle frontiere degli Stati membri dell’Unione (e senza poteri esecutivi). “Le sfide migratorie nella rotta dei Balcani Occidentali non iniziano alle frontiere dell’Unione”, ha commentato il ministro dell’Interno della Repubblica Ceca e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Vít Rakušan: “La cooperazione con i nostri partner, anche attraverso l’invio di personale Frontex, è essenziale per individuare e bloccare tempestivamente i movimenti migratori irregolari“. Secondo il ministro ceco, questo accordo “migliorerà la protezione delle frontiere esterne dell’Unione”, contribuendo allo stesso tempo “agli sforzi dei Paesi dei Balcani Occidentali per impedire ai contrabbandieri di utilizzare i loro territori come tappe di transito“.
    Lo stato dell’arte degli accordi Frontex con i Balcani Occidentali
    Gli accordi sullo status di Frontex nell’ambito del precedente mandato dell’Agenzia europea sono stati conclusi con l’Albania nell’ottobre 2018, con il Montenegro nell’ottobre 2019 e con la Serbia un mese più tardi, mentre dal 2017 è in stallo quello con la Bosnia ed Erzegovina, mai firmato dal momento dell’entrata in vigore del regolamento rivisto. È per questo motivo che per la Commissione era considerato cruciale il via libera alle raccomandazioni dal Consiglio dell’Ue, per autorizzare lo stesso esecutivo ad avviare i negoziati con Tirana, Podgorica, Belgrado e Sarajevo.
    Nel corso del tappa a Skopje dello scorso 26 ottobre (nel contesto del suo viaggio nei Balcani Occidentali), la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha messo il cappello sulla firma del secondo accordo con la Macedonia del Nord, che permetterà a Frontex di dispiegare squadre di gestione delle frontiere, sia alle frontiere con l’Unione (Grecia e Bulgaria) sia con gli altri Paesi balcanici extra-Ue (Serbia, Kosovo e Albania). Si tratta del primo documento ufficiale firmato dal momento dell’avvio dei negoziati di adesione all’Ue della Macedonia del Nord, in cui ha rivestito un ruolo significativo la traduzione anche in lingua macedone, “senza note, senza asterischi, su un piano di parità con tutte le 24 lingue dell’Unione Europea”, ha sottolineato von der Leyen.
    A questo si aggiunge un nuovo pacchetto di assistenza da 39,2 milioni di euro nell’ambito dello strumento di assistenza pre-adesione (IPA III) per rafforzare la gestione delle frontiere nei Balcani Occidentali. I finanziamenti di Bruxelles – arrivati a 171,7 milioni di euro – serviranno principalmente per l’acquisto di attrezzature specializzate, come sistemi di sorveglianza mobile, droni, dispositivi biometrici, formazione e sostegno ai Centri nazionali di coordinamento e creazione di strutture per “accoglienza e detenzione”, specifica l’esecutivo Ue.

    Con il via libera del Consiglio dell’Ue, l’esecutivo comunitario potrà negoziare con Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Serbia l’operatività dei corpi permanenti non più solo alle frontiere esterne dell’Unione ma anche alle frontiere interne tra Paesi terzi, garantendo poteri esecutivi

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    L’Albania è già pronta a ospitare il vertice Ue-Balcani Occidentali di dicembre. Con la benedizione di von der Leyen

    Bruxelles – Terza tappa del viaggio di quattro giorni nei Balcani Occidentali, terzo giro di applausi per la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen. E quello di oggi pomeriggio (giovedì 27 ottobre) in Albania è sembrato quello più convinto. “Non è solo il protocollo che me lo fa dire, ma parlo davvero quando dico che è un piacere accoglierla, perché con la sua leadership siamo più vicini che mai all’Unione Europea”, ha aperto la conferenza stampa nel pomeriggio di oggi (giovedì 27 ottobre) a Tirana il primo ministro albanese, Edi Rama.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro dell’Albania, Edi Rama (Tirana, 27 ottobre 2022)
    L’entusiasmo del premier dell’Albania e della stragrande maggioranza del Paese è dettato principalmente dallo sblocco dello stallo sull’avvio dei negoziati di adesione Ue (dopo la risoluzione del veto bulgaro sul dossier macedone, da cui Tirana dipendeva) con il via libera ufficiale arrivato lo scorso 19 luglio. Nonostante non sia mai stato messo in dubbio il supporto della Commissione e della sua presidente, lo stesso Rama non aveva parlato nello stesso modo dopo il fallimento del vertice di Bruxelles di fine giugno (gli addetti ai lavori ricordano una conferenza stampa con il presidente serbo, Aleksandar Vučić, quantomeno discutibile per la verve polemica). Dopo quattro mesi invece le parole sono solo positive, con lo sguardo rivolto al prossimo futuro: “Il 6 dicembre tutti i leader dell’Unione e della regione arriveranno a Tirana per il vertice Ue-Balcani Occidentali, è quasi incredibile essere riusciti a ospitare un altro evento europeo di così grande importanza, dopo la finale della Conference League” (la competizione Uefa di calcio, vinta dalla Roma). “Ci rivedremo a dicembre a Tirana, sarà un incontro molto importante”, ha confermato la presidente von der Leyen.
    Tra i due vertici “sono successe tante cose”, ha ricordato la numero uno della Commissione, in particolare “il momento toccante e speciale” dell’avvio dei negoziati di adesione Ue dell’Albania: “È un vostro successo, è il risultato di molti anni di duro lavoro, anni di pazienza“. Tutto questo impegno sul percorso di avvicinamento all’Unione “sta dando i suoi frutti con i negoziati di adesione”, ha assicurato von der Leyen, come dimostrato dal pieno allineamento alla politica estera e di sicurezza dell’Ue e alle sanzioni internazionali contro la Russia: “È esemplare il modo in cui l’Albania ha difeso attivamente l’ordine internazionale basato sulle regole nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, questo vi fa onore”. Per quanto riguarda il processo di screening dei negoziati, l’ultima relazione sull’allargamento Ue “mostra tutti i progressi” del Paese su Stato di diritto, riforme del sistema giudiziario, uguaglianza e inclusione sociale, così come il rafforzamento dell’economia dopo le ondate Covid-19: “Sono tutti risultati molto tangibili e visibili”, nonostante l’impatto della guerra russa in Ucraina su tutto il continente europeo.

    Albania is moving forward on its EU path.
    This is your success.
    The result of years of efforts by the Albanian people.
    I welcome our foreign policy alignment.
    You are showing it again in your stand for a rules-based order in your UN Security Council term.
    This honours you. pic.twitter.com/ZSmsNnAuHu
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) October 27, 2022

    L’asse energetico tra Ue e Albania
    A proposito della guerra russa in Ucraina, come ricordato dalla presidente von der Leyen anche a Skopje e Pristina, “tutti noi sentiamo gli effetti a catena dell’aumento dei prezzi dell’energia e dell’instabilità della sicurezza dell’approvvigionamento”. Se l’Albania è “completamente indipendente dal gas russo, grazie al suo sistema idroelettrico”, nemmeno Tirana può dirsi salva dalle “perturbazioni che vediamo nel mercato dell’energia, con i prezzi alle stelle”. La risposta da Bruxelles rimane “unità e solidarietà”, anche nei confronti dei partner balcanici, che conta oggi – economicamente parlando – 235 milioni di euro. Dopo gli 80 milioni per la Macedonia del Nord e i 75 milioni per il Kosovo, l’Ue fornirà 80 milioni all’Albania “come sostegno diretto al bilancio per affrontare l’impatto degli alti prezzi dell’energia” a partire da gennaio, che saranno intercettati da “un sistema valido per sostenere le famiglie e le piccole e medie imprese”.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Albania, Bajram Begaj (Tirana, 27 ottobre 2022)
    Ma la presidente von der Leyen ha ribadito anche che è soprattutto la seconda parte dell’impegno dell’Unione nei confronti dei partner balcanici al centro dell’attenzione “sul medio e lungo termine”. Si tratta del “sostegno al sistema energetico“, che attraverso il Piano economico e di investimenti veicolerà “altri 500 milioni di euro in sovvenzioni per investimenti in infrastrutture energetiche per l’intera regione“. Il Piano è già all’opera nel Paese – come ha voluto testimoniare con i propri occhi von der Leyen presso il cantiere della ferrovia Tirana-Durrës – ma ora si tratta di spingere anche sul piano energetico. È qui che si inserisce l’investimento congiunto sul gasdotto Ionico-Adriatico (Iap), come riferito dal premier Rama: collegandosi a quello Trans-Adriatico (Tap) che trasporta il gas dall’Azerbaigian, dall’Albania passerà per il Montenegro e la Bosnia ed Erzegovina, fino ad arrivare a Spalato (Croazia).
    Il piano da 500 milioni di euro nella regione svilupperà anche gli investimenti nelle energie rinnovabili, un punto “molto importante” nel discorso di von der Leyen: “È energia prodotta in loco, che crea indipendenza, dà buoni posti di lavoro e fa bene al clima”. Nello specifico, per quanto riguarda l’Albania gli investimenti saranno indirizzati alla centrale solare galleggiante di Vau i Dejës (presso Scutari), alla centrale idroelettrica di Fierza – che “produce un quarto dell’intera produzione di elettricità” nazionale – e altri progetti di più piccola portata, sull’esempio della ristrutturazione energetica del campus dell’Università di Tirana. La presidente dell’esecutivo comunitario ha visitato due università in due capitali balcaniche nello stesso giorno (quella di Pristina e, appunto, quella di Tirana), un segnale da non sottostimare per quanto riguarda le attenzioni di Bruxelles sulle possibilità di ricerca, innovazione e sviluppo sul piano energetico dei partner balcanici.

    Nella terza tappa del viaggio nella regione, la presidente della Commissione Europea ha dato appuntamento a Tirana il prossimo 6 dicembre. Da Bruxelles arrivano 80 milioni di euro contro la crisi energetica e un piano di investimenti a lungo termine in connessioni e rinnovabili

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    Dopo un’attesa di quasi tre anni sono iniziati i negoziati di adesione Ue di Albania e Macedonia del Nord

    Bruxelles – Dopo anni di un processo fermo ai box per trovare il giusto assetto per ripartire, il 19 luglio 2022 segna una nuova data da segnare in rosso nel calendario della politica di allargamento dell’Unione Europea nella regione dei Balcani Occidentali. Con le prime conferenze intergovernative svoltesi oggi a Bruxelles, Albania e Macedonia del Nord hanno avviato i negoziati di adesione Ue, andando a unirsi a Montenegro e Serbia (i cui processi sono iniziati rispettivamente nel 2012 e nel 2014).
    “È il vostro successo e dei vostri cittadini, avete dimostrato resistenza ai nostri valori comuni e fede in quelli dell’accesso all’Unione”, ha salutato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, la giornata “storica” per l’Ue e per i due Paesi balcanici: “Avete fatto tutto questo perché era importante per i vostri Paesi, noi continueremo a supportarvi”. A questo punto inizierà l’esame dell’acquis dell’Ue, che “consentirà ad Albania e Macedonia del Nord di familiarizzare con i diritti e gli obblighi della nostra Unione”, dai trattati agli accordi internazionali, mentre parallelamente si procederà a un avvicinamento in alcune aree-chiave: “L’Albania entrerà nel Meccanismo di protezione civile dell’Ue, per aumentare la resistenza contro incendi, terremoti e alluvioni, mentre la Macedonia del Nord negozierà un accordo con Frontex per rafforzare la cooperazione in materia di migrazione”. Nel frattempo, “con i progressi nei negoziati arriveranno i benefici per il commercio, l’energia, i trasporti e la massimizzazione dei fondi europei per nuovi lavori”, ha assicurato von der Leyen, che ha esortato infine a “stare uniti fino a quando non sarete membri a pieno diritto”.

    We will now start the screening of the EU acquis – and proceed very quickly. Dear @P_Fiala, @EU2022_CZ will also play an important role in advancing this negotiations process. The people of 🇦🇱🇲🇰 deserve it. pic.twitter.com/r39GHTWGpp
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) July 19, 2022

    A prendere immediatamente parola è stato il premier albanese, Edi Rama, che solo un mese fa criticava aspramente l’Unione per l’incapacità di liberare i due “ostaggi” dal ricatto bulgaro: “Ringrazio la presidente von der Leyen che ha saputo lottare per l’Ue e per noi, l’ex-cancelliera tedesca, Angela Merkel, perché senza di lei non saremmo qui, e i recenti sforzi del presidente francese, Emmanuel Macron, che è arrivato a una proposta per sbloccare una situazione assurda”. Il premier Rama ha definito gli ultimi tre anni “una tempesta perfetta”, per i veti prolungati, la pandemia Covid-19, i terremoti che hanno colpito il Paese e le conseguenze della guerra russa in Ucraina: “Sappiamo che questa è solo la fine dell’inizio della prima parte del processo, ma ne avevamo bisogno per continuare a costruire un’Albania e una regione balcanica forti e democratiche“, ha sottolineato con forza Rama.
    Da sinistra: Il premier della Macedonia del Nord, Dimitar Kovačevski, dell’Albania, Edi Rama, e la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen (19 luglio 2022)
    Da rilevare nel punto con la stampa europea è stato un passaggio specifico del discorso della numero uno della Commissione. Rivolgendosi al premier macedone, Dimitar Kovačevski, la presidente von der Leyen ha assicurato di poter “contare sul mio sostegno” per garantire che tutti i passaggi del processo negoziale siano tradotti in lingua macedone, “senza note a piè di pagina, senza asterischi, su un piano di parità con tutte le 24 lingue dell’Ue”. Una dimostrazione pratica della volontà di Bruxelles di rimanere fedele alle promesse fatte a Skopje – anche la settimana scorsa dalla stessa leader dell’esecutivo comunitario direttamente al Parlamento nazionale – in merito al riconoscimento della lingua e dell’identità macedone nella contesa identitaria con la Bulgaria. “L’Ue ci accoglierà come un Paese a cui riconosce la propria lingua madre, è un principio sancito per sempre, che non sarà sottoposto a trattative“, ha esultato il premier macedone, che ha voluto rimarcare come la proposta di mediazione francese per superare il veto della Bulgaria sia “la migliore possibile, che rispetta le nostre linee rosse, e ora siamo pronti per entrare nell’Ue con un processo veloce come è stato quello di adesione alla Nato” nel 2020. “Il nostro sogno si sta avverando”, ha commentato il premier macedone, sottolineando che “siamo una piccola Unione Europea, un Paese multietnico e multi-confessionale unito nella diversità”.
    A rendere la questione più complessa è però la posizione controversa della Bulgaria, che non si è ammorbidita nemmeno dopo la firma protocollo bilaterale che ha permesso di avviare i negoziati di adesione Ue della Macedonia del Nord. In una dichiarazione unilaterale presentata al Coreper (gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio), la delegazione bulgara ha ribadito che Sofia considera il macedone solo un dialetto della propria lingua e che il riferimento alla lingua ufficiale della Repubblica di Macedonia del Nord nei documenti di Bruxelles non ne implica il riconoscimento.
    Tre anni di stallo
    Macedonia del Nord e Albania sono Paesi candidati all’adesione Ue rispettivamente dal 2005 e dal 2014. Il processo di adesione di Skopje è stato ostacolato fino al 2018 dalla Grecia, per la contesa identitaria e sul cambio del nome del Paese balcanico: solo con gli Accordi di Prespa firmati il 12 giugno 2018, la Repubblica di Macedonia è diventata Repubblica della Macedonia del Nord. Era il 19 ottobre 2019 quando il Consiglio Ue, stimolato per due volte dalla Commissione ad aprire i negoziati di adesione con Skopje e Tirana, chiudeva la porta ai due Paesi, con l’opposizione di Francia, Danimarca e Paesi Bassi e la richiesta di implementare le riforme strutturali prima di sedersi ai tavoli negoziali. Dopo cinque mesi, al Consiglio del 25-26 marzo 2020, era arrivato il via libera dei Ventisette, che sembrava aver risolto tutte le questioni rimaste in sospeso. Tuttavia, il 9 dicembre 2020 si era registrato – nemmeno troppo a sorpresa – lo stop della Bulgaria, con il veto all’avvio dei negoziati di adesione di Skopje.
    Da allora il processo è rimasto in stallo sia per la Macedonia del Nord, sia per l’Albania, legate dallo stesso dossier sull’allargamento. A nulla sono servite le pressioni della Commissione e di Paesi membri come l’Italia e la Germania, con due vertici Ue-Balcani Occidentali – il primo a Kranji (Slovenia) nel 2020 e il secondo lo scorso 23 giugno a Bruxelles – che hanno prodotto risultati insoddisfacenti per le ambizioni dell’allargamento dell’Unione in tutta la regione balcanica. La svolta si è concretizzata solo con la spinta decisiva del presidente francese Macron (che fino al 31 giugno era anche a capo della presidenza di turno semestrale del Consiglio dell’Ue), con la proposta di mediazione tra Sofia e Skopje per risolvere una volta per tutte una disputa che ha rischiato di far saltare il banco, a causa della frustrazione sempre più esplicita dei leader balcanici. Grazie a questa iniziativa, prima il Parlamento bulgaro ha revocato il veto e poi – dopo aver accantonato la prima proposta definita “irricevibile” dalla Macedonia del Nord – anche il Parlamento macedone ha dato l’approvazione nella giornata di sabato (16 luglio). Con la firma del protocollo bilaterale tra Bulgaria e Macedonia del Nord si è sbloccata definitivamente la situazione e si è potuti arrivare alle prime conferenze intergovernative per Skopje e Tirana, dopo un’attesa lunga quasi tre anni.

    Finito lo stallo iniziato il 19 ottobre 2019 con il primo veto in Consiglio ai due Paesi balcanici e proseguito nell’ultimo anno e mezzo con l’opposizione della Bulgaria a Skopje. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen: “Avete dimostrato resistenza e fede nei nostri valori comuni”

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    I giorni caldi di Skopje. La Macedonia del Nord di fronte alla proposta aggiornata per lo sblocco dei negoziati adesione UE

    Bruxelles – Siamo entrati nella settimana più calda a Skopje, in cui potrebbero essere decise le sorti di una nazione. Dopo aver rispedito al mittente quella che anche a Eunews avevamo definito una proposta irricevibile, il governo e il Parlamento della Macedonia del Nord stanno vagliando la nuova versione della mediazione francese per sbloccare lo stallo sull’avvio dei negoziati di adesione all’UE (causato dal veto della Bulgaria per questioni bilaterali di natura puramente identitaria). Preso tra i due fuochi delle proteste dell’opposizione nazionalista – che vuole rifiutare anche l’ultimo tentativo di compromesso – e delle pressioni di Bruxelles e di Tirana – a causa del legame imposto all’Albania nel dossier di adesione – l’esecutivo guidato da Dimitar Kovačevski sta valutando attentamente gli sviluppi, sempre più propenso ad accettare l’offerta di Parigi.
    Per sgombrare il campo dagli ultimi dubbi, a Skopje è volato oggi (martedì 5 luglio) il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, dopo il viaggio di sole tre settimane fa. “Avete l’occasione di decidere del vostro futuro, con questa proposta siamo al punto di svolta per il processo di adesione all’UE, con un compromesso che risponde alle vostre preoccupazioni”, ha voluto sottolineare nel corso della conferenza stampa congiunta con il premier della Macedonia del Nord. “Se dite di sì, la prima conferenza intergovernativa sarà convocata nei prossimi giorni e poi procederemo spediti”, ha aggiunto Michel. Secondo quanto hanno fatto sapere entrambi i politici, la proposta francese aggiornata tiene conto di “tutte le preoccupazioni” di Skopje, in particolare sul riconoscimento della lingua macedone al pari di tutte le altre in uso nel Paesi membri dell’Unione. Inoltre, le questioni storiche, culturali e di istruzione (quelle che fanno parte della contesta identitaria con la Bulgaria) non dovrebbero entrare nel quadro dei negoziati a livello UE e dovranno essere trattate a parte tra i due Paesi. “La proposta in discussone in questi giorni include le nostre osservazioni e le opinioni da noi chiaramente espresse“, ha confermato esplicitamente il primo ministro del Paese balcanico: “Stiamo proteggendo l’interesse pubblico e l’identità nazionale macedone, per raggiungere il nostro obiettivo strategico, che è la piena adesione all’UE”.
    “È una vostra decisione sovrana, ma anche un’opportunità storica, troppo importante da lasciarsi sfuggire”, ha incalzato Michel a Skopje, ribadendo con fermezza che “mi schiererò sempre per il rispetto dei diritti dei macedoni, attraverso un dialogo costruttivo“. Questo impegno dichiarato riguarda, appunto, “anche il riconoscimento della vostra lingua e delle vostre legittime preoccupazioni sull’identità nazionale, che devono rispettare le relazioni di buon vicinato”. Il richiamo alla Bulgaria è implicito, ma non per questo di secondaria importanza: “Se introdurrete gli emendamenti costituzionali per il rispetto di tutte le minoranze, dimostrerete alti standard di impegno e noi automaticamente inizieremmo i negoziati di adesione”, che “non potranno mai essere minati da questioni non legittime da un punto di vista dei valori europei“. In altre parole, “il processo di allargamento dell’Unione procederà senza trappole”, ha assicurato il numero uno del Consiglio.
    Il premier Kovačevski ha però avvertito che “spetta al Parlamento prendere una decisione definitiva” in merito alla proposta francese, che consenta l’avvio dei negoziati di adesione UE della Macedonia del Nord: “Solo a quel punto il governo potrà presentare ufficialmente la sua risposta all’Unione Europea”. Ammesso e non concesso che la maggioranza parlamentare darà il via libera alla proposta (anche se ormai sembra sempre più verosimile), come la teoria dell’eterno ritorno, non è da escludere che la nuova proposta aggiornata non susciterà obiezioni a Sofia, dove lo scorso 24 giugno il Parlamento aveva sì revocato il veto all’avvio dei negoziati di adesione UE della Macedonia del Nord, ma sulla base della prima versione della proposta di mediazione francese.

    You are deciding on your future. And on the pivotal next steps.
    North Macedonia belongs in the EU. Your future is with us.
    Together we are on the eve of a possible breakthrough in your country’s EU accession process.@DKovachevski @SPendarovski pic.twitter.com/XbbXUpWMWX
    — Charles Michel (@CharlesMichel) July 5, 2022

    Tra proteste e pressioni
    Quello che preoccupa però Skopje e Bruxelles è soprattutto l’ondata di proteste guidate dall’opposizione in Macedonia del Nord, che resta contraria a qualsiasi soluzione di compromesso che vada incontro anche a parte delle richieste identitarie della Bulgaria. L’ultima è andata in scena nella capitale macedone proprio durate i colloqui del presidente del Consiglio UE con la dirigenza politica del Paese: gli slogan dei gruppi nazionalisti hanno coinvolto non solo la disputa con Sofia, ma anche quella con la Grecia – “solo Macedonia, mai Macedonia del Nord” (in riferimento all’accordo di Prespa del 2018, sul cambio del nome del Paese per risolvere la questione identitaria decennale con Atene). Soprattutto per l’opposizione di VMRO-DPMNE (Partito Democratico per l’Unità Nazionale Macedone) di ispirazione nazionalista-conservatrice, da Parigi è arrivato un “ultimatum inaccettabile” ispirato dalla Bulgaria: secondo il leader Hristijan Mickoski sarebbe “contrario agli interessi nazionali” e in linea con una volontà di favorire “l’assimilazione e la bulgarizzazione” della popolazione.
    Per il premier Kovačevski si tratta invece dell’ultima possibilità concreta per arrivare finalmente all’avvio dei negoziati di adesione all’UE. A maggior ragione se si considerano le pressioni che arrivano dall’altro Paese balcanico che fa parte del dossier sull’avvio dei negoziati UE, l’Albania del premier Edi Rama. “Si tratta di scelte, e questo è il momento di farne una, il mio istinto mi dice che sarebbe un grosso errore non accettare” la proposta francese, ha dichiarato nel corso di un’intervista alla TV macedone Kanal 5 – riportata da Albanian Daily News: “Sarebbe un grosso errore perché il Paese potrebbe essere lasciato indietro e nessuno avrebbe più la volontà di tornare indietro”. In ogni caso, se Skopje deciderà di rifiutare, Tirana spingerà per la prima volta per continuare separatamente, sostenuta in modo esplicito anche dall’Italia: “Abbiamo superato il punto in cui ci è negato di farlo, ma [i politici macedoni, ndr] devono accettare la proposta, perché non ce ne sarà un’altra, e rischiano di rimanere davanti alla porta dell’UE per altri 17 anni”, ha esortato il premier albanese. E al governo Kovačevski è arrivata una sponda proprio dalla minoranza etnica albanese in Macedonia del Nord, che sarebbe pronta ad appoggiare la maggioranza in Parlamento (nonostante il partito Alleanza per gli Albanesi sia seduto nei banchi dell’opposizione) per dare il via libera alla proposta francese, a patto che la lingua albanese sia inserita nella Costituzione nazionale.

    Mentre il governo di Dimitar Kovačevski è sotto pressione per le proteste guidate dall’opposizione, il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, è volato a Skopje per spingere il nuovo tentativo di mediazione sulla contesta con la Bulgaria (che ora considera le preoccupazioni macedoni)

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    L’Italia ha aperto alla possibilità di ‘spacchettare’ il dossier macedone-albanese per sbloccare l’adesione UE di Tirana

    Bruxelles – Tra fallimenti, accuse e proposte per sbloccare gli stalli, la due giorni di vertici – dei leader UE e con i Balcani Occidentali – ha lasciato il segno anche per l’Italia. Per la prima volta, il governo italiano ha aperto esplicitamente alla possibilità di ‘spacchettare’ il dossier sull’adesione UE Macedonia del Nord-Albania, per permettere a Tirana di avanzare con il suo processo senza più attendere che si risolva la controversia tra Skopje e la Bulgaria.
    Nel corso della conferenza stampa post-vertice, il premier Mario Draghi ha messo in chiaro che “uno degli effetti della riunione di ieri è stato che non ci saranno più ritardi” per quanto riguarda l’avanzamento dei sei Paesi balcanici (oltre ai due già nominati, anche Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Montenegro e Serbia). “Da un lato significa che i governi di questi Paesi dovranno impegnarsi nelle riforme richieste, dall’altro lato significa che l’Unione e i suoi membri devono aiutarli”. Tuttavia, il primo ministro italiano ha riferito ai 26 colleghi che “se i lavori sulla Macedonia del Nord si dovessero bloccare di nuovo, chiederemo che l’Albania prosegua da sola“. Quanto suggerito dal premier Draghi è il significato pratico del cosiddetto ‘spacchettamento’. Il dossier sull’allargamento UE che al momento vincola l’una all’altra Tirana e Skopje potrebbe essere diviso in due pacchetti – uno macedone e uno albanese – da affrontare ciascuno indipendentemente dai progressi dell’altro.
    La possibilità ventilata oggi è una novità assoluta per l’Italia, che finora difendeva quella che fonti diplomatiche – nel corso del vertice UE-Balcani Occidentali dello scorso anno a Kranj (Slovenia) – definivano “una questione di coerenza“. Tra il 2018 e il 2019 – e fino al Consiglio UE del marzo 2020 – il dossier macedone-albanese si era bloccato in Consiglio per l’opposizione di Francia, Danimarca e Paesi Bassi, con la richiesta di implementare le riforme strutturali in particolare dell’Albania, mentre la Macedonia del Nord era pronta a cominciare. Allora l’Italia aveva deciso che fosse prioritario mandare il messaggio alla regione che nessun Paese sarebbe stato lasciato indietro. Dopo il veto bulgaro nel dicembre 2020 all’avvio dei negoziati con Skopje, la situazione si è ribaltata e l’Italia ha voluto mantenere la posizione “seria” di rinunciare a fare giravolte sulle promesse fatte fino a pochi mesi prima.
    Il possibile passo indietro deriva invece dal persistere di una situazione di stallo tra Bulgaria e Macedonia del Nord che sembra non si riesca a risolvere, a causa della decisione di Sofia di non rinunciare al proprio diritto di veto in seno al Consiglio sull’avvio dei negoziati, per una disputa bilaterale di natura storico-culturale. Le frustrazioni stanno montando non solo a Skopje, ma anche a Tirana, che si sta vedendo negare da anni l’apertura dei capitoli negoziali senza nemmeno essere direttamente coinvolta nella contesa. Lo ha evidenziato con particolare durezza il premier Edi Rama nel corso della conferenza stampa post-vertice UE-Balcani Occidentali: “Sono dispiaciuto per l’UE, incapace di liberare due ostaggi, che sono anche membri NATO, dalla Bulgaria“. Qualche speranza ora è rappresentata dal voto favorevole del Parlamento di Sofia alla revoca del veto all’avvio dei negoziati di adesione della Macedonia del Nord – e di conseguenza anche dell’Albania – ma le condizioni altamente sfavorevoli per Skopje rendono probabili ulteriori rallentamenti nel prossimo futuro. Il premier Draghi, come tutti i leader dell’Unione, ne è consapevole: ecco perché gli anni del temporeggiamento sono finiti e anche lo ‘spacchettamento’ del dossier macedone-albanese non sarà più un tabù per l’Italia.

    Il premier, Mario Draghi, ha annunciato che “se i lavori sulla Macedonia del Nord si dovessero bloccare di nuovo, chiederemo che Tirana prosegua da sola”. Finora il governo italiano si è attenuto a un “principio di coerenza” sul mantenere legati i due cammini verso l’adesione

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    Completata l’associazione dei Balcani Occidentali a Horizon Europe: Albania aderisce, Bosnia diventa membro formale

    Bruxelles – Almeno un allargamento ai Balcani Occidentali l’Unione Europea è riuscito a completarlo. Non sarà quello che porta a 33 il numero di Stati membri, ma in termini di integrazione europea ha comunque un valore significativo. Oggi (giovedì 10 febbraio) è stata portata a compimento l’associazione dei Balcani Occidentali a Horizon Europe, grazie alla firma degli accordi da parte dell’Albania e l’applicazione formale di quelli con la Bosnia ed Erzegovina.
    La “pietra miliare per una più stretta cooperazione nella ricerca e nell’innovazione con la regione balcanica” è stata siglata dalla commissaria per l’Innovazione, la ricerca, la cultura, l’istruzione e la gioventù, Mariya Gabriel, e dalla ministra dell’Istruzione e dello sport dell’Albania, Evis Kushi. Con questo accordo ricercatori, innovatori ed enti nei sei Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia) possono partecipare a tutti gli effetti a Horizon Europe, il programma UE da 95,5 miliardi di euro per la ricerca e l’innovazione (a prezzi correnti), in condizioni di parità con quelli degli Stati membri dell’Unione.
    “Attraverso la cooperazione reciproca nella ricerca e nell’innovazione possiamo trasformare le sfide attuali in opportunità“, ha commentato la commissaria Gabriel. “L’attuazione dell’Agenda dei Balcani Occidentali e la partecipazione a Horizon Europe avranno un grande impatto nella regione e in Europa in generale”, ha aggiunto, dando il benvenuto all’ultimo Paese balcanico firmatario. L’accordo dimostra l’impegno di Bruxelles a mettere in comune le risorse con i partner strategici per il progresso scientifico e lo sviluppo di ecosistemi innovativi: “Potremo implementare progetti e tecnologie che contribuiranno ad affrontare le sfide globali”.
    Così come Bosnia ed Erzegovina, Montenegro, Macedonia del Nord e Serbia, anche l’Albania era stata precedentemente associata al programma Horizon 2020, da cui circa mille organizzazioni balcaniche hanno ricevuto 170 milioni di euro di contributo diretto dell’UE tra il 2014 e il 2020. Il Kosovo è stato invece incluso dal 2021 nel successivo programma Horizon Europe, così come nell‘Agenda dei Balcani Occidentali su innovazione, ricerca, istruzione, cultura, gioventù e sport, la strategia di cooperazione globale e a lungo termine dell’UE e della regione balcanica per promuovere l’eccellenza scientifica e la riforma dei sistemi educativi.
    Per quanto riguarda la Bosnia ed Erzegovina, la commissaria Gabriel e la ministra degli Affari civili, Ankica Gudeljević, hanno firmato l’accordo Horizon Europe che ha permesso all’accordo di entrare in vigore con effetti retroattivi dal primo gennaio 2021. Questo significa che ora il Paese è formalmente associato al programma e che tutte le entità e i rappresentanti bosniaci sono pienamente inclusi nelle strutture di governance e nelle attività della rete.

    A warm welcome to #Albania 🇦🇱 to @HorizonEU!
    Thank you @EvisKushi, Minister for Education and Sports for signing on behalf of @AlbGov
    Through mutual cooperation in #reserach #science & #innovation we can turn current challenges into opportunities!#WesternBalkans pic.twitter.com/NswOxUCBvV
    — Mariya Gabriel (@GabrielMariya) February 10, 2022

    Dopo la firma dei due documenti con Tirana e Sarajevo, il programma UE per la cooperazione nella ricerca e nell’innovazione da 95,5 miliardi di euro si applicherà ai sei Paesi balcanici a pari condizioni di quelli membri UE

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    Il sostegno UE alle riforme sullo Stato di diritto nei Balcani Occidentali è stato “largamente insufficiente”

    Bruxelles – La rotta è giusta, ma quanto fatto finora non è abbastanza. Si può riassumere così la valutazione della Corte dei Conti Europea sul sostegno UE alle riforme per lo Stato di diritto nei Balcani Occidentali. Secondo la relazione speciale pubblicato oggi (lunedì 10 gennaio) gli interventi dell’Unione Europea hanno avuto un impatto “largamente insufficiente” su questo aspetto fondamentale del cammino dei sei Paesi balcanici (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia) verso l’adesione all’UE.
    La verifica della Corte dei Conti Europea era iniziata nel gennaio dello scorso anno, con l’obiettivo di analizzare se il supporto europeo fosse stato progettato in modo appropriato, se fosse stato utilizzato “coerentemente per affrontare le questioni-chiave” e se avesse portato a miglioramenti “concreti e sostenibili”.
    Nonostante sia stato riconosciuto lo sforzo di Bruxelles nell’accelerare le riforme fondamentali per il rafforzamento dello Stato di diritto nei Balcani (separazione dei poteri, procedure legislative trasparenti e democratiche, certezza giuridica, controllo giurisdizionale efficace, indipendenza e imparzialità dei giudici, uguaglianza davanti alla legge), hanno pesato in questo contesto “l’insufficiente volontà politica e lo scarso impegno” delle istituzioni nazionali nell’affrontare “problemi persistenti” come la concentrazione del potere, le ingerenze politiche e la corruzione.
    Il contributo dell’UE ai Paesi balcanici è prima di tutto finanziario, rappresentando il principale donatore a livello globale per lo sviluppo economico della regione. Oltre al Piano economico e di investimenti da 29 miliardi di euro presentato dalla Commissione UE nell’ottobre del 2020, l’assistenza finanziaria dell’UE viene garantita grazie allo strumento di assistenza pre-adesione (IPA). Nel periodo 2014-2020 sono stati stanziati circa 12,8 miliardi di euro attraverso IPA II – di cui 700 milioni per sostenere lo Stato di diritto e i diritti fondamentali nei Balcani Occidentali – mentre a partire dallo scorso anno (fino al 2027) è attivo IPA III con una dotazione di 14,2 miliardi. Tuttavia, tra sovvenzioni, sostegno al bilancio, assistenza tecnica e scambio di informazioni, questo sostegno non è stato considerato sufficiente dalla Corte dei Conti UE e soprattutto “il suo impatto non è stato rigorosamente monitorato“.
    Dotazione finanziaria bilaterale IPA II per lo Stato di diritto e i diritti fondamentali (2014-2020)
    La cartina tornasole è l’aggravamento delle forme di autoritarismo nei sei Paesi balcanici negli ultimi dieci anni, proprio in corrispondenza dell’erogazione dei fondi attraverso gli strumenti IPA e nonostante i “progressi formali compiuti verso l’adesione all’UE” (i negoziati sono stati aperti solo con Serbia e Montenegro, mentre Macedonia del Nord e Albania sono bloccate dal veto della Bulgaria in seno al Consiglio dell’UE). Citando il rapporto 2021 dell’ONG Freedom House, la Corte dei Conti Europea ha sottolineato che “i governi dei Balcani Occidentali sono riusciti a combinare un impegno formale per la democrazia e l’integrazione europea con pratiche autoritarie informali” e che, fatta eccezione per la Macedonia del Nord, sul rispetto dello Stato di diritto “tutti questi Paesi presentano una tendenza stabile o addirittura in regresso”.
    Preoccupano le forme di corruzione che impediscono ai sistemi giudiziari di indagare, perseguire e sanzionare in modo efficace, che creano monopoli in settori strategici e che mettono a repentaglio la libertà di espressione: non a caso quest’ultimo è l’ambito in cui sono stati registrati meno progressi in tutti e sei i Paesi balcanici. Oltre alla mancanza di volontà politica interna, un altro fattore del giudizio della Corte con sede in Lussemburgo è legato al fatto che “l’UE si è avvalsa troppo di rado della possibilità di sospendere l’assistenza nel caso in cui un beneficiario non osservi i princìpi fondamentali della democrazia, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani”. La Corte dei Conti Europea ha avvertito che “se l’azione dell’Unione sembra aver contribuito alle riforme, è perché le comunicazioni a riguardo tendono a concentrarsi sui dati quantitativi relativi alle realizzazioni e non abbastanza su quello che le riforme hanno effettivamente conseguito“.
    “I modesti progressi compiuti negli ultimi 20 anni mettono a rischio la sostenibilità complessiva del sostegno fornito dall’UE nell’ambito del processo di adesione”, ha commentato Juhan Parts, membro della Corte dei Conti Europea e responsabile della relazione speciale. “Le riforme costanti perdono di credibilità se non conducono a risultati tangibili“, ha aggiunto. Per questo motivo è stato raccomandato alla Commissione UE e al Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) di rafforzare il meccanismo per promuovere le riforme fondamentali, di intensificare il sostegno alle organizzazioni della società civile e ai media indipendenti nei singoli Paesi dei Balcani Occidentali e, nell’ambito dello strumento IPA III, di rafforzare sia il ricorso alla condizionalità sullo Stato di diritto sia la rendicontazione e il monitoraggio dei progetti finanziati da Bruxelles.

    Lo evidenzia una relazione della Corte dei Conti UE, che sottolinea sia la mancanza di volontà politica dei governi nazionali, sia il fatto che l’UE non abbia quasi mai sospeso l’assistenza finanziaria in caso di palesi violazioni