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    I leader di Serbia e Kosovo hanno accettato la proposta Ue per normalizzare i rapporti. Ora dovrà essere implementata

    Bruxelles – È l’ultimo chilometro, quello in cui la meta si vede, sembra vicinissima, ma allo stesso tempo quello più difficile, in cui fallire può diventare la più grande débâcle. Questo è il punto in cui si trova il dialogo mediato dall’Unione Europea per la normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo, proprio oggi (27 febbraio) in cui si è assistito a uno dei momenti più decisivi degli ultimi anni. Perché per la prima volta da quando esiste il dialogo Pristina-Belgrado i leader dei due Paesi balcanici hanno accettato la proposta di mediazione dell’Ue che spiana la strada verso un accordo definitivo.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (27 febbraio 2023)
    Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, “hanno concordato che non serviranno altre discussioni sulla proposta dal titolo Agreement on the path to normalization between Kosovo and Serbia” è l’annuncio soddisfatto alla stampa dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, al termine degli incontri durati tutto il pomeriggio. Dopo la presentazione per la proposta franco-tedesca nel settembre dello scorso anno, “ci siamo impegnati in un’intensa diplomazia navetta” a Bruxelles, con il rappresentante speciale per il dialogo Pristina-Belgrado, Miroslav Lajčák, volato “dieci volte a Pristina e otto a Belgrado”. Oggi si può parlare di una proposta Ue – il cui testo “sarà pubblicato a breve” dal Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) – perché “tutti i 27 Paesi membri l’hanno appoggiata al livello più alto possibile all’ultimo Consiglio Europeo” e i due leader balcanici “si sono mostrati favorevoli ad accettare soluzioni sostenibili”.
    Siamo ancora all’ultimo chilometro, e non al traguardo, perché ciò che manca è l’implementazione di un accordo politico a tutti gli effetti. “Abbiamo una lunga storia di accordi non implementati, ma le parti hanno confermato di essere pronte a farlo in modo rapido”, ha rassicurato l’alto rappresentante Ue, con implicito riferimento all’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo stabilita nell’accordo di Bruxelles del 2013 e ancora al centro delle polemiche per la mancata istituzione: “L’Ue ha ricordato l’obbligo di implementare tutti gli accordi già firmati, che rimangono validi e vincolanti”. Nel frattempo “la diplomazia navetta continuerà”, con il rappresentante speciale Lajčák che “continuerà le discussioni a Belgrado e Pristina” e Borrell che convocherà “un nuovo incontro di alto livello tra i due leader a metà marzo“. L’obiettivo è proprio quello di “completare le discussioni” sulla chiave di volta di tutta l’intesa raggiunta oggi: “L’allegato di implementazione, che è parte dell’accordo, ma deve ancora essere finalizzato“.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    La parola d’ordine di Borrell è “fiducia reciproca”, soprattutto sulle promesse di astenersi da “azioni non coordinare che potrebbero portare nuove tensioni sul campo e far deragliare i negoziati” sull’accordo definitivo di normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi. L’intesa “non è utile tanto per l’Ue, quanto piuttosto per i cittadini di Kosovo e Serbia”, è l’ennesimo esortazione di Borrell al buon senso. Si parla di “libertà di movimento utilizzando il proprio passaporto e le proprie targhe, reciprocamente riconosciuti”, di “possibilità economiche, assistenza finanziaria, cooperazione imprenditoriale e nuovi investimenti”. Di più “opportunità di lavoro, senza burocrazia inutile, e di commercio, perché i certificati di import ed export non saranno più un problema”. Di più “sicurezza, certezza e prevedibilità” sulla protezione dei diritti della minoranza serba in Kosovo, “compresa la Chiesa ortodossa e i siti culturali e archeologici”. Di un nuovo futuro di rapporti pacifici tra i due vicini balcanici, dopo la tragedia del conflitto etnico tra il 1998 e il 1999.
    I 12 anni di dialogo tra Kosovo e Serbia
    Era l’8 marzo 2011 quando le delegazioni della Serbia e del Kosovo si sedevano per la prima volta al tavolo del dialogo dell’Ue, per trovare una soluzione sul mantenimento della stabilità dei Balcani occidentali dopo lo scossone della dichiarazione di indipendenza unilaterale di Pristina da Belgrado di tre anni prima. In sette mesi di negoziati a Bruxelles si è arrivati a una serie di accordi: fine dell’embargo commerciale, riconoscimento dei timbri doganali kosovari, possibilità di varcare il confine tra i due Stati per i cittadini e condivisione dei registri catastali e dei documenti su nascite, morti e matrimoni. È seguito poi un altro altro anno e mezzo di accordi tecnici, per risolvere le questioni più urgenti a livello commerciale, burocratico e diplomatico.
    Il 2013 ha segnato l’inizio del dialogo Serbia-Kosovo di alto livello. A due anni dall’inizio dei negoziati si è arrivati al successo della firma dell’Accordo sui principi che disciplinano la normalizzazione delle relazioni, il 19 aprile del 2013. Da quel momento sono potuti così iniziare i lavori per siglare l’Accordo di stabilizzazione e associazione con Pristina e i negoziati di adesione all’Unione per Belgrado. Non sono stati affrontati però i due temi più urgenti per implementare l’accordo di Bruxelles: il riconoscimento della sovranità del Kosovo da parte di Belgrado e la creazione della Comunità delle municipalità serbe nel Paese con il benestare di Pristina. Dal 2014 è iniziato un periodo di tensione e interruzioni continue dei lavori, fino al congelamento del dialogo nel novembre del 2018 a causa della decisione del governo kosovaro di introdurre dazi maggiorati del 100 per cento sulle merci provenienti da Serbia e Bosnia ed Erzegovina.
    Lo stallo per le relazioni tra i due Paesi è durato 20 mesi, fino a quando il presidente serbo Vučić e l’ex-premier kosovaro, Avdullah Hoti, sono tornati per tre volte ai tavoli dei negoziati tra il 12 luglio e il 7 settembre del 2020. A esacerbare nuovamente i rapporti tra le due parti ha contributo l’elezione del governo nazionalista di Kurti nel febbraio del 2021, che ha alzato il livello di tensione retorica con l’altrettanto nazionalista Vučić. Ecco perché dopo due infruttuosi vertici a Bruxelles il dialogo si è bloccato di nuovo sotto i colpi della cosiddetta battaglia delle targhe tra i due Paesi, scatenata dalla decisione del governo di Pristina di imporre il cambio delle targhe ai veicoli serbi in entrata nel territorio kosovaro.
    Una questione che ha infiammato anche la seconda metà del 2022, con blocchi stradali e barricate delle frange più estremiste della minoranza serbo-kosovara a fine luglio, altre due riunioni fallimentari tra Vučić e Kurti a Bruxelles e le dimissioni di massa di sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali a inizio novembre. Parallelamente agli intensi colloqui per trovare una soluzione di compromesso sulle targhe (raggiunta nella notte tra il 23 e il 24 novembre), Francia e Germania hanno dato una spallata decisiva per portare a termine il dialogo Pristina-Belgrado con la proposta in 9 punti (aggiornata e assorbita dai negoziatori europei alla vigilia del vertice Ue-Balcani Occidentali del 6 dicembre a Tirana). Le continue fiammate tra le due parti negli ultimi mesi – sia sul piano diplomatico, sia con nuove barricate a inizio dicembre – hanno suggerito che l’accordo era sempre più vicino: entrambi gli attori politici – marcatamente nazionalisti – hanno esasperato la propria retorica per uscire dai negoziati con un compromesso più favorevole. Il via libera all’intesa definitiva tra Kosovo e Serbia a Bruxelles oggi ha confermato pienamente questo scenario, in attesa di portare a termine l’ultimissimo chilometro.

    Il premier kosovaro, Albin Kurti, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić, hanno dato il via libera alla proposta avanzata Bruxelles e sostenuta da tutti i Paesi membri dell’Unione. A metà marzo un nuovo vertice di alto livello per portare a termine gli allegati all’accordo ancora non finalizzati

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    Cos’è l’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo al centro dell’anno cruciale per il dialogo Pristina-Belgrado

    Bruxelles – Non c’è speranza di chiudere nel 2023 un accordo definitivo per la normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo, se non si raggiunge un’intesa vincolante per l’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, come previsto dall’accordo di Bruxelles siglato esattamente 10 anni fa. Passano da qui gli sforzi diplomatici di Unione Europea e Stati Uniti per quanto riguarda il dialogo Pristina-Belgrado, entrato nel suo tredicesimo anno di vita e diventato ormai l’unica soluzione per chiudere contese e tensioni tra i due vicini balcanici.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (13 novembre 2022)
    Mentre le pressioni della diplomazia europea e statunitense rimangono particolarmente forti su Belgrado – per l’adozione delle sanzioni internazionali contro la Russia e l’allineamento alla politica estera dell’Ue – non sono da meno quelle nei confronti di Pristina, proprio sulla questione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo. Già nel dicembre del 2021 l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, aveva avvertito il primo ministro kosovaro, Albin Kurti, che è imperativo il rispetto di tutti gli accordi sottoscritti con Belgrado, ma nel corso delle ultime settimane le missioni diplomatiche di Bruxelles e Washington – spinte anche dal tridente Francia-Germania-Italia – hanno puntato con forza su questo punto, per sgombrare il campo da ripensamenti o passi indietro rispetto agli impegni presi nel contesto del dialogo mediato dall’Ue.
    Lo dimostra in tutta la sua evidenza la nota del consigliere del Dipartimento di Stato americano, Derek Chollet, e dell’inviato speciale degli Stati Uniti per i Balcani Occidentali, Gabriel Escobar, pubblicata oggi (30 gennaio) a proposito delle “condizioni per una relazione sana, pacifica e sostenibile tra Serbia e Kosovo”. La proposta di mediazione franco-tedesca – ormai divenuta a tutti gli effetti la proposta di mediazione europea – è studiata per “interrompere la spirale di crisi e scontri e far progredire con decisione l’integrazione” dei due Paesi nell’Unione, ma per l’amministrazione Biden “uno dei compiti più critici” è sempre quello che riguarda l’attuazione dell’accordo sull’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo. Un “obbligo internazionale, giuridicamente vincolante, che richiede un’azione da parte del Kosovo, della Serbia e dell’Unione Europea”, ma che allo stesso tempo “non mina la Costituzione né minaccia la sovranità, l’indipendenza o le istituzioni democratiche” del Kosovo.

    As Kosovo’s closest friend & ally, we believe that by working to establish the ASM, Kosovo will realize a critical element needed to build its rightful future as a sovereign, multiethnic, and independent country, integrated into Euro-Atlantic structures. https://t.co/iFfSYo2Qao pic.twitter.com/c8yGJYVeHl
    — U.S. Embassy Pristina (@USEmbPristina) January 30, 2023

    Il nodo tra Serbia e Kosovo
    Secondo quanto sottoscritto dalle due parti nell’accordo di Bruxelles del 2013, per la normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi balcanici dopo la dichiarazione di indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia il 17 febbraio 2008 è prevista l’istituzione di “un’associazione/comunità di comuni a maggioranza serba in Kosovo”, aperta a “qualsiasi altro comune, purché i membri siano d’accordo”. Un’Associazione creata “da uno statuto”, con un suo presidente, vicepresidente, Assemblea e Consiglio e la possibilità di “cooperare nell’esercizio dei loro poteri in modo collettivo” nei settori dello “sviluppo economico, istruzione, sanità, pianificazione urbana e rurale“. Forze di polizia e autorità giudiziarie saranno uniche per tutto il Kosovo, ma con l’autorizzazione alla formazione di un comando regionale di polizia per le quattro municipalità settentrionali a maggioranza serba (Mitrovica settentrionale, Zvecan, Zubin Potok e Leposavic) e un collegio di giudici istituito dalla Corte d’Appello di Pristina per occuparsi di tutte le municipalità a maggioranza serba del Kosovo.
    A 10 anni dall’accordo di Bruxelles non sono stati compiuti progressi sostanziali per l’implementazione sul campo dei 15 punti, mentre si sono acuite nell’ultimo anno le tensioni nel nord del Kosovo sia sulla questione delle targhe per i veicoli sia per le conseguenze delle dimissioni di massa di sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia serbo-kosovari dalle rispettive istituzioni nazionali. L’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo è considerata da Belgrado un’entità di governo che deve essere istituita proprio a partire dall’intesa giuridicamente vincolante di Bruxelles, ma è anche una potenziale leva politica in mano del presidente della Serbia, Aleksander Vučić, per continuare a controllare indirettamente una zona contesa (l’intero Kosovo è tutt’ora considerato parte del Paese). Quello che invece contesta Pristina – dopo il deciso cambio di rotta del governo nazionalista di Kurti dall’elezione del 2021 – è che la nuova Associazione in Kosovo non sia nient’altro che una replica della fallimentare Republika Srpska in Bosnia ed Erzegovina, l’entità a maggioranza serba nel Paese che negli ultimi anni ha portato a una destabilizzazione sempre maggiore del Paese proprio per l’eccessiva autonomia garantita a un establishment politico filo-russo.
    “Siamo assolutamente contrari alla creazione di qualsiasi entità che assomigli alla Repubblica Srpska in Bosnia ed Erzegovina“, hanno assicurato i due diplomatici statunitensi nella nota, chiedendo invece a Pristina di “fornire la propria visione di questa associazione”. Secondo quanto emerge dalle parole di Chollet ed Escobar, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, avrebbe fatto notare al premier Kurti che “esistono 14 accordi simili all’interno dell’Unione Europea, nessuno dei quali viola i sistemi europei di governo effettivo”, che garantiscono autonomie specifiche all’interno del quadro degli Stati nazionali. L’associazione “non sarebbe mono-etnica” e “non aggiungerebbe un nuovo livello di potere esecutivo e legislativo al governo del Kosovo”, assicurano i mediatori, mentre l’aspetto più positivo potrebbe essere il fatto che “i comuni che condividono interessi, lingua e cultura potrebbero lavorare insieme in modo più efficace per affrontare le sfide comuni” negli ambiti autorizzati dall’accordo di Bruxelles del 2013.

    Unione Europea e Stati Uniti stanno cercando di mediare tra Serbia e Kosovo su uno dei punti più divisivi dei negoziati. La creazione della comunità è prevista dall’accordo di Bruxelles del 2013, ma il rischio è quello di istituzionalizzare la divisione etnica, come con la Republika Srpska in Bosnia

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    Dieci ospiti alla porta dell’Ue. L’anno in cui i Ventisette hanno rotto gli indugi sul processo di allargamento dell’Unione

    Bruxelles – Un anno di stravolgimenti nella politica internazionale scatenati dall’invasione russa dell’Ucraina hanno lasciato un segno a diversi livelli sul continente europeo e sull’Unione a 27. Ma dopo quasi due decenni di stagnazione e di progressi a rilento, il rischio di destabilizzazione del Cremlino nei Paesi partner più stretti dell’Unione Europea ha segnato una svolta positiva nel processo di allargamento Ue, in un 2022 che ha visto un’ondata di novità tra nuovi Paesi candidati all’adesione – o in attesa di risposta – e altri nuovi avviati sulla strada dei negoziati. In totale 10 capitali che guardano all’Unione come la propria futura casa.
    Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio dal presidente Volodymyr Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada, su iniziativa rispettivamente del primo ministro georgiano Irakli Garibashvili e della presidente moldava Maia Sandu. In soli quattro giorni (7 marzo) gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) hanno concordato di invitare la Commissione a presentare un parere su ciascuna delle domande di adesione presentate dai tre Paesi richiedenti, da trasmettere poi al Consiglio per la decisione finale sul primo step del processo di allargamento Ue.
    Prima di dare il via libera formale, un mese più tardi (8 aprile) a Kiev la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, ha consegnato al presidente Zelensky il questionario necessario per il processo di elaborazione del parere della Commissione, promettendo che sarebbe stata “non come al solito una questione di anni, ma di settimane”. Lo stesso ha fatto il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, a margine del Consiglio Affari Esteri a Lussemburgo l’11 aprile. Meno di settanta giorni dopo, il 17 giugno il gabinetto von der Leyen ha dato la luce verde a tutti e tre i Paesi, specificando che Ucraina e Moldova meritavano subito lo status di Paesi candidati, mentre la Georgia avrebbe dovuto lavorare su una serie di priorità. La decisione ufficiale è arrivata al Consiglio Europeo del 23 giugno, che ha approvato la linea tracciata dalla Commissione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue.
    L’avvio dei negoziati di Albania e Macedonia del Nord
    Ma il 2022 non è stato memorabile a proposito dell’allargamento Ue solo per l’attenzione rivolta da Bruxelles verso Est. Dal 2004 (anno in cui l’Unione è passata da 15 a 25 membri) si è messa in moto la politica di avvicinamento dei Balcani Occidentali, ma senza nessun nuovo ingresso – fatta eccezione per la Slovenia nel 2004 e la Croazia nel 2013 – da allora. La situazione più delicata negli ultimi anni si è registrata con Albania e Macedonia del Nord, pronte ad avviare i negoziati di adesione all’Unione già nel 2019 e che solo dopo le aspre tensioni dell’ultimo anno sono state ammesse ai tavoli negoziali. Tirana e Skopje sono candidate rispettivamente dal 2014 e 2005 (con un’attesa per la risposta di cinque anni e mezzo per la prima e di quasi due anni per la seconda) e sono legate dallo stesso dossier, ovvero possono avanzare solo insieme.
    Da sinistra: il primo ministro della Repubblica Ceca e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Petr Fiala, della Macedonia del Nord, Dimitar Kovačevski, dell’Albania, Edi Rama, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (19 luglio 2022)
    Il processo di allargamento Ue a Skopje è stato ostacolato fino al 2018 dalla Grecia, per la contesa identitaria e sul cambio del nome del Paese balcanico: solo con gli Accordi di Prespa la Repubblica di Macedonia è diventata Repubblica della Macedonia del Nord. A quel punto la Commissione Ue ha stimolato due volte il Consiglio Ue ad aprire i negoziati di adesione con i due Paesi, ma il 19 ottobre 2019 Francia, Danimarca e Paesi Bassi hanno chiuso la porta a Tirana, chiedendo di implementare le riforme strutturali prima di sedersi ai tavoli negoziali. Dopo cinque mesi, al Consiglio del 25-26 marzo 2020, è arrivato il via libera dei Ventisette, prima di un nuovo stop determinato dal veto della Bulgaria all’avvio dei negoziati di adesione di Skopje il 9 dicembre 2020. A nulla sono serviti due vertici Ue-Balcani Occidentali – il primo a Kranji (Slovenia) nel 2021 e il secondo il 23 giugno a Bruxelles – per trovare una via d’uscita.
    La svolta si è concretizzata solo grazie alla spinta decisiva della presidenza di turno francese del Consiglio dell’Ue, con la proposta di mediazione tra Sofia e Skopje per risolvere una disputa storico-culturale che ha provocato la frustrazione di tutti i leader balcanici. Grazie a questa iniziativa il Parlamento bulgaro ha revocato il veto il 24 giugno e sono iniziate le trattative con Skopje, che considerava “irricevibile” la prima versione del testo. Dopo il discorso della presidente von der Leyen al Parlamento nazionale il 14 luglio per placare le tensioni e divisioni che si sono registrate nel Paese proprio in merito della proposta francese, anche i deputati macedoni hanno dato il via libera al compromesso e il 17 luglio è stato firmato il protocollo bilaterale tra Bulgaria e Macedonia del Nord. Solo due giorni più tardi il momento atteso da tre anni, con l’avvio dei negoziati di adesione Ue di Tirana e Skopje e le prime conferenze intergovernative svoltesi a Bruxelles. Albania e Macedonia del Nord sono diventate il quarto e quinto Paese candidato ad aprire i capitoli di negoziazione nell’ambito del processo di allargamento Ue.
    Il cammino degli altri balcanici
    A completare il quadro dei successi dell’allargamento Ue nel 2022 ci sono Bosnia ed Erzegovina e Kosovo, che hanno fatto progressi nel loro cammino di avvicinamento all’Unione. Per quanto riguarda Sarajevo (che ha fatto domanda di adesione nel 2016) il primo momento di svolta è arrivato nel corso del vertice dei leader Ue del 23 giugno, quando le tre ‘colombe’ in Consiglio – Slovenia-Croazia-Austria – avevano bloccato le discussioni su Ucraina e Moldova fino a quando non si fosse trovata almeno una parziale risposta alla questione bosniaca. Il breve stallo ha portato alla decisione di conferire anche alla Bosnia ed Erzegovina la prospettiva europea (come alla Georgia), con l’obiettivo di “tornare a decidere nel merito” quanto prima, a condizione che la Commissione riferisse “senza indugio” sull’attuazione delle 14 priorità-chiave.
    Il ponte di Mostar (Bosnia ed Erzegovina) illuminato con la bandiera dell’Unione Europea
    La leader dell’esecutivo comunitario von der Leyen ha continuato a inviare segnali incoraggianti alla Bosnia ed Erzegovina sul suo coinvolgimento nell’allargamento Ue, sia con la raccomandazione al Consiglio di concedere lo status di candidato all’adesione arrivata il 12 ottobre, sia con un discorso particolarmente appassionato a Sarajevo nel corso del suo viaggio nelle capitali balcaniche per annunciare il supporto energetico dell’Unione alla regione (28 ottobre). Dopo aver valutato il parere della Commissione, l’ultimo vertice dei leader Ue del 15 dicembre ha dato il via libera alla concessione alla Bosnia ed Erzegovina dello status di Paese candidato all’adesione Ue, sottolineando allo stesso tempo la necessità di implementare le riforme fondamentali nei settori dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali, del rafforzamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione. Nel processo di allargamento Ue Sarajevo è diventato l’ottavo candidato all’adesione.
    Per quanto riguarda il Kosovo, la situazione è resa complicata da due fattori: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza dalla Serbia nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e allo stesso tempo con Belgrado è in atto un dialogo più che decennale mediato da Bruxelles sulla normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi che ancora non ha portato a un accordo definitivo. Mentre si sono riaccese aspre tensioni a partire da fine luglio con la Serbia per il controllo politico del nord del Kosovo, Pristina ha comunque deciso di puntare tutto sul processo di allargamento Ue e ha iniziato a fine agosto i lavori per presentare la domanda di adesione all’Unione. Mentre l’opinione pubblica internazionale era concentrata sulla cosiddetta ‘battaglia delle targhe‘ e a carpire i dettagli della proposta franco-tedesca sulla mediazione finale nel 2023, il 6 dicembre al vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana la presidente Vjosa Osmani ha confermato che la lettera era pressoché ultimata. Otto giorni più tardi è stata firmata a Pristina la richiesta formale per ottenere lo status di Paese candidato e consegnata dal premier Albin Kurti alla presidenza di turno ceca del Consiglio dell’Ue il 15 dicembre a Praga.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e il ministro ceco per gli Affari europei e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Mikuláš Bek (15 dicembre 2022)
    Meno positivo è invece il quadro degli altri tre Paesi coinvolti nel processo di allargamento Ue (che dal 22 giugno 2021 è stato riformato con una nuova metodologia). Il Montenegro sta portando avanti i negoziati di adesione dal 2012 e al momento è il Paese allo stadio più avanzato. Tuttavia la crisi istituzionale che ha paralizzato Podgorica negli ultimi due anni e mezzo ha determinato uno stallo prolungato sui capitoli negoziali relativi allo Stato di diritto, in particolare il 23 (potere giudiziario e diritti fondamentali) e il 24 (giustizia e affari interni). La Serbia ha avviato i negoziati di adesione nel 2014 e quest’anno ha conosciuto una forte battuta d’arresto a causa della guerra russa in Ucraina: nel tentativo di seguire una politica di non-allineamento tra Bruxelles e Mosca, Belgrado non si è allineata alle sanzioni internazionali contro la Russia, ma per l’Ue non è concepibile che un partner candidato all’adesione non si allinei Politica estera e di sicurezza comune (Pesc). Infine, nel processo di allargamento Ue sarebbe coinvolta dal 1987 anche la Turchia: il Paese ha ottenuto lo status di candidato nel 1999 e ha avviato i negoziati di adesione nel 2005. Tuttavia, a causa delle continue provocazioni nel Mediterraneo orientale e delle violazioni dello Stato di diritto da parte del presidente Recep Tayyip Erdoğan, non c’è all’orizzonte nessun tipo di avanzamento.
    Come funziona il processo di allargamento Ue
    Il processo di allargamento Ue inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).
    Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.
    Per i Balcani Occidentali è previsto un processo parallelo – e separato – ai negoziati di adesione all’Unione, che ha comunque un impatto sull’allargamento Ue. Il processo di stabilizzazione e associazione è finalizzato ad aiutare i partner balcanici per un’eventuale adesione, attraverso obiettivi politici ed economici che stabilizzino la regione e creino un’area di libero scambio. Dopo la definizione di un quadro generale delle relazioni bilaterali tra l’Unione Europea e il Paese partner, la firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione offre la prospettiva futura di adesione.

    Dai nuovi candidati Bosnia ed Erzegovina, Moldova e Ucraina all’apertura dei negoziati con Albania e Macedonia del Nord dopo 3 anni di stallo, fino alla candidatura di Georgia e Kosovo. Il rischio di destabilizzazione russa ha dato uno scossone ai tentennamenti dei Ventisette

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    Le ventiquattr’ore di svolta per il Kosovo. Bruxelles riceve la richiesta di adesione Ue e trova l’intesa sui visti

    Bruxelles – Tutto in ventiquattr’ore, o quasi. Difficilmente i cittadini e i leader politici del Kosovo scorderanno ciò che è successo tra il pomeriggio di mercoledì 14 e giovedì 15 dicembre, quando il Paese balcanico ha siglato e presentato all’Unione Europea la richiesta di adesione e, parallelamente, ha visto stringere l’intesa tra i co-legislatori del Parlamento e del Consiglio dell’Ue per la liberalizzazione dei visti Schengen per Pristina al più tardi entro il primo gennaio del 2024.
    Il testo della richiesta di adesione del Kosovo all’Unione Europea
    “In qualità di rappresentante del Consiglio dell’Unione Europea ho ricevuto ufficialmente la richiesta di adesione all’Ue dalle mani del primo ministro del Kosovo, Albin Kurti“, ha reso noto il ministro ceco per gli Affari europei e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Mikuláš Bek: “La prospettiva europea è una forte garanzia di pace e prosperità nei Balcani Occidentali”. Lo stesso premier Kurti ha sottolineato “l’impegno incrollabile” del suo Paese nei valori fondamentali dell’Unione – “libertà, democrazia, diritti umani, uguaglianza e Stato di diritto” – attraverso la richiesta di adesione firmata ieri insieme alla presidente della Repubblica, Vjosa Osmani, e al presidente dell’Assemblea nazionale, Glauk Konjufca. Non è solo “un giorno storico per il popolo kosovaro”, ma anche “un grande giorno per la democrazia in Europa”, ha voluto sottolineare Kurti a Praga (il cui semestre di presidenza del Consiglio terminerà il prossimo 31 dicembre). La visione è quella di “un’Europa integra, libera e in pace” a cui anche il Kosovo vuole partecipare pienamente, “senza una porta sul retro né una corsia preferenziale”.
    In questo contesto, il Kosovo dovrà affrontare due sfide parallele, che al momento bloccano la strada verso la concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue: cinque Stati membri non ne riconoscono l’indipendenza (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia), mentre è necessaria la finalizzazione di un accordo giuridicamente vincolante sulla normalizzazione delle relazioni con la Serbia (da cui Pristina ha dichiarato unilateralmente l’indipendenza nel 2008). Bruxelles considera il 2023 l’anno decisivo per portare a termine il dialogo mediato da oltre 10 anni. Citando “l’Europa come compito” dell’ex-presidente ceco, Václav Havel, il premier del Kosovo ha parlato di un rafforzamento della democrazia, dell’economia e della società, fissando come obiettivo l’adesione entro una decina d’anni: “Il nostro accordo di associazione per la stabilizzazione è già stato attuato per circa il 50 per cento”.

    At the heart of Europe, in the beautiful city of Prague, we officially submitted to the Czech EU Presidency our application for EU membership.
    This is a historic day for the people of Kosova, and a great day for democracy in Europe. pic.twitter.com/BD4VwrjODa
    — Albin Kurti (@albinkurti) December 15, 2022

    Un endorsement alla richiesta di adesione all’Ue di Pristina è arrivato oggi dall’Eurocamera, in particolare dal presidente della delegazione per le relazioni con la Bosnia ed Erzegovina e il Kosovo, Romeo Franz, e dalla relatrice permanente per il Kosovo, Viola von Cramon-Taubadel. “La giornata di oggi segna una pietra miliare nelle nostre relazioni”, dal momento in cui la richiesta di adesione all’Unione “non riflette solo l’orientamento fortemente europeista dei kosovari e il consenso dei partiti politici”, ma è anche “una chiara scelta strategica in questi tempi di sfide geopolitiche senza precedenti”, hanno sottolineato i due eurodeputati tedeschi del gruppo dei Verdi/Ale. La richiesta netta al Consiglio è quello di “incaricare la Commissione Europea di preparare senza indugio un parere sul merito della domanda del Paese“, per avviare l’iter di valutazione della potenziale concessione dello status di candidato.
    Da sinistra: il presidente dell’Assemblea del Kosovo, Glauk Konjufca, la presidente della Repubblica, Vjosa Osmani, e il primo ministro, Albin Kurti (Pristina, 14 dicembre 2022)
    Tra i meriti principali di Pristina c’è il “costante allineamento” alla politica estera e di sicurezza dell’Ue, “in primo luogo attraverso l’adozione di sanzioni a seguito della guerra di aggressione russa contro l’Ucraina“. Questa solidarietà con il popolo ucraino “fa del Paese un partner affidabile, già profondamente ancorato all’alleanza europea e transatlantica”, hanno ribadito Franz e von Cramon-Taubadel, rinnovando l’appello dell’Eurocamera a Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia per “riconoscere il Kosovo come Stato sovrano”, perché possa “avanzare nel suo percorso europeo su un piano di parità con gli altri Paesi dei Balcani Occidentali“. Da Bruxelles ci si aspetta che “questo atto simbolico di richiesta di adesione sia seguito da azioni concrete e significative”, a partire proprio dalla normalizzazione delle relazioni con la Serbia.
    L’intesa Ue sulla liberalizzazione dei visti
    Proprio dal Parlamento Ue arriva un’altra notizia positiva per le prospettive del Kosovo di avvicinamento all’Unione. Nel pomeriggio di ieri è stata raggiunta in meno di un’ora l’intesa tra i negoziatori del Parlamento e del Consiglio dell’Ue per la liberalizzazione dei visti Schengen per i soggiorni di breve durata dei cittadini kosovari. L’esenzione implica la possibilità di viaggiare senza visto per un soggiorno di massimo 90 giorni (su un periodo di 180) nell’area che ha abolito le frontiere interne, utilizzando il proprio passaporto senza ulteriori requisiti. È in vigore per 63 Paesi di tutto il mondo, compresi quelli dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, ma non il Kosovo), Regno Unito, Moldova, Georgia e Ucraina.
    La presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel
    L’accordo ha sancito che la liberalizzazione entrerà in vigore a partire dalla data di inizio del funzionamento del Sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (Etias), “e comunque non più tardi del primo gennaio 2024”, si legge nell’intesa che ricalca la posizione raggiunta – con estrema fatica – due settimane fa tra gli ambasciatori dei Ventisette. L’Etias sarà un sistema digitale per tenere traccia dei visitatori extra-comunitari nella zona Schengen, che riguarderà tutti i viaggiatori provenienti dai – quasi 64 – Paesi ‘visa free’ per l’Ue e che prevederà la compilazione di un modulo d’ingresso (come per l’Electronic System for Travel Authorization negli Stati Uniti). Il problema riguarda il fatto che non è ancora stato stabilito quando l’Etias sarà operativo: inizialmente era previsto entro il 2022, poi la data di entrata in vigore è stata posticipata alla primavera 2023 e ancora alla fine del prossimo anno (verosimilmente a novembre).
    “Grazie a tutti coloro che hanno lavorato su questo tema per molti anni”, è il commento soddisfatto del relatore per il Parlamento Ue, Thijs Reuten. Dopo l’accordo, che arriverà non oltre la fine del 2023, l’intera regione dei Balcani Occidentali avrà un quadro di visti simile a quello dell’area Schengen: nel frattempo Pristina è incoraggiata ad allineare la politica dei visti esterni a quella dell’Ue – come richiesto con insistenza dai Ventisette anche al vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana – mentre gli Stati membri Ue che non hanno ancora accordi o intese di riammissione con il Kosovo “dovrebbero concludere tali accordi o intese”. Gli eurodeputati hanno anche sottolineato che il Paese balcanico dovrà rispettare il principio di non-respingimento nell’adempimento dei suoi obblighi in materia di migrazione e asilo.

    Very pleased to have reached agreement on behalf of @Europarl_EN with the Council represented by the @EU2022_CZ presidency on granting Kosovo visa liberalization on the 1st of January 2024 at the latest. Thanks to everyone who worked on this for so many years. 🇪🇺🤝🇽🇰 pic.twitter.com/4BJVlpWEKR
    — Thijs Reuten 🇪🇺🌹 (@thijsreuten) December 14, 2022

    Le tensioni nel nord del Kosovo
    Tutti gli sviluppi positivi per Pristina sul piano diplomatico sono arrivati sullo sfondo delle gravi tensioni nel nord del Paese, che hanno raggiunto ormai il sesto giorno di barricate e blocchi stradali ai valichi di confine. A riaccendere le ostilità delle frange più estreme della minoranza serba è stata la decisione di Pristina di inviare alcune centinaia di forze di polizia venerdì scorso (9 dicembre) per tenere sotto controllo la situazione nelle regioni settentrionali, dal momento in cui gli agenti serbo-kosovari dimessisi in massa a inizio novembre non sono ancora tornati in servizio. Le proteste si sono esacerbate sabato con l’arresto di un ex-agente della polizia kosovara, Dejan Pantić – accusato di “attacchi terroristici” – con blocchi stradali realizzati anche con mezzi pesanti donati attraverso i progetti finanziati dall’Ue. Nel corso della notte tra sabato e domenica (10-11 dicembre) vicino a Rudare una granata stordente ha colpito una pattuglia di ricognizione della missione civile Eulex, senza causare nessun ferito né danneggiamento di materiale.
    Blocchi stradali dei manifestanti serbo-kosovari nel nord del Kosovo
    La situazione è resa ancora più tesa per l’esacerbazione dei rapporti tra Pristina e Belgrado, proprio per il controllo politico delle regioni settentrionali del Kosovo. Lo scorso fine settimana la premier serba, Ana Brnabić, era arrivata a minacciare la possibilità di inviare mille soldati da Belgrado sul territorio kosovaro, misura non possibile senza il consenso della Nato (secondo quanto previsto dalla Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu del 1999). Nonostante le pressioni europee e statunitensi, oggi il governo di Belgrado ha deciso di presentare la richiesta alla Kosovo Force (Kfor) per inviare un contingente di forze di sicurezza oltre confine (anche se per la Serbia il Kosovo non è uno Stato sovrano) “a protezione” della popolazione serba, ha rivendicato il presidente Aleksandar Vučić. Domani (venerdì 16 dicembre) la richiesta sarà presentata formalmente al comandante della Kfor, il generale italiano Angelo Michele Ristuccia, anche se “sulla base di tutto quello che abbiamo sentito, riteniamo che non sarà accolta”, ha avvertito Vučić.
    “Negli ultimi giorni abbiamo affrontato grossi problemi nel nord del Kosovo”, ha commentato in maniera secca l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, facendo ingresso al Consiglio Europeo di oggi e ricordando di aver inviato il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, sia a Pristina sia Belgrado. “Chiedo il supporto di tutti i leader Ue per calmare la situazione“, ha precisato Borrell, che ha esortato esplicitamente alla rimozione delle barricate ai valichi di confine tra Serbia e Kosovo. Mentre il dialogo mediato da Bruxelles “è l’unica modalità che fornisce la prospettiva europea per entrambe le parti”, nel corso del vertice dei leader Ue è stato anche discusso il “quadro completo e coerente per arrivare alla normalizzazione dei rapporti“, ovvero la nuova versione della proposta di mediazione franco-tedesca che dovrebbe portare a un’intesa “in meno di un anno”, secondo quanto confermano fonti europee.

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    Il Kosovo ha presentato la richiesta formale per ottenere lo status di Paese candidato all’adesione all’Unione Europea

    Bruxelles – Era una questione di giorni, se non di ore, dopo le anticipazioni dalla presidente Vjosa Osmani al vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana martedì scorso (6 dicembre). Nella tarda mattinata di oggi (mercoledì 14 novembre) il Kosovo ha presentato la richiesta formale per ottenere lo status di Paese candidato all’adesione all’Unione Europea. A partire da oggi tutti gli Stati extra-Ue interessati dal processo di allargamento dell’Unione si trovano almeno nella casella di partenza della richiesta di adesione, in un anno che ha visto il più grande sconvolgimento per le prospettive di espansione dei Ventisette a nuovi membri sul continente.
    Da sinistra: il presidente dell’Assemblea del Kosovo, Glauk Konjufca, la presidente della Repubblica, Vjosa Osmani, e il primo ministro, Albin Kurti (Pristina, 14 dicembre 2022)
    “Un momento storico per Kosovo e Unione Europea“, è il commento entusiasta della presidente Osmani al termine della cerimonia di firma della domanda di adesione all’Ue con il premier Albin Kurti e il presidente dell’Assemblea nazionale, Glauk Konjufca. Secondo la leader kosovara si tratta di “un passo più vicino alla realizzazione del sogno di coloro che hanno sacrificato le loro vite per la libertà, l’indipendenza e la democrazia”, ma anche alla “realizzazione della nostra comune e incrollabile ambizione di entrare nell’Unione Europea“. Per il Paese “non c’è mai stata un’alternativa, ma i sogni diventano realtà solo quando si lavora per realizzarli”, come ha dimostrato l’ultima relazione sui progressi di Pristina nel Pacchetto Allargamento 2022 della Commissione Ue.
    “I progressi dipenderanno dal nostro impegno per riforme profonde, che facciano progredire la democrazia, rafforzino lo Stato di diritto e sviluppino la nostra economia”, ha dichiarato in conferenza stampa il premier Kurti, precisando che la lettera sarà presentata nei prossimi giorni alla Commissione e alla presidenza di turno ceca del Consiglio dell’Ue (che terminerà il proprio semestre il prossimo 31 dicembre). Il Kosovo dovrà però affrontare una doppia sfida, che al momento blocca la strada verso l’ottenimento dello status di Paese candidato all’adesione Ue: cinque Stati membri non ne riconoscono l’indipendenza (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e la finalizzazione di un accordo giuridicamente vincolante sulla normalizzazione delle relazioni con la Serbia (da cui Pristina ha dichiarato unilateralmente l’indipendenza nel 2008). Nonostante le aspre tensioni tra i due Paesi nel nord del Kosovo, a Bruxelles il 2023 è considerato l’anno decisivo per portare a termine un dialogo mediato dall’Ue ormai più che decennale.

    A historic moment. 🇽🇰 🇪🇺
    A step closer to fulfilling the dream of those who sacrificed their lives for freedom, independence & democracy, as well as, fulfilling our common and unwavering ambition of joining the European Union. pic.twitter.com/TX9Ygwl2MJ
    — Vjosa Osmani (@VjosaOsmaniPRKS) December 14, 2022

    Tra Kosovo e allargamento Ue
    Il processo di allargamento Ue coinvolge i sei Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia), la Turchia – i cui negoziati sono però cristallizzati dalla politica del presidente Erdoğan – Ucraina e Moldova – a cui è stato concesso al vertice dei leader Ue di giugno lo status di Paesi candidati – e Georgia, a cui è stata riconosciuta la prospettiva europea. Serbia e Montenegro stanno portando avanti i negoziati di adesione rispettivamente dal 2014 e dal 2012, mentre il pacchetto Albania-Macedonia del Nord si è sbloccato a metà luglio dopo quasi tre anni di stallo (prima per il veto di Francia-Paesi Bassi-Danimarca ai danni di Tirana e poi per quello della Bulgaria contro Skopje). Dopo sei anni dalla richiesta di adesione per la Bosnia ed Erzegovina è quasi arrivato il momento della concessione dello status di Paese candidato, mente il Kosovo ha firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione nel 2016 e da oggi ha completato il quadro degli Stati balcanici che si trovano formalmente sulla strada di adesione all’Unione.
    Ricevuta la proposta formale di candidatura all’adesione, per diventare un Paese membro dell’Ue è necessario superare l’esame dei criteri di Copenaghen: per i Balcani Occidentali è compresa la firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione, un accordo bilaterale tra l’Unione e il Paese richiedente, a cui viene offerta la prospettiva di adesione. Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri, si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.

    La lettera è stata firmata dalla presidente Vjosa Osmani, dal premier Albin Kurti e dal leader dell’Assemblea nazionale Glauk Konjufca: “Un passo più vicino alla realizzazione della nostra comune e incrollabile ambizione di entrare nell’Ue”. Ma prima l’accordo sui rapporti con la Serbia

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    Il presidente serbo Vučić ci ripensa. Nonostante le tensioni con il Kosovo parteciperà al vertice Ue-Balcani Occidentali

    dall’inviato a Tirana – Nelle ultime ore prima del vertice Ue-Balcani Occidentali in Albania va in scena l’ultima mossa di una partita a scacchi che dura da più di dieci anni. Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, ha annunciato che farà un passo indietro rispetto alla sua decisione di boicottare il summit come ritorsione per gli ultimi avvenimenti in Kosovo. Domani (martedì 6 dicembre) parteciperà ai lavori con gli altri cinque leader balcanici, i capi di Stato e di governo dei Paesi membri Ue e i presidenti del Consiglio, Charles Michel, e della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (21 novembre 2022)
    Scongiurato a meno di ventiquattr’ore dall’inizio del summit la possibilità di un vertice Ue-Balcani Occidentali ‘meno uno’, che avrebbe potuto rappresentare non solo uno sgarbo istituzionale nei confronti del premier albanese, Edi Rama (promotore della prima riunione di questo genere nella regione ancora extra-Ue), ma soprattutto avrebbe reso quasi vane le conclusioni sui rapporti tra Serbia e Kosovo del vertice stesso. “Rientra nel suo gioco di fare la vittima eterna, è un paradigma che ha funzionato nel nazionalismo serbo degli ultimi 30 anni”, spiega a Eunews Giorgio Fruscione, politologo dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) ed esperto delle questioni balcaniche, Serbia in primis. “Non avevo alcun dubbio sul fatto che Vučić avrebbe confermato la sua presenza”, ribadisce Fruscione, sottolineando che il presidente serbo “non può permettersi di fare la voce grossa con Bruxelles in un momento così delicato per il dossier kosovaro“.
    A scatenare le ire di Vučić venerdì scorso (2 dicembre) era stata la nomina di Nenad Rašić come ministro per le Comunità e il ritorno dei profughi all’interno del governo kosovaro guidato da Albin Kurti. Rašić è il leader del Partito Democratico Progressista, formazione serba ostile a Belgrado e concorrente di Lista Srpska. Proprio il leader del partito serbo-kosovaro più vicino a Vučić, Goran Rakić, si era dimesso dal ministero riservato alla minoranza serba nel Paese durante l’ondata di ritiri di sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali a inizio novembre, in segno di protesta contro l’obbligo di sostituire le targhe serbe con quelle rilasciate dalle autorità di Pristina.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić
    Nonostante l’accordo del 24 novembre scorso, che ha risolto la grave tensione tra Serbia e Kosovo sulla questione delle targhe dei veicoli alla frontiera, la maggior parte dei serbi-kosovari dimessisi non è ancora rientrata in servizio e il premier Kurti ha dovuto colmare il vuoto nel suo governo, “continuando a giocare a scacchi con Belgrado”, è l’analisi di Fruscione. Proprio da questa partita a scacchi sulla questione kosovara dipende in parte la rabbia di Vučić: “La mossa di Kurti di posizionare un serbo del Kosovo non fedele a Belgrado sembra uno scacco matto“. Ma c’è di più.
    Una seconda motivazione che ha spinto il leader serbo a rilasciare delle dichiarazioni “al limite del surreale” alla rete filo-governativa Rtv Pink – in cui ha definito Rašić “la peggiore feccia serba” – è legata a questioni di politica interna: “Per anni Vučić ha creato una sovrapposizione tra partito e interesse nazionale”, spiega ancora Fruscione. Di qui il tentativo di far sembrare il Partito Progressista Serbo “l’unico o il migliore rappresentante della bandiera serba” dentro e fuori i confini nazionali (anche se il Kosovo è tutt’ora considerato da Belgrado parte del Paese), mentre “tutti gli esponenti che non ricadono sotto il suo controllo non sono ‘abbastanza’ serbi“.
    Il passo indietro di Vučić
    Il rappresentante speciale UE, Miroslav Lajčák, con il presidente serbo, Aleksandar Vučić, a Belgrado
    Il ripensamento del leader serbo – arrivato senza nessuno stupore degli analisti – è stato annunciato al termine del confronto con il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, volato questa mattina nella capitale serba proprio per cercare di risolvere con la diplomazia uno strappo che si sarebbe fatto sentire al vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana. Nella dura accusa di Vučić di venerdì le istituzioni di Bruxelles erano state definite colpevoli di “mancata condanna” della presunta incostituzionalità della decisione del governo Kurti: anche per questa ragione il boicottaggio dell’imminente summit di Tirana con i Ventisette aveva assunto un significato quantomeno simbolico.
    “La sua partecipazione non dovrebbe cambiare gli equilibri del vertice, ma è servita per scopi interni”, mette in chiaro Fruscione. Anche se “Lajčák non è andato a supplicare Vučić di essere presente a Tirana, c’è sicuramente del lavoro intenso dietro le quinte”, dal momento in cui la partita a scacchi Serbia-Kosovo potrebbe essere arrivata alle battute finali. “Credo che siano giorni e settimane, probabilmente gli ultimi mesi decisivi per chiudere la questione del Kosovo“, in cui la mediazione di Bruxelles – accompagnata da una proposta franco-tedesca in 9 punti – è “l’elemento-chiave per far ragionare le due parti, che approfittano di pretesti come questo per rivendicare interessi nazionali”. Ribaltando l’interpretazione che il presidente Vučić sta cerando di far passare in patria (che l’Ue privilegia il Kosovo e punisce la Serbia), Fruscione puntualizza la “preponderanza almeno nella forma verso Belgrado” da parte delle istituzioni comunitarie. Ma per Bruxelles la missione quasi impossibile ora è chiudere la partita senza far avvertire a nessuna della due parti il peso della sconfitta.

    In Belgrade today, I discussed the way forward on normalisation of relations as a follow-up to the last Dialogue meetings with @predsednikrs @avucic. We also spoke about current issues, including return of Kosovo Serbs to Kosovo institutions, Energy Roadmap and missing persons. pic.twitter.com/NlhE9bfOxm
    — Miroslav Lajčák (@MiroslavLajcak) December 5, 2022

    Il numero uno della Serbia aveva annunciato che avrebbe boicottato il summit di Tirana del 6 dicembre dopo la nomina del serbo-kosovaro Nenad Rasić (ostile a Belgrado) nel governo del Kosovo. Il cambio di decisione dopo l’incontro con il rappresentante speciale Ue, Miroslav Lajčák

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    Via libera dai 27 ambasciatori Ue alla liberalizzazione dei visti Schengen del Kosovo “non oltre il primo gennaio 2024”

    Bruxelles – Un passo avanti significativo nell’ormai infinita vicenda della liberalizzazione dei visti per i cittadini del Kosovo – unico Paese europeo (fatta eccezione per Russia e Bielorussia) a cui non è riconosciuta – anche se Pristina dovrà aspettare ancora un poco più di un anno al massimo prima di poter finalmente celebrare l’esenzione del regime dei visti in ingresso nello spazio Schengen. I 27 ambasciatori dei Paesi membri dell’Ue hanno dato il via libera in Coreper (il Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio) al mandato negoziale del Consiglio dell’Ue, in vista degli imminenti negoziati con l’Eurocamera.
    La presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel
    “Oggi [mercoledì 30 novembre, ndr] abbiamo compiuto un passo importante verso l’esenzione dei visti per il Kosovo e speriamo ora di raggiungere rapidamente un accordo con il Parlamento Europeo per trasformare questa promessa in realtà”, ha commentato il ministro degli Esteri ceco e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Jan Lipavský, che ha sottolineato come questo risultato sia stato reso possibile “dagli sforzi del Kosovo per rafforzare i controlli alle frontiere, la gestione dell’immigrazione e la sicurezza”. L’esenzione implica la possibilità di viaggiare senza visto per un soggiorno di massimo 90 giorni (su un periodo di 180) nell’area che ha abolito le frontiere interne, utilizzando il proprio passaporto senza ulteriori requisiti: è in vigore per 63 Paesi di tutto il mondo, compresi quelli dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, ma non il Kosovo), Regno Unito, Moldova, Georgia e Ucraina.
    Secondo la posizione approvata oggi dai 27 ambasciatori, l’esenzione dall’obbligo di visto si applicherebbe a partire dalla data di inizio del funzionamento del Sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (Etias), secondo la proposta francese emersa all’ultima riunione del gruppo di lavoro sui visti del Consiglio a metà ottobre. Si tratta di un sistema digitale per tenere traccia dei visitatori extra-comunitari nella zona Schengen, che riguarderà tutti i viaggiatori provenienti dai 63 Paesi ‘visa free’ per l’Ue e che prevederà la compilazione di un modulo d’ingresso (come per l’Electronic System for Travel Authorization negli Stati Uniti).
    Il vero problema riguarda il fatto che non è ancora stato stabilito quando l’Etias sarà operativo: inizialmente era previsto entro il 2022, poi la data di entrata in vigore è stata posticipata alla primavera 2023 e ancora alla fine del prossimo anno. È per questo motivo che assume particolare rilevanza la specifica degli ambasciatori “e comunque non oltre il primo gennaio 2024” per la liberalizzazione dei visti per i cittadini del Kosovo. “Accolgo con favore l’importante e a lungo attesa decisione odierna del Coreper sull’abolizione dei visti”, ha commentato il primo ministro kosovaro, Albin Kurti. Per Pristina è “un riconoscimento del nostro impegno per lo Stato di diritto, la lotta alla corruzione, il rafforzamento dei controlli alle frontiere e la gestione dell’immigrazione”. Ringraziando la presidenza di turno ceca del Consiglio dell’Ue, Kurti ha sottolineato che ora attende “con impazienza” la finalizzazione del processo.

    I welcome today’s important & overdue decision by COREPER on visa lib. for Kosova, an acknowledgement of our commitment to rule of law, fighting corruption, strengthening border controls & managing migration. Thankful to @EU2022_CZ & look fwd to the finalization of this process.
    — Albin Kurti (@albinkurti) November 30, 2022

    La lunga attesa del Kosovo
    Il dialogo dl Kosovo con la Commissione Europea sulla liberalizzazione dei visti è iniziato il 19 febbraio 2012, a quattro anni dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza dalla Serbia. Nel maggio 2016 la Commissione aveva proposto al Parlamento e al Consiglio dell’Ue (che devono entrambi dare il via libera definitivo) di concedere l’esenzione per i cittadini kosovari, mentre procedevano i lavori per il rispetto degli ultimi due requisiti da parte di Pristina: la demarcazione dei confini (con il Montenegro) e il bilancio della lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione. Due anni più tardi, il 18 luglio 2018, lo stesso esecutivo comunitario aveva confermato che il Kosovo ha soddisfatto tutti i requisiti previsti dalla tabella di marcia per la liberalizzazione dei visti, incoraggiando i co-legislatori ad adottare la proposta di abolirne l’obbligo in ingresso sul territorio dell’Unione. La stessa esortazione è arrivata il 12 ottobre con la presentazione del Pacchetto Allargamento 2022.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Ma dal 2018 a oggi niente si era mosso in Consiglio. Il Parlamento Ue ha più volte accusato i 27 Paesi membri per il “fallimento di non aver mantenuto la promessa” ai cittadini del Kosovo. L’intesa di oggi tra i 27 ambasciatori è considerata cruciale perché supera uno stallo che ha una doppia natura: cinque membri Ue non riconoscono l’indipendenza di Pristina (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e, allo stesso tempo, Francia e Paesi Bassi hanno frenato fino all’ultimo l’iniziativa della Commissione, almeno prima dell’inedito impegno congiunto sull’asse Parigi-Berlino per risolvere le controversie più urgenti che riguardano il Kosovo.
    Come hanno sottolineato i 27 ambasciatori Ue, Pristina in questi anni “ha compiuto progressi significativi in tutti i blocchi della tabella di marcia per la liberalizzazione dei visti“, inclusi i settori della sicurezza dei documenti, della gestione delle frontiere e della migrazione, dell’ordine pubblico e dei diritti fondamentali relativi alla libertà di circolazione. Una volta che entrerà in vigore l’esenzione dall’obbligo di visto anche per i cittadini kosovari – al massimo fra un anno e un mese – l’intera regione dei Balcani Occidentali sarà soggetta allo stesso regime (con la Commissione Ue che continuerà a monitorare “attivamente” l’attuazione dei requisiti, attraverso il meccanismo di liberalizzazione post-visto). Tutti i cittadini europei potranno così viaggiare liberamente con il proprio passaporto sull’intero continente, senza discriminazioni di nazionalità.

    Approvato il mandato del Consiglio dell’Ue per i negoziati con l’Eurocamera. Prima della data-limite, il regolamento sull’esenzione dei visti per i cittadini kosovari potrebbe applicarsi a partire dall’entrata in funzione del Sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (Etias)

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    I Ventisette hanno autorizzato la Commissione ad avviare i negoziati per dispiegare Frontex nei Balcani Occidentali

    Bruxelles – Il dispiegamento degli agenti Frontex su tutte le frontiere dei Balcani Occidentali si avvicina sempre di più. Dopo la raccomandazione della Commissione Europea dello scorso 26 ottobre, il Consiglio dell’Ue ha deciso oggi (venerdì 18 novembre) di autorizzare i negoziati con Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Serbia per ampliare gli accordi sulla cooperazione dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera.
    Gli accordi negoziati nell’ambito del nuovo mandato di Frontex consentiranno all’agenzia di assistere i quattro Paesi balcanici nella gestione delle persone migranti in arrivo, nel contrastare l’immigrazione irregolare e nell’affrontare la criminalità trans-frontaliera. I nuovi accordi consentiranno al personale Frontex di esercitare poteri esecutivi, come i controlli di frontiera e la registrazione delle persone.
    In altre parole, se il nuovo quadro giuridico sarà negoziato secondo i termini di Bruxelles, i corpi permanenti dell’Agenzia Ue potranno essere dispiegati in tutta regione: non più solo alle frontiere esterne dell’Ue ma anche alle frontiere interne tra Paesi terzi. In questo scenario, Frontex potrà operare con pieni poteri esecutivi anche alle frontiere tra Macedonia del Nord-Albania, Macedonia del Nord-Serbia, Albania-Montenegro, Montenegro-Serbia, Montenegro-Bosnia ed Erzegovina e Serbia-Bosnia ed Erzegovina. Rimane anche sul fronte della gestione congiunta delle frontiere il buco nero del Kosovo, dal momento in cui non c’è ancora l’unanimità tra i Ventisette sul riconoscimento della sua sovranità (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia si oppongono).
    A oggi, il dispiegamento degli agenti può avvenire solo alle frontiere degli Stati membri dell’Unione (e senza poteri esecutivi). “Le sfide migratorie nella rotta dei Balcani Occidentali non iniziano alle frontiere dell’Unione”, ha commentato il ministro dell’Interno della Repubblica Ceca e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Vít Rakušan: “La cooperazione con i nostri partner, anche attraverso l’invio di personale Frontex, è essenziale per individuare e bloccare tempestivamente i movimenti migratori irregolari“. Secondo il ministro ceco, questo accordo “migliorerà la protezione delle frontiere esterne dell’Unione”, contribuendo allo stesso tempo “agli sforzi dei Paesi dei Balcani Occidentali per impedire ai contrabbandieri di utilizzare i loro territori come tappe di transito“.
    Lo stato dell’arte degli accordi Frontex con i Balcani Occidentali
    Gli accordi sullo status di Frontex nell’ambito del precedente mandato dell’Agenzia europea sono stati conclusi con l’Albania nell’ottobre 2018, con il Montenegro nell’ottobre 2019 e con la Serbia un mese più tardi, mentre dal 2017 è in stallo quello con la Bosnia ed Erzegovina, mai firmato dal momento dell’entrata in vigore del regolamento rivisto. È per questo motivo che per la Commissione era considerato cruciale il via libera alle raccomandazioni dal Consiglio dell’Ue, per autorizzare lo stesso esecutivo ad avviare i negoziati con Tirana, Podgorica, Belgrado e Sarajevo.
    Nel corso del tappa a Skopje dello scorso 26 ottobre (nel contesto del suo viaggio nei Balcani Occidentali), la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha messo il cappello sulla firma del secondo accordo con la Macedonia del Nord, che permetterà a Frontex di dispiegare squadre di gestione delle frontiere, sia alle frontiere con l’Unione (Grecia e Bulgaria) sia con gli altri Paesi balcanici extra-Ue (Serbia, Kosovo e Albania). Si tratta del primo documento ufficiale firmato dal momento dell’avvio dei negoziati di adesione all’Ue della Macedonia del Nord, in cui ha rivestito un ruolo significativo la traduzione anche in lingua macedone, “senza note, senza asterischi, su un piano di parità con tutte le 24 lingue dell’Unione Europea”, ha sottolineato von der Leyen.
    A questo si aggiunge un nuovo pacchetto di assistenza da 39,2 milioni di euro nell’ambito dello strumento di assistenza pre-adesione (IPA III) per rafforzare la gestione delle frontiere nei Balcani Occidentali. I finanziamenti di Bruxelles – arrivati a 171,7 milioni di euro – serviranno principalmente per l’acquisto di attrezzature specializzate, come sistemi di sorveglianza mobile, droni, dispositivi biometrici, formazione e sostegno ai Centri nazionali di coordinamento e creazione di strutture per “accoglienza e detenzione”, specifica l’esecutivo Ue.

    Con il via libera del Consiglio dell’Ue, l’esecutivo comunitario potrà negoziare con Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Serbia l’operatività dei corpi permanenti non più solo alle frontiere esterne dell’Unione ma anche alle frontiere interne tra Paesi terzi, garantendo poteri esecutivi