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    Conte a Mattarella: “Sosteniamo il Governo ma non rinunciamo alle nostre posizioni”

    Il leader dei 5 stelle Giuseppe Conte ha avuto un colloquio con il Capo dello Stato Sergio Mattarella. Successivamente ha convocato il Consiglio nazionale del M5s.
    Quello con Giuseppe Conte è stato un colloquio informativo come avvengono usualmente tra il presidente della Repubblica e i partiti politici. Il clima è stato disteso e costruttivo. E’ quanto spiegano fonti del Quirinale.
    “Continueremo a dimostrare grande responsabilità verso il paese nel continuare a sostenere il governo, ma non rinunciamo alle nostre posizioni: che nessuno si permetta di parlare di bandierine o di polemiche strumentali noi poniamo questioni politiche che riguardano la vita dei cittadini” Così il leader M5s Giuseppe Conte dopo l’incontro con il Capo dello Stato. “Ha chiesto maggiore condivisione nel governo sul tema delle armi? Assolutamente si! Ho detto che M5s è il partito di maggioranza relativa e pone questioni politiche: abbiamo mostrato responsabilità nel periodo più duro della pandemia e continueremo a dimostrare grande responsabilità” .
    “Aspettiamo il Def e lì cercheremo di capire quale programma economico e finanziario il governo presenta per ovviare a queste gravi difficoltà economiche e sociali. E poi controlleremo il rapporto tra le risorse per i cittadini e gli investimenti militari. Lo ha detto il Presidente M5s, Giuseppe Conte, nel corso di una diretta Instagram dove chiede di avere “occasioni per discutere insieme le risorse che verranno messe nel Def. Conte ha anche ribadito: “Il governo ci spieghi ora dove trova le risorse per le armi e perché questa soglia del 2028 è compatibile, visto che ci ha detto che non può fare lo scostamento di bilancio”.
    “L’alleanza con il Pd va avanti da tempo, abbiamo lavorato insieme e sperimentato un pacchetto importante di riforme. E’ chiaro però che io pretendo rispetto e dignità. Non posso accettare accuse di irresponsabilità. Non funziona così: non siamo la succursale di un’altra forza politica, non siamo succedanei di qualcuno”. Lo ha detto, battendo i pugni sul tavolo, il Presidente M5s Giuseppe Conte nel corso di una diretta Instagram: “non accetto che ogni volta che poniamo una questione politica ci si accusa di volere una crisi governo. Vogliamo il rispetto da tutte le forze politiche”.   

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    Qui Londra, Gb scommette su una lunga 'proxy war'

    Nuove sanzioni anti Mosca, nuove promesse di armi a Kiev. Si muove su questo doppio binario parallelo la strategia di Londra in risposta all’invasione russa dell’Ucraina: in perfetta sintonia con gli Usa. L’ultimo capitolo è stato suggellato oggi dall’annucio di un’estensione delle ritorsioni contro il Cremlino da parte del governo di Boris Johnson ad altri 14 soggetti: i vertici manageriali e giornalistici dei media di Stato russi, nonché – a titolo più che altro simbolico in mancanza di suoi asset noti nel Regno Unito – il generale Mikhail Mizintsev, soprannominato dai tabloid isolani “il macellaio di Mariupol” per gli attacchi devastanti delle unità da lui guidate sulla città rivierasca ucraina semidistrutta dagli attacchi di queste settimane. “Quest’ultima serie di sanzioni colpisce i propagandisti senza vergogna che diffondono le fake news di Putin e la sua narrativa”, ha tagliato corto in riferimento ai media (e a conduttori come Serghei Briliov, anchorman ‘putiniano’ che a Londra ha vissuto per anni) la ministra degli Esteri britannica, Liz Truss, parlando a margine di una visita in India dove è impegnata a cementare le relazioni bilaterali post Brexit con New Delhi ma anche a cercare di convincere il colosso del subcontinente ad allentare la (vastissima) cooperazione militare con l’industria della difesa di Mosca. “Continueremo con altre sanzioni per aumentare la pressione sulla Russia e garantire che Vladimir Putin perda”, ha poi aggiunto la bellicosa titolare del Foreign Office. Senza escludere “nulla e nessuno”. Il segnale appare chiaro: Londra, come Washington, non sembra scommettere per ora granché sui negoziati di pace; semmai su una guerra prolungata che aggravi le difficoltà attribuite alle forze russe. Mentre per l’avvenire guarda a sanzioni a tempo virtualmente indeterminato (anche contro gli interessi degli alleati dell’Europa continentale e a costo di una minore unità d’intenti in seno all’Occidente) la cui durata BoJo collega ora addirittura a un ipotetico ritiro “dell’ultimo soldato” di Mosca dalla Crimea annessa. Non senza accompagnare la rinuncia definitiva a far entrare Ucraina o Georgia nella Nato all’idea di proseguire tuttavia sine die a rifornire massicciamente d’armamenti entrambe queste repubbliche ex sovietiche: quasi a voler predisporre, deterrenza a parte, le condizioni di una proxy war prolungata a intensità variabile ai confini russi.

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    Il punto alle 16 – Putin alla guerra del gas con l'Occidente

     Riparte con violenza la guerra del gas tra la Russia e l’Occidente. Putin rilancia le sue minacce di interrompere la forniture di gas verso l’Europa se non verrà pagato in rubli. Francia e Germania rispondono in tempo reale dicendosi pronte a questa evenienza.    Il presidente russo ha firmato oggi il decreto presidenziale sulle regole del commercio di gas naturale russo con i cosiddetti Paesi ostili per il pagamento in rubli e, tanto per essere chiaro, ha detto che ‘nessuno ci vende niente gratis, e nemmeno noi faremo opere di carità. Ciò significa – ha aggiunto – che i contratti esistenti, in caso di mancato pagamento del gas in rubli, saranno interrotti”. Secondo il Cremlino, i Paesi occidentali dovranno aprire un conto in rubli presso le banche russe per pagare il gas in rubli, sottolineando che si tratta di un passo verso la sovranità finanziaria della Russia.    La prima reazione arriva dal ministro dell’economia francese Bruno La Maire e dal collega tedesco Robert Habeck in una conferenza stampa congiunta a Berlino. I due Paesi si dicono pronti a questa evenienza. Francia e Germania quindi ‘si preparano nel caso in cui la Russia bloccasse le forniture di gas’. Secondo quanto ha affermato Le Maire, ‘potrebbe esserci una situazione in cui domani, in circostanze particolari, non ci sarà più il gas russo. Sta a noi preparare questi scenari e ci stiamo preparando’.    I due ministri hanno comunque ribadito che Francia e Germania non accetteranno ‘in alcun modo di pagare il gas in altre divise rispetto a quelle sancite dai contratti’. I governi dei due Paesi, hanno spiegato ancora, ‘si coordineranno in modo stretto e quotidiano’ per reagire all’aumento dei prezzi e allo shock energetico. Siamo determinati a proteggere le imprese e i bilanci privati’.    Il prezzo del gas balza subito in Europa dopo le parole di Putin sul pagamento in rubli. Ad Amsterdam le quotazioni salgono a 127 euro al Mwh, per poi ripiegare a 123 euro con un rialzo dell’1,5%. A Londra il prezzo sale a 302 penny al Mmbtu, in rialzo del 5,6%.    Il decreto di Putin prevede che Gazprombank apra conti speciali in rubli per gli acquirenti di gas dei Paesi ostili. Le misure previste dal decreto scattano da domani, 1 aprile.   

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    Dl Ucraina: Senato conferma fiducia a Governo, 214 sì e 35 no

    L’Aula del Senato conferma la fiducia al Governo sul decreto Ucraina con voti 214 voti favorevoli, 35 contrari e nessun astenuti. Il provvedimento è approvato in via definitiva.
     In Aula durante la discussione sono spuntati cartelli con la scritta “No soldi per armi” nel corso delle dichiarazioni di voto, in dissenso sul dl Ucraina. Si tratta di almeno sette senatori che dai loro posti alzano cartelli bianchi con la scritta nera “No soldi per Armi”. L’iniziativa è del gruppo Italexit e Alternativa ai quali si è aggiunto qualche parlamentare del Misto. La presidente di turno Paola Taverna li ha richiamati due volte e ha chiesto l’intervento dei commessi per farli togliere.
    IL DIBATTITO IN AULA 
    “Purtroppo, con l’approvazione di questo decreto verrà certificato l’ordine del giorno approvato a Camera che dà il via all’aumento delle spese militari per il 2% del Pil. È arrivato il momento di fare una riflessione molto seria su questo governo”. Così la senatrice del gruppo Misto Barbara Lezzi durante la discussione generale sul dl Ucraina in Aula a Palazzo Madama.     “Il governo potrà prendere atto di quell’ordine del giorno nella scrittura del Def” ha osservato Lezzi, secondo cui a fronte delle spese militari “già nei documenti di bilancio sono stati indicati maggiori entrate per 12 miliardi all’anno prendendole dalle Pmi con la compliance”.
    “Avremmo votato a favore, come alla Camera, anche al Senato il decreto se avesse avuto un normale percorso con emendamenti, ordini del giorno, miglioramenti, confronto, invece il ricorso al voto di fiducia su una materia così sensibile sconfessa il governo”. Così la senatrice di FdI Isabella Rauti, capogruppo in commissione Difesa, ha annunciato il voto contrario del suo gruppo alla questione di fiducia posta al Senato sul dl Ucraina.
    Sul dibattitto politico del dl Ucraina “si è voluto montare un set cinematografico per far vedere un film lontano dalla realtà”. Lo ha detto Davide Faraone, presidente di Iv in Senato annunciando il voto “convintamente favorevole” del suo gruppo sul dl Ucraina.
    “La Lega voterà la fiducia al governo e lo avrebbe comunque votato perché siamo favorevoli a questo provvedimento. La nostra posizione è chiara: l’Ucraina ha il diritto di difendersi e il governo italiano ha il dovere di prestare tutto l’aiuto al popolo ucraino, aiuti militari compresi. Rispettando anche il patto atlantico”. Lo ha detto il capogruppo della Lega Massimiliano Romeo intervenendo in dichiarazioni di voto.
    “Votando la fiducia facciamo una scelta convinta, al di là di questo decreto, siamo di fronte a questioni essenziali, non più eludibili: questioni umanitarie e militari, ma anche rispetto degli impegni internazionali. Il centrodestra, seppur con sfumature diverse, ha mostrato visione comune, invece il campo largo è un campo minato”. Così il senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri, componente della commissione Difesa, durante le dichiarazioni di voto sul dl Ucraina in Aula a Palazzo Madama.
    “Il disimpegno Usa in Afghanistan ha fatto credere che l’Europa fosse più debole e che la Russia potesse fare la voce grossa e occupare l’Ucraina senza sforzi. Invece l’Europa e la Nato sono, dopo l’invasione russa, più forti e unite. Abbiamo aiutato l’Ucraina e con le sanzioni stiamo indebolendo il gigante russo. Certo abbiamo inviato armi, armi che stanno aiutando l’Ucraina a resistere. Ma questo decreto che approviamo si preoccupa di aiutare quel paese in termini economici, di sostegno alla loro resistenza, anche con armi da difesa, e soprattutto aiutiamo il popolo ucraino, in particolare donne e bambini, a fuggire da una guerra”. Così il senatore Alessandro Alfieri, in dichiarazione di voto in Aula per i Dem sul decreto Ucraina.

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    Comunali: anche in Sardegna election day il 12 giugno

    (ANSA) – CAGLIARI, 31 MAR – Le elezioni Comunali in Sardegna
    saranno celebrate il 12 giugno, nello stesso giorno dei
    referendum sulla giustizia. Nell’Isola si vota in 65 Comuni, due
    sopra i 15mila abitanti (un capoluogo, Oristano, e Selargius).   
    Il 26 giugno sarà invece dedicato ai ballottaggi. La data delle
    amministrative, apprende l’ANSA, sarà formalizzata con delibera
    nella prossima seduta di Giunta, probabilmente già stasera.   
    Non ci sarà spazio nell’election day per i referendum da
    celebrare nei comuni confinanti per le adesioni alle nuove
    province istituite dalla riforma degli enti locali uscita
    indenne dalla sentenza della Corte Costituzionale. Prima,
    infatti, la Giunta dovrà nominare i commissari per garantire la
    transizione dal vecchio al nuovo assetto. (ANSA).   

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    Martedì Draghi in audizione al Copasir

    Il premier Mario Draghi, a quanto si apprende da fonti di Palazzo Chigi, sarà audito dal Copasir martedì prossimo. Si tratterebbe della prima audizione del presidente del Consiglio al Comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica. 

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    Draghi a Putin: 'Parliamo di pace, fermi subito le armi'

    “Presidente, parliamo di pace”. E’ metà pomeriggio quando il presidente del Consiglio Mario Draghi sente al telefono il presidente russo Vladimir Putin per rinnovargli, in viva voce, l’appello a fermare al più presto le armi per lasciare davvero il posto alla diplomazia e avvicinare la fine della guerra. Inevitabile un confronto sul gas, di cui l’Italia è secondo acquirente Europeo dopo la Germania, e sul sistema dei pagamenti in rubli che doveva scattare, come ritorsione, già dalla fine del mese e invece non se ne parlerà almeno fino alla prossima settimana.    A Palazzo Chigi hanno preparato con cura il contatto con il Cremlino. L’ultimo risale a quasi due mesi fa, quando la crisi era in atto ma nessuno, nelle cancellerie occidentali, pensava che davvero Mosca avrebbe sferrato un attacco militare all’Ucraina. Ora ce ne saranno altri, forse già la prossima settimana, perché da entrambe le parti si è concordato sulla opportunità di mantenersi in contatto.    Il colloquio – dopo che a fine febbraio l’ipotesi di un viaggio a Mosca del premier era stata cancellata dall’invasione russa dell’Ucraina – è lungo, prosegue per quasi un’ora. Draghi fa molte domande al capo del Cremlino, per capire fino a che punto stiano producendo risultati le trattative che si sono aperte ieri a Istanbul. Stati Uniti e Ue restano scettici sui reali passi avanti senza un cessate il fuoco che Draghi chiede “al più presto” per “proteggere” i civili e “sostenere lo sforzo negoziale”. Al suo interlocutore conferma la disponibilità del governo italiano a contribuire al processo di pace, ma, ribadisce a più riprese, in presenza di “chiari segni” di de-escalation da parte della Russia. Putin finora, ha sostenuto il premier in tutte le occasioni pubbliche, non ha mai dato veri segnali di volere la pace, ha disatteso gli impegni sui corridoi umanitari e ha continuato a colpire le città con l’artiglieria pesante anche alla vigilia dei negoziati di Istanbul. Ora appare qualche spiraglio, riconosciuto a fasi alterne, e con letture a volte opposte, da Kiev e da Mosca: “Valuteremo gli annunci russi dai fatti”, aveva detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio in mattinata, preannunciando la telefonata. Lo stesso “realismo” con cui Draghi ha ascoltato le parole di Putin che si sarebbe detto “ottimista” sull’esito dei negoziati.    Al premier italiano il leader russo, raccontano dallo staff di Palazzo Chigi, ha espresso soddisfazione sia perché l’Ucraina starebbe accettando la questione della neutralità territoriale, di cui peraltro l’Italia, insieme ad altri alleati, potrebbe fare da garante. Certo, sarebbe difficile assecondare la richiesta ucraina di un “obbligo di difesa” cui legare i paesi garanti. Ma “siamo a uno stadio preliminare”, prima “arriviamo alla pace”, poi si penserà ai possibili scenari di aggressioni future, tagliano corto fonti diplomatiche italiane.    Sembra restare sullo sfondo, anche se vale miliardi, la questione del gas: Putin, si limita a dire Palazzo Chigi, “ha descritto il sistema dei pagamenti del gas russo in rubli”. A Mosca, è la lettura europea, il sistema delle sanzioni inizierebbe a pesare. Tanto che anche in una conversazione con il cancelliere tedesco Olaf Scholz, Putin avrebbe assicurato intanto che i pagamenti potranno continuare per il momento ancora in euro. E che in ogni caso che il passaggio alla moneta russa non sarebbe “peggiorativo” dei contratti sottoscritti dai clienti europei. Draghi sul punto avrebbe ascoltato senza replicare, ma la posizione italiana e degli alleati, era emersa con chiarezza già nei vertici della scorsa settimana a Bruxelles. Una richiesta di saldare in rubli sarebbe “illegale”, una “violazione” dei contratti respinta con forza da Ue e G7.   

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    Governo blinda il dl Ucraina, partiti trattano sul 2%

    Con una serie di artifici regolamentari e un sapiente gioco di sponda nella maggioranza, il governo mette in salvo il decreto Ucraina: sul provvedimento cala la fiducia del governo e il testo va in Aula senza il fardello di un ordine del giorno sull’aumento delle spese militari al 2% del Pil entro il 2024. E’ una soluzione che raffredda la temperatura dello scontro tra il premier Mario Draghi e il leader 5 Stelle Giuseppe Conte: al momento possono cantare tutti vittoria.
    Il governo porta a casa il provvedimento per gli aiuti all’Ucraina senza timore di strappi, sempre possibili da parte del M5s dove non mancano senatori titubanti sul voto, uno per tutti il presidente della Commissione Esteri Vito Petrocelli. E all’esecutivo resta sempre l’ordine del giorno già votato dalla Camera che lo impegna ad aumentare le risorse entro il 2024. Giuseppe Conte e il Movimento escono dal “cul de sac” in cui si erano cacciati, riuscendo a “sminare” la trappola messa in Commissione da Fdi e dal governo che aveva accolto il suo ordine del giorno sul 2%. Senza dover fare marcia indietro e anzi, ottenendo un’apertura sulla richiesta di gradualità per arrivare all’obiettivo del 2%.”Vi posso assicurare che il M5s continuerà a lavorare non per la crisi di governo ma per una soluzione di buon senso” spiega Conte che, dopo aver contestato i numeri forniti dal governo sull’andamento negli anni delle spese per gli armamenti, manda il suo messaggio: “Nessuno dice di non rispettare gli impegni presi ma di allungare la curva al 2030”.
    Poco dopo parla il ministro della Difesa, il dem Lorenzo Guerini: “Fin dal momento in cui ho assunto la guida di questo dicastero ed anche in questi giorni ho sempre indicato sia l’esigenza di rispettare l’obiettivo del 2%, sia la gradualità con cui raggiungerlo” dice e precisa: “Dal 2019 ad oggi abbiamo intrapreso una crescita graduale delle risorse sia sul bilancio ordinario che sugli investimenti, che ci consentirà, se anche le prossime leggi di bilancio lo confermeranno, di raggiungere la media di spesa dei Paesi dell’Ue aderenti alla Nato e poi, entro il 2028, il raggiungimento dell’obiettivo del 2%”.