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    Stretta sulla protezione e il reato di strage in mare

       Un piano triennale, e non più annuale, per le quote di stranieri da far entrare in Italia con permesso di lavoro. La stretta su trafficanti e scafisti con l’innalzamento delle pene e l’introduzione di un nuovo specifico reato che punisce chi promuove i viaggi della disperazione che si trasformano in tragedie come quella di Cutro, un “reato universale” perseguito anche se il naufragio avviene in acque internazionali. E poi la compressione della protezione speciale, con un parziale ritorno ai decreti Salvini. Questo prevede il decreto legge di 12 articoli con le “Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare” approvato dal Consiglio dei ministri e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.      – DECRETO FLUSSI E PERMESSI TRIENNALI – Si sta facendo strada nel governo la necessità di un intervento complessivo in materia di immigrazione. Da ultimo si registra l’apertura del sottosegretario alla Presidenza Alfredo Mantovano a mettere mano alla Bossi-Fini, diventata a forza di modifiche una “legge-arlecchino”. Intanto secondo il testo approvato il 9 marzo, viene fissata la cornice per il decreto flussi, che stabilisce quanti stranieri possono entrare per motivi di lavoro: diventa triennale, e quello per il 2023-2025 sarà definito con una delibera del Consiglio dei ministri poi trasmessa al parlamento. “Al fine di prevenire l’immigrazione irregolare”, le quote di ingresso saranno riservate “in via preferenziale” ai lavoratori di Stati che, “anche in collaborazione con lo Stato italiano, promuovono per i propri cittadini campagne mediatiche aventi ad oggetto i rischi per l’incolumità personale derivanti dall’inserimento in traffici migratori irregolari”. “Qualora se ne ravvisi l’opportunità, ulteriori decreti possono essere adottati durante il triennio”.    E’ anche previsto l’ingresso per chi completa corsi di formazione professionale riconosciuti, tramite una richiesta “corredata dalla conferma della disponibilità ad assumere da parte del datore di lavoro”. Viene poi esteso il permesso di soggiorno per lavoro, che ora sarà triennale.       – PENE PER TRAFFICANTI E SCAFISTI – Il decreto punta a contrastare i traffici di essere umani anche con la leva penale. Per chi “promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato”: finora la reclusione era da 1 a 5 anni ora sarà da 2 a 6 anni. E’ stato poi introdotto il nuovo reato, “Morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina”, che punisce con la reclusione da venti a trent’anni chi organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri “se dal fatto deriva, quale conseguenza non voluta, la morte di più persone”. Se il viaggio è finalizzato all’ingresso in Italia sarà punito anche se il naufragio avviene fuori dall’acque italiane, in questo caso saranno determinanti le testimonianze dei sopravvissuti sui motivi del viaggio.    – STRETTA SULLA PROTEZIONE SPECIALE – Il provvedimento riporta poi parzialmente in vita la stretta sulle forme di protezione. Uno dei decreti sicurezza del 2018 aveva abolito la protezione umanitaria sostituendola con la protezione speciale limitata a casi circoscritti, come malattia o calamità nei Paesi d’origine. Nel 2020 le maglie erano state nuovamente allargate, ma ora il decreto le restringe, escludendo i casi in cui il permesso viene concesso in ragione dei legami familiari e sociali, a quelle persone che sono in Italia da molti anni e si sono integrate.    – CENTRI DI ACCOGLIENZA E PER I RIMPATRI – C’è, infine il potenziamento della rete dei Centri di permanenza per i rimpatri. La realizzazione di queste strutture si può fare anche in deroga alla legge, fatto salvo il rispetto del codice antimafia e dei vincoli europei. E si interviene poi sulla gestione dei centri per migranti: nel caso di gravi inadempimenti, il prefetto può nominare un commissario per assicurare il mantenimento dei posti in accoglienza. 

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    Progetto Cime bianche, le opposizioni insorgono

    (ANSA) – AOSTA, 11 MAR – Le indiscrezioni del britannico ‘The
    Telegraph’ sul contestato progetto di collegamento nel vallone
    di Cime Bianche fanno scoppiare la polemica in Valle d’Aosta. Un
    impianto funiviario che creerebbe uno dei più grandi comprensori
    sciistici al mondo – oltre 500 km di piste collegando Zermatt
    (Svizzera) e Cervinia a Champoluc, Gressoney e Alagna – ma che
    sorgerebbe in un’area compresa in Zone di protezione speciale
    della Rete natura 2000. Il quotidiano avrebbe anticipato
    dettagli di uno studio di fattibilità non ancora pubblico:
    l’impianto costerà 100 milioni di euro, sarà a “due tratte” e
    ogni cabina potrà trasportare “26 persone”. Inoltre, Federico
    Maquignaz, presidente della partecipata Cervino spa, ha
    dichiarato di essere fiducioso” che il piano avrà il via libera
    della Regione e “che il collegamento sarà completato entro i
    prossimi tre anni”.   
    Oltre al Cai Vda e all’associazione ‘Ripartire dalla Cime
    Bianche’ – che contro l’impianto avevano raccolto 2.300 firme –
    sono insorte le opposizioni. Il gruppo Progetto civico
    progressista ritiene che “la divulgazione di tali informazioni
    riservate sia da ritenersi una grave mancanza di rispetto nei
    confronti del Consiglio regionale” e chiede “provvedimenti” per
    Maquignaz. Di “centralità’ del Consiglio regionale” venuta meno
    parla il vicecapogruppo della Lega, Stefano Aggravi, secondo cui
    serve capire come “finanziare l’opera e renderla sostenibile nel
    medio e lungo periodo”. “Trasmetteremo lo studio la prossima
    settimana”, dice oggi Giorgio Munari, ad di Monterosa spa,
    partecipata che nel 2021 aveva affidato l’incarico su mandato
    del Consiglio Valle. (ANSA).   

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    Coabitare con il predecessore, Francesco e il Papa emerito

       Per quasi l’intero primo decennio di pontificato, Francesco ha avuto in sorte di essere il primo Papa della storia a dover convivere in Vaticano col suo predecessore. La storica rinuncia di Benedetto XVI, primo Papa a dimettersi da sei secoli e la sua decisione di restare a vivere nella Città Leonina, seppur appartato nell’ex monastero Mater Ecclesiae, hanno determinato una situazione davvero senza precedenti: per la prima volta in duemila anni di storia della Chiesa due Papi si trovavano a coesistere in Vaticano.    Joseph Ratzinger, tra l’altro, pur avendo lasciato il pontificato, non volle essere chiamato “vescovo emerito di Roma”, come consigliato da alcuni canonisti, scegliendo la denominazione di “Papa emerito” o “Romano Pontefice emerito”, mantenendo anche la veste bianca, per quanto senza mantellina, e il titolo di “Sua Santità”.    Comunque la ‘coabitazione’ col successore, papa Francesco – cui al momento di lasciare il papato a fine febbraio 2013 aveva promesso “obbedienza” -, è stata per alcuni anni senza scosse, di perfetta armonia, priva di ogni ingerenza nel governo della Chiesa come di atti o dichiarazioni che potessero mettere in dubbio l’autorità o le decisioni del Pontefice in carica. Vivere “nascosto al mondo”, dedito allo studio, a meditazione e preghiera, era stata l’intenzione annunciata dal Papa dimissionario: una linea che ha sempre mantenuto, con discrezione ‘bavarese’, interrotta solo dalle poche uscite pubbliche, e nel 2016 da un paio di interviste e dal libro-testamento “Ultime conversazioni” col giornalista tedesco Peter Seewald con cui aveva già scritto “Luce del mondo”.    A costituire un ‘caso’ – Ratzinger aveva già quasi 93 anni – fu però l’uscita nel gennaio 2020, in Francia e poi in Italia, del libro col prefetto per il Clero card. Robert Sarah, “Dal profondo del nostro cuore”, testo in cui i due autori proclamavano le loro tesi radicalmente contrarie a ogni innovazione sul celibato sacerdotale. C’era appena stato il Sinodo sull’Amazzonia, in cui i vescovi avevano votato a maggioranza la possibilità di forme di sacerdozio uxorato, cioè il conferimento del presbiterato a persone sposate, proprio per far fronte alle esigenze pastorali nelle impervie e sterminate lande amazzoniche. Papa Bergoglio stava allora redigendo l’esortazione post-sinodale e si era in attesa delle sue decisioni sul tema, tanto che l’uscita del libro a quattro mani – Ratzinger però a un certo punto tolse la sua firma come co-autore – sembrò un tentativo di condizionare le scelte del Pontefice in carica. Tentativo che, alla prova dei fatti, riuscì, poiché nella sua ‘Querida Amazonia’ papa Francesco scelse di non aprire ad alcun cambiamento sul celibato.    Da parte sua, Bergoglio ha sempre manifestato un rispetto filiale per il suo predecessore, nonché vicinanza con frequenti chiamate o visite. “E’ come avere il nonno saggio in casa”, ha detto più volte per riconoscere il coraggio e il sostegno che gli dava poter avere vicino a sé la “saggezza”, l'”esperienza”, e la sterminata cultura teologica del Papa emerito. A cui riconosceva anche di aver aperto con la sua coraggiosa rinuncia, “atto di governo della Chiesa”, una strada nuova: quella appunto dei “Papi emeriti”, che prima non esistevano, e che ora, col prolungarsi della vita, diventavano una figura da mettere in conto e anche da inquadrare canonicamente. A Benedetto, tra l’altro, Francesco riconosceva di essere stato colui che aveva aperto la lotta senza quartiere contro la pedofilia, già portando avanti il ‘caso Maciel’ (fondatore dei Legionari di Cristo) da cardinale, contro tutto e tutti, quando “non aveva forza per imporsi”.    Questa ‘convivenza’ di manifesta sintonia fu sottolineata da ripetuti incontri: due immagini su tutte, quella del 23 marzo 2013 quando il neo-eletto Francesco si recò in visita a Castel Gandolfo al Papa da poco ‘emerito’, che gli affidò lo scatolone con l’inchiesta ‘Vatileaks’ dei suoi tre cardinali-007 Herranz, Tomko e De Giorgi, e quella dell’8 dicembre 2015, apertura del Giubileo straordinario della Misericordia, quando Francesco e Benedetto varcano insieme, uno dopo l’altro, la Porta Santa di San Pietro. Essa però non impedì che attorno alla presenza dei due Papi si alimentassero le nostalgie dei ‘ratzingeriani’ avversi alle innovazioni e riforme del successore, e dei ‘sedevacantisti’ per i quali la rinuncia di Benedetto XVI non era valida, perché data non liberamente, come pure non valida l’elezione di Bergoglio per una votazione annullata a causa di una scheda in più.    Fecero discutere nel maggio 2016 anche le dichiarazioni del segretario di Ratzinger e prefetto della Casa Pontificia, mons.Georg Gaenswein, sul “ministero (petrino) allargato con un membro attivo e uno contemplativo”, e su Benedetto XVI “come se avesse fatto un passo di lato per fare spazio al suo successore e a una nuova tappa nella storia del Papato”. Dichiarazioni in qualche modo esplosive, che ridiedero, anche se brevemente, non poca linfa ai detrattori di Bergoglio. Ma fu proprio lui, interrogato il mese dopo dai giornalisti sul volo che lo riportava a Roma dall’Armenia, a porre fine alle polemiche. “Ho sentito – disse del Papa emerito -, che alcuni sono andati lì a lamentarsi perché ‘questo nuovo Papa…’, e lui li ha cacciati via! Con il migliore stile bavarese: educato, ma li ha cacciati via”. “Ma c’è un solo Papa”, sentenziò, parlando del predecessore come di “questo grande uomo di preghiera, di coraggio che è il Papa emerito – non il secondo Papa – che è fedele alla sua parola e che è un uomo di Dio. E’ molto intelligente, e per me è il nonno saggio a casa”. 

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    Palazzo Chigi: 'Michel in piena sintonia con l'azione del governo'

    “Palazzo Chigi esprime sentito apprezzamento per le parole rivolte all’Italia dal Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Quanto affermato dal Presidente Michel è in piena sintonia con l’azione del governo italiano in Europa volta a una migliore gestione della migrazione e al contrasto del traffico di migranti”. Lo si legge in una nota sulla lettera inviata alla premier Giorgia Meloni, in cui Michel affermava che “lavorando insieme e con decisione dobbiamo prevenire queste tragedie” come quella di Cutro. 
    “Dopo la terribile tragedia di Cutro, l’impegno comune a una risposta europea adeguata al complesso fenomeno della migrazione rende ancora più improcrastinabile l’attuazione di quanto deciso al Consiglio europeo di febbraio”.

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    La riforma delle finanze tra le priorità del papato di Francesco

       Insieme alla lotta alla piaga degli abusi, la riforma del sistema economico-finanziario vaticano – che nell’arco di dieci anni, lo si può dire, ha rivoltato come un guanto – è stata fin dall’inizio una delle priorità del pontificato di Francesco, sempre rispettando il mandato conferitogli dal Collegio cardinalizio nelle “congregazioni generali” pre-Conclave. La necessità di porre fine una volta per tutte agli scandali e alle disinvolture gestionali del passato, che hanno favorito anche una crisi senza precedenti nelle casse d’Oltretevere, ha ispirato una serie di riforme radicali, portando avanti e accentuando il cammino verso la “trasparenza” finanziaria, contro ogni corruzione e ogni forma di riciclaggio, già avviato dal predecessore Benedetto XVI.    Ciò non ha impedito a Francesco di dover fronteggiare anche lui ulteriori scandali – da quello sulla divulgazione dei documenti riservati, a quello sulla vendita degli immobili dello Ior, fino all’ultimo, sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato e dell’Obolo di San Pietro -, affrontati però con una determinazione e una severità, anche qui, senza precedenti nel passato, senza immunità per nessuno: tanto che, ad esempio, si è visto finire alla sbarra in Tribunale, come mai avvenuto prima, non solo un ex presidente della “banca vaticana”, ma persino un cardinale.    A partire dal 24 febbraio 2014, quando ha creato la Segreteria per l’Economia – affidata al cardinale australiano George Pell -, il Consiglio per l’economia e l’Ufficio del revisore generale, con il compito di armonizzare le politiche di controllo sulla gestione economica della Santa Sede e della Città del Vaticano, si è quasi perso il conto dei provvedimenti di Bergoglio in materia finanziaria e amministrativa, al fine di razionalizzare e tenere sotto stretta vigilanza bilanci di dicasteri ed enti, spese, appalti, conflitti d’interessi, rispetto degli standard contabili internazionali e delle norme anti-riciclaggio.    Un’opera che è continuata ininterrottamente per tutto il decennio, confluendo anche nella costituzione apostolica Praedicate Evangelium che ha riformato al Curia, e che prosegue tuttora.    Si pensi solo al “pacchetto” di misure emanato da Francesco tra il gennaio e il febbraio di quest’anno, tra cui quella che ha avuto più clamore mediatico e tra i settori conservatori della Curia, è il Rescritto del 13 febbraio, abrogante tutte le norme che hanno finora permesso l’uso gratuito o a condizione di favore degli immobili di proprietà delle Istituzioni Curiali e degli Enti che fanno riferimento alla Santa Sede ai cittadini vaticani (all’incirca 700 persone) e a chi vi abita, imponendo un affitto pari a quello pagato da chi usufruisce degli appartamenti vaticani senza ricoprire un ruolo in qualche modo direttivo. La misura si applica dunque a cardinali, arcivescovi, vescovi, presidenti e segretari di Dicasteri, dirigenti del Tribunale della Sacra Rota e altri.    Al di là delle critiche degli ambienti conservatori, abituati a una visione del Vaticano come di uno Stato elitario, quasi fosse il Principato di Monaco, si tratta ancora di una misura di razionalizzazione del comparto economico-finanziario, al fine di destinare più risorse al Servizio Universale della Chiesa e ai poveri, in un contesto economico di particolare gravità.    La destinazione universale del Beni ecclesiastici è stata poi fortemente rilanciata, dal “Motu proprio” del 24 febbraio, ribadendo che tutti i beni, mobili e immobili, inclusi i titoli e le disponibilità liquide, sono beni pubblici ecclesiastici, e come tali sono di proprietà della Santa Sede. Chi li gestisce, ricorda il Papa, ne è soltanto amministratore e non proprietario. Altra riforma, entrata in vigore dallo scorso 31 gennaio, è quella del Vicariato di Roma, che Francesco ha profondamente riorganizzato, rendendolo più collegiale e più legato al papa. E istituendo un Organismo indipendente di sorveglianza, per verificarne e regolarizzarne soprattutto le attività economico-finanziarie. Infine, proprio in questi giorni, il nuovo Statuto dello Ior, delineando meglio i confini tra i vari organismi interni, soprattutto le aree di competenza tra il Consiglio di Sovrintendenza e la figura del direttore generale che ne esce rafforzato. 

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    L'Argentina festeggia i 10 anni del papato di Francesco

       Per celebrare i dieci anni del pontificato di Jorge Bergoglio la Chiesa argentina ha convocato per oggi una grande mobilitazione di fedeli presso la basilica intitolata alla Vergine di Lujan, patrona del Paese.    L’iniziativa, durante la quale verrà diffuso un messaggio registrato del Pontefice diretto all’Argentina, è stata promossa dal presidente della “Federación Hogares de Cristo”, il sacerdote José “Pepe” Di Paola, e conterà sulla presenza del presidente della Conferenza episcopale, Oscar Ojea.    Con l’obiettivo di dare all’evento un carattere il più ecumenico possibile sono stati invitati all’iniziativa oltre al presidente Alberto Fernandez e alla vice presidente, Cristina Kirchner, anche rappresentanti dell’opposizione, come il governatore della città di Buenos Aires, Horacio Rodriguez Larreta. “Questa celebrazione può rappresentare l’inizio di qualcosa di importante per il Paese”, ha detto all’ANSA Di Paola, considerato uomo vicinissimo a Bergoglio e conosciuto anche come il “cura villero” (sacerdote delle borgate), per il suo incessante lavoro pastorale nei quartieri più poveri (villas miserias).    Di Paola ha auspicato in questo senso che gli argentini “siano capaci di unirsi anche al di là di una vittoria nel mondiale di calcio”. “Il Paese ha diversi obiettivi che richiedono unirci al di là delle differenze e questo è il carattere della celebrazione di questo fine settimana”, ha aggiunto.    Il motto dell’iniziativa d’altra parte allude con un gioco di parole proprio al campionato del mondo di calcio: “In unione e con allegria insieme al papa Francesco, un argentino mondiale”.    La celebrazione, ha spiegato il sacerdote, sarà occasione inoltre per commemorare i 15 anni della federazione “Hogares de Cristo”, programma diretto al recupero di adolescenti e giovani dalla povertà e dalle dipendenze con 250 centri in tutto il paese.    L’appuntamento segna anche la conclusione del pellegrinaggio federale attraverso tutte le province del Paese in occasione della quale verrà firmato un documento di impegno nella lotta contro la droga.    Il pellegrinaggio con l’immagine della Vergine di Lujan è iniziato a marzo del 2022 e ha percorso più di 15.200 chilometri in tutto il Paese, visitando scuole, carceri, circoli, comunità indigene, ospedali, centri di quartiere, fattorie, case dei nonni e orfanotrofi. 

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    Chiara Amirante: le 10 parole-chiave di Francesco

       Tutta la Famiglia Nuovi Orizzonti “è in festa e ringrazia il Papa per il dono dei dieci anni del suo pontificato”. “Papa Francesco è stato un ‘faro’ in questo tempo particolarmente difficile che stiamo vivendo. Ci ha sostenuto con il suo amore paterno e ci ha aiutato a comprendere che in questa tempesta che stiamo vivendo ‘siamo tutti sulla stessa barca e possiamo non affondare solo se remiamo insieme'”, dice all’ANSA la fondatrice e presidente Chiara Amirante, memore anche della visita che il Pontefice fece il 24 settembre 2019 alla “Cittadella Cielo” di Frosinone, struttura di accoglienza della comunità.    “Il Papa ha scelto un nome unico nella storia della Chiesa che ne ha delineato fin dagli inizi le coordinate fondamentali: non dimenticarci dei ‘poveri’, la ‘cura del creato’ come casa comune, l’impegno per l’edificazione di una ‘fratellanza’ universale al di là delle differenze geografiche, culturali o etniche, l’impegno a vivere il ‘vangelo sine glossa’ (alla lettera) sull’esempio del poverello d’Assisi” e l’attenzione alle “periferie esistenziali” da rimettere al centro, spiega.    “Ci ha esortato in molti modi a essere ‘Chiesa in uscita’ – prosegue Amirante -: con la splendida lettera apostolica Evangelii Gaudium, con il primo viaggio apostolico a Lampedusa o aprendo una ‘porta santa’ del Giubileo per la prima volta nella storia, in Africa. Ha continuato poi a declinare in ogni sua scelta, un’opzione preferenziale per i poveri e per le periferie, combattendo la ‘globalizzazione dell’indifferenza’ e annunciando con gesti e parole il volto misericordioso di Dio Padre col Vangelo della gioia”.    Dieci sono le parole-chiave che, per un’operatrice nel disagio sociale come Chiara Amirante, riassumono i dieci anni di pontificato di Francesco: “misericordia, gioia, poveri, creato, fratellanza, vangelo, periferie esistenziali, comunione, preghiera, solidarietà”, elenca. “Dieci parole che portano ad un rinnovamento nella Chiesa in continuità con i suoi predecessori”.    Così, quindi, la fondatrice insieme alla Comunità Nuovi Orizzonti celebra i dieci anni del Pontefice. “Come dieci sono le risposte che papa Francesco ci ha regalato nel nuovo libro ‘Cerca il tuo orizzonte. Rialzarsi e ripartire oggi’ (edito da Piemme, ndr) a cura di don Davide Banzato” e che Amirante ricorda sottolineando le dichiarazioni di papa Bergoglio e il suo forte richiamo a “non lasciarci dominare dalla globalizzazione dell’indifferenza perché siamo dinanzi ad una catastrofe epocale: con ben 59 guerre e 600 conflitti dimenticati nel mondo, il rischio di una guerra nucleare, una terza guerra mondiale a pezzi già in atto, la crescita esponenziale del disagio giovanile, degli abusi, delle conseguenze della pandemia, del precario equilibrio che si sta giocando con troppe polveriere seminate in tutto il mondo e pronte ad esplodere”. “Ci ha inoltre esortato con l’enciclica Laudato Si’ e in tanti suoi interventi a un’inversione di marcia per impegnarci con serietà nella tutela del creato e della nostra casa comune, a cui abbiamo inflitto troppe ferite mortali”. aggiunge.    “Sono convinta che così come tanti nostri errori ci stanno portando verso l’autodistruzione così ogni nostra scelta singola per il bene può generare una autentica rivoluzione dell’Amore”, sottolinea.    Chiara Amirante, però, lancia anche un appello di speranza: “Sono convinta che, così come tanti nostri errori possono portarci verso l’autodistruzione, è ancor più vero che ogni nostra scelta singola per il bene può generare strutture di bene e un’autentica rivoluzione dell’Amore. Vogliamo seguire le tante esortazioni del Papa per impegnarci con lui nell’edificare la Civiltà dell’Amore”. 

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    Zelensky, 'Cambiamo il nome della Russia in Moscovia'

       Il presidente ucraino Volodymyr Zelesnky sta valutando la possibilità di cambiare il nome della Russia, trasformandolo in ‘Moscovia’, secondo quanto riportato da Ukrainska Pravda. L’idea arriva da una petizione online che ha già raggiunto 25 mila firme e che spiega come “questo nome era usato nelle lingue europee e in alcune lingue asiatiche”, aggiungendo che “molte mappe storiche dei secoli XVI-XIX, realizzate in Europa prima e dopo la ridenominazione del regno di Mosca nell’Impero panrusso, presentavano anche questo nome”. “La questione sollevata nella petizione richiede un’attenta considerazione sia sul piano del contesto storico e culturale, sia tenendo conto delle possibili conseguenze legali internazionali”, ha aggiunto Zelensky che ha incaricato il primo ministro Denys Shmygal di seguire il caso.
           A stretto giro è arrivata la risposta di Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, che su Telegram ha parlato di ennesima dimostrazione della campagna anti-russa in atto in Ucraina. Secondo Ria Novosti, anche il vicepresidente della Duma di Stato russa, Boris Chernyshov, ha commentato la petizione sostenendo che “iniziative del genere possono essere trattate solo con un sorriso”. 
        Ma la risposta più dura è arrivata dall’ex presidente e  vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medvedev, che dopo aver definito Zelensky “il supremo nazista di Kiev”, ha proposto di cambiare invece il nome dell’Ucraina. “Non Hochlandia (dispregiativo rivolto all’Ucraina che può essere tradotto come ‘terra inferiore’, ndr) e ancor meno Piccola Russia”, ha detto Medvedev,  “solo sporco Reich di Bandera”, in allusione a Stepan Bandera, il leader ucraino ricordato come un eroe nazionale a Kiev ma che molti fra i russofoni considerano un collaborazionista con la Germania nazista.