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    Regionali: si vota in Lombardia e Lazio, seggi aperti oggi e domani fino alle 15

    Oltre dodici milioni di cittadini sono chiamati alle urne, oggi e lunedì, per scegliere governatori e consigli di due delle più importanti regioni italiane: Lazio e Lombardia. I seggi per rinnovare le due amministrazioni si sono aperti oggi alle ore 7 e si potrà votare fino alle 23. Domani, invece, dalle 7 alle 15. L’ultima tornata elettorale per Lazio e Lombardia risale al 4 marzo del 2018.
    Per questo turno elettorale le sezioni sono 9.254 per la Lombardia in un totale di 1.504 comuni e 5.306 sezioni per il Lazio suddivise in 378 comuni. 

    Nel Lazio si sfideranno Alessio D’Amato (centrosinistra e Terzo Polo), Francesco Rocca (centrodestra), Donatella Bianchi (M5s e altre liste di sinistra), Rosa Rinaldi (Unione popolare) e Sonia Pecorilli (Partito Comunista Italiano). Il consiglio regionale del Lazio è composto da 50 consiglieri più il presidente della Regione.
    In Lombardia corrono per la carica di governatore l’uscente Attilio Fontana (centrodestra), Pierfrancesco Majorino (centrosinistra e M5s), Letizia Moratti (Terzo Polo) e Mara Ghidorzi (Unione Popolare). Il consiglio regionale è composto da 80 consiglieri compreso il presidente della Regione.
    La scheda elettorale è di colore verde. L’elettore ha tre opzioni: votare per il candidato presidente (e la scelta non si estende alle liste collegate), votare per candidato presidente e una lista (nel caso si selezioni solo sulla lista la preferenza di estende anche al candidato) o optare per il voto disgiunto, cioè scegliere una lista e un candidato governatore non collegato.
    È possibile esprimere una o due preferenze per i candidati al consiglio regionale: basta scrivere il cognome del candidato, o nome e cognome, accanto al simbolo della lista a cui appartiene. Nel caso si esprimano due preferenze, devono riguardare due candidati di sesso diverso pe rispettare la cosiddetta parità di genere. Se si scelgono due uomini o due donne la seconda scelta sarà annullata. Lo spoglio inizierà lunedì subito dopo la chiusura dei seggi.

    Al voto il 12 e 13 febbraio. Nel Lazio sei candidati, in Lombardia quattro (ANSA)

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    Incubo astensionismo, in gioco gli equilibri nel centrodestra

    Alla vigilia di un voto dal finale apparentemente già scritto con una vittoria del centrodestra sia in Lombardia che nel Lazio, è l’astensione lo spettro più temuto di queste regionali. Insieme al rischio di scombinare i rapporti di forza fra i partiti della coalizione – tra attese di boom di Fratelli d’Italia e presagi di tracollo degli alleati – fino ad alterare la tenuta complessiva della maggioranza. E chissà se qualche riflesso ricadrà pure sulle opposizioni, per accelerare alleanze e strategie di sopravvivenza.
    Nelle prossime 48 ore andranno alle urne 2 regioni che contano in tutto 12 milioni di elettori, circa 1/5 degli italiani. Per misurare l’astensionismo, si useranno i numeri delle ultime politiche e delle stesse regionali del 2018. A livello nazionale, cinque mesi fa, l’affluenza si fermò a un passo dal 64%. Una soglia che raccontava già il profondo distacco degli elettori – calati quasi del 9%, il livello più basso che si ricordi – ma che potrebbe accentuarsi ancora. Il confronto non va meglio se si guarda al dato locale di 5 anni fa. Quando la Lombardia incoronò il leghista Attilio Fontana, dopo il passo indietro di Roberto Maroni, l’affluenza fu del 73% (oltre al sostegno del 29,65% della Lega, del 14 di FI e appena il 3,64 di FdI). Una partecipazione da miraggio, vista con gli occhi di oggi. Idem, in proporzione, nel Lazio dove ci fu il bis del segretario del Pd, Nicola Zingaretti, e al voto andò il 66,5% degli aventi diritto.
    Due percentuali difficilmente raggiungibili e che rischiano di condizionare soprattutto le performance di Lega e Forza Italia, più in sofferenza rispetto a Fratelli d’Italia. No comment su questo – e anzi ampio fair play – da Matteo Salvini che lunedì seguirà il voto nella roccaforte milanese di via Bellerio. Tacciono sull’astensionismo Dem, 5 Stelle e Terzo polo, consapevoli che potrebbero accusare il colpo anche loro, in una partita elettorale tutta in salita.
    Specie nel Lazio, dove il Pd rischia di perdere una ‘casella’ storica dopo 10 anni e, in generale, per la scelta di dividersi tra Roma e Milano con schemi alternati che potrebbero penalizzare tutti i tre rivali. Nel Lazio al candidato del centrodestra, Francesco Rocca, si contrappongono Alessio D’Amato, l’ex assessore sostenuto dal Pd e Terzo Polo, e Donatella Bianchi, la giornalista messa in campo dai 5S. Lo schema si ribalta in Lombardia con Francesco Majorino del Pd (su cui c’è la convergenza 5S) e Letizia Moratti che, appoggiata da Renzi e Calenda, prova a strappare voti a Fontana, ma probabilmente anche a sinistra. In ogni caso, non si può escludere che una “debacle” al voto apra uno spiraglio di alleanza imprevista nel centrosinistra. L’opposizione potrebbe così sfruttare la tentazione di Lega e Forza Italia, debilitate dai risultati del voto, di ampliare la conflittualità interna alla maggioranza.
    In effetti, stando ai sondaggi, nel centrodestra si prospetta una ‘consacrazione’ dei ‘meloniani’ al nord. Sarebbe così se rafforzassero quel 27,6% strappato a settembre in Lombardia, contro il 13,9 dei leghisti e poco più del 7% degli azzurri. Uno smacco, quindi, per gli alleati nati e cresciuti al nord e che, pur restando nella squadra data per vincente, dovrebbero cedere il passo a un partito storicamente romano come quello di Giorgia Meloni ma capace di imporsi nettamente fuori dall’Urbe. E di farlo ad esempio nella futura giunta Fontana – si vocifera di una poltrona per Romano La Russa, fratello del presidente del Senato, in pole come assessore alla Sanità – o nella regia dei fondi per le Olimpiadi Milano-Cortina o del Pnrr. A Roma, FdI potrebbe ‘stravincere’, costretta però a ridisegnare non solo la giunta ma anche le gerarchie del partito in costante crescita. Sondaggi a parte, sono i leghisti della prima ora i più pessimisti, convinti che per l’ex Carroccio sarà un flop annunciato. Soprattutto nelle valli lombarde, che ai tempi di Bossi trainavano voti e ‘armavano’ i cori di Pontida e adesso potrebbero protestare, restando a casa.
    Del resto non scalda i cuori nemmeno il primo ok sulla riforma dell’autonomia scritta dal ministro Calderoli, concesso dal governo a ridosso dal voto, ma che ne richiederà molti altri. A disagio pure i berlusconiani: l’emorragia di voti di FI prosegue inesorabile da cinque anni (in Lombardia è sceso dal 14% al 7,9 e nel Lazio dal 14,6 al 6,8) ma le due regioni sono i feudi di due ‘colonelli’ azzurri come Licia Ronzulli al nord e Antonio Tajani al centro, che comunque proveranno a frenare la deriva.   

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    Pd: dati parziali circoli, Bonaccini 52,54% e Schlein 35%

    Stefano Bonaccini al 52,54% con 23.867 voti, Elly Schlein al 34,99% con 15.898 voti, Gianni Cuperlo al 7,83% con 3.556 voti e Paola De Micheli al 4,64% con 2.109 voti. Sono i risultati del voto nei circoli Pd per la scelta del nuovo segretario. I dati ufficiali sono resi noti dalla commissione nazionale per il congresso del Partito Democratico. Le urne si chiuderanno domani (il 19 febbraio nel Lazio e in Lombardia). I primi due classificati andranno al ballottaggio con le primarie del 26 febbraio, che saranno aperte anche ai non iscritti. Al momento hanno votato 45.430 iscritti.
    Bonaccini: chi è stato al governo vada in panchina”Con Veltroni eravamo più di 12 milioni di elettori del Pd. L’ultima elezione ne ha fatto perdere un altro milione e siamo scesi a poco più di 5 milioni. Quindi più che mandare via persone è bene che ognuno di noi si dia da fare per convincerne altri a venire. Se a chi è stato al Governo del Paese tante volte pur cambiando i Governi o in segretaria nazionale pur cambiando i segretari, chiediamo per una volta di andare in panchina non penso che dobbiamo chiedergli scusa”. Lo ha detto Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia Romagna, candidato alla segretaria del Pd, oggi a Rosolini, nel Siracusano.
    “O si torna all’idea della militanza, dove l’importante non è il grado che si ricopre, ma la passione civile e l’etica pubblica per cui si fa politica oppure il Pd non ha futuro – ha aggiunto – Lo dico perché se divento segretario, non succederà mai più che nessuno del gruppo dirigente non si candidi nei collegi uninominali, cosa che non si era mai vista e che è il primo messaggio drammatico che dai ai cittadini. Non si capisce perché per essere eletti nei comuni, in Regione, persino in Europa, si debba correre mettendoci la faccia e sottoponendosi giustamente al giudizio dei cittadini. Se sei leader lo si vede nel rapporto con il consenso dei territori, non perché te lo indica qualcuno. Se non cambia la legge elettorale, che va riconosciuto è pessima e che i parlamentari cercheranno di cambiare, vi garantisco che la prossima volta in provincia di Siracusa o in Sicilia o in tutta Italia, le candidate candidate del Partito Democratico li sceglierete voi con le primarie”.   

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    Regionali: l'affluenza, il crollo alle scorse politiche

    Una delle sfide delle elezioni regionali di domani e lunedì in Lombardia e nel Lazio sarà l’affluenza. Soprattutto dopo il crollo di circa 9 punti, il livello più basso mai registrato, che si è avuto alle ultime politiche di settembre 2022. In particolare, al Senato sono andati alle urne il 63,90 degli aventi diritto (alle precedenti nel marzo 2018 furono il 73%), mentre alla Camera hanno votato il 63,91% (contro il 72,94% della precedente tornata elettorale).
    In Lombardia 5 anni fa (si votava in un solo giorno) andarono alle urne il 73,1% degli elettori (nelle regionali del 2013 l’affluenza era stata del 76,74%).
    Nel Lazio, nel 2018 andarono al voto il 66,55% degli aventi diritto (nelle precedenti regionali votò il 71,96%)
    Ecco l’affluenza nel 2018 nelle due regioni al voto, con i dati a livello provinciale

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    Lazio, D'Amato chiude a 'casa di Meloni', Rocca in provincia

       E’ lontano dal centro di Roma che si giocano le ultime ore della campagna elettorale per la presidenza della Regione Lazio. Il dem Alessio D’Amato parla in piazza, sullo sfondo dei lotti popolari della Garbatella, roccaforte della sinistra romana e quartiere d’origine di Giorgia Meloni. Donatella Bianchi, campionessa del M5s, ha appena concluso un tour a Centocelle e, insieme a Giuseppe Conte, lancia gli ultimi messaggi da un teatro al Pigneto.
        Francesco Rocca, il candidato del centrodestra, addirittura ha passato il pomeriggio in provincia, all’ospedale di Colleferro.    Nessun maxi-comizio, ma una giornata ‘ordinaria’ – se ordinario può essere affrontare due confronti pubblici tra candidati nel giro di poche ore. E’ accaduto in mattinata, alla Tgr e poi al ‘Messaggero’, e sono pure volate scintille. Ora però sono lontani tra loro, i tre contendenti. E’ il momento dell’assolo finale. D’Amato, assessore alla Sanità in carica, porta con sè il ‘coro’ della continuità amministrativa. Ci sono i partiti della coalizione, i Verdi, i Radicali, i Socialisti, Demos, il Pd. Parla Carlo Calenda : “Rocca mi è sembrato un po’ Michetti – punge il leader del Terzo Polo – Sui manifesti c’è Giorgia col quadernino che adesso va di moda, come prima erano andati di moda Salvini e Grillo…”. Si vedono gli ex Piero Marrazzo e Piero Badaloni, ma parla dal palco Nicola Zingaretti: “Alessio non solo farà bene, ma ha fatto bene – dice – Loro, la destra, coi soldi pubblici compravano le jeep, noi le Tac: questa è la differenza”. L’appello, di tutti, è concentrare le energie, anche col voto disgiunto, per battere la destra. Il sindaco di Roma Roberto Gualtieri lo dice chiaramente: “È un ballottaggio, si vota Rocca per tornare indietro, mentre Alessio è stato il miglior assessore d’Italia. In queste ore possiamo fare il sorpasso”. “Qui c’è l’orgoglio – dice D’Amato nell’intervento finale, brevemente disturbato da un blitz di animalisti – Rocca rappresenta il mondo antico che ha fatto male a questa Regione”.
        Bianchi, intanto, dal Nuovo Cinema Aquila del Pigneto, non ci sta a fare il ‘terzo incomodo’: “Mi sono candidata – dice – per fare la cosa giusta, abbiamo coerenza e competenza e dalle elezioni arriverà un segnale importante di un nuovo modo di fare politica, siamo cittadini tra i cittadini”. “Noi abbiamo la candidata migliore, la più solida, affidabile e coraggiosa – la spinge Conte, che chiude al voto disgiunto – Noi Bianchi non la cambiamo con nessuno, non la cambiamo con D’Amato, che se avesse voluto competere nel nostro campo avrebbe dovuto prima restituire i soldi della Corte dei Conti”. Infine c’è Rocca, in sopralluogo all’ospedale di Colleferro, in provincia di Roma: “Sono venuto qui – ha detto – perché è un po’ il simbolo del maltrattamento delle strutture sanitarie delle nostre province.    È mortificante per i cittadini e per gli operatori sanitari. Ci lavoreremo, sarà una delle priorità. Questo è un vero ospedale di comunità, non quelli del Pnrr da venire. Prima bisognerebbe colmare le lacune che sono state lasciate. Troppe”.

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    Voto in Lombardia punto di svolta in equilibri c.destra

        Le aspettative e le speranze del centrodestra di una doppia vittoria in Lombardia e Lazio domenica e lunedì prossimi sono palpabili. Anche se la maggioranza che sostiene l’azione del governo Meloni deve fare i conti con i rischi di un eccessivo squilibrio elettorale della coalizione a favore di Fdi: un possibile scenario che metterebbe in ulteriore tensione Fi e Lega, soprattutto nella principale Regione italiana, che storicamente ha determinato la leadership del partito di Matteo Salvini. Il vicepremier si gioca fino in fondo questa partita chiudendo la campagna per le regionali a Brescia e puntando sui cavalli di battaglia dell’autonomia e delle infrastrutture per recuperare il consenso eroso da Fratelli d’Italia nelle ultime elezioni politiche. Una tornata elettorale, quella del 25 settembre scorso, che ha riscritto completamente i rapporti di forza nel centrodestra, con Fdi al 27% e gli altri due alleati poco sopra l’8%. Uno squilibrio che spiega l’attuale nervosismo di Lega e Fi. Con Silvio Berlusconi, che in una campagna elettorale quasi esclusivamente televisiva (se si esclude la kermesse milanese di martedì scorso a Milano) si aggancia al tema dell’autonomia (molto sentito nelle regioni del Nord) ma guarda anche al Sud e parla di infrastrutture come il ponte sullo Stretto.
       La Lega nel Lazio è scesa dal 9,9% delle Regionali 2018 al 6,1% delle politiche: un ulteriore arresto spingerebbe verso l’archiviazione l’ipotesi di un partito nazionale, quella Lega per Salvini Premier che aveva perfino abbandonato il colore verde in favore del blu. Ma se anche in Lombardia si ripetesse domenica per Salvini il risultato delle politiche, diventerebbe molto complicato anche un ritorno alla Lega Nord di Bossi e del Carroccio. Il risultato raggiunto da Via Bellerio il 25 settembre è lontanissimo dal 29,6% delle Regionali 2018. Non solo meno consiglieri e meno assessori, ma un indebolimento complessivo del partito e del suo leader. Il Comitato Nord di Bossi alla fine non ha presentato la propria lista a sostegno di Attilio Fontana, che avrebbe sottratto consensi alla Lega; tuttavia potrebbe indirizzare preferenze verso la lista civica del Governatore, che infatti ha dichiarato che Lombardia Ideale punta al 5-6%, mentre cinque anni fa ottenne solo 1,46%. Per Fi il discorso è analogo. In entrambe le Regioni ha visto un crollo dei consensi dal 2018 al 2022 (dal 14,3% al 7,9% in Lombardia e dal 14,6% al 6,8% in Lazio). Le due Regioni sono i feudi delle due correnti interne, guidate da Licia Ronzulli e Antonio Tajani e l’inamovibilità della leadership di Berlusconi potrebbe trasformare il partito in una pentola a pressione.
        Per Giorgia Meloni la difficoltà consisterebbe nel gestire una grande vittoria in sede di governo. Dei risultati troppo favorevoli a Fratelli d’Italia nel contesto del centrodestra farebbero aumentare il nervosismo dei due partiti alleati ulteriormente ridimensionati. Poi c’è una questione di profilo politico. Se Fdi confermasse il 27,6% delle politiche in Lombardia, si teme in ambienti politici azzurri e dell’ex Carroccio, si potrebbe parlare a tutti gli effetti di un partito nazionale spinto ad interpretare da una posizione di forza anche il Nord produttivo. Una vocazione che forse spingerebbe Fdi ad una forte ridefinizione del proprio profilo, con una giustificata ambizione anche in vista delle Regionali del Veneto e del Piemonte, qualora Luca Zaia e Alberto Cirio vollessero andare in Europa nel 2024. (ANSA).   

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    Sangiuliano, Colosseo illuminato per il Giorno del ricordo

    (ANSA) – ROMA, 10 FEB – “Penso che il Colosseo sia un
    monumento universalmente noto ed uno dei simboli importanti
    dell’Italia e quindi ci è parso di sottolineare tra le
    tantissime iniziative, tra cui l’illuminazione della facciata di
    Palazzo Chigi, il giorno del Ricordo con questa illuminazione
    del Tricolore” . Lo ha detto il ministro della Cultura Gennaro
    Sangiuliano in occasione dell’illuminazione del Colosseo con il
    tricolore e la scritta “Io Ricordo “. (ANSA).   

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    Meloni: “Nessun gelo con Parigi ma Macron ha sbagliato”

    La presidente del Consiglio Giorgia Meloni parla dopo il vertice europeo di ieri a cui ha preso parte anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
    L’UCRAINA”La posizione dell’Italia è estremamente chiara e coerente sull’Ucraina con un impegno a 360 gradi che riguarda il fronte finanziario, militare e civile e a Zelensky con cui ho parlato ho ribadito questo”, ha detto Meloni.
    “L’Ue ritiene di restare al fianco di Kiev con tutti gli strumenti necessari. Ieri a Volodymyr Zelensky ho ribadito la nostra piena disponibilità, ma era importante che al di là degli stati lo facesse il Consiglio europeo nel suo complesso”, ha evidenziato la premier. “Zelensky tiene alla nostra presenza a Kiev e mi ha nuovamente invitato, stiamo vedendo come organizzare”, la visita, ha aggiunto la presidente del Consiglio.
    “Io avrei preferito che Zelensky fosse stato presente a Sanremo”, ha anche detto Meloni aggiungendo di aver “apprezzato” la scelta del presidente ucraino di inviare poi la lettera. “Mi dispiace più che altro che si sia creata una polemica: non è mai facile far entrare la politica in una manifestazione come Sanremo, anche se poi ci entra sempre”, ha detto. “Credo che fosse comunque importante una sua presenza”.

    Meloni: ‘Avrei preferito Zelensky presente a Sanremo’

    Meloni ha confermato l’invio dell’Italia con la Francia del sistema Samp-T a Kiev: “Assolutamente sì, siamo da tempo impegnati in joint venture” con Parigi “su una materia molto importante per l’Ucraina. Credo che si stia procedendo speditamente e nei prossimi giorni saremo in grado di annunciarlo definitivamente”.
    In merito all’invio di jet a Kiev, “noi siamo disponibili a fare la nostra parte a 360 gradi. Preferisco non dire di più. Dipende dagli equilibri della comunità internazionale, ma noi ci siamo e ci siamo sempre stati. Dei timori, sentiti più dall’opposizione che dalla maggioranza, sul fatto che aiuti militari portino ad un’escalation della guerra io non sono assolutamente d’accordo”.
    C’è una sola possibilità che alla fine si arrivi ad un tavolo negoziale ed è l’equilibrio delle forze in campo. Un’invasione dell’Ucraina porta la guerra più vicina a casa nostra, non più lontana. Chi aiuta l’Ucraina lavora per la pace”, ha sottolineato Meloni
    Ieri dall’Europa si è data “un’immagine di compattezza e credo che sia un segnale molto importante, chiaramente dentro al Consiglio Ue e nelle conclusioni c’è la conferma del pieno sostegno alla causa della sovranità e della libertà. Abbiamo ribadito che l’Ue rimarrà al fianco dell’Ucraina per tutto il tempo necessario”.
    “Sono molto contenta dei risultati ottenuti dall’Italia in questo Consiglio europeo, sono soddisfatta di importantissimi passi avanti fatto su alcune materie particolarmente delicate”, ha detto Meloni. Il documento prodotto dal vertice Ue “è una grande vittoria per l’Italia, mi ritengo estremamente soddisfatta”, ha rimarcato.

    Aiuti di Stato, Meloni: ‘Abbiamo chiesto flessibilita’ sui fondi’

    GLI AIUTI DI STATO”La proposta italiana” per il vertice europeo “era quella della possibilità di una flessibilità sui fondi esistenti”, ha spiegato Meloni. “L’altra cosa che abbiamo chiesto è che nella futura discussione sul Patto di stabilità si tenesse conto del fatto se i cofinanziamenti nazionali messi in campo impattano sul rapporto deficit/Pil. Siamo riusciti a inserire questo elemento: nella riforma del Patto si tenga conto delle decisioni prese” sugli aiuti di Stato. “La posizione italiana sulla materia economica è pienamente entrata nelle conclusioni del vertice”, ha aggiunto.
    “Abbiamo chiesto che la Commissione faccia una proposta sul fondo sovrano europeo, che vada nella direzione delle esigenze strategiche europee”, ha proseguito Meloni. “Si tratta di dare una soluzione europea a un problema europeo”, ha detto ricordando che c’è “una discussione aperta sull’allentamento degli aiuti di Stato, in particolare la richiesta da nazioni che hanno spazio fiscale”.
    Chiedere più flessibilità non significa “che prendiamo i fondi di coesione e li mandiamo da un’altra parte, in altre Regioni. Il punto è capire se si possa costruire uno spazio fiscale che ci consente di concentrare risorse su priorità che oggi abbiamo, segnatamente la competitività delle imprese”, ha spiegato poi Meloni.
    Sempre sugli aoiuti di Stato, “abbiamo chiesto che l’allentamento sia circoscritto, temporaneo e limitato e che vi fosse anche la capacità di dare a un problema europeo una risposta europea. Questa soluzione, solo così, rischia di essere una soluzione nazionale”, ha detto Meloni.
    “Sul rinnovo del Patto di stabilità noi chiediamo che si tenga conto degli investimenti che dovremo fare nei prossimi anni: sino ad oggi il Patto di stabilità e crescita è stato più sbilanciato sulla stabilità che sulla crescita, e noi vorremmo invece che fosse più concentrato sulla crescita. Che poi è il modo migliore per rendere sostenibile il debito italiano: la crescita”, ha sottolineato la premier.

    Meloni durante la conferenza stampa a Bruxelles

    I MIGRANTI”Sono molto soddisfatta sul tema dei migranti. Ieri si è stabilito un principio, si cambia approccio, che è molto diverso da quello degli ultimi anni. L’approccio messo nero su bianco parte da una frase che mai si era riusciti a mettere: ‘l’immigrazione è un problema Ue e ha bisogno di una risposta Ue'”.
    “Prima di ragionare sui movimenti secondari dobbiamo lavorare insieme sui movimenti primari, per combattere il traffico di esseri umani e frenare gli ingressi illegali. Noi vogliamo che l’Ue si attivi nel suo lavoro sull’Africa, che ora sta facendo l’Italia: immaginiamo una cooperazione rafforzata con i paesi di partenza e transito dell’immigrazione per combattere anche i traffici illegali e consentendo alle persone di entrare in modo legale con flussi ben regolati”, ha detto Meloni.
    Nelle conclusioni “c’è il rapporto con chi è impegnato nelle attività di salvataggio. Questo tema è nelle conclusioni ed è abbastanza una novità, e che ne se discuta nell’ottica di regolamentare il funzionamento di queste attività”, ha detto la premier spiegando che nel documento europeo è specificato anche come “non si possa trattare il tema dei movimenti secondari senza affrontare quello dei movimenti primari”.
    “Sulle ong c’era un tavolo di lavoro che si chiama Gruppo di Contatto sul Search & Rescue che era stato costituito e non ha mai operato. Quel Gruppo è stato ripreso e nelle conclusioni si parla di rilancio di questo organo. Anche questo è un fatto molto importante”, ha poi rimarcato Meloni in conferenza stampa. “Mi sembra che al vertice ci siano stati passi avanti sulla concretezza”, ha aggiunto.
    “Una cosa è dire che l’Europa aiuterà l’Italia nel Mediterraneo, un conto è avere un piano della Commissione: il consiglio stabilisce una cornice, poi che tipo di concretezza fa la differenza. Ora abbiamo chiesto che il piano sulla rotta centrale” del Mediterraneo “va implementato e messo in modo. Io sono convinta che vedremo questa cooperazione, che per esempio vuol dire prendere risorse e impiegarle verso sud e non verso est: sono stati spesi sei miliardi con la Turchia per gestire la rotta balcanica, io ho un obiettivo simile con i Paesi del Nord africa”, ha detto Meloni.
    “Chi ha 3.000 euro da dare a uno scafista può tentare di arrivare in Europa, chi è ancora più povero e non ce li ha, no. È umano questo?”, ha chiesto Meloni. “È arrivato il momento di dire che non possono essere i criminali a fare la selezione d’ingresso in Europa, la dobbiamo fare noi: sia per rifugiati che per la migrazione legale. Con i Paesi africani si può lavorare meglio, anche attraverso i nostri consolati”, ha aggiunt

    Agenzia ANSA

    In merito al trilaterale Scholz-Macron-Zelensky, con la Francia “non c’è stato uno strappo”, ma “secondo me è stato un errore non coinvolgere l’Italia, visto che c’è un Trattato del Quirinale”. (ANSA)

    o.

    IL RAPPORTO CON MACRON”Confesso che trovo alcune letture italiane un po’ provinciali. Il tema non è ‘gelo’, ‘problemi’, il tema è che l’Italia è una nazione abbastanza centrale in Ue da dover dire quando su qualcosa non è d’accordo rispetto al passato in cui per noi era sufficiente stare in una foto e questo bastava a descrivere la nostra centralità”, ha detto Meloni rispondendo ad un domanda sul botta e risposta con Macron sull’invito di Zelensky a Parigi. Quanto successo “non compromette i miei rapporti, ma quando c’è qualcosa che non va devo dirlo”, ha ribadito Meloni.
    “Non è facile per nessuno di noi gestire la questione Ucraina con l’opinione pubblica, quello che noi facciamo lo facciamo perché è giusto ma forse non è la cosa migliore sul piano del consenso. Quello che era giusto era la foto dei 27 con Zelensky, anticipare la compattezza con una riunione a Parigi era politicamente sbagliato. Il tema non era stare nella fotografia e io non ho condiviso” la scelta, ha spiegato la presidente del Consiglio. “Credo che ieri non andasse indebolita la forza dell’immagine di unità dei 27 a Bruxelles. A Parigi” con Zelensy “c’erano due presidenti, e non gli altri 25”.
    “Rispetto a chi pensava che la politica estera italiana era solo farsi dare la pacca sulla spalla e non considerare gli interessi italiani, ecco io credo che gli interessi dell’Italia siano più rilevanti”, ha evidenziato.
    “Rispetto a chi pensava che la politica estera italiana era solo farsi dare la pacca sulla spalla e non considerare gli interessi italiani, ecco io credo che gli interessi dell’Italia siano più rilevanti”.
    “Chi pensa ad una Ue di serie A e serie B, chi pensa che l’Europa debba essere un club in cui c’è chi conta di più e di meno, sbaglia. Secondo me quando si dice che l’Ue ha una prima classe e una terza classe, vale la pena ricordarsi del Titanic. Se una nave affonda non conta quanto hai pagato il biglietto”, ha proseguito Meloni.

    Agenzia ANSA

    ‘Pensa di fare da solo? Non credo che andrà lontano’ (ANSA)

    VISEGRAD”Si dice che Meloni ha scelto Visegrad perché non era nella foto con gli altri. Ma è normale che abbia visto i premier del nostro partito, come Fiala e Morawiecki”, ha affermato la presidente del Consiglio.