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    Serbia, adesione UE più vicina: approvate alcune delle riforme costituzionali richieste dall’Unione

    Bruxelles – La Serbia prosegue lungo il cammino di adesione all’UE e con un referendum sulle riforme costituzionali in materia di nomine del sistema giudiziario cerca di allinearsi agli standard richiesti dall’Unione. Gli elettori serbi hanno approvato ieri (domenica 16 gennaio) i 29 emendamenti della Costituzione nazionale sulle nomine di giudici e procuratori, che non saranno più decise dall’Assemblea nazionale ma da un Consiglio superiore della magistratura.
    Secondo i risultati annunciati nella tarda serata di domenica, si è espresso a favore della riforma giudiziaria il 61,84 per cento degli elettori che si sono recati alle urne. L’affluenza si a fermata al 30,6 per cento, ma da novembre dello scorso è stato abolito il quorum del 50 per cento degli aventi diritto al voto. Oltre alla questione delle nomine dei componenti del sistema giudiziario, le riforme costituzionali prevedono anche  l’istituzione di organi di controllo sugli istituti giudiziari e una riduzione dei tempi dello svolgimento dei processi.
    La riforma giudiziaria è stata voluta dal governo presieduto da Ana Brnabić per avvicinare la Serbia agli standard UE sullo Stato di diritto. Da anni Bruxelles chiede a Belgrado che le nomine di giudici e procuratori siano sottratte dall’influenza politica e questo tema è al centro delle conferenze intergovernative che si sono aperte il 23 giugno 2021. In una nota pubblicata venerdì scorso (14 gennaio), le ambasciate di Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Europea avevano definito il referendum “un passo fondamentale” sia per rafforzare l’indipendenza e la trasparenza del potere giudiziario, sia per “l’allineamento della Serbia agli standard europei”, che andranno a “sostenere il processo di adesione all’UE”.
    “Accolgo con favore questo importante passo e l’impegno nel percorso verso l’UE”, ha commentato su Twitter il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. Il membro della Commissione Europea al centro delle polemiche a Bruxelles per il suo presunto coinvolgimento nella crisi istituzionale in Bosnia ed Erzegovina ha aggiunto che “continueremo a lavorare con le autorità serbe sull’ambizioso programma” di riforme costituzionali, “facendo progredire l’integrazione della Serbia nell’Unione Europea”.

    #Serbia: In today’s referendum voters supported the change of the Constitution to reinforce judicial independence. I welcome this important step & commitment to #EU path. We will continue to work with Serbian authorities on ambitious reform agenda, advancing EU integration.
    — Oliver Varhelyi (@OliverVarhelyi) January 16, 2022

    Ma oltre confine, in Kosovo, è stato un fine settimana di grandi tensioni politiche, proprio a causa del referendum sulle riforme costituzionali della Serbia. L’Assemblea di Pristina ha approvato venerdì una risoluzione in otto punti contro la possibilità che i cittadini kosovari di etnia serba potessero recarsi alle urne sul territorio del Kosovo, dal momento in cui sarebbe stata “incostituzionale” e avrebbe violato la sovranità del Paese. La richiesta di aprire centri elettorali in Kosovo era arrivata dal governo serbo ed era stata avallata dall’UE: “L’UE si rammarica che non sia stato possibile trovare un accordo con il governo del Kosovo che permetta all’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) di raccogliere le schede elettorali in Kosovo, secondo la prassi passata”, si legge in una nota del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE).
    Da Pristina non era arrivata nessuna concessione e il governo guidato da Albin Kurti aveva ribadito che gli elettori con doppia cittadinanza fossero liberi di votare per posta o sul suolo serbo. I serbi del Kosovo hanno protestato nel nord del Paese – dove sono in maggioranza – ma non sono stati segnalati incidenti. La disputa sul voto in Kosovo per il referendum sulle riforme costituzionali della Serbia è un nuovo tassello nella tensione crescente tra Pristina e Belgrado, che l’Unione Europea sta cercando di risolvere attraverso una mediazione che dura da più di 10 anni. “Chiediamo ai governi del Kosovo e della Serbia di astenersi da azioni e retoriche che aumentano le tensioni e di impegnarsi in modo costruttivo nel dialogo facilitato dall’UE“, avevano aggiunto gli ambasciatori occidentali, ricordando che “è importante che entrambi i governi compiano progressi verso un accordo globale che sblocchi la prospettiva dell’UE e aumenti la stabilità regionale”.

    Serbia: Joint Statement by 🇪🇺🇫🇷🇩🇪🇮🇹🇺🇸🇬🇧 on the upcoming referendum, also recalling the rights of Serbs in Kosovo in this context. https://t.co/mxqIvEZey7
    — Peter Stano (@ExtSpoxEU) January 14, 2022

    Via libera dal referendum sulla riforma giudiziaria, che prevede 29 emendamenti alla Costituzione in materia di nomine del sistema giudiziario. Il Kosovo ha negato l’apertura di centri di voto per i cittadini di etnia serba sul territorio nazionale

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    La Macedonia del Nord pronta per un nuovo governo. L’UE: “Zaev ha dato l’esempio, ora al lavoro con il successore”

    Bruxelles – Dopo un mese e mezzo di crisi di governo, la Macedonia del Nord è pronta per un nuovo esecutivo. Il primo ministro, Zoran Zaev, si è ufficialmente dimesso, inviando la lettera di dimissioni al presidente dell’Assemblea nazionale, Talat Xhaferi, e lasciando posto a un governo ad interim che guiderà la transizione.
    Si attende solo il voto del Parlamento di Skopje che dovrà accettare formalmente le dimissioni di Zaev. A quel punto il presidente della Repubblica della Macedonia del Nord, Stevo Pendarovski, avrà dieci giorni di tempo per consegnare il mandato di formare un nuovo governo alla coalizione guidata dall’Unione socialdemocratica di Macedonia (SDSM) – il partito dell’ex-premier Zaev – che a sua volta dovrà riuscire a esprimere una maggioranza parlamentare nell’arco di 20 giorni.
    Entro la fine di gennaio tutto l’iter dovrà essere completato. Lo scenario più probabile è un gabinetto guidato dal nuovo leader socialdemocratico, Dimitar Kovačevski, economista 47enne laureati ad Harvard, che due giorni fa (martedì 21 dicembre) ha presenziato con Zaev alla firma dei protocolli d’intesa dell’accordo Open Balkan con Albania e Serbia. Un altro scenario potrebbe essere quello di elezioni anticipate, come richiesto dall’opposizione del Partito democratico per l’unità nazionale macedone (VMRO DPMNE). Questo nel caso in cui non si riuscisse a trovare nemmeno un’alternativa parlamentare guidata dal partito di destra in coalizione con l’Alleanza per gli Albanesi, l’estrema sinistra di Levica e il partito di etnia albanese BESA.
    La crisi di governo in Macedonia del Nord si era aperta a inizio novembre, dopo il crollo del partito del premier Zaev alle elezioni amministrative anche nella capitale Skopje. Il primo ministro aveva annunciato che si sarebbe dimesso, ma da allora la situazione era rimasta congelata. Zaev è stato a capo del governo della Macedonia del Nord dal 2017, confermato anche alle elezioni anticipate del 30 agosto 2020. Tre anni fa era riuscito a raggiungere un accordo con la Grecia per il cambio di nome del Paese, condizione imposta da Atene per l’adesione alla NATO e all’UE. Con gli Accordi di Prespa firmati il 12 giugno 2018, la Repubblica di Macedonia è diventata Repubblica della Macedonia del Nord. Il 27 marzo 2020 Skopje ha fatto ingresso nell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (diventandone il 30esimo Paese membro), mentre si è rivelata più complicata la strada per l’accesso all’Unione Europea.

    Prime Minister @Zoran_Zaev set an example for the region with the #Prespa agreement, consolidating good neighbourly relations. It was good working with you, I look forward further advancing North Macedonia’s EU path, on which you firmly anchored the country, w/the next government
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) December 23, 2021

    “È stato un piacere lavorare con Zaev, che ha dato un esempio per la regione con l’accordo Prespa, consolidando le relazioni di buon vicinato”, è stato il saluto dell’alto rappresentante UE per gli Affari esteri, Josep Borrell. “Non vedo l’ora di far avanzare ulteriormente con il prossimo governo il percorso della Macedonia del Nord verso l’UE, su cui hai saldamente ancorato il Paese”, si è rivolto direttamente all’ex-premier l’alto rappresentante Borrell.
    Le dimissioni di Zaev – e il nuovo governo in Bulgaria guidato da Kiril Petkov – aprono la strada a un possibile nuovo rapporto tra Skopje e Sofia, per cercare una soluzione alla questione dello stallo nel processo di adesione UE della Macedonia del Nord (e dell’Albania, vincolata dallo stesso dossier) causato dal veto della Bulgaria all’apertura dei quadri negoziali con il Paese confinante per questioni di natura puramente nazionalistica. Dopo l’opposizione di Francia, Danimarca e Paesi Bassi all’avvio dei negoziati con Tirana protrattasi in Consiglio fino al marzo 2020, il processo si ero rimesso in moto l’anno scorso solo per pochi mesi. Nemmeno il vertice UE-Balcani Occidentali dello scorso 6 ottobre in Slovenia è riuscito a portare sostanziali novità per risolvere la crisi tra la Macedonia del Nord e la Bulgaria. Nel 2022 ci riproveranno due nuovi governi nazionali, non appena si chiarirà il quadro politico macedone.

    Dopo le dimissioni ufficiali dell’ex-premier (attese da oltre un mese), entro fine gennaio Skopje attende un nuovo esecutivo, con cui l’alto rappresentante Borrell vuole “far avanzare il percorso del Paese verso l’UE”

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    Bosnia ed Erzegovina, la prospettiva UE è un “atto di fede”: servono ancora riforme strutturali e riconciliazione etnica

    Bruxelles – L’allargamento dell’Unione Europea ai Balcani occidentali procede come un elastico: il cammino è tracciato, ma non sono rari né gli slanci di entusiasmo improvviso né la sensazione che tutto il processo stia ristagnando. Talvolta la prospettiva europea dei Balcani può essere considerata come vero e proprio “atto di fede”, prendendo in prestito l’espressione usata dall’eurodeputato Paulo Rangel (PPE) durante la presentazione della relazione sul rapporto 2019/2020 della Commissione UE sulla Bosnia ed Erzegovina.
    In plenaria il testo è stato approvato con 483 voti a favore, 73 voti contrari e 133 astenuti, l’ultimo delle sei relazioni sui progressi dei Paesi dei Balcani occidentali (il primo dibattito su Albania, Kosovo, Macedonia del Nord e Serbia si era tenuto lo scorso 25 marzo, il secondo sul Montenegro il 18 maggio). L’impressione rimane quella di un sostegno diffuso del Parlamento Europeo alle aspirazioni di adesione all’UE della Bosnia ed Erzegovina, anche se le condizioni in cui versano la società e le istituzioni del Paese pongono una serie di paletti sulle modalità e le tempistiche con cui questo processo potrà avere luogo.
    Il relatore per la Bosnia ed Erzegovina, Paulo Rangel (PPE)
    “La diversità etnica e religiosa è parte del DNA dell’Unione Europea, perciò la futura integrazione della Bosnia ed Erzegovina non può che essere un fenomeno naturale”, ha spiegato il relatore Rangel. Se gli eurodeputati sono “grandi sostenitori” del commino europeo di Sarajevo, servono però “riforme profonde e un impegno di riconciliazione etnica” per aspirare allo status di Paese candidato all’adesione all’UE. C’è molto da fare sui 14 criteri di Copenaghen, che disciplinano le condizioni base per iniziare il processo negoziale: dal rispetto delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, alle garanzie per la democrazia in una società multietnica, passando per le fondamentali riforme costituzionali, elettorali, della giustizia e del sistema scolastico.
    Allo stesso tempo, quel “crediamo nei cittadini bosniaci e nel futuro europeo della Bosnia” prende le mosse da alcuni piccoli passi in avanti. Il vicepresidente del gruppo del PPE ha sottolineato che “nonostante la difficile situazione causata dalla pandemia COVID-19, abbiamo registrato progressi”, come le elezioni nella città di Mostar (le prime dal 2008) e la ripresa dei lavori del comitato parlamentare di stabilizzazione e di associazione UE-Bosnia Erzegovina. “I leader bosniaci devono garantire che la popolazione sia cosciente del nostro sostegno e delle prospettive europee, nell’ottica della riconciliazione”, ha concluso l’europarlamentare portoghese.
    Parola a Commissione e Consiglio
    Parole di supporto sono arrivate anche da Consiglio e Commissione UE, anche se “i progressi dipendono dal rispetto dei 14 criteri”, ha sottolineato la segretaria di Stato portoghese e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Ana Paula Zacarias. In primis, la questione della “piena cooperazione con la Corte internazionale di giustizia” e la “fine della glorificazione dei criminali di guerra condannati“, come ha dimostrato la sentenza sul caso Ratko Mladić, comandante militare dei serbo-bosniaci durante la guerra del 1992-1995.
    La segretaria di Stato portoghese e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Ana Paula Zacarias
    Sul fronte delle riforme, “rileviamo slanci solo in tempi più recenti”, ha precisato Zacarias: “La Costituzione continua a non essere in linea con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo” e per questo si deve “puntare sulle riforme costituzionali, che spazzino via tutte le discriminazioni ancora esistenti”. Visione condivisa dal commissario europeo per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi: “Come ho detto ai leader bosniaci nell’ultimo anno, ci sono ancora molte questioni in sospeso e dovranno fare la loro parte”, anche sul fronte della parità di rappresentanza, del funzionamento degli organi dello Stato, del conflitto di interessi e degli appalti pubblici. Ma soprattutto, “deve finire il negazionismo sui crimini di guerra e la retorica divisiva degli ultimi mesi“, ha avvertito il commissario Várhelyi. “L’unica prospettiva della Bosnia nell’UE è quella di un Paese unico, unito e sovrano“.
    L’Unione Europea rimane però particolarmente impegnata in tutta la regione, Bosnia compresa. L’approvazione dello strumento IPA III, per Sarajevo, significa investimenti in infrastrutture, “come il corridoio 5G, i collegamenti stradali ed energetici con Serbia e Montenegro e lo sminamento del fiume Sava per rilanciare gli scambi commerciali fluviali”, ha assicurato Várhelyi. C’è poi il capitolo della lotta al COVID-19: “Dall’inizio della pandemia abbiamo stanziato 80,5 milioni di euro in sovvenzioni immediate e 250 milioni in micro-finanziamenti”. Ma tra maggio e agosto sono in arrivo anche 651 mila dosi di vaccino Pfizer/BioNTech dall’UE (di cui 213.800 alla Bosnia), 952 mila dal programma COVAX (177 mila alla Bosnia), oltre alle 30 mila dalla Croazia e 4.500 dalla Slovenia direttamente a Sarajevo: “Non ci fermiamo qui, mobiliteremo sempre più Stati membri perché mettano a disposizione vaccini non appena saranno disponibili”.
    Il confronto in Aula
    Animato il confronto in plenaria, con i gruppi politici che hanno espresso posizioni diverse sulla strategia da adottare nei confronti del cammino europeo del Paese balcanico. “La Bosnia appartiene all’UE, perciò lanciamo un appello agli Stati membri perché le concedano lo status di Paese candidato“, è stata l’esortazione di Dietmar Köster (S&D). “Vanno però rafforzate le libertà dei media, il contrasto a ogni discriminazione e il superamento delle tensioni etniche”. Klemen Grošelj (Renew Europe) ha sottolineato che gli accordi di Dayton del 1995 avevano come priorità la pace, “non il funzionamento Stato”, ma ora la Bosnia “si trova di fronte alla scelta se continuare a basarsi sulla divisione etnica o sui principi comunitari“.
    L’eurodeputato del Movimento 5 Stelle e vicepresidente del Parlamento UE, Fabio Massimo Castaldo
    A questo proposito, l’eurodeputato del Movimento 5 Stelle e vicepresidente del Parlamento UE, Fabio Massimo Castaldo, ha avvertito che “non possiamo nasconderci dietro un dito, accettando questo precario status quo” e non appoggiando “soluzioni condivise da autorità politiche e società civile, per elaborare una nuova Costituzione”. L’UE non deve avere la “presunzione di imporre le 14 priorità, perché il dialogo si costruisce anche e soprattutto facilitandolo“. Ecco perché Castaldo ha accolto “con grande favore” la proposta di accogliere i Balcani occidentali nella Conferenza sul futuro dell’Europa, “per rinnovare quello slancio e quella promessa di prospettiva europea che spesso i nostri partner non hanno visto così decisa e così determinata come avrebbero dovuto”.
    Željana Zovko (PPE) ha però avvertito che “potrebbe essere un grave danno, se sarà negato il concetto dei popoli costituenti”, così come stabilito dagli accordi di pace di Dayton (ovvero bosgnacchi musulmani, croati cattolici e serbi ortodossi). Dure le destre, con Dominique Bilde (ID) che ha parlato di un “rischio di diminuire la fiducia dei cittadini europei“, se l’UE insiste “acriticamente” con l’allargamento, “non considerando le questioni di sicurezza sul rimpatrio degli jihadisti nei Balcani e la crisi migratoria”. Ruža Tomašić (ECR) ha invece attaccato la linea del Parlamento Europeo di “negare l’identità di chi non vuole ascoltare e ignorare la questione dei tre popoli costituenti secondo gli accordi di Dayton”.

    Approvata dagli eurodeputati in plenaria la relazione sui progressi di Sarajevo verso l’adesione all’UE. Ma rimane ancora lunga la strada per soddisfare i 14 criteri su Stato di diritto e rispetto delle minoranze

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    Allargamento UE, intesa tra Parlamento e Consiglio su fondi a sostegno dell’adesione di Balcani occidentali e Turchia

    Bruxelles – Era stato chiesto con urgenza durante la sessione plenaria del Parlamento Europeo di maggio dallo stesso commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e dopo due settimane l’accordo sullo strumento di assistenza pre-adesione IPA III è stato raggiunto dai negoziatori di Consiglio e Parlamento UE.
    Un’intesa politica sulle priorità, gli obiettivi e la governance di questo strumento modernizzato, che andrà a disciplinare i finanziamenti 2021-2027 e metterà in campo 14,2 miliardi di euro a sostegno dell’attuazione delle riforme nei sette Paesi candidati all’adesione all’UE: i sei dei Balcani occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord e Serbia) e la Turchia.
    Attraverso l’accordo raggiunto ieri sera (mercoledì 2 giugno) – che dovrà essere ora convertito in Regolamento e approvato da Parlamento e Consiglio, verosimilmente entro l’inizio del prossimo autunno – i co-legislatori hanno deciso di rafforzare le condizionalità relative alla democrazia, ai diritti umani e allo Stato di diritto. L’assistenza prevista dallo strumento IPA III sarà sospesa in caso di “regresso democratico”, vale a dire di passi indietro dei rispettivi governi su questi settori-chiave nell’ambito delle riforme strutturali per l’accesso all’Unione.
    Il nuovo aggiornamento dello strumento di assistenza pre-adesione (istituito per la prima volta nel 2007 e seguito poi da IPA II nel 2014) si pone anche gli obiettivi di intensificare la lotta alla disinformazione e contribuire alla protezione dell’ambiente, dei diritti umani e della parità di genere, con un maggiore coordinamento con le organizzazioni della società civile e le autorità locali. Rafforzato anche il ruolo del Parlamento Europeo, che attraverso un dialogo geopolitico con la Commissione, sarà in grado di definire i principali orientamenti strategici e di controllare le decisioni prese nell’ambito dello strumento.
    È stato proprio il commissario Várhelyi ad accogliere con ottimismo l’intesa tra Consiglio e Parlamento: “È un segnale benvenuto, positivo e forte per i Balcani occidentali e la Turchia“. Il commissario ha definito l’aggiornamento dello strumento come “un solido investimento nel futuro della regione e dell’allargamento dell’Unione”, il cui punto di forza è proprio sostenere “l’attuazione delle principali riforme politiche, istituzionali, sociali ed economiche” per conformarsi agli standard comunitari. Non solo: “La sua programmazione si basa su priorità tematiche piuttosto che su dotazioni nazionali“, caratteristica fondamentale per “premiare le prestazioni e i progressi” e “dare maggiore flessibilità” alle esigenze in evoluzione.
    In ultima battuta, il commissario per l’Allargamento ha anche sottolineato che lo strumento IPA III “fornirà finanziamenti per il Piano economico e di investimenti per i Balcani occidentali“, presentato il 6 ottobre dello scorso anno dalla Commissione per sostenere la ripresa economica di questa “regione prioritaria” nell’ottica geo-strategica dell’Unione Europea.

    Il nuovo strumento di assistenza pre-adesione IPA III che regola i finanziamenti 2021-2027 avrà un valore di 14,2 miliardi di euro. Agevolerà l’attuazione delle riforme nei sette Paesi candidati, ma sarà sospeso in caso di “regresso democratico”