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    Vertice UE-Africa in Angola: 150 miliardi per lo sviluppo del Continente

    Bruxelles – Al tavolo più di settanta leader, di solito divisi dalla striscia di mar Mediterraneo. Nella capitale dell’Angola, Luanda, si sono riuniti i capi di stato e di governo dell’Unione Europea e della Unione Africana (entità che raccoglie i 55 paesi del continente africano). L’evento celebra i 25 anni di partenariato tra le due entità e ha avuto come focus i finanziamenti comunitari allo sviluppo africano. “In un mondo di conflitti commerciali, una partnership più stretta tra noi inizia dal commercio” ha affermato la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen.Il summit non è di quelli semplici, tra i due continenti ci sono secoli di colonizzazione, difficili da dimenticare. Per questo l’Europa si presenta al tavolo cercando in tutti i modi di mostrarsi come un amico e non come un usurpatore. “Vogliamo che Africa ed Europa siano partner per scelta” ricorda von der Leyen, risponde sul tema, Mahmoud Ali Youssouf, presidente della Commissione dell’Unione Africana: “Non è più tempo di essere solo dei fornitori di materie prime”.Il Global Gateway per l’AfricaLa proposta europea gravita intorno ai 150 miliardi del pacchetto d’investimenti Global Gateway. Von der Leyen ne celebra già i primi successi: “Quando lo abbiamo lanciato, puntavamo a investire 150 miliardi di euro in Africa entro il 2027. Finora, abbiamo già mobilitato oltre 120 miliardi di euro”. Gli obiettivi sarebbe quelli di accelerare la transizione verde e digitale oltre a promuovere una crescita sostenibile della sanità e dell’istruzione. Investimenti concreti che hanno l’intenzione di far crescere un continente con enormi problemi strutturali.La ferrovia dei mineraliIl progetto strategico che più fa discutere è poi l’ammodernamento della ferrovia da 1.300 chilometri che si snoda attraverso Zambia, Repubblica Democratica del Congo e Angola fino al porto di Lobito. L’infrastruttura sarebbe essenziale per l’approvvigionamento europeo di materie prime strategiche: uno dei principali obiettivi dei leader europei. Sulla questione si era già portato avanti il commissario europeo per lo sviluppo Jozef Síkela, che due settimane fa aveva annunciato l’impiego per oltre 200 milioni di euro a sostegno della crescita industriale dello Zambia.Il focus principale del pacchetto era il restyling (ad oggi i treni viaggiano massimo a 45 chilometri orari) della ferrovia che porta a Lobito. L’idea è nobile. Rimodellare questa infrastruttura porterebbe a uno sviluppo delle aree circostanti. Il rischio è però la costruzione di una cattedrale nel deserto, utile solo agli interessi europei.L’aspetto storico e simbolico non è però da sottolineare. La costruzione risale alla fine del XIX secolo e ai primi decenni del XX secolo. All’epoca i governi coloniali di Belgio e Portogallo realizzarono la Benguela Railway, capace di collegare le aree minerarie del Katanga (oggi Repubblica Democratica del Congo) al porto di Lobito, in Angola.Von der Leyen ne è consapevole e quando parla dell’argomento usa tatto: “Conoscete tutti questo ambizioso progetto per portare minerali essenziali dallo Zambia e dalla Repubblica Democratica del Congo ai mercati globali. Ma c’è molto di più. Con il lancio del corridoio, abbiamo anche iniziato a collaborare con gli agricoltori proprio qui in Angola”, ricordando come alla fine sia sempre un processo win-win, “le aziende europee hanno fornito formazione – continua la presidente – hanno aiutato le aziende locali ad allinearsi agli standard europei e ad espandere la loro capacità di esportazione”.La ferrovia del Benguela ad oggi esistente capace di collegare Angola e Repubblica Democratica del Congo. L’infrastruttura è stata costruita durante l’epoca coloniale (Fonte Wikipedia)La Cina è la potenza da sfidareNei discorsi di distensione tra Africa ed Europa non viene citato però l’elefante nella stanza: la Cina. L’Angola, sede del summit, ad esempio è il principale debitore di Pechino in Africa. L’ex colonia portoghese deve risarcire circa 46 miliardi di dollari. Gli investimenti cinesi non toccano solo la parte occidentale del Continente. In questi anni i soldi di Pechino hanno coinvolto da nord a sud il continente concentrandosi sul finanziamento di risorse strategiche orientate all’accesso a minerali critici, progetti infrastrutturali, oltre che prestiti diretti agli stati. La Cina, con un passato senza macchia nella regione, è diventata negli anni il principale player nella zona.While the United States has been busy burning bridges, China has been building them.52 out of 54 countries in Africa now trade more with China than the United States. pic.twitter.com/p4GLnAVJs5— Jostein Hauge (@haugejostein) April 3, 2025Le chance dell’UnioneAll’Unione non resta che giocare la carta della prossimità territoriale, visto che come ricordato da von der Leyen: “L’Europa è già di gran lunga il vostro primo partner commerciale. Un terzo del commercio totale dell’Africa avviene con l’Europa, e l’Africa esporta verso l’Europa più del doppio rispetto alla Cina”. La sfida insomma è iniziata. Il divario da colmare però è ancora molto. Si inizierà a capire qualcosa in più quando il summit tra i leader dei due continenti sarà concluso.

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    Von der Leyen: “Non combattiamo i combustibili fossili ma le emissioni, investire in Africa”

    Bruxelles – “Non stiamo combattendo i combustibili fossili, quanto le emissioni che derivano dai combustibili fossili“. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen gioca la carta dell’equilibrismo politico per rilanciare l’agenda della Commissione europea senza scontentare i partner, e uno su tutti, quello statunitense, poco convinto della necessità di modelli produttivi alternativi. Si presenta al G20 in Sud Africaper rilanciare investimenti puliti in Africa, ma senza operare strappi con gli altri partner. Da qui la doverosa precisazione, che non è presa di distanza da chi continua a investire nelle logiche tradizionali, ma necessità di conciliare interlocutori riluttanti con altri più possibilisti.La presidenza Trump con la sua politica muscolare e ‘bulla’ restano un elemento molto presente. Non si tira in ballo in esplicitamente, ma sia von der Leyen sia il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, insistono ripetutamente sulla natura affidabile dell’UE come partner, su come l’UE creda nel regole e nel loro rispetto. Tutte sottolineature volte a far capire che l’Unione europea, a differenza degli Stati Uniti, non procederà mai con colpi di mano. “Siamo qui perché crediamo nel multilateralismo, e nell’ordine fondato sulle regole“, sottolinea Costa, convinto che “cambiamento climatico, disuguaglianza e povertà sono tre questioni principali su cui dobbiamo mobilitare il mondo intero”. A cominciare dall’Africa. E’ soprattutto qui che occorre sviluppare obiettivi e ambizioni europei in termini di sostenibilità.“Lo scorso anno gli investimenti in energia pulita hanno raggiunto i duemila miliardi di euro a livello globale, ma solo il 2 per cento di questi investimenti è stato destinato all’Africa, il continente con il 60 per cento del miglior potenziale solare al mondo”, lamenta von der Leyen, secondo cui “questo non può essere possibile”. Questo è il motivo per cui la campagna ‘Scaling Up Renewables for Africa‘ intende riunire governi, investitori e filantropi per un futuro dell’Africa senza combustibili fossili.Perché, insiste von der Leyen, “la vera questione, quando si parla di cambiamenti climatici, è l’energia“. Nell’UE, rivendica, “negli ultimi venti anni abbiamo ridotto le emissioni [di gas a effetto serra] del 50 per cento, grazie soprattutto ai tagli delle emissioni nell’energia”. Fuori dall’Europa si può ripetere l’esperienza: “Questo potenziale è forte nel continente africano”, ammette la tedesca.L’UE va alla riunione delle principali 20 economie mondiali con un occhio all’Africa tutta. E’ ai Paesi del continente, a iniziare dal Sudafrica presidente di turno del G20, che si guarda per trovare quell’alternativa verde e sostenibile all’America di Trump, che si vuole mettere all’angolo anche per ciò che riguarda l’ordine internazionale. E’ soprattutto ad Africa e Sudafrica che Costa chiede di “impegnarci nella riforma delle istituzioni finanziarie internazionali e nella riforma delle Nazioni Unite affinché riflettano il mondo di oggi, perché il mondo di oggi non è più lo stesso del 1945″. Il nuovo corso nelle relazioni UE-Africa passa dunque per il G20 e le intenzioni con cui l’Europa si presenta all’appuntamento.

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    Von der Leyen: “Global Gateway meglio delle attese, ora la piattaforma per le imprese”

    Bruxelles – Il Global Gateway funziona. La strategia lanciata nel 2021 dalla Commissione europea per una cooperazione mondiale volta a promuovere la doppia transizione energetica e digitale ha prodotto anche più di quello che ci si era prefissato. “Il nostro obiettivo iniziale era di mobilitare 300 miliardi di euro in cinque anni. Ma oggi abbiamo già raggiunto questo obiettivo“, annuncia la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, aprendo i lavori dell’edizione 2025 del Global Gateway Forum. “In quattro anni, abbiamo già mobilitato oltre 306 miliardi di euro. E sono fiduciosa che supereremo i 400 miliardi di euro entro il 2027“. Buone notizie, in un mondo meno prevedibile e in cui l’Unione europea fa fatica a posizionarsi. Il Global Gateway nasce per rispondere innanzitutto alla penetrazione e all’avanzata commerciale cinese, ma torna di maggiore utilità soprattutto oggi, scandisce von der Leyen, in un momento in cui “dazi e barriere commerciali tornano a essere uno strumento di geopolitica e geoeconomia”. Ogni riferimento agli Stati Uniti di Donald Trump non è casuale, visto che l’accordo UE-USA sui dazi sembra non considerare quella green economy, mentre con il Global Gateway “stiamo cercando di rafforzare la nostra autonomia in settori strategici, dall’energia pulita all’intelligenza artificiale“. Avanti con la doppia transizione, dunque, a vele spiegate e anche di più. L’entusiasmo per i risultati ottenuti induce von der Leyen ad annunciare il Global Gateway Investment Hub, “una piattaforma unica per le aziende che vogliono proporre investimenti” alla politica. Questo ‘hub’ intende essere “un luogo in cui Stati membri, banche di sviluppo, agenzie di credito all’esportazione e aziende si incontrano per elaborare offerte coordinate”. Perché, insiste, la presidente della Commissione europea, “insieme possiamo offrire solidi rendimenti per gli investitori, valore strategico per l’Europa e benefici duraturi per i nostri partner”.João Manuel Gonçalves Lourenço, presidente dell’Angola e dell’Unione Africana, al Global Gateway Forum 2025 [Bruxelles, 9 ottobre 2025]“La cooperazione tra Unione europea e Africa attraverso il Global Gateway ha un potenziale enorme“, riconosce Joao Manual Gonçalves Lourenço, presidente dell’Angola e dell’Unione africana. “In un momento di profonde interconnessioni questioni come sicurezza energetica, inclusione sociale e resistenza ai cambiamenti climatici diventano di vitale importanza”, ammette, promettendo di “dare più valore alla materie prime che abbiamo in Africa” e che sono fondamentali per la doppia transizione.Commissione europea ed Europa degli Stati trovano il sostegno e la sponda anche del Sudafrica, membro del G20 e dei BRICS, e dunque partner strategico in quanto attore ‘amico’ di Paesi quali Cina, Russia, India, tutti competitor dell’UE sullo scenario globale. “I dazi non dovrebbero essere usati come arma, ma regolamentati secondo le regole dell’Organizzazione mondiale per il commercio (WTO)”, sottolinea Cyril Ramaphosa, presidente del Sudafrica, Paese che del G20 detiene la presidenza di turno. “Siamo pronti a collaborare con l’UE”, su questo punto come su altri. “Dobbiamo usare il commercio come strumento per rafforzare economia e industrializzazione e il Global Gateway rappresenta un buon modo per farlo”.Il mondo e la situazione globale visti dal sud America appaiono in modo diverso, tanto che Gustavo Francisco  Petro Urrego, presidente della Colombia e della comunità dei Paesi dell’America latina e dei Caraibi (CELAC), invita l’UE e i partner mondiali a riconsiderare le relazioni con Mosca, al centro di una guerra contro l’Ucraina che bisognerà imparare a superare. “Se vogliamo connetterci con l’est dobbiamo includere Cina, Giappone, e magari anche la Russia“, scandisce. Questo perché “gli Stati Uniti vogliono isolarsi, oggi la realtà è questa” e bisogna farci i conti. Mentre a livello di agenda politica Urrego guarda al Global Gateway per rilanciare fibra ottica, sostenibilità e lotta ai cambiamenti climatici.

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    Torna la paura terrorismo nell’Ue: “La capacità di Daesh di colpire sta crescendo”

    Bruxelles – Torna a crescere l’allerta terrorismo in Europa, con gli Stati membri dell’Ue ora inquieti per Daesh e una possibile nuova stagione di attentati di matrice islamica. L’allarme c’è, e gli Stati non fanno nulla per nasconderlo. Anzi, lo mettono nero su bianco anche nel comunicato stampa che accompagna la decisione politica di rafforzare la cooperazione nella lotta al terrorismo non solo tra i Ventisette, ma soprattutto con i Paesi terzi.“Il Consiglio nota con grande preoccupazione che la capacità della provincia di Daesh Khorasan (ISKP) di ispirare e condurre operazioni esterne, anche in Europa, sta crescendo“, riconoscono i ministri degli Esteri al termine della riunione tenuta a Bruxelles. Una riunione ministeriale della coalizione globale anti-Daesh. Della coalizione fanno parte Australia, Bahrain, Belgio, Regno Unito, Canada, Danimarca, l’Egitto, Francia, Germania, Iraq, Italia, Giordania, Kuwait, Libano, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Qatar, Arabia Saudita, Spagna, Svezia, Turchia, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti [foto: Angelo Carconi/imagoeconomica]La minaccia è globale. Da un parte si guarda all’Asia, perché Isis-Daesh ha sede in Afghanistan e “presente nelle aree limitrofe”. Il problema è che l’Afghanistan è ora sotto il controllo dei talebani, con cui l’Ue fa non poca fatica a relazionarsi. Un interlocutore difficile, e parlare con il governo per ragioni di sicurezza vuol dire riconoscere il regime islamico.Ancora, in questo scenario il Consiglio Ue sottolinea come “la crisi in corso in Medio Oriente stia guidando la radicalizzazione in tutto il mondo“, con tutte le ricadute del caso. A cominciare dalla regione. Per questo il consesso dei ministri degli Esteri conferma “l’impegno incrollabile dell’Ue nella lotta al terrorismo in Iraq e Siria”. Un riferimento non casuale quello del Paese appena liberato dall’ex presidente Bashar al-Assad, ma liberato da forze – la milizia islamista Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) – che l’Ue riconosce come organizzazione terroristica. L’Ue vuole lavorare ad un stabilizzazione della Siria, più per paura di migranti in marcia verso l’Europa che per i valori tanto sbandierati in questi ultimi mesi. Proprio la questione migratoria alimenta anche i rinnovati timori per il continente sulla sponda sud del Mediterraneo. “La minaccia terroristica in Africa sta aumentando, con Da’esh, al-Qaeda, i loro affiliati e altri attori non statali che sfruttano i conflitti locali e la fragilità sociale, politica ed economica”, avvertono i ministri, i quali sottolineano che “di particolare preoccupazione è il deterioramento della situazione della sicurezza nel Sahel, con effetti di ricaduta sugli stati costieri dell’Africa occidentale e potenzialmente sul Nord Africa”.

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    Clima, Ue-Ua rilanciano la collaborazione meteo con un programma satellitare per dati di terza generazione

    Bruxelles – Una migliore raccolta dati per mitigare e prevenire le ricadute dei fenomeni meteorologici estremi, mettendo in sicurezza territorio e comunità locali in nome della sostenibilità. E’ questo l’ambizioso progetto per l’Africa, sostenuto dalla Commissione dell’Unione Africana, e che prende ufficialmente il via con l’installazione in Kenya della prima di una serie di stazioni riceventi PUMA-2025 specificamente progettate per catturare dati dalla prossima generazione di satelliti geostazionari Meteosat.L’installazione degli speciali punti di raccolta dati garantirà che i meteorologi keniani possano utilizzare i dati più accurati e frequenti dai satelliti Meteosat di terza generazione (MTG) per sostenere lo sviluppo sostenibile delle comunità locali e proteggere vite e mezzi di sostentamento. Per l’Europa questo significa lottare contro una delle principali cause dei nuovi flussi di migrazione, quello dei cambiamenti climatici.I satelliti Meteosat di Eumetsat, l’Organizzazione europea per lo sfruttamento dei satelliti meteorologici, sono gli unici satelliti di osservazione della Terra che hanno una visione costante dell’Africa. MTG fornirà immagini dell’Africa a una risoluzione più elevata di quanto sia possibile ora e più frequentemente, ovvero ogni 10 minuti. Eumetsat lavora con la Commissione dell’Unione Africana per creare una rete di stazioni simili in diversi servizi meteorologici e climatici nazionali in tutto il continente nei prossimi mesi. Ciò consentirà alla maggior parte dei meteorologi e degli scienziati africani di dotarsi della tecnologia più recente per ricevere e utilizzare i dati Mtg.Cosa vuol dire tutto questo lo riassume e lo spiega Phil Evans, Direttore Generale di Eumetsat: “La continuità della ricezione dei dati satellitari in tutto il continente, consentendo allerte precoci più efficienti per tutti, previsioni più accurate di eventi meteorologici estremi e una migliore protezione per tutti“. Insomma, l’Africa si sta dotando, in collaborazione con l’Europa, di uno strumento di nuova generazione per lottare contro i cambiamenti climatici e gli stress che il meteo può produrre su popolazione ed economia. L’accordo tra Unione africana e Organizzazione europea per lo sfruttamento dei satelliti meteorologici è stato siglato nel 2022, con l’obiettivo di rilanciare a aggiornare una collaborazione ormai ventennale tra i due continenti. La prima stazione ricevente PUMA è stata nel febbraio 2004, per ricevere i dati Meteosat di seconda generazione nell’ambito del progetto Preparation for Use of Meteosat in Africa (PUMA). Finora, grazie al supporto di vari programmi finanziati dall’Ue in Africa (come PUMA, AMESD, MESA), questa infrastruttura ha consentito con successo ai servizi meteorologici e climatici africani in tutto il continente di ricevere dati dai satelliti geostazionari Meteosat in modo tempestivo ed efficiente, per prevedere e monitorare gli eventi meteorologici estremi. Le attuali installazioni mirano ad aggiornare l’infrastruttura per MTG, per passare da dati di seconda generazione a dati di terza generazione. Le prossime installazioni includono una stazione a Cotonou (in Benin), dove si terrà il 16esimo Eumetsat User Forum in Africa. L’evento fornirà una piattaforma per i meteorologi africani per condividere conoscenze e migliori pratiche sull’uso dei dati Meteosat e discutere prospettive per migliorare i sistemi di allerta precoce.

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    Gli aiuti allo sviluppo dell’Ue sono un problema per l’Africa

    Bruxelles – Gli aiuti dell’UE all’Africa non aiutano il continente e i suoi Stati. Al contrario, per come sono concepiti, accrescono i problemi, soprattutto economici, dei Paesi in cui l’azione concepita per portare contributi utili allo sviluppo. La strategie dell’Unione europea per i Paesi più poveri, soprattutto africani, dovrebbero essere dunque riviste. Il Parlamento europeo accende i riflettori su partenariati che, così, come sono, finiscono per produrre effetti contrari a quelli desiderati.La nota di accompagnamento alla relazione per la cooperazione allo sviluppo dell’Ue a sostegno dell’accesso all’energia nei paesi in via di sviluppo, che l’Aula del Parlamento europeo, da calendario, discuterà il 17 gennaio in occasione della prima sessione plenaria del nuovo anno, evidenzia le carenze dell’azione a dodici stelle.Tra il 2014 e il 2020, recita il passaggio allegato al testo legislativo, l’insieme dei Ventisette ha fornito 13,8 miliardi di euro complessivi di assistenza all’Africa per lo sviluppo sostenibile. Innanzitutto l’importo “non è ancora sufficiente e occorre compiere maggiori sforzi” se si vuole permettere una crescita sostenibile da un punto di vista climatico-ambientale. Ma, soprattutto, “il 53 per cento degli esborsi è avvenuto sotto forma di prestiti”, il che si traduce in “debito aggiuntivo che riduce la capacità di questi paesi di investire negli obiettivi di sviluppo sostenibile”.Aumenta in sostanza il debito dei Paesi africani, che si trovano in una situazione di difficoltà. Tanto che, viene messo in risalto, risulta che  “21 paesi africani a basso reddito si trovano o sono a rischio di sofferenza debitoria nel 2023“.C’è un’ulteriore considerazione da fare, e che viene fatta. La cooperazione allo sviluppo dell’UE, per com’è concepita, non è a misura di Green Deal europeo. “La maggior parte dei progetti finanziati dall’UE mirano a promuovere grandi infrastrutture di generazione elettrica e l’interconnessione delle reti di trasmissione per creare mercati elettrici integrati, che hanno un impatto minimo sulla promozione dell’accesso all’elettricità per coloro che non ce l’hanno”. C’è da ripensare l’intera architettura della politica per lo sviluppo. La relazione che sta per approdare in Aula chiede perciò agli Stati membri dell’UE di aumentare l’importo dell’aiuto pubblico allo sviluppo destinato al settore energetico in Africa, “dando priorità alle sovvenzioni rispetto ai prestiti nei paesi a rischio di indebitamento“. C’è di più. Perché si suggerisce di cambiare il modello di business condotto fin qui. “Per superare la povertà energetica in Africa, i finanziamenti dell’UE dovrebbero essere ri-orientati verso i paesi con tassi di accesso all’elettricità più bassi”.Un altro, poi, riguarda l‘idrogeno verde, quello prodotto attraverso le energie rinnovabili. L’Africa non appare una regione ottimale per spingere per questo particolare tipo di investimenti. “Sebbene possa potenzialmente svolgere un ruolo significativo” nel raggiungimento degli obiettivi internazionali di sostenibilità incardinati negli accordi di Parigi , allo stesso tempo “potrebbe innescare conflitti sull’uso del territorio e aggravare la povertà“. Questo perché produrre idrogeno verde implica estrazione mineraria e uso di materie prime e terre rare, che richiedono grandi quantità di acqua dolce e generano inquinamento idrico. Per il sud del mondo, povero di acqua e sistemi di raccolta, l’idrogeno verde “può avere impatti sociali e ambientali negativi”. L’UE, insomma, sta sbagliando calcoli e strategie, e dovrebbe correggere il tiro.

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    Il tentativo dell’Ue di sbloccare i rimpatri di migranti verso i Paesi d’origine. Schinas in Senegal, Guinea e Costa d’Avorio

    Bruxelles – L’aveva promesso Ursula von der Leyen dieci giorni fa a Lampedusa, presentando il suo piano d’azione in dieci punti per decongestionare l’isola in emergenza: “Invierò il vicepresidente Margaritis Schinas a negoziare” nel continente africano per intensificare i rimpatri “rapidi” verso i Paesi d’origine. E così è stato: Schinas illustrerà domani (28 settembre) ai ministri degli Interni Ue i progressi fatti nella sua missione in Guinea, Costa d’Avorio e Senegal.
    Perché i dati parlano chiaro: ad oggi le persone migranti che lasciano il territorio Ue dopo aver ricevuto l’ordine di partire sono meno di uno su cinque. E secondo il rapporto pubblicato dall’Agenzia Ue della Guardia di Frontiera e Costiera (Frontex) il 14 settembre, nei primi otto mesi dell’anno la maggior parte degli ingressi irregolari dalle rotte del Mediterraneo Centrale e dell’Africa Occidentale sono stati effettuati da cittadini della Guinea, della Costa d’Avorio e del Senegal, oltre che di Tunisia e Marocco. Tre Paesi confinanti, che si affacciano sull’Atlantico, ma che presentano situazioni politiche molto differenti in termini di democrazia e stabilità e diversi livelli di cooperazione con Bruxelles.
    Margaritis Schinas e Macky Sall
    A Dakar, “partner essenziale dell’Ue in Africa”, il vicepresidente della Commissione europea ha incontrato il presidente senegalese Macky Sall, con cui ha avuto “una buona discussione sull’approfondimento delle relazioni, inclusa una maggiore cooperazione con Frontex”. L’agenzia Ue collabora già con le forze di polizia senegalesi attraverso l’Africa-Frontex Intelligence Community (Afic), con l’obiettivo di “rafforzare la cooperazione sui ritorni volontari e i rimpatri di migranti” e “supportare gli sforzi delle autorità senegalesi nella lotta contro la migrazione irregolare”.
    Il programma Afic è presente anche in Guinea, dove Schinas ha dialogato con il governo di transizione che guida il Paese dopo il golpe militare del 2021. “A Conakry ho ribadito la disponibilità dell’Ue ad accompagnare la Guinea nella sua transizione, in un contesto regionale molto difficile”, ha dichiarato su X il vicepresidente Ue, che ha sottolineato al primo ministro “il bisogno di iscriversi alla mobilitazione internazionale contro i trafficanti e la loro attività brutale”. In Costa d’Avorio, a cui l’Ue ha previsto di allocare 228 milioni di euro in aiuti allo sviluppo per il periodo 2021-2023 sotto Ndici-Global Europe, Schinas ha incontrato il re del popolo Awoula Tanoe Amon e il primo ministro Patrick Achi, con cui ha affrontato i temi del “cambiamento climatico, delle migrazioni e delle opportunità per i giovani”.
    Margaritis Schians e Patrick Achi
    Di questa missione Schinas riferirà direttamente ai ministri degli Interni dei 27, che si riuniscono domani (28 settembre) a Bruxelles per il Consiglio Affari Interni e Giustizia. Con lui sarà presente anche la commissaria Ue per gli Affari Interni, Ylva Johansson. In cima all’agenda sono previsti uno “scambio di opinioni sull’approccio dell’Ue alla dimensione esterna della migrazione” e la presentazione da parte della presidenza di turno spagnola del Consiglio dell’Ue di un “modello preventivo” per ridurre le partenze verso l’Europa. Un modello che non può prescindere dalla “cooperazione con i Paesi di origine e di transito” e dal ruolo che dovrebbero svolgere le agenzie dell’Ue.

    Von der Leyen ha previsto un maggiore supporto delle agenzie Ue ai rimpatri nel suo piano d’azione per Lampedusa. Il vicepresidente della Commissione europea illustrerà i progressi compiuti negli incontri con i leader africani direttamente ai ministri degli Interni dell’Ue

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    “Soluzioni africane a problemi africani”: l’Ue segue la linea dell’Ecowas sul Niger e prepara sanzioni per la giunta militare

    Bruxelles – L’Ue è pronta ad “ascoltare qualsiasi richiesta” che provenga dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas), l’attore che si sta prendendo carico degli sforzi per riportare stabilità nella polveriera africana del Sahel. È questa la linea concordata dai 27 ministri degli Esteri dell’Unione, riuniti a Toledo per il vertice informale di fine agosto, assieme al Presidente dell’Ecowas, Omar Alieu Touray e al ministro degli Esteri del governo rovesciato solo un mese fa in Niger, Hassoumi Massaoudou.
    L’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, in conferenza stampa a margine del meeting informale dei Ministri degli Esteri Ue a Toledo, in Spagna
    Per ora, per ristabilire l’ordine costituzionale a Niamey l’Ecowas ha intrapreso la strada del dialogo politico e delle sanzioni economiche. E l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, ha confermato “il pieno sostegno agli sforzi dell’Ecowas per mettere il massimo di pressione sulla giunta militare” che dallo scorso 26 luglio tiene imprigionato il presidente democraticamente eletto, Mohamed Bazoum, e governa il Paese. La prima mossa di Bruxelles è la sospensione di tutti i programmi di supporto finanziario e di cooperazione in materia di difesa e sicurezza con il Niger. Fatto salvo per gli aiuti umanitari alla popolazione nigerina.
    La seconda e più incisiva mossa sarà un regime di sanzioni individuali contro il Consiglio nazionale per la Salvaguardia del Paese, il gruppo di militari protagonisti del putsch. “Abbiamo deciso di iniziare il processo per costruire un quadro di sanzioni seguendo strettamente quelle emanate dall’Ecowas”, ha annunciato Borrell. L’istituzione dei Paesi dell’Africa Occidentale avrebbe poi illustrato ai ministri Ue la situazione sul campo e le proprie riflessioni sulla possibilità di un intervento militare. Che, almeno parzialmente, potrebbe essere sostenuto attraverso l’European Peace Facility, lo strumento finanziario Ue per la risoluzione di conflitti.
    Cittadini nigerini manifestano contro l’ex potenza coloniale francese (Photo by AFP)
    “È evidente che privilegiamo soluzioni diplomatiche, nessuno desidera azioni militari. È questo che sta facendo l’Ecowas”, ha chiarito il capo della diplomazia europea, sottolineando però che “non sappiamo cosa succederà dopo, perché è l’Ecowas a decidere”. Sull’ipotesi di sostegno ad un intervento armato le posizioni tra i 27 sono distanti: se la Francia, l’ex potenza coloniale contro cui si si è scatenata la rabbia dei nigerini che appoggiano la giunta militare – è arrivata nel pomeriggio la notizia dell’espulsione dell’ambasciatore di Parigi da parte dei golpisti-, si è mostrata più possibilista, per il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani “la soluzione militare in Niger sarebbe un disastro”.
    La crisi del Sahel è endemica, ma sul golpe in Gabon l’Ue rimane prudente
    L’ondata di colpi di stato militari che ha investito il Sahel negli ultimi due anni, dal Mali alla Guinea al Burkina Faso e ora il Niger, rischia di propagarsi anche più a sud, verso il Golfo di Guinea. “Abbiamo studiato la situazione nel Golfo di Guinea, che diventa sempre più cruciale e dove la minaccia del terrorismo jihadista sta crescendo”, ha dichiarato l’Alto rappresentante.
    Cittadini del Gabon festeggiano il colpo di Stato contro il governo del presidente Ali Bongo (Photo by AFP)
    Ieri l‘esercito del Gabon ha deposto il presidente Ali Bongo Ondimba, al potere dal 2009 e fresco della terza rielezione in un appuntamento elettorale che agli occhi della comunità internazionale è parso quanto meno dubbioso. Per ora Borrell ha voluto tracciare una linea tra Niamey e Libreville, sottolineando “la differenza tra la situazione in Niger e in Gabon“. Da un lato Bazoum, “l’unica autorità democraticamente eletta in tutta la regione”, dall’altro Bongo e un processo elettorale su cui l’Ue “condivide serie preoccupazioni”. Nonostante il contesto profondamente differente, l’Ue “respinge qualsiasi presa di potere con la forza in Gabon e invita tutti gli attori alla moderazione”, ha dichiarato Borrell.
    Nel Paese centrafricano si trovano attualmente circa 10 mila cittadini europei, ma “non è prevista alcuna evacuazione“: il capo della diplomazia europea ha assicurato che “la situazione è tranquilla e non c’è alcuna situazione che possa indicare rischio di violenza e pericolo”.

    I ministri degli Esteri dei 27 alle prese con la polveriera del Sahel. L’Alto rappresentante Borrell ammette: “Dobbiamo rivedere le nostre politiche nella regione”, ma sottolinea le differenze tra i colpi di stato in Niger e in Gabon, dove il golpe è frutto di “elezioni che hanno lasciato molto a desiderare”