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    Ucraina, von der Leyen spinge per aprire tutti i capitoli per l’adesione all’Ue nel 2025. I Patrioti di Orbán di traverso

    Bruxelles – Nel percorso verso l’adesione all’Unione europea, l’Ucraina può contare sul più influente dei sostenitori: la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si sta spendendo in prima persona per accelerare l’ingresso di Kiev nel blocco Ue. “Può essere la più forte garanzia di sicurezza” e di una “pace giusta e duratura”, ha evidenziato oggi (7 maggio) intervenendo al Parlamento europeo di Strasburgo. L’obiettivo – che la leader Ue avrebbe concordato con Zelensky a Roma, in occasione dei funerali di papa Francesco – è “aprire tutti i capitoli di negoziati di adesione nel 2025“.I vertici delle istituzioni europee sono d’accordo, l’adesione dell’Ucraina si deve fare il più presto possibile. A costo di far passare Kiev davanti a candidati di lunga data, come i sei dei Balcani occidentali. Serbia e Montenegro, ad esempio, di capitoli di negoziazione ne hanno già aperti da anni ma procedono a rilento verso il completamento dei 35 totali. Ma – come emerso già nell’ultimo Consiglio europeo – i Paesi membri, titolari del potere di veto sugli avanzamenti dei Paesi candidati, sono divisi. A ben vedere, l’Ue è già venuta meno alla promessa di aprire il processo di adesione entro marzo: se formalmente il percorso è stato avviato, non è stato però aperto nessuno dei cluster negoziali, nemmeno quello dei cosiddetti capitoli fondamentali.Da un lato ci sono i baltici e i nordici (Danimarca, Finlandia, Svezia, Estonia, Lettonia e Lituania), che vorrebbero premere sull’acceleratore. A loro, in linea di principio, si unirebbe anche la Polonia. Ma Varsavia, che attualmente detiene la presidenza di turno semestrale del Consiglio dell’Ue, è più cauta, perché consapevole delle difficoltà nel costruire un consenso all’unanimità che ancora non c’è. I Paesi dell’Europa meridionale e orientale hanno sensibilità differenti e – per quanto generalmente d’accordo con la necessità di allargare l’Unione a Kiev – hanno riserve a scavalcare altri Paesi candidati con cui storicamente intrattengono rapporti più stretti.C’è poi il solito elefante nella stanza, quel Viktor Orbán che proprio non ne vuole sapere. Anche oggi, il gruppo dei Patrioti per l’Europa, creatura fondata dal premier sovranista ungherese, ha ribadito il suo no all’ingresso dell’Ucraina nei 27: “Non è nel nostro interesse – ha dichiarato Kinga Gal, vicepresidente del gruppo e membro di Fidesz, il partito di Orbán -, causerebbe gravi danni alla politica agricola, alla politica di coesione e altro”. L’Ucraina non sarebbe in linea “con nessuna delle condizioni di adesione”, ha proseguito Gal, denunciando il rischio di “doppi standard” nella politica di allargamento di Bruxelles.In realtà, la posizione filo-russa di Budapest – e dei Patrioti – va ben oltre l’opposizione all’allargamento a Kiev. Delle tre priorità elencate oggi da von der Leyen per fare in modo di arrivare all’agognata pace “giusta e sostenibile”, l’Ungheria non ne condivide nessuna. Non il sostegno alle capacità di difesa dell’Ucraina, tanto meno l’eliminazione graduale dei combustibili fossili russi. Ma se su queste due – con qualche escamotage – l’Ue può procedere a 26, sull’adesione non può. E continuare a fissare date e a fare promesse, diventa rischioso.

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    In Georgia il Parlamento ha approvato la stretta sui diritti LGBTQ. Borrell: “Si allontana sempre più dall’adesione all’Ue”

    Bruxelles – Con l’approvazione definitiva della legge sui “valori della famiglia e la protezione dei minori”, la Georgia si “allontana ulteriormente” dal suo percorso verso l’Unione europea. Perché il provvedimento che mette a repentaglio i diritti della comunità LGBTQ è l’ultimo di una serie di strette annunciate da Tbilisi sullo Stato di diritto: dalla legge sugli ‘agenti stranieri’, alle minacce di bandire i partiti di opposizione dopo le elezioni in calendario il 26 ottobre. In una nota, l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, ha invitato il governo guidato da Giorgi Kobakhidze, ma soprattutto la presidente Salomé Zourabichvili, a ritirare la legge.Una legge che secondo Borrell “comprometterà i diritti fondamentali del popolo e aumenterà la discriminazione e la stigmatizzazione”. Di fatto, le nuove norme modificano l’articolo 30 della Costituzione georgiana inserendo nella carta fondamentale il riferimento a diverse questioni come il matrimonio, l’adozione e l’affidamento di minori, gli interventi medici legati all’identità di genere, il riconoscimento del genere nei documenti e l’uso di termini legati al genere nei comunicati ufficiali e nella sfera mediatica. Ma soprattutto la legge sancisce il riconoscimento come famiglia – e la sua tutela – solo nell’unione di un uomo (“biologicamente maschio”) e di una donna (“biologicamente femmina”).Con l’adozione della nuova legislazione, dunque, il Paese del Caucaso meridionale si allontana ancora di più dalla prospettiva dell’adesione al blocco dei Ventisette, allungando la lista di provvedimenti incompatibili con gli standard europei per quanto riguarda soprattutto la tenuta della democrazia e dello Stato di diritto. Già in seguito all’adozione della legge di ispirazione filo-russa sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, che prevede che tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero dovrebbero registrarsi come ‘organizzazione che persegue gli interessi di una potenza straniera’, il Consiglio europeo ha di fatto congelato il percorso della Georgia verso l’ingresso nell’Ue.In fotocopia a quanto successo la scorsa primavera per la legge sugli agenti stranieri, la presidente filo-europeista Zourabichvili sembra intenzionata a respingere la legge. Ma il governo trainato dal partito Sogno Georgiano dorme sogni tranquilli, perché dispone di una maggioranza schiacciante in Parlamento che gli permetterebbe di aggirare il veto della presidente. E di promulgare così la legge prima dell’appuntamento elettorale, che sarà a questo punto decisivo per tracciare il percorso di Tbilisi verso l’Ue.The Georgian Parliament adopted laws on ‘family values and protection of minors’ which will undermine the fundamental rights of the people and increase discrimination & stigmatisation.I call on Georgia to withdraw this legislation, further derailing the country from its EU path.— Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) September 18, 2024

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    L’Ue ha iniziato a sospendere i finanziamenti diretti al governo della Georgia: “Solo il primo passo”

    Bruxelles – Non è più solo “de facto”, ora la sospensione del processo di adesione Ue della Georgia è realtà con i primi fondi congelati al governo di Tbilisi. “L’Unione Europea ha congelato il sostegno dal Fondo europeo per la pace, 30 milioni di euro per il 2024“, ha annunciato l’ambasciatore Ue in Georgia, Paweł Herczyński, parlando oggi (9 luglio) alla stampa nella capitale del Paese caucasico, anticipando che “questo è solo il primo passo, ce ne saranno altri” e a Bruxelles “si stanno valutando altre misure se la situazione dovesse ulteriormente deteriorarsi”.L’ambasciatore Ue in Georgia, Paweł Herczyński (9 luglio 2024)A determinare il taglio dei fondi alle forze armate georgiane è stata l’adozione di metà maggio della legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’ di filo-russa memoria che – come messo nero su bianco dalle conclusioni del Consiglio Europeo dello scorso 27 giugno – “ha determinato di fatto un arresto del processo di adesione“, nonostante lo status di Paese candidato ricevuto il 14 dicembre 2023 dallo stesso Consiglio Europeo. “Stiamo adottando misure a breve termine e stiamo rivedendo la nostra assistenza finanziaria“, ha precisato a Eunews il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, che ha fatto riferimento alle discussioni del Consiglio Affari Esterni del 24 giugno sulle “diverse opzioni per affrontare la situazione in Georgia”.Manifestanti georgiani a Tbilisi contro la legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, 17 aprile 2024 (credits: Giorgi Arjevanidze / Afp)In ogni caso, “i nostri aiuti diretti al governo georgiano saranno ridotti e cercheremo di spostarli verso la società civile e i media“, ha voluto sgomberare il campo dai dubbi l’ambasciatore Herczyński, mantenendo chiara la distinzione per l’Unione tra il partito al potere Sogno Georgiano filo-russo e la società civile fortemente europeista. Una precisazione particolarmente importante in vista delle elezioni legislative in programma il 26 ottobre. “Spetta al popolo eleggere il prossimo governo, e spetta al prossimo governo decidere la sua politica nei confronti dell’Unione Europea”, è il secco commento dell’ambasciatore Ue, che ha messo le opzioni sul tavolo: “Devono decidere se vogliono far parte del prossimo grande allargamento dell’UE o se hanno altri piani per il loro futuro“.Quando mancano poco più di tre mesi alle elezioni, i partiti di opposizione a Sogno Georgiano si stanno organizzando su una piattaforma comune che prende le mosse dalla ‘Carta georgiana’ presentata a fine maggio dalla presidente della Repubblica, Salomé Zourabichvili. Diverse formazioni politiche hanno già confermato di correre sotto lo stesso ombrello politico (con candidati comuni o diversi, ma comunque alleati) con l’obiettivo dichiarato di “ripristinare il processo di adesione all’Ue e aprire i negoziati di adesione il più presto possibile“. Perché, secondo l’avvertimento dell’ambasciatore Herczyński, “tutto può ancora essere cambiato e siamo più che disposti ad aiutare in ogni modo possibile, ma il tempo sta per scadere”, ed è “triste vedere le relazioni tra l’Ue e la Georgia a un punto così basso, quando avrebbero potuto raggiungere un massimo storico“.La legge sugli agenti stranieri in GeorgiaLe proteste pro-Ue dei manifestanti georgiani a Tbilisi, 14 maggio 2024 (credits: Giorgi Arjevanidze / Afp)La legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’ era stata presentata lo scorso anno da Sogno Georgiano e messa in stallo dopo l’ondata oceanica di proteste del marzo 2023. Con un leggero emendamento al testo, a inizio aprile la legge è stata ripresentata dal governo: tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero dovrebbero registrarsi come ‘organizzazione che persegue gli interessi di una potenza straniera’ (simile ad ‘agente di influenza straniera’ in vigore in Russia dal primo dicembre 2022). Dopo settimane di altissima tensione dentro e fuori il Parlamento di Tbilisi, e decine di migliaia di cittadini ad animare la più grande ondata di proteste dall’indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1991 – ogni giorno ininterrottamente per due mesi – il partito al governo ha deciso di tirare dritto con la propria iniziativa legislativa prima del ritorno alle urne il 26 ottobre. E mostrando una disponibilità ad aumentare la portata della violenza messa in campo dalla polizia anti-sommossa e dagli agenti in passamontagna contro i manifestanti pacifici pro-Ue, che non hanno mai smesso di scendere a decine di migliaia in piazza ogni giorno.Dopo il primo via libera alla legge (secondo l’iter legislativo ordinario) dello scorso 14 maggio, è ricominciato un nuovo rapidissimo processo legislativo per superare la decisione della capa dello Stato, che si è sempre opposta fermamente a una legge che riprende in modo inquietante molti elementi della stessa legge in vigore in Russia. Il gesto della presidente Zourabichvili è stato puramente simbolico, dal momento in cui il governo sapeva già in partenza di poter utilizzare la propria maggioranza schiacciante in Parlamento per annullare il veto e far diventare legge la ‘trasparenza dell’influenza straniera’, così come confermato il 28 maggio dalla sessione plenaria del Parlamento.Prima della legge sugli agenti stranieriLe proteste pro-Ue dei manifestanti georgiani a Tbilisi, 7 marzo 2023 (credits: Afp)Nonostante la concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue, il rapporto tra Bruxelles e Tbilisi rimane particolarmente complesso – e ora tesissimo – a causa dello scollamento tra una popolazione a stragrande maggioranza filo-Ue e un governo di tendenze filo-russe, lo stesso che ha fatto richiesta di aderire all’Unione per i timori sollevati dall’espansionismo del Cremlino. Nel corso degli ultimi due anni si sono registrati diversi episodi che hanno evidenziato l’ambiguità del partito al potere Sogno Georgiano: nel maggio 2023 sono ripresi dei voli tra Georgia e Russia dopo la decisione di Mosca di eliminare il divieto in vigore, e il Paese caucasico non si è mai allineato alle misure restrittive introdotte da Bruxelles contro il Cremlino dopo l’invasione dell’Ucraina. Lo scorso autunno il governo ha anche tentato di mettere sotto impeachment (fallito) la presidente della Repubblica Zourabichvili per una serie di viaggi nell’Unione Europea che avrebbero rappresentato una violazione dei poteri della capa di Stato secondo la Costituzione nazionale.Ma la popolazione georgiana da anni dimostra di non condividere la direzione assunta da Sogno Georgiano e anche per questo motivo saranno cruciali le elezioni per il rinnovo del Parlamento il 26 ottobre. A cavallo della decisione di Bruxelles nel giugno 2022 di non concedere per il momento alla Georgia lo status di candidato all’adesione, a Tbilisi si sono svolte due grandi manifestazioni pro-Ue: una ‘marcia per l’Europa’ per ribadire l’allineamento del popolo ai valori dell’Unione e una richiesta di piazza di dimissioni del governo (senza seguito da parte dell’esecutivo allora guidato da Garibashvili). I tratti comuni evidenziati a partire da queste manifestazioni sono le bandiere – bianca e rossa delle cinque croci (nazionale) e con le dodici stelle su campo blu (dell’Ue) – cartelli con rivendicazioni europeiste e l’inno georgiano intervallato dall’Inno alla Gioia. Un anno più tardi sono scoppiate le dure proteste popolari nel marzo 2023 – appoggiate da Bruxelles – che hanno portato al momentaneo accantonamento del controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, fino all’approvazione di questa primavera nel pieno di una nuova ondata di proteste popolari.In questo scenario non va dimenticato il rapporto particolarmente delicato della Georgia con la Russia, Paese con cui confina a nord. La candidatura all’adesione Ue e Nato – sancita dalla Costituzione nazionale – da tempo è causa di tensioni con il Cremlino. Dopo i conflitti degli anni Novanta con le due regioni separatiste dell’Ossezia del Sud (1991-1992) e dell’Abkhazia (1991-1993) a seguito dell’indipendenza della Georgia nel 1991 dall’Unione Sovietica, sul terreno la situazione è rimasta di fatto congelata per 15 anni, con le truppe della neonata Federazione Russa a difendere i secessionisti all’interno del territorio rivendicato. Il tentativo di riaffermare il controllo di Tbilisi sulle due regioni nell’estate del 2008 – voluto dall’allora presidente Mikheil Saakashvili – determinò il 7 agosto una violenta reazione russa non solo nel respingere l’offensiva dell’esercito georgiano, ma portando anche all’invasione del resto del territorio nazionale con carri armati e incursioni aeree per cinque giorni. Da allora la Russia di Vladimir Putin riconosce l’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud e ha dislocato migliaia di soldati nei due territori per aumentare la propria sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia, in violazione degli accordi del 12 agosto 2008.

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    Slitta l’ok all’apertura dei negoziati di adesione all’Ue per l’Ucraina. L’Ungheria si mette ancora di traverso

    Bruxelles – Fumata nera al Comitato dei rappresentanti permanenti dei Paesi Ue sul via libera all’apertura dei negoziati di adesione per Ucraina e Moldova. Come confermano diverse fonti Ue, a bloccare il testo su Kiev è stata l’Ungheria di Viktor Orbán, chiedendo “ancora modifiche e aggiunte significative” per poter dare il via libera. L’obiettivo di Bruxelles resta tenere le prime conferenze intergovernative con i candidati all’ingresso nell’Unione entro fine giugno. E il punto tornerà “molto probabilmente” al Coreper già la prossima settimana.Dopo diverse ore di “ampio dibattito in merito ai quadri negoziali di Moldova e Ucraina”, fonti dell’Ue parlano di un “grande sostegno” per i quadri negoziali proposti dalla Commissione europea. Un sostegno maturato durante i colloqui tra gli ambasciatori: prima dell’incontro, “alcuni Stati membri avevano ancora una serie di riserve, che sono state quasi tutte sciolte per poter procedere rapidamente”. D’accordo per procedere sia per Kiev che per Chisinau, diversi governi hanno comunque sottolineato “l’importanza di procedere con i Paesi meritevoli dei Balcani occidentali” (Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia hanno già iniziato i negoziati di adesione). A quanto si apprende, è questa la posizione sostenuta oggi dall’Italia, “a favore dell’avanzamento del percorso europeo dell’Ucraina e della Moldova anche come finestra di opportunità per far procedere anche i Paesi dei Balcani occidentali”, che hanno “legittime aspettative da lungo tempo” verso l’adesione.Volodymir Zelensky e Viktor Orban a BruxellesCome conferma la fonte, sul quadro negoziale per la Moldova sarebbe filato tutto liscio, ma Budapest ha confermato un’altra volta il suo ostruzionismo verso l’adesione di Kiev al blocco, una saga che va avanti da quando – nel giugno 2022 – l’Ue aveva concesso lo status di Paese candidato all’Ucraina. L’Ungheria chiede risposte alle proprie preoccupazioni per quanto riguarda “i diritti delle minoranze nazionali” in Ucraina e vuole maggiori rassicurazioni sul “commercio, la lotta alla corruzione, l’agricoltura, il funzionamento del mercato unico, le relazioni di buon vicinato” con Kiev. Senza tutta questa serie di garanzie – alcune “già accolte” dalla Presidenza belga del Consiglio dell’Ue – Budapest non potrà dare il proprio sostegno al testo. Che è fondamentale per raggiungere l’unanimità necessaria a procedere.Il dossier tornerà ora in cantiere a livello tecnico, con la speranza di poterlo ripresentare sul tavolo degli ambasciatori Ue già la prossima settimana e ottenere il semaforo verde. La data segnata sul calendario di Bruxelles per l’approvazione definitiva dei quadri negoziali si avvicina: il 25 giugno, quando si riunirà il prossimo Consigli Affari Generali, responsabile per la decisione (all’unanimità) sul via libera alle conferenze intergovernative con i candidati all’ingresso nell’Ue.Come ammesso già al termine del vertice dei leader del 21 marzo dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, la speranza di Bruxelles è riuscire a chiudere la questione sotto la presidenza belga. Perché, dal primo luglio, alla guida semestrale del Consiglio dell’Ue siederà proprio Budapest, che avrà la facoltà di definire calendari e temi in agenda delle riunioni dei ministri nelle diverse composizioni del Consiglio. E dunque, avrebbe gioco facile a rimandare il più possibile l’adozione dei quadri negoziali per l’adesione di Kiev. Ma c’è anche un’altra ragione per procedere con urgenza: per l’Ue è più che mai importante inviare un chiaro messaggio di incoraggiamento ai due candidati nel più ampio contesto dell’aggressione russa all’Ucraina.

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    Negoziati di adesione per Ucraina, Moldova e Bosnia, stato di candidato a Georgia. All-in nel Pacchetto Allargamento 2023

    Bruxelles – La strada dell’allargamento Ue sta diventando particolarmente trafficata. E la Commissione Europea sta facendo di tutto per spingere gli aspiranti nuovi membri dell’Unione a tagliare il traguardo alla fine di un cammino pieno di ostacoli, ritardi, arretramenti e speranze. Dopo un 2022 in cui i Ventisette hanno finalmente rotto gli indugi su questo processo, è arrivato il Pacchetto Allargamento Ue 2023 a movimentare di nuovo le acque e stabilire nuovi obiettivi per avvicinare sempre più i Paesi in corsa per diventare parte integrante dell’Unione Europea. E lo ha fatto mettendo tutte le ambizioni più alte sul tavolo dei Ventisette.La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (8 novembre 2023)“Oggi è un giorno storico, dobbiamo sfruttare il momento per affrontare il duro lavoro che abbiamo davanti”, ha aperto così oggi (8 novembre) la conferenza stampa di presentazione del nuovo Pacchetto Allargamento Ue la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, elencando le novità principali: “Abbiamo raccomandato al Consiglio di avviare i negoziati di adesione con Ucraina, Moldova e Bosnia ed Erzegovina e di concedere lo status di Paese candidato all’adesione alla Georgia“. Nel giorno più importante dopo il suo tour nell’ultimo mese nelle capitali dei partner per ribadire l’impegno della Commissione al loro percorso di adesione, la leader dell’esecutivo comunitario ha voluto sottolineare con forza che “tutti questi Paesi hanno sentito la chiamata della storia” e, non meno importante, “sono parte della nostra famiglia europea, è chiaro qual è il nostro obiettivo”. Fonti interne alla Commissione precisano che “non è la nostra idea” quella di far aspettare i Paesi più avanzati fino a quando non sarà pronto “quello più lento”. Insomma, l’allargamento Ue è “un percorso basato sul merito” e, quando i primi della classe saranno pronti, Bruxelles non dovrà mettere in campo strategie del passato (come quella del 2004 con 10 nuovi membri nello stesso momento).Ora sarà però il Consiglio Europeo del 14-15 dicembre a dover prendere le singole decisioni definitive in merito. Ed è qui che bisogna considerare la situazione di ognuno dei Paesi interessati dal processo di allargamento Ue. In primis l’Ucraina, che secondo la Commissione Ue merita di vedere avviati i negoziati di adesione e adottati i quadri negoziali “una volta che saranno implementante alcune misure chiave”. Più nello specifico si tratta di 3 delle 7 priorità indicate dall’esecutivo comunitario non ancora pienamente soddisfatte: lotta alla corruzione, riduzione dell’influenza degli oligarchi e protezione delle minoranze nazionali (ma l’uso della lingua russa “non sarà qualcosa che valuteremo”, precisano le fonti). Dopo i progressi dell’ultimo anno – e le 2 priorità completate da fine giugno – la Commissione pubblicherà un nuovo rapporto in merito “a marzo 2024”, ha reso noto von der Leyen. “In Ucraina la decisione di concedere lo status di candidato all’Ue ha creato una potente dinamica di riforma, nonostante la guerra in corso, con un forte sostegno da parte del popolo ucraino”, si legge nel report specifico su Kiev.Discorso simile può essere fatto sulla Moldova, considerata “frontrunner” dai funzionari Ue dopo aver completato 6 priorità su 9 (+3 da fine giugno). Anche per Chișinău la raccomandazione della Commissione al Consiglio è quella di avviare i negoziati di adesione immediatamente e adottare i quadri negoziali “una volta che saranno implementante alcune misure chiave” nelle tre aree ancora da ultimare: rafforzamento del sistema giudiziario, degli organi anti-corruzione e attuazione del piano d’azione per la de-oligarchizzazione. A marzo del prossimo anno arriverà un nuovo rapporto dell’esecutivo comunitario, in cui si capirà se il Paese ha tratto nuova linfa per il suo cammino di adesione all’Ue.E poi c’è la Bosnia ed Erzegovina, il Paese più discusso dopo la concessione dello status di candidato all’adesione nel dicembre dello scorso anno. La raccomandazione dell’avvio dei negoziati dopo un solo anno – considerata la polarizzazione politica e i progetti secessionisti nell’entità della Republika Sprksa – è stata particolarmente contestata da molti ambasciatori dei Ventisette e per questo motivo per Sarajevo il gabinetto von der Leyen ha deciso di procedere in modo diverso: questo potrà accadere “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione“. In altre parole, la raccomandazione c’è, ma la risposta del Consiglio certamente aspetterà. Quanto non è dato sapere, ma è un fatto che su 14 priorità indicate dalla Commissione, solo 2 sono state completate. La speranza della Commissione deriva dal fatto che la concessione dello status di candidato “ha portato una dinamica positiva di cui si sentiva il bisogno” e il governo “ha iniziato a realizzare le riforme”, mentre destano enormi preoccupazioni le “misure secessioniste e autoritarie” introdotte nell’entità serbo-bosniaca “non  in linea con il percorso verso l’Ue”. Anche in questo caso si attende marzo 2024 per il nuovo rapporto.Il Pacchetto Allargamento Ue 2023 porta anche la grande novità della concessione dello status di candidato per la Georgia, ma “a condizione che vengano prese alcune misure“. Rispetto alla presentazione orale di fine giugno non sono state implementate altre riforme, e ne sono state completate solo 3 su 12. “C’è ancora molto lavoro da fare, ma è un giorno da celebrare per la Georgia, riconosciamo le aspirazioni della stragrande maggioranza dei georgiani“, ha voluto sottolineare von der Leyen in conferenza stampa. Negli ultimi mesi comunque Tbilisi “ha preso provvedimenti per rafforzare l’impegno con l’Ue e ha aumentato il ritmo delle riforme”, ma le indicazioni sugli impegni da implementare non sono poche: allineamento alla politica estera dell’Unione, contrasto alla polarizzazione politica, attuazione delle riforme giudiziarie, lotta alla corruzione e alla de-oligarchizzazione e attuazione della strategia per i diritti umani, la libertà dei media e l’impegno della società civile.Gli altri 6 capitoli del Pacchetto Allargamento UeA fronte di queste quattro sostanziali novità del Pacchetto Allargamento Ue 2023, va ricordato anche lo stato di avanzamento degli altri sei Paesi che si sono incamminati sulla strada verso l’Unione Europea. “C’è grande entusiasmo a Podgorica per progredire sul percorso già molto avanzato“, ha ricordato von der Leyen a proposito del Montenegro, il Paese più avanti sul cammino tra tutti i 10 in corsa. Dopo anni di “profonda polarizzazione politica e instabilità” che hanno determinato “l’arenarsi dei progressi”, ora con il nuovo governo c’è la possibilità concreta di mettere a terra i “parametri provvisori sullo Stato di diritto stabiliti nei capitoli 23 e 24” (‘giudiziario e diritti fondamentali’ e ‘giustizia, libertà e sicurezza’), si legge nel report.La Serbia sconta il fatto di non essere allineata alla politica estera dell’Unione in particolare a proposito delle sanzioni contro la Russia, e di essere coinvolta da vicino dall’escalation di tensione nel nord del Kosovo, su cui è necessario “normalizzare le relazioni” con Pristina prima di sperare di accelerare sulla strada verso l’adesione Ue. A questo proposito, precisando le parole della presidente von der Leyen a Belgrado, le fonti europee spiegano che il riconoscimento de facto del Kosovo “è un modo per tagliare corto” su tutta una serie di azioni concrete (targhe, bandiera, seggio nelle istituzioni internazionali), ma “non stiamo parlando di riconoscimento formale in Costituzione”. Parallelamente l’esecutivo Ue ha evidenziato che la Serbia “ha tecnicamente soddisfatto i parametri di riferimento per l’apertura del cluster 3“, ovvero quello relativo a ‘competitività e crescita inclusiva’.A proposito di Kosovo, questo potrebbe diventare l’unico Paese a cui non è riconosciuto nemmeno lo status di candidato. È comunque vero che al momento la questione è ancora ferma in Consiglio, che “non ha chiesto alla Commissione un’opinione a riguardo”, ha voluto ricordare in conferenza stampa il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. Non basta il fatto che il Kosovo “ha continuato ad allinearsi volontariamente e completamente alla politica estera dell’Unione”, come riconosce il rapporto, né il passo decisivo della liberalizzazione dei visti a partire dal primo gennaio 2024. Perché, come ha ribadito von der Leyen a Pristina, la strada verso l’Ue passa dalla “attuazione degli obblighi vincolanti” del dialogo con la Serbia, che per il Kosovo nello specifico è la creazione dell’Associazione delle municipalità a maggioranza serba.Vanno sempre a braccetto Albania e Macedonia del Nord dopo l’avvio del negoziati di adesione nel luglio dello scorso anno: sia per Tirana sia per Skopje “è necessario dare seguito alla relazione di screening sul ‘Cluster fondamenti’, per aprire il primo Cluster entro la fine dell’anno“. Nel frattempo l’Albania dovrà aumentare il lavoro su “libertà di espressione, le questioni relative alle minoranze e i diritti di proprietà, la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata”, mentre la Macedonia del Nord deve attuare “riforme nel settore giudiziario, nella lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, nella riforma della pubblica amministrazione, nella gestione delle finanze pubbliche e negli appalti pubblici”, ma anche gli emendamenti alla Costituzione a proposito delle minoranze nel Paese.E infine c’è la Turchia, che rimane sempre un caso a se stante, dal momento in cui i negoziati sono congelati dal 2018 e nessuno si aspetta più nulla dal regime di Recep Tayyip Erdoğan. Sebbene Ankara rimanga “un partner chiave” per Bruxelles, “il Paese non ha invertito la tendenza negativa ad allontanarsi dall’Unione Europea e ha portato avanti le riforme legate all’adesione in misura limitata”, si legge nel report. Tuttavia, dopo la richiesta di luglio del Consiglio, l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, presenterà “più tardi a novembre” una relazione sullo stato delle relazioni Ue-Turchia, “al fine di procedere in modo strategico e lungimirante”.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    La Commissione ha presentato le sue raccomandazioni al Consiglio, che dovrà decidere se seguirle al vertice dei leader Ue di dicembre. La presidente Ursula von der Leyen: “È un giorno storico, dobbiamo sfruttare il momento per affrontare il duro lavoro che abbiamo davanti”

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    Inizia l’annuale tour di von der Leyen nei Balcani Occidentali, a una settimana dal cruciale Pacchetto Allargamento Ue

    Bruxelles – È iniziato in Macedonia del Nord l’ormai tradizionale tour autunnale della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nelle capitali dei Balcani Occidentali e quest’anno il viaggio arriva a pochi giorni dall’appuntamento più atteso dai Paesi che attendono di accedere all’Unione Europea: la pubblicazione del Pacchetto Allargamento da parte dell’esecutivo comunitario, attesa per l’8 novembre. Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – tralasciata solo l’Albania, in cui però la leader della Commissione è stata appena due settimane fa in occasione del vertice dei leader del Processo di Berlino – per una quattro giorni di incontri istituzionali con alcuni punti fissi in agenda: progressi nel percorso di avvicinamento e nei negoziati di adesione Ue, definizione dei punti del nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali e freno alle tensioni nella regione.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro della Macedonia del Nord, Dimitar Kovačevski, a Skopje (30 ottobre 2023)“Ogni volta che von der Leyen fa visita nel Paese, arriva con proposte concrete per l’avvicinamento all’Unione”, si è congratulato il primo ministro macedone, Dimitar Kovačevski, aprendo questa mattina (30 ottobre) la prima delle conferenze stampa della presidente della Commissione Ue nei Balcani Occidentali e facendo riferimento sia al viaggio del 2022 incentrato sul Piano energetico sia a quello odierno sul nuovo Piano di crescita. “L’anno scorso abbiamo affrontato una dura crisi energetica, ma siamo rimasti uniti e abbiamo spostato le montagne“, ha rivendicato von der Leyen: “Vi abbiamo supportato con 80 milioni di euro [su 500 milioni complessivi per l’intera regione, ndr] per respingere l’impatto dei prezzi dell’energia su imprese e famiglie, abbiamo lavorato duramente e abbiamo vinto”. Per la leader Ue “la cosa più importante è che l’abbiamo fatto insieme” e anche nelle discussioni di oggi c’è stato spazio per questo tema: “Dove ci sono sfide, affrontiamole e superiamole insieme“.Oltre all’energia e ai progressi di Skopje nei negoziati per l’adesione Ue – “vogliamo aprire il cluster sui fondamentali, compresi gli emendamenti alla Costituzione” – il vero tema portante è quello economico. “Abbiamo 30 miliardi per il Piano economico e di investimenti che sta dando risultati velocemente”, ma per Bruxelles è necessario “portare più vicine le nostre economie e raddoppiare quelle balcaniche entro il prossimo decennio”. Ecco perché, dopo averlo anticipato a fine maggio e dettagliato a Tirana lo scorso 16 ottobre, la presidente von der Leyen sta facendo il giro delle altre cinque capitali per presentare i quattro pilastri del nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali. Il primo riguarda l’integrazione nelle dimensioni chiave del Mercato unico dell’Ue, il secondo è legato al completamento del Mercato regionale comune, il terzo si basa sul liberare il pieno potenziale economico attraverso riforme ambiziose e fondamentali sia sullo Stato di diritto sia in materia economica. E infine il pilastro del finanziamento da parte di Bruxelles: un pacchetto di 6 miliardi di euro – di cui 2 miliardi di euro in sovvenzioni e 4 miliardi di euro in prestiti – proposto da von der Leyen nell’ambito della revisione intermedia del bilancio Ue.Il tallone d’Achille dei Balcani OccidentaliMa è la seconda tappa del viaggio a mostrare che la strada è più in salita di quanto le parole non riescano a nascondere. A Pristina, dopo aver ripetuto il discorso sul nuovo Piano di crescita per tutta la regione e aver fatto i complimenti alle autorità kosovare per “anni di duro lavoro” che hanno portato alla liberalizzazione dei visti dal primo gennaio 2024 – la maggior parte del discorso di von der Leyen è stata cannibalizzata dal tema più urgente da oltre sei mesi: le tensioni tra Kosovo e Serbia. La presidente della Commissione Ue ha reiterato la condanna all’attacco terroristico dello scorso 24 settembre nel nord del Kosovo – che è “totalmente inaccettabile e si scontra con i valori Ue” – ma in quello che è il momento più basso dei rapporti tra i due Paesi, l’unico modo di mettere a terra tutti i piani di Bruxelles è “solo con la normalizzazione delle relazioni” attraverso il dialogo Pristina-Belgrado.Niente di veramente nuovo in quanto affermato da von der Leyen – che si è attenuta alla dichiarazione dei leader di Francia, Germania, Italia e Ue a margine del Consiglio Europeo di giovedì scorso (26 ottobre) – se non per il fatto di aver pronunciato queste parole proprio in loco. “Il Kosovo deve stabilire un processo per come è stato definito la settimana scorsa, e lo stesso dirò domani in Serbia”, è stata chiara la presidente dell’esecutivo comunitario. In altre parole, la creazione dell’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo e il riconoscimento de facto della sovranità di Pristina da parte della Serbia. I due punti più delicati, da una parte e dall’altra del confine amministrativo, ma “una de-escalation prevede che siano due attori a impegnarsi”, ha ribadito von der Leyen.Dopo aver assicurato che nell’incontro di domani (31 ottobre) a Belgrado con il presidente serbo, Aleksandar Vučić, “discuterò dei passi necessari per la Serbia” nel garantire ciò che sembra ancora quasi impossibile – il riconoscimento in qualche forma ufficiosa dell’indipendenza del Kosovo – von der Leyen ha esortato la presidente kosovara, Vjosa Osmani, (e successivamente il premier Albin Kurti) a fare la propria parte per sbloccare l’impasse sull’implementazione della comunità nel Paese a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrative. Perché dalla bozza di Statuto “moderno ed europeo” presentato la scorsa settimana per la creazione dell’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo passa quasi tutto: la normalizzazione delle relazioni con Belgrado, l’eliminazione delle misure “temporanee e reversibili” e “l’apertura delle porte al Piano di crescita” anche per Pristina, è l’avvertimento di von der Leyen nel suo ormai consueto ritorno autunnale nella regione.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    La presidente della Commissione Europea in visita nelle capitali balcaniche per anticipare i punti più delicati del report che sarà pubblicato l’8 novembre. Focus su negoziati di adesione, nuovo piano di crescita e sul difficile cammino di normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo

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    A Granada i leader Ue hanno iniziato a discutere dell’agenda strategica per l’allargamento e le riforme interne

    Bruxelles – È un punto di partenza, almeno per i leader dei 27 Paesi membri Ue. Tra i corposi contorni della crisi energetica, della politica di migrazione e asilo e della competitività economica, il piatto forte del Consiglio Europeo informale andato in scena oggi (6 ottobre) a Granada è stato il confronto sul futuro allargamento Ue e sulle riforme interne all’Unione per preparsi ad accogliere nuovi membri (fino a 10, quanti sono i Paesi che almeno hanno fatto richiesta di aderire). “Quello di oggi è il punto di inizio di un’agenda strategica basata su tre punti“, ha rivendicato con orgoglio il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel: “Le nostre priorità future, come decideremo insieme e come pagheremo per le iniziative”.I capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri Ue e i leader delle istituzioni comunitarie al Consiglio Europeo informale di Granada (6 ottobre 2023)In altre parole, dopo aver salutato i partner arrivati a Granada ieri (5 ottobre) per il terzo vertice della Comunità Politica Europea, i Ventisette si sono ritrovati da soli a discutere in modo coerente “per la prima volta a così alto livello” di cosa sarà l’Unione Europea del futuro: prospettive dell’allargamento Ue, graduale abbandono dell’unanimità in Consiglio e distribuzione dei fondi del budget comunitario nello scenario di un’Unione a 32 (con i candidati che hanno già avviato i negoziati di adesione), a 35 (con anche quelli che hanno ricevuto lo status di Paese candidato) o 37 (con tutti dentro, compresi Kosovo e Georgia). “Allargamento significa che i candidati hanno riforme da fare e dal nostro lato che dobbiamo prepararci”, ha puntualizzato Michel. Come si legge nella dichiarazione di Granada, l’allargamento Ue “è un motore per migliorare le condizioni economiche e sociali dei cittadini europei, ridurre le disparità tra i Paesi e promuovere i valori su cui si fonda l’Unione” e, in vista di una nuova fase, “gli aspiranti membri devono intensificare i loro sforzi di riforma, in particolare nel settore dello Stato di diritto”, e “parallelamente l’Unione deve porre le basi e le riforme interne necessarie“.Rieccheggia nella Dichiarazione di Granada l’eco della recente proposta franco-tedesca per adeguare l’Unione Europea a un suo futuro allargamento, che costituisce al momento la base di partenza più dettagliata e approfondita per le discussioni tra i leader. Il viaggio è cominciato oggi in Spagna e come tappa decisiva per un aggiornamento si può già segnare in calendario l’estate 2024, quando “sotto presidenza belga” del Consiglio dell’Ue (prima del primo luglio, dunque) saranno presentati “degli orientamenti” per “identificare e convergere” su obiettivi e progressi di breve e medio termine, ha precisato ancora Michel. A proposito di date, nonostante lo scetticismo della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, il numero uno del Consiglio ha rivendicato l’utilità di fornire una scadenza per “essere pronti” all’allargamento Ue: “Il 2030 è condiviso da molti Stati membri perché è un incoraggiamento, abbiamo visto troppe procrastinazioni negli ultimi 20 anni”.A proposito di ciò che la Commissione Europea sta facendo a riguardo, la presidente von der Leyen ha messo in chiaro a Granada che “lavoreremo a diverse revisioni delle politiche in diversi campi all’interno dei Trattati“, sia per quanto riguarda “i compiti che devono fare i Paesi candidati, sia quelli che dobbiamo fare noi come Unione “Europea”. È centrale il fatto che “l’esperienza dell’allargamento Ue è stata sempre estremamente vantaggiosa per entrambe le parti”, fermo restando che “coloro che vogliono aderire devono essere pronti per entrare nel Mercato unico”. Anche dalla presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, è arrivato un appello a “non lasciare indietro nessuno”, ovvero che “una volta soddisfatte tutte le condizioni con report positivi, dovremmo essere in grado di avviare i negoziati di adesione“. In attesa del Pacchetto Allargamento Ue 2023 – che sarà pubblicato l’8 novembre dalla Commissione – anche l’Unione stessa deve “avviare un dialogo per chiederci cosa dobbiamo fare per riformarci”, ha esortato Metsola: “Ciò che funziona attualmente per i Ventisette, non funzionerà per i 32, 33 o 35” futuri Paesi membri. Sulla stessa linea il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, che ha puntato il dito soprattutto contro il processo decisionale interno: “Abbiamo cercato di chiarire che in politica estera o in politica fiscale non può sempre esserci unanimità, dobbiamo anche essere in grado di prendere decisioni a maggioranza qualificata”.Il vertice di Granada oltre l’allargamento UeIn un vertice in cui Polonia e Ungheria hanno posto il veto sull’inserire nel testo congiunto il capitolo sulla migrazione – pubblicato separatamente come una striminzita ‘dichiarazione del presidente del Consiglio Europeo’, esattamente come successo al vertice di giugno – i 27 leader hanno dato il via libera a un documento molto generico, a partire dalla questione Ucraina: “Abbiamo confermato che il futuro dei nostri aspiranti membri e dei loro cittadini è all’interno dell’Unione Europea“, anche se il premier ungherese, Viktor Orbán, ha sollevato alcuni dubbi (“non è mai successo un allargamento con un Paese in guerra, non sappiamo quali sono i confini veri”). Allo stesso modo i Ventisette promettono che “rafforzeremo la nostra preparazione alla difesa e investiremo nelle capacità sviluppando la nostra base tecnologica e industriale” a partire da “mobilità militare, resilienza nello spazio e contrasto alle minacce cibernetiche e ibride e alla manipolazione delle informazioni straniere”.Da sinistra: il primo ministro spagnolo e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Pedro Sánchez, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (6 ottobre 2023)Non più incisivo il capitolo sulla competitività. “Lavoreremo sulla nostra resilienza e sulla nostra competitività globale a lungo termine, assicurandoci che l’Ue abbia tutti gli strumenti necessari per garantire una crescita sostenibile e inclusiva e una leadership globale in questo decennio cruciale“, si legge nel testo, che parla di “affrontare le vulnerabilità e rafforzare la nostra preparazione alle crisi” in particolare “nel contesto dei crescenti rischi climatici e ambientali e delle tensioni geopolitiche”. Con l’obiettivo di “garantire la sostenibilità del nostro modello economico, senza lasciare indietro nessuno“, il lavoro si concentrerà su “efficienza energetica e delle risorse, circolarità, decarbonizzazione, resilienza alle catastrofi naturali e adattamento ai cambiamenti climatici”. La questione riguarda anche il tema dell’energia: “Garantiremo l’accesso a prezzi accessibili, aumenteremo la nostra sovranità e ridurremo le dipendenze esterne in altri settori chiave” in cui l’Unione “deve costruire un livello sufficiente di capacità per garantire il suo benessere economico e sociale”. Si tratta di “tecnologie digitali e a zero emissioni, farmaci, materie prime essenziali e agricoltura sostenibile“, specifica la dichiarazione, che ribadisce la necessità di “rafforzare la nostra posizione di potenza industriale, tecnologica e commerciale”.
    Al vertice informale i capi di Stato e di governo si sono confrontati su “priorità future, come decideremo insieme e come pagheremo”, ha spiegato il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel. In arrivo nell’estate 2024 “orientamenti” su obiettivi e progressi di breve/medio termine

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    È “imminente” il Pacchetto Allargamento che “provvederà ai mezzi” per accelerare l’integrazione di nuovi membri Ue

    Bruxelles – Mancano poche settimane al nuovo Pacchetto Allargamento Ue, l’attesa relazione annuale della Commissione Europea sullo stato di avanzamento dei Paesi che hanno fatto richiesta di adesione Ue. “È imminente”, ha annunciato oggi (28 settembre) il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, nel corso della conferenza stampa al termine del Consiglio Affari Generali informale a Murcia (Spagna), anticipando l’appuntamento previsto dall’agenda dei punti all’ordine del giorno del Collegio dei commissari per il 31 ottobre “o a inizio novembre”. Come reso noto dal commissario europeo, “sarà un pacchetto che includerà 10 Paesi candidati o con la prospettiva europea e che provvederà ai mezzi per accelerare l’integrazione“.
    Da sinistra: il ministro degli Esteri spagnolo e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, José Manuel Albares, e il commissario europeo per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi (28 settembre 2023)
    Altri dettagli al momento non sono stati rivelati, a parte un riferimento al piano di crescita per i Balcani Occidentali presentato lo scorso 31 maggio dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Proprio la numero uno dell’esecutivo comunitario ha messo in chiaro da Spalato (Croazia) che “il passato allargamento Ue è stato un grande successo per Paesi come la Croazia” – l’ultimo a fare ingresso nell’Unione nel 2013 – “e ha portato grandi benefici per l’Unione Europea”, e per questo motivo “dobbiamo replicarlo con gli attuali candidati”. Ma in ogni caso non cambia il fatto che “è un processo basato sul merito, che richiede contemporaneamente riforme strutturali nei Paesi candidati e un percorso parallelo da parte dell’Ue“, come già evidenziato nel discorso sullo Stato dell’Unione dello scorso 13 settembre: “È molto importante spiegare agli Stati membri e ai nostri cittadini che nel nuovo ambiente geostrategico l’allargamento Ue basato sui meriti ci rafforza, è necessario e porta benefici”, ha aggiunto von der Leyen.
    Cruciale il vertice informale dei ministri degli Affari europei per iniziare a confrontarsi sulla proposta franco-tedesca per adeguare l’Unione al futuro allargamento. “Le discussioni si sono divise in tre gruppi di lavoro“, ha spiegato il ministro degli Esteri spagnolo e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, José Manuel Albares: “Istituzioni e riforme necessarie in vista dell’allargamento Ue, impatto sul budget per le capacità di assorbimento e possibilità di creare nuove aree di cooperazione per una graduale integrazione”. E quanto emerge dal primo confronto è che “l’allargamento Ue è tra le tre priorità principali” dei Ventisette, ha voluto sottolineare con forza il commissario Várhelyi, considerato il fatto che “il cambiamento nelle dinamiche geopolitiche attorno a noi dimostra che il progetto di sicurezza, pace e stabilità dell’Ue dipenderà dal successo dell’allargamento Ue e dall’accogliere nuovi membri”. Se sul fronte esterno “abbiamo iniziato a discutere su come supportare i candidati ad accelerare sulle riforme”, su quello interno “non pensiamo ci sia bisogno di una riforma dei Trattati per accogliere nuovi membri“, ma i due percorsi “devono andare in parallelo ed essere conclusi nel breve termine”. Riecheggia anche a Murcia la data del 2030, quella avanzata dal presidente del Consiglio Ue, Charles Michel: “Se il Consiglio è pronto a fornire l’adesione, la Commissione lo sarà di sicuro, ma la vera domanda è se i Paesi candidati saranno pronti“.

    A che punto è l’allargamento Ue
    Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e parallelamente sono si sono inaspriti i rapporti con Bruxelles dopo le tensioni diplomatiche con la Serbia di fine maggio.
    I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è tornato sul tavolo dei 27 ministri degli Esteri Ue del 20 luglio.
    Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Dall’inizio dell’anno sono già arrivate le richieste dall’Ucraina e dalla Georgia rispettivamente di iniziare i negoziati di adesione e di diventare Paese candidato “entro la fine del 2023”.

    Attesa per il 31 ottobre, la nuova relazione annuale prevederà “un nuovo modo” di pensare l’adesione, ha fatto sapere il commissario per l’Allargamento, Olivér Várhelyi. La presidente Ursula von der Leyen chiede “riforme strutturali nei Paesi candidati e un percorso parallelo dall’Ue”