In Georgia nuove manifestazioni di massa europeiste contro la legge sugli agenti stranieri
Bruxelles – Non mollano il colpo i cittadini georgiani e, a nemmeno una settimana dal ritorno nelle piazze della capitale Tbilisi, la protesta si allarga a oltre diecimila manifestanti che si oppongono al controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’ prima del ritorno alle urne il prossimo 26 ottobre. Quelle andate in scena ieri sera (15 aprile) assomigliano molto alle manifestazioni del 7-8 marzo 2023, anche se su scala leggermente ridotta, in particolare per lo stesso spirito europeista e le stesse rivendicazioni di opposizione a una legge che ricorda in modo inquietante quella in vigore nella vicina e temuta Russia. Tanto da provocare il durissimo monito del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, al governo di Tbilisi: “Voglio essere chiaro, il progetto di legge sulla trasparenza dell’influenza estera non è coerente con l’aspirazione della Georgia all’Ue e con la sua traiettoria di adesione e porterà la Georgia più lontana dall’Ue e non più vicina“.
Manifestanti georgiani a Tbilisi contro la legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, 9 aprile 2024 (credits: Vano Shlamov / Afp)Proprio nel giorno in cui sono andati scena scontri durante il dibattito parlamentare sulla questione – con un pugno sferrato da un deputato dell’opposizione al co-autore della legge per il partito di governo Sogno Georgiano – migliaia di manifestanti pro-Ue hanno animato nuovamente le proteste su viale Rustaveli (su cui si affaccia la sede del Parlamento) con bandiere della Georgia e dell’Unione Europea e intonando cori a tema “No alla legge russa”. Con un post su X la presidente della Repubblica, Salomé Nino Zourabichvili, ha rivendicato che “la Georgia non si arrenderà alla ri-sovietizzazione” e ha denunciato che “la maggioranza di Sogno Georgiano ha espulso tutti i deputati dell’opposizione” in occasione dell’adozione della legge da parte della commissione Affari legali del Parlamento. Da Bruxelles sono arrivati commenti di speranza verso la nuova ondata di manifestazioni popolari a Tbilisi, come quello dell’eurodeputato di Italia Viva e vicepresidente del gruppo Renew Europe, Nicola Danti, che su X ha voluto ricordare come “l’Europa, con tutti i suoi limiti, è ancora in grado di essere un faro di libertà per tutti“.Poco più di un mese fa il neo-premier della Georgia, Irakli Kobakhidze, aveva assicurato all’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che “entro il 2030 la Georgia sarà pronta più di qualsiasi altro Paese candidato per l’adesione”. Ma proprio lo status di Paese candidato all’adesione Ue concesso il 14 dicembre dello scorso anno dal Consiglio Europeo è condizionato dai progressi sulle raccomandazioni della Commissione Ue sulla libertà della società civile e sulla lotta alla disinformazione. Nonostante ciò lo scorso 3 aprile la leadership di Sogno Georgiano (oggi guidata dall’ex-premier Irakli Garibashvili, che dall’8 febbraio si è scambiato il ruolo con Kobakhidze) ha riproposto nuovamente la legge contestata, dopo aver emendato un solo passaggio: tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero dovranno registrarsi come ‘organizzazione che persegue gli interessi di una potenza straniera’ e non come ‘agente di influenza straniera’.
Manifestanti georgiani a Tbilisi contro la legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, 15 aprile 2024 (credits: Vano Shlamov / Afp)Per i gruppi pro-democrazia di opposizione nel Paese la sostanza non cambia rispetto a un anno fa e si teme ancora un allineamento a quanto in vigore in Russia dal primo dicembre del 2022. Non a caso il 4 aprile da Bruxelles è arrivata la condanna delle istituzioni Ue al progetto del governo e l’implicito appoggio alle nuove proteste di piazza, puntualmente riprese tra l’8 e il 9 aprile. Quanto si sta vedendo a Tbilisi è un nuovo contrasto tra la popolazione europeista e il governo che a parole si definisce pro-Ue ma che allo stesso tempo spinge per progetti legislativi liberticidi e non allineanti ai valori dell’Unione. Una replica degli eventi di un anno fa quando – dopo l’approvazione della legge in prima lettura da parte del Parlamento – decine di migliaia di cittadini georgiani erano scesi in piazza con le bandiere della Georgia e dell’Unione Europea, gridando slogan come Fuck Russian law e tappezzando la città di insulti a Putin. Dopo due giorni di proteste ininterrotte il partito Sogno Georgiano aveva ritirato il progetto di legge, ma senza sconfessare la propria iniziativa, come dimostrano gli eventi di questi giorni.Il complesso rapporto tra Ue e Georgia
Le proteste pro-Ue dei manifestanti georgiani a Tbilisi, 7 marzo 2023 (credits: Afp)Nonostante la concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue, il rapporto tra Bruxelles e Tbilisi rimane particolarmente complesso a causa dello scollamento tra una popolazione a stragrande maggioranza filo-Ue e un governo quantomeno controverso sulle tendenze filo-russe (anche se poi ha fatto richiesta di aderire all’Unione per i timori sollevati dall’espansionismo del Cremlino). Non solo è evidente la difficoltà a implementare le riforme richieste dal cammino di avvicinamento all’Unione, ma nel corso degli ultimi due anni si sono registrati episodi che hanno evidenziato l’ambiguità del partito al potere Sogno Georgiano – il cui fondatore è l’oligarca Bidzina Ivanishvili, che compare nella risoluzione non vincolante del Parlamento Ue che chiede sanzioni personali nei suoi confronti. Per esempio, nel maggio dello scorso anno sono ripresi dei voli tra Georgia e Russia dopo la decisione di Mosca di eliminare il divieto in vigore, e il Paese caucasico non si è mai allineato alle misure restrittive introdotte da Bruxelles contro il Cremlino dopo l’invasione dell’Ucraina. Lo scorso autunno il governo ha anche tentato di mettere sotto impeachment (fallito) la presidente della Repubblica per una serie di viaggi nell’Unione Europea che che avrebbero rappresentato una violazione dei poteri della capa di Stato secondo la Costituzione nazionale.A cavallo della decisione di Bruxelles di giugno 2022 di non concedere ancora alla Georgia lo status di candidato all’adesione, a Tbilisi si sono svolte due grandi manifestazioni pro-Ue: una ‘marcia per l’Europa’ per ribadire l’allineamento del popolo ai valori dell’Unione e una richiesta di piazza di dimissioni del governo. I tratti comuni di queste manifestazioni sono state le bandiere – bianca e rossa delle cinque croci (nazionale) e con le dodici stelle su campo blu – cartelli con rivendicazioni europeiste e l’inno georgiano intervallato dall’Inno alla Gioia. Prima dello scoppio delle dure proteste popolari nel marzo 2023 – appoggiate da Bruxelles – che almeno fino a oggi hanno portato all’accantonamento del controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’.In questo scenario non va dimenticato il rapporto particolarmente delicato della Georgia con la Russia, Paese con cui confina a nord. La candidatura all’adesione Ue e Nato – sancita dalla Costituzione nazionale – da tempo è causa di tensioni con il Cremlino. Dopo i conflitti degli anni Novanta con le due regioni separatiste dell’Ossezia del Sud (1991-1992) e dell’Abkhazia (1991-1993) a seguito dell’indipendenza della Georgia nel 1991 dall’Unione Sovietica, sul terreno la situazione è rimasta di fatto congelata per 15 anni, con le truppe della neonata Federazione Russa a difendere i secessionisti all’interno del territorio rivendicato. Il tentativo di riaffermare il controllo di Tbilisi sulle due regioni nell’estate del 2008 – voluto dall’allora presidente Mikheil Saakashvili – determinò il 7 agosto una violenta reazione russa non solo nel respingere l’offensiva dell’esercito georgiano, ma portando anche all’invasione del resto del territorio nazionale con carri armati e incursioni aeree per cinque giorni. Da allora la Russia di Vladimir Putin riconosce l’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud e ha dislocato migliaia di soldati nei due territori per aumentare la propria sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia, in violazione degli accordi del 12 agosto 2008.