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    “Riportate a casa gli ostaggi”: lo sciopero generale in Israele contro Netanyahu

    Bruxelles – Era da prima del 7 ottobre dell’anno scorso, e prima della conseguente guerra nella Striscia di Gaza, che non si vedeva in Israele una protesta così partecipata. Nel weekend, decine di migliaia di persone hanno inondato le strade di Tel Aviv e Gerusalemme, mentre oggi (2 settembre) è in corso il primo sciopero nazionale da un anno e mezzo, che potrebbe essere prolungato. I manifestanti chiedono al primo ministro Benjamin Netanyahu di accettare un accordo con la leadership di Hamas e permettere il rientro degli ostaggi ancora vivi, dopo il rinvenimento di sei cadaveri israeliani nella Striscia. “Domani l’intera nazione si fermerà e si unirà in un grido comune per riportare indietro gli ostaggi”, si legge nel comunicato diffuso domenica (1 settembre) da Histadrut, il sindacato più grande del Paese che rappresenta circa 800mila lavoratori. L’annuncio della mobilitazione, giunto per voce del segretario dell’associazione Arnon Bar-David, è arrivato durante la manifestazione di ieri sera, organizzata nella capitale israeliana dal forum delle famiglie degli ostaggi rapiti durante l’attacco del 7 ottobre. Bar-David si è riservato di valutare un’eventuale estensione dello sciopero oltre la giornata di lunedì.Le proteste di domenica sono state fortemente partecipate anche a causa della notizia, giunta la mattina stessa, del ritrovamento dei cadaveri di sei ostaggi nei tunnel sotto la città palestinese di Rafah, nel sud della Striscia. A Tel Aviv si sono radunate decine di migliaia di persone per chiedere al governo di intensificare gli sforzi negoziali e riportare a casa le decine di ostaggi ancora in vita – il cui numero non si conosce con esattezza, ma che secondo le stime dovrebbero essere circa una settantina. I manifestanti hanno esibito delle bare per sottolineare le responsabilità del governo nella morte degli ostaggi, dato lo stallo nelle trattative con i dirigenti di Hamas che appare motivato più da calcoli politici interni all’esecutivo di Bibi che non da considerazioni pragmatiche. Anche a Gerusalemme, fuori dell’ufficio del premier, si sono raggruppate folle di contestatori. In alcuni casi, soprattutto nella capitale Tel Aviv, si sono registrati scontri con la polizia. Così, dalle 6 locali di questa mattina (le 5 italiane) centinaia di migliaia di lavoratori hanno incrociato le braccia, nello sciopero più ampio realizzato dal marzo 2023, prima dell’inizio delle operazioni militari dell’Idf nella Striscia. L’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv è rimasto bloccato per un paio d’ore in mattinata, mentre i trasporti e i servizi pubblici (incluse le scuole) sarebbero stati fortemente ridotti. Del resto, lo stesso sindaco della capitale, Ron Huldai, ha pubblicamente invitato i dipendenti dell’amministrazione a partecipare allo sciopero. Mentre i negoziati sono sostanzialmente bloccati a causa delle richieste inconciliabili delle due parti, sono partite le vaccinazioni nella Striscia per prevenire l’esplosione di un’epidemia di poliomielite tra i bambini palestinesi. La pausa nei combattimenti, limitata soltanto ad alcune zone e ad una specifica fascia oraria giornaliera, dovrebbe durare tre giorni e permettere la vaccinazione di tutti i bambini sotto i dieci anni di età, che sono oltre 640mila. Un’impresa il cui esito positivo è tutt’altro che scontato.Nel frattempo, continuano le violenze nella Cisgiordania occupata, dove è in corso una grande operazione militare israeliana che ha interessato diverse città e che ha già fatto almeno una quindicina di morti palestinesi. Il tutto dopo che, lo scorso luglio, il governo israeliano aveva spinto ulteriormente sull’acceleratore dell’occupazione illegale nei Territori palestinesi in una mossa che è valsa nuove sanzioni da parte dei Ventisette. L’Alto rappresentante Ue per la politica estera Josep Borrell ha proposto formalmente giovedì scorso (29 agosto) di sanzionare i ministri della Sicurezza (Itamar Ben-Gvir) e delle Finanze (Bezalel Smotrich) in risposta alle posizioni espresse recentemente dai due (entrambi appartenenti a partiti di estrema destra, su cui si regge il governo di Netanyahu) riguardo alla necessità di bloccare la distribuzione degli aiuti umanitari nella Striscia e alla possibilità, giustificabile in termini “morali”, di affamare la popolazione palestinese. 

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    Von der Leyen: “Dobbiamo costruire una produzione di difesa di dimensioni continentali”

    Bruxelles – Gli Stati uniti sono grandi amici, possiamo contare su di loro, ma è giunto il momento che l’Europa si doti degli strumenti per difendersi da sola, il futuro è pieno di minacce. E’ l’appello che con grande forza ha lanciato oggi la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen nel suo discorso di apertura al GLOBSEC Forum 2024 di Praga, il forum sulla sicurezza più importante dell’Europa centrale, come la presidente stessa l’ha definito.Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, per aiutare un Paese la cui prospettiva è l’adesione all’Unione, ha ribadito von der Leyen, “l’Europa ha superato la sua lunga riluttanza a spendere abbastanza per la propria difesa”. “Non sottolineerò mai abbastanza l’importanza del sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina dall’inizio di questa guerra. Ancora una volta – ha sottolineato la politica tedesca -, l’America ha difeso la libertà di tutti gli europei. Provo un profondo senso di gratitudine per questo, ma anche un profondo senso di responsabilità”.Gli Stati Uniti però da tempo stanno cercando di alleggerirsi del carico della difesa dell’Europa, e la situazione potrebbe precipitare se alle elezioni di novembre dovesse vincere Donald Trump. Dunque “proteggere l’Europa è innanzitutto un dovere dell’Europa. E se la Nato deve rimanere il centro della nostra difesa collettiva – ha spiegato von der Leyen -, abbiamo bisogno di un pilastro europeo molto più forte. Noi europei dobbiamo avere i mezzi per difenderci e proteggerci e per scoraggiare eventuali avversari”.Dall’inizio della guerra, “abbiamo già compiuto progressi senza precedenti. Gli Stati membri hanno aumentato la spesa per la difesa, passando da poco più di 200 miliardi di euro prima della guerra a quasi 300 miliardi di euro quest’anno. Anche la nostra industria della difesa si è adeguata alla nuova realtà. Abbiamo riaperto le linee di produzione. Abbiamo piazzato nuovi ordini e ridotto la burocrazia per l’industria, per produrre di più e più rapidamente”, ha ricordato la presidente della Commissione. “Ma questo non basta. La realtà è che anche se gli europei prendono sul serio le attuali minacce alla sicurezza, ci vorranno tempo e investimenti per ristrutturare le nostre industrie della difesa. Il nostro obiettivo – ha sottolineato – deve essere quello di costruire una produzione di difesa di dimensioni continentali”.Secondo la presidente “la sfida è che i piccoli Paesi e le piccole imprese imparino a pensare in grande, davvero in grande. Dobbiamo avere in mente una revisione sistemica della difesa europea. Questa è la responsabilità strategica dell’Europa, a prescindere dall’esito delle elezioni americane del 5 novembre”.Per von der Leyen “all’inizio di questo decennio, molte illusioni si sono infrante in Europa. L’illusione che la pace fosse stata raggiunta una volta per tutte. L’illusione che la prosperità potesse essere più importante per Putin rispetto ai suoi deliranti sogni di impero. L’illusione che l’Europa stesse facendo abbastanza in materia di sicurezza, sia economica che militare”.Dunque, ha concluso la presidente della Commissione “oggi non possiamo permetterci altre illusioni. La seconda metà del decennio sarà ad alto rischio. La guerra contro l’Ucraina e il conflitto in Medio Oriente hanno messo in movimento la geopolitica. Anche in Estremo Oriente la tensione è alta. Noi europei dobbiamo stare in guardia. Dobbiamo concentrare la nostra attenzione sulla dimensione della sicurezza in tutto ciò che facciamo”. Dobbiamo pensare alla nostra Unione come a un progetto di sicurezza intrinseco”.

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    Crosetto: “Bene un Commissario alla difesa, ma vanno anche riviste le regole per la spesa degli Stati”

    Bruxelles – Per il ministro italiano alla Difesa Guido Crosetto è un bene che l’Unione europea abbia iniziato ad occuparsi più seriamente di difesa, anche creando un nuovo portafoglio dedicato nella prossima Commissione. Le questioni strategiche sono diventate centrali in questa fase storica, ha dichiarato il titolare del dicastero ai margini del Consiglio informale a Bruxelles. Ma per centrare gli obiettivi di spesa fissati dall’Europa e dalla Nato è necessario rivedere le regole di bilancio comunitarie, che impediscono agli Stati membri di mettere in campo le risorse necessarie. “Ho letto” che la presidente eletta dell’esecutivo comunitario Ursula von der Leyen “nominerà un commissario europeo per la Difesa: la cosa non può che farmi piacere”, ha dichiarato il ministro ai giornalisti in uscita dalla riunione con gli omologhi dei Ventisette. L’incontro di oggi chiude la due giorni di informali – ieri (29 agosto) si sono visti i titolari degli Affari esteri – nota come Gymnich, che segna la ripresa dei lavori dopo la pausa estiva. In uno strappo alla regola, i meeting si sono tenuti a Bruxelles anziché a Budapest (capitale del Paese che detiene la presidenza di turno dell’Ue) come forma di sanzione al governo ungherese, il cui leader Viktor Orbán ha indispettito Commissione e cancellerie per i suoi disinvolti tour “diplomatici” tra Ucraina, Russia, Cina e Stati Uniti. Crosetto si augura anche “che la sottocommissione Difesa diventi una commissione permanente anche all’interno del Parlamento europeo“, sostenendo che “se è così rilevante costruire la difesa del futuro per ogni Paese europeo, per l’Europa intera, allora bisogna adeguarsi e quindi ridare uno spazio che la difesa non ha avuto in questi anni, soprattutto quella europea”. Data la centralità acquisita dal tema in questo periodo, ha ribadito il ministro, è necessario che il blocco si attrezzi con adeguate strutture politiche. Ma soprattutto, ha insistito, è fondamentale che venga adeguato anche il quadro normativo che determina lo spazio di manovra finanziaria degli Stati membri. Crosetto ha chiesto all’Ue di “decidere” tra il rigore di bilancio e la spesa militare, ora che inizia un nuovo ciclo istituzionale fino al 2029: “Se la difesa è fondamentale in questa fase che stiamo vivendo”, ha spiegato, “l’Europa deve decidere se escludere le spese della difesa” dal Patto di stabilità e crescita (Psc), quello che elenca i vincoli che i Ventisette devono rispettare (come rapporto debito/Pil al 60 per cento e quello deficit/Pil al 3 per cento). A decidere sul budget per la difesa, nelle parole del ministro, non è il ministro della Difesa ma quello dell’Economia e delle finanze, che “non decide in base alla situazione di sicurezza nel mondo, ma in base ai vincoli che arrivano dall’Unione europea”.  E ha avvertito: “Se questo non accade non riusciremo ad assumerci gli impegni che l’Europa stessa vuole assumersi”, sottolineando che il Segretario generale aggiunto della Nato Angus Lapsley “mi ha dato ragione”. Lo stesso funzionario dell’Alleanza, ha continuato Crosetto, “ha detto che all’Alleanza non basterà più il 2 per cento” del Pil nazionale da destinare alle spese militari, ma “si andrà al 2,5 per cento o al 3 per cento“. Nel caso italiano, dove attualmente non si riesce a centrare nemmeno il target del 2 per cento fissato dall’Alleanza atlantica, la difesa andrà adeguata “alle nuove sfide e al nuovo mondo”: e per farlo, occorrono risorse che solo il Mef può gestire, ma finora ha avuto le mani legate da Bruxelles.

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    Ucraina, tensione Borrell-Tajani: “Ridicolo non permettere a Kiev di attaccare”

    Bruxelles – Sulla guerra russa in Ucraina, adesso è strappo Ue-Italia e tensioni tra l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, e il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Il primo non gradisce la linea del secondo, e ne critica le argomentazioni. Negare, come ha fatto Tajani, la possibilità di utilizzo delle armi degli alleati su suolo russo è una logica considerata come ipocrita. “Penso sia ridicolo dire che consentire di colpire all’interno del territorio russo significhi essere in guerra contro Mosca”, sostiene Borrell all’inizio della riunione informale dei ministri della Difesa, tornando sulle dichiarazioni di Tajani di ieri. Il ministro degli Esteri ha detto che l’Unione non è in guerra contro la Russia per spiegare il ‘no’ del governo all’eliminazione delle restrizioni sull’utilizzo delle armi occidentali, e l’Alto rappresentante insiste nel bacchettare il partner: “Non siamo in guerra contro Mosca, penso sia ridicolo dirlo. Stiamo sostenendo l’Ucraina“. Ecco il distinguo operato da Borrell, per replicare alle affermazioni non gradite dell’Italia. “L’Ucraina – continua Borrell – viene attaccata dal territorio russo e, secondo il diritto internazionale, può reagire attaccando i luoghi da cui viene attaccata. Quindi, non c’è nulla di strano in questo”. Dall’Italia dunque dichiarazioni inaccettabili e posizioni incomprensibili. Resta fermo per gli Stati membri il diritto di scegliere, questo Borrell né lo nega né lo mette in discussione. “E’ chiaro che questa è una cosa che spetta a ciascuno di loro”, anche perché quella estera e di difesa “non è una politica dell’Ue”. Quindi, a Tajani che lo accusava di parlare a titolo personale, replica: “Come Alto rappresentante devo avere opinioni personali se voglio spingere il consenso tra gli Stati membri”. Le riunioni informali aprono un solco tra il governo Meloni e l’Ue.

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    Medio Oriente, Borrell formalizza la richiesta di sanzioni per i ministri di Israele. “Decideranno gli Stati, ma il processo è avviato”

    Bruxelles – Josep Borrell non molla, al contrario insiste. L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue vuole mandare un messaggio, chiaro e diretto: c’è un’Unione europea che non è più disposta a sostenere le ragioni di Israele di fronte a una risposta all’aggressione di Hamas che ha passato il limite del tollerabile. L’idea di sanzionare i ministri israeliani per la Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, e delle Finanze, Bezalel Smotrich, diventerà una proposta formale e ufficiale.“Ho deciso di proporre l’inclusione dei due ministri israeliani nella lista Ue delle sanzioni”, annuncia al termine della riunione informale dei ministri degli Esteri. “Ovviamente spetterà ai ministri decidere, come sempre, il processo sarà avviato“. La proposta con ogni probabilità sarà affossata dagli Stati. L’unanimità richiesta per approvare le sanzioni non c’è, vista la contrarietà dichiarata dell’Italia, ma non solo. L’idea non piace all’Ungheria di Orban, e neppure alla Germania. Ma Borrell vuole comunque inviare un messaggio al governo di Benjamin Netanyahu.Non vengono messe in discussione le ragioni dello Stato ebraico. “L’attacco di Hamas ha dato origine a una guerra, e la guerra ha dato origine a una situazione drammatica dal punto di vista umanitario”, dice sintetizzando in estrema sintesi gli avvenimenti dal 7 ottobre 2023 in poi. Ma si scaglia contro la reazione di Israele, e una condotta che a Bruxelles viene vista come irresponsabile. “Dichiarazioni sulla costruzione di una sinagoga dentro una moschea suggeriscono una radicalizzazione della situazione” da parte israeliana, aggiunge in conferenza stampa. Una presa di distanze da Ben-Gvir, che ha dichiarato di voler costruire un luogo di culto ebraico laddove sorge la mosche di Al-Aqsa, a Gerusalemme.E’ l’ultimo atto di una giornata iniziata con un attacco frontale di Borrell nei confronti di Israele. Ai Ventisette chiedeva di condannare l’operato dell’amministrazione Netanyahu, bollata come “inaccettabile”, e di non prevedere tabù nei confronti di un alleato storico considerato dall’Alto rappresentante come non più difendibile. Finora l’Ue si era espressa contro i coloni estremisti, decretando sanzioni restrittive nei loro confronti, ma è la prima volta che prende corpo l’iscrizione nella lista nera di esponenti di governo israeliano. Con ogni probabilità la linea Borrell non passerà, ma adesso Tel Aviv è avvisata: il sostegno senza ‘se’ e senza ‘ma’ dell’Europa è rimessa in discussione.E’ questa un’altra incrinatura dei rapporti tra Europa e Israele, dopo che Belgio e Slovenia hanno sostenuto l’azione legale del Sudafrica, che ha trascinato lo Stato ebraico davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, con l’accusa di crimini di genocidio nei confronti dei palestinesi.

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    Tajani: “Convergenza nel governo su Fitto”. E all’Ucraina dice: “Le armi italiane non siano usate in territorio russo”

    Bruxelles – “La figura di Raffaele Fitto è la migliore possibile”: non ci sono dubbi per il vicepremier azzurro, Antonio Tajani, sul profilo del candidato italiano per la prossima Commissione europea, il quale assicura che la maggioranza di governo è compatta nel sostenerlo. E ha risposto in maniera scettica alle critiche mosse a inizio mattinata dall’Alto rappresentante per la politica estera, Josep Borrell, contro l’inerzia dimostrata fin qui dai Ventisette su due dossier cruciali: Ucraina e Medio Oriente. Il leader di Forza Italia, a Bruxelles per il Consiglio Affari esteri informale di giovedì (29 agosto), ha blindato il nome dell’attuale ministro agli Affari europei Raffaele Fitto prima di unirsi ai suoi omologhi nel palazzo Europa. “Domani ne parleremo al vertice di maggioranza, poi ci sarà il Consiglio dei ministri”, ha continuato Tajani, sottolineando come l’ex presidente della regione Puglia “sia la persona più giusta” e su come sul suo nome “ci sia una convergenza da parte di tutti” i partiti della coalizione. La sua esperienza, che il vicepremier ha assicurato essere gradita anche a Bruxelles, è il punto che mette tutti d’accordo: è importante che Roma invii al Berlaymont qualcuno “che non faccia l’apprendista commissario ma il commissario”. E tuttavia il governo italiano attenderà, appunto, fino a domani per formalizzare la nomina, dopo essere rimasto l’ultimo grande Paese del blocco a non aver ancora indicato ufficialmente alcun candidato.Quanto alle accuse, tutt’altro che velate, mosse dal capo della diplomazia Ue all’indirizzo degli Stati membri prima dell’avvio delle discussioni in Consiglio, il titolare degli Esteri si è dimostrato piuttosto indifferente. Anzitutto, sull’Ucraina: “Ogni Paese è libero di decidere” se mantenere o rimuovere le restrizioni sull’utilizzo delle armi inviate a Kiev oltre i confini della Russia, ha ribadito, sottolineando che “per l’Italia rimane la posizione di utilizzare le nostre armi all’interno del territorio ucraino“. A quanto riportato dal ministro, Roma è in procinto di inviare all’Ucraina una nuova batteria per il sistema antiaereo Samp/T.  E sulla proposta, caldeggiata nuovamente da Borrell in mattinata, di sanzionare dei membri del governo israeliano, il vicepremier forzista ha parlato di “periodo ipotetico dell’irrealtà“. L’obiettivo è “convincere Israele a fare delle scelte che portino al cessate il fuoco a Gaza perché questa è la priorità vera”, ha dichiarato Tajani, sostenendo che “non è col riconoscimento teorico della Palestina o con le sanzioni ai ministri israeliani che si risolvono i problemi” nel complesso quadro della crisi mediorientale. “Serve più diplomazia“, ha aggiunto, ricordando che gli obiettivi prioritari sono la sospensione immediata delle ostilità nella Striscia, la distribuzione degli aiuti umanitari alla popolazione palestinese e la liberazione degli ostaggi israeliani ancora in mano ai gruppi islamisti.

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    Borrell allo scontro con gli Stati dell’Ue su Ucraina e Medio Oriente

    Bruxelles – L’Unione europea si impegna tanto, e produce troppo poco. L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, fa auto-critica e poi critica gli Stati membri. Sull’Ucraina ci sono ritardi e promesse non mantenute, sul modo in cui Israele sta gestendo l’offensiva di Hamas sta invece chiudendo gli occhi su ciò che andrebbe condannato.In occasione della riunione informale dei ministri degli Esteri in corso a Bruxelles Borrell si presenta alla stampa con il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, per permettere al partner di esternare tutta la contrarietà per un’Ue a doppia velocità. “Solleverò una questione per noi spaventosa”, e cioè “il divario tra gli annunci sull’assistenza militare e la consegna effettiva” di quanto promesso, fa sapere un visibilmente contrariato Kuleba. “Ogni ritardo lo paghiamo noi. Quale che sia la ragione per i ritardi, è tempo di rendere operative le decisioni”. Un riferimento ai sistemi di difesa aerea che pure si è deciso fornire a Kiev.Parole che trovano terreno fertile in Borrell. “Condivido le preoccupazioni, e ne parleremo con i ministri” degli Stati membri. L’Alto rappresentante vuole mettere pressioni sui governi, e imprimere un cambio di passo, visto anche come si stanno mettendo le cose. “Le operazioni a Kursk sono un duro colpo alla narrativa di Putin”. Vuol dire che l’Ucraina guadagna terreno, ma la Russia “non smetterà di colpire” finché l’Ucraina sarà in grado di difendersi completamente. Tradotto, in termini chiari: “I sistemi di difesa aerea erano di critica importanza a giugno, e lo ancor più di critica importanza oggi“.Borrell si scusa con Kuleba come può, e accusa pubblicamente gli Stati. “Kuleba ha ragione: gli annunci sono una cosa, la realizzazione un’altra. Chiederò agli Stati di dare ciò che hanno promesso, perché avere forze armate meglio equipaggiate è un elemento chiave per permettere di vincere la guerra”.Ma la furia dell’Alto rappresentante è rivolta nei confronti dei Ventisette per come non stanno gestendo la crisi in Medio Oriente. Invita a trovare quel coraggio fin qui mancato. “Non dovremmo avere tabù” quando si parla di Israele, sottolinea. Perché una volta di più Borrell va all’attacco frontale dell’attuale governo israeliano. “Un ministro israeliano lancia messe di odio che sono un chiaro invito a calpestare il diritto umanitario”, ricorda Borrell, in riferimento al ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, che sosteneva la necessità di affamare la popolazione a Gaza.C’è poi “la preoccupante intenzione di spostare la popolazione in Cisgiordania come già fatto a Gaza“, sottolinea ancora l’Alta rappresentante, producendo sfollati e di fatto disperdendo i palestinesi dai loro territori. Qualcosa di “completamente inaccettabile”. Israele ha passato il segno, e l’Ue dovrebbe farsi sentire con decisione e senza tentennamenti, proprio come Borrell sente che andrebbe fatto nei confronti dell’Ucraina. Il consiglio informale dei ministri degli Esteri sarà l’occasione per una lavata di testa.

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    Starmer a Berlino e Parigi per “dare una svolta alla Brexit”

    Bruxelles – Il promo ministro britannico Keir Starmer sarà oggi a Parigi dove vedrà il presidente Emmanuel Macron dopo una visita a Berlino dove ha incontrato in mattinata il cancelliere Olaf Scholz, per rilanciare il rapporto con l’Unione europea dopo quelli che definì “14 anni di marciume” dovuti agli effetti della Brexit.In un messaggio diffuso prima del viaggio che lo porterà oggi a partecipare alla cerimonia di inaugurazione della Paraolimpiadi, Starmer ha spiegato che il suo governo ha “l’opportunità, che si presenta una sola volta in una generazione, di reimpostare le nostre relazioni con l’Europa e di impegnarsi per partenariati autentici e ambiziosi che siano vantaggiosi per il popolo britannico”.Secondo il Primo ministro, “dobbiamo dare una svolta alla Brexit e sistemare le relazioni interrotte lasciate dal precedente governo. Questo lavoro è iniziato alla riunione della Comunità politica europea il mese scorso e sono determinato a proseguirlo, per questo questa settimana mi recherò in Germania e in Francia”.“Rafforzare le nostre relazioni con questi Paesi è fondamentale – ha isistito Starmer -, non solo per affrontare il problema globale dell’immigrazione clandestina, ma anche per stimolare la crescita economica in tutto il continente e soprattutto nel Regno Unito – una delle missioni chiave del mio governo”.In una conferenza stampa tenuta dopo l’incontro con Scholz, ha annunciato un nuovo trattato tra Regno Unito e Germania, descrivendolo come “un’occasione unica per ottenere risultati per i lavoratori in Gran Bretagna e in Germania”. Secondo il premier si tratta di “un nuovo accordo che testimonia la profondità e il potenziale delle nostre relazioni. Con legami più profondi in materia di scienza, tecnologia, sviluppo, persone, affari e cultura. Un impulso alle nostre relazioni commerciali”.Starmer ha poi ricordato che la Germania “è il secondo partner commerciale del Regno Unito nel mondo e, grazie a ciò, ha la possibilità di creare posti di lavoro qui e nel Regno Unito. E di fornire il bene più prezioso per entrambi i nostri Paesi: la crescita economica”.Scholz confermato il buon clima dell’incontro, affermando che “la Germania e il Regno Unito sono buoni amici, partner stretti e alleati fidati. Entrambi lavoreremo duramente per garantire che questa relazione continui a prosperare”.