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    Un altro inverno di guerra alle porte dell’Ucraina. La Nato non sottovaluta la Russia, “ma dipende da Iran e Corea del Nord”

    Bruxelles – Dopo il confronto serrato sullo scenario di guerra a Gaza, le discussioni dei 31 ministri degli Esteri della Nato si sono spostate oggi (29 novembre) sull’altro versante di guerra caldo. “L’Ucraina ha prevalso ed è progredita come nazione sovrana, indipendente e democratica, mentre la Russia ha subito una regressione e ora è più debole politicamente, militarmente ed economicamente“, è il riassunto fornito dal segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, Jens Stoltenberg, nel corso della conferenza stampa che ha chiuso la due-giorni di vertice ministeriale.Il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg“L’Ucraina ha riconquistato il 50 per cento del territorio originario, nel Mar Nero ha respinto la flotta russa e stabilito rotte per le esportazioni di grano, rafforzando la sicurezza alimentare globale”, è il punto dei successi militari di Kiev in un anno e mezzo di guerra. Al contempo vanno sottolineate le difficoltà di Mosca. “Militarmente la Russia ha perso una parte sostanziale delle sue forze convenzionali“, vale a dire “centinaia di aerei, migliaia di carri armati e più di 300 mila soldati”, ha fatto notare Stoltenberg, ricordando inoltre la pressione economica: “I ricavi del petrolio e del gas stanno diminuendo, gli asset bancari sono soggetti a sanzioni, oltre mille aziende straniere hanno interrotto o ridotto le proprie attività nel Paese e l’anno scorso 1,3 milioni di persone hanno lasciato la Russia”. Sul piano politico “la Russia sta perdendo influenza nei Paesi vicini, anche nel Caucaso e in Asia Centrale” e il Paese è sempre più dipendente dalla Cina e non solo.(credits: Anatolii Stepanov / Afp)È proprio su questo punto che il segretario generale della Nato si è soffermato maggiormente, riferendosi alla Russia come un Paese che “ha ipotecato il suo futuro alla Cina anno dopo anno“. Lo sta facendo per il “finanziamento delle materie prime e anche di materie prime chiave per l’industria della difesa” – una dimostrazione che “è diventata sempre più debole” come risultato dell’invasione dell’Ucraina iniziata il 24 febbraio 2022 – quanto in precedenza “l’Europa era il mercato principale e più importante, non ultimo per il gas naturale”. A questo si aggiunge il fatto che per continuare la propria guerra il Cremlino è “sempre più dipendente da Paesi come Iran e Corea del Nord per la fornitura di armi“, come dimostrato dal “notevole sostegno” di quest’ultima sia per l’invio di munizioni sia per il lavoro “a stretto contatto” che ha portato anche al lancio di un satellite militare.Da sinistra: il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg, e il ministro degli Esteri dell’Ucraina, Dmytro Kuleba (29 novembre 2023)Di qui però scaturisce una riflessione in seno all’Alleanza Atlantica. “La Russia ha accumulato una grande riserva missilistica in vista dell’inverno“, è l’avvertimento lanciato dal segretario generale Stoltenberg, che invita a “non sottostimare” le forze di Mosca: “L’economia russa è sul piede di guerra e Vladimir Putin ha un’alta tolleranza per le vittime”. Ecco perché sia l’Ucraina sia gli alleati si stanno preparando a un nuovo inverno di guerra alle porte, con “nuovi attacchi aerei e missilistici”. Gli obiettivi russi in Ucraina “non sono cambiati” e lo dimostra proprio l’accumulo della riserva missilistica dell’esercito invasore: “Assistiamo a nuovi tentativi di colpire la rete elettrica e le infrastrutture energetiche, per lasciare gli ucraini al buio e al freddo”. Il supporto dell’Alleanza Atlantica sarà portato avanti con “8 miliardi di euro dalla Germania, 2 miliardi e mezzo dai Paesi Bassi, una coalizione per la difesa aerea formata da 20 alleati e un centro di addestramento per i piloti F-16 in Romania”. Perché, secondo Stoltenberg, “è anche nel nostro interesse in termini di sicurezza che l’Ucraina prevalga“.E infine c’è la spinosa questione dell’adesione dell’Ucraina alla Nato. “Abbiamo discusso il percorso, gli alleati concordano che diventerà un membro” dell’Alleanza, ha ricordato Stoltenberg, che ha reso noto il fatto che durante il primo Consiglio Nato-Ucraina in formato ministeriale Esteri sono state fornite le raccomandazioni “sulle riforme prioritarie” da mettere in campo, “compresa la lotta alla corruzione, il rafforzamento dello Stato di diritto e il sostegno dei diritti umani e delle minoranze”. Se è vero che l’adesione di Kiev “è più vicina che mai”, c’è da fare i conti con una guerra che non accenna a finire e per questo dal quartier generale della Nato a Bruxelles c’è “unanime sostegno alla lotta dell’Ucraina per la libertà”.
    Si chiude il vertice del ministri degli Esteri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord con un confronto in sede di Consiglio Nato-Ucraina sui rischi della “grande riserva missilistica” accumulata da Mosca. Che però con l’invasione “ha ipotecato il suo futuro alla Cina”

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    È stato pubblicato il nuovo report Ue-Turchia per un riavvicinamento “progressivo, proporzionato e reversibile”

    Bruxelles – È arrivata la nuova relazione strategica sui rapporti Ue-Turchia e ora i Ventisette avranno una base più aggiornata su cui impostare il confronto sulle prospettive di cooperazione con uno dei vicini più complessi di gestire, perché stretto partner ma spesso anche elemento di instabilità sulla scena internazionale. Il report richiesto dai 27 leader Ue al Consiglio Europeo di fine giugno è stato presentato oggi (29 novembre) dalla Commissione e dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, dopo il via libera al Collegio dei commissari: “La Turchia è un partner importante, siamo partiti dalla valutazione già fornita nella primavera del 2021 e abbiamo considerato lo sviluppo delle relazioni” politiche, economiche e commerciali “negli ultimi due turbolenti anni”.Da sinistra: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoǧan, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der LeyenL’ultima volta che il Consiglio Affari Esteri si era riunito per discutere della questione dei rapporti con Ankara era il 20 luglio e da allora è stato serrato il lavoro dell’esecutivo comunitario per valutare lo stato dell’arte e le direttrici di una possibile maggiore cooperazione con il padre-padrone della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan. “Vediamo uno spirito costruttivo, ma ora dobbiamo affrontare insieme i problemi a partire dalla questione cipriota”, ha subito messo in chiaro l’alto rappresentante Borrell, facendo riferimento alla controversia diplomatica più che quarantennale sulla divisione dell’isola di Cipro, dove solo la Turchia riconosce l’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord e dal 2017 sono fermi i tentativi di compromesso. Ma nel confronto ci deve essere anche la questione della delimitazione delle aree marittime nel Mediterraneo, dal momento in cui Ankara dal 2019 continua a mettere in discussione i confini greci (e di conseguenza le frontiere esterne dell’Unione) a sud dell’isola di Creta: “Abbiamo chiare le nostre priorità” – con le condizioni tracciate già nel 2021 dai Ventisette – “dobbiamo rafforzare la nostra sicurezza, e questo ha un impatto sui rapporti con la Turchia”.L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (29 novembre 2023)È per questo che si sta iniziando a pensare ai “prossimi passi” per una serie di opzioni di un processo “progressivo, proporzionato e reversibile” di riavvicinamento tra Unione Europea e Turchia, ha spiegato il capo della diplomazia Ue. E in questo senso non si può prescindere dal passare “da una dinamica conflittuale a una più cooperativa”. Da Ankara l’Unione si aspetta che “affronti i contrasti commerciali, cooperi contro l’aggiramento delle sanzioni contro la Russia e crei un clima che favorisca la ripresa dei negoziati per risolvere la questione cipriota”, ha precisato Borrell, ponendo forte attenzione alla cooperazione per isolare la Russia fino a quando non metterà fine all’invasione dell’Ucraina. Parallelamente si punta a stringere i rapporti anche sull’altro fronte caldo di conflitto, ovvero quello della guerra tra Israele e Hamas: “La Turchia può svolgere un ruolo attivo e positivo nel processo di pace, entrambi sostentiamo la necessità di arrivare a un negoziato politico per la soluzione a due Stati” (Israele e Palestina).La relazione, che ora sarà presentata al Consiglio Europeo (verosimilmente a quello in programma il 14-15 dicembre) per l’esame e la definizione degli orientamenti, punta anche alla ripresa del dialogo di alto livello del Consiglio di associazione Ue-Turchia sospeso nel 2019 e al lancio dei negoziati per modernizzare l’Unione doganale, anche se vanno considerate le difficoltà nella poca preparazione sul “corretto funzionamento dell’economia di mercato turca”, l’inflazione alle stelle e le “ampie deviazioni dagli obblighi assunti” che “ostacolano gli scambi bilaterali”. Infine si vuole sviluppare un “partenariato di mutuo beneficio” con un vicino che è anche candidato all’adesione all’Unione Europea dal 1999 (i negoziati sono stati avviati nel 2005). Nella relazione apposita all’interno del Pacchetto Allargamento Ue 2023 pubblicato lo scorso 8 novembre è però emerso chiaramente che “il Paese non ha invertito la tendenza negativa ad allontanarsi dall’Unione Europea e ha portato avanti le riforme legate all’adesione in misura limitata”. Anche questo dovrà essere tenuto in considerazione dai Ventisette nel definire i prossimi passi del rapporto con il vicino più ingombrante.
    La Commissione Ue ha fornito al Consiglio la relazione strategica sullo stato sui rapporti tra Bruxelles e Ankara. Si punta alla ripresa del Consiglio di associazione (fermo dal 2019), negoziati sull’Unione doganale e cooperazione su Mediterraneo orientale, Russia e Gaza

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    Una Nato “preoccupata” per l’escalation in Medio Oriente accoglie la tregua temporanea a Gaza e avverte l’Iran

    Bruxelles – Per la prima volta dallo scoppio delle ostilità tra Israele e Hamas, i ministri degli Esteri della Nato hanno fatto il punto della situazione a Gaza e più in generale nel contesto della regione, considerate le “preoccupazioni per l’escalation di tensione in Medio Oriente” dei 31 Paesi membri. Così ha riassunto lo stato delle discussioni del vertice ministeriale a Bruxelles il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, Jens Stoltenberg, parlando alla stampa al termine della prima giornata di lavori (28 novembre): “È essenziale che quello in corso non si trasformi in un conflitto regionale più grande”.Il vertice dei ministri degli Esteri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, 28 novembre 2023 (credits: Nato)“Gli alleati accolgono con favore l’estensione delle pause umanitarie e il rilascio degli ostaggi“, sono state le parole di speranza di Stoltenberg, dopo il via libera delle due parti in guerra al proseguo della tregua temporanea nella Striscia di Gaza in atto da quasi una settimana consecutiva: “C’è sollievo per la popolazione civile e anche per il fatto che gli aiuti umanitari possano essere consegnati, auspichiamo ulteriori proroghe“. Le notizie positive finiscono qui, anche perché il segretario generale della Nato ha un’idea precisa sull’origine di potenziali ulteriori minacce nel prossimo futuro: “L’Iran non deve complicare la crisi in Medio Oriente e deve tenere a freno i suoi delegati“, ovvero Hamas (in Palestina) e Hezbollah (in Libano).In ogni caso, come fatto notare dallo stesso Stoltenberg di fronte alle domande pressanti dei giornalisti internazionali, “è importante riconoscere che la Nato come alleanza non svolge un ruolo attivo nel conflitto israelo-palestinese“. È vero che alcuni dei 31 alleati sono attivi “in modi diversi” e soprattutto su fronti diversi – come Stati Uniti e Turchia – ma strettamente parlando di Alleanza Atlantica non si può affermare che ci sia un coinvolgimento diretto. Le preoccupazioni sorgono soprattutto per il fatto che esiste una presenza di ormai lunga data della Nato “nella più ampia regione del Medio Oriente“: attualmente è in corso una missione di addestramento in Iraq per aiutare l’esercito nazionale a combattere l’Isis, una “stretta collaborazione” con diversi Stati arabi del Golfo, del Nord Africa e del Medio Oriente, “inclusa un partenariato con la Giordania, dove svolgiamo alcune attività di rafforzamento delle capacità di difesa”, ha precisato Stoltenberg. Ecco perché una polveriera in Palestina non può lasciare l’Alleanza Atlantica indifferente.Il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg (credits: Nato)Eppure le discussioni tra i 31 ministri hanno anche riguardato il modo in cui Israele sta conducendo la guerra contro Hamas. “Il diritto internazionale e il diritto umanitario devono essere rispettati in tutte le guerre e la vita dei civili deve essere sempre tutelata ovunque nel mondo, a prescindere dal tipo di conflitto e dei rapporti con gli alleati”, ha messo in chiaro il segretario generale dell’Alleanza Atlantica. Interrogato a proposito del rapporto tra la situazione a Gaza e quella in Ucraina – altro tema caldo sul tavolo dei ministri – lo stesso Stoltenberg ha voluto sottolineare che “è diversa in molti modi, l’Ucraina non ha mai né provocato né attaccato la Russia, l’invasione russa non è stata provocata” da Kiev ed è stata “su larga scala contro un altro Paese” sovrano e indipendente. Ecco perché, passando ad analizzare anche il ruolo di supporto armato e operativo della Nato a Kiev, “gli ucraini hanno diritto di difendersi contro un attacco non provocato e per mantenere la propria integrità territoriale”, ha precisato Stoltenberg. “Sostenere l’Ucraina è qualcosa su cui tutti gli alleati concordano, non solo perché il diritto all’autodifesa è garantito dalla Carta delle Nazioni Unite”, ma anche per il fatto che “il diritto umanitario internazionale si applica in tutti gli scenari e noi abbiamo il dovere di proteggerlo”.
    Al vertice del ministri degli Esteri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord sono state accolte con favore “l’estensione delle pause umanitarie e il rilascio degli ostaggi”. Il segretario generale, Jens Stoltenberg a Teheran: “Tenga a freno i suoi delegati” Hamas ed Hezbollah

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    Strategie di neutralità climatica, riuso di detriti degli edifici e circolarità. L’Ue sostiene la ricostruzione verde dell’Ucraina

    Bruxelles – Quattro giorni di confronto per mettere a terra politiche e azioni per la futura ricostruzione verde dell’Ucraina. Si è aperta oggi (28 novembre) a Vilnius, in Lituania, la conferenza di alto livello che mira ad allineare Kiev e tutta l’Unione Europea sulle linee operative del Green Deal in vista del futuro a medio e lungo termine del Paese invaso dall’esercito russo da un anno e nove mesi, “un futuro che ora sembra molto lontano, ma che posso assicurarvi non sarà un sogno ad occhi aperti”, ha assicurato il commissario per l’Ambiente, Virginijus Sinkevičius.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (8 maggio 2023)Sindaci e ministri ucraini, agenzie Ue e organizzazioni della società civile hanno iniziato a Vilnius il confronto sui “passi concreti” che permettano alle città dell’Ucraina di “riprendersi più forti di prima dagli attacchi russi, discuteremo di un futuro di prosperità, autonomia e alta qualità della vita“, ha assicurato il responsabile per l’Ambiente del gabinetto von der Leyen, aprendo i lavori della conferenza di alto livello: “La cosa più importante è che il futuro sarà condiviso tra Ucraina e Unione Europea, dobbiamo guardare oltre e questo è ciò che stiamo già facendo”.La necessità di discussioni serrate sull’allineamento degli “obiettivi strategici” – risorse necessarie e azioni sul campo – parte non solo dal fatto che l’Ucraina è considerata in prospettiva un futuro membro dell’Unione, ma anche da alcuni desolanti dati sul presente della guerra. Secondo i dati forniti la stessa Commissione Europea, i danni della guerra russa sull’ambiente e sulle infrastrutture ambientali finora ammontano complessivamente a “oltre 52 miliardi di euro”. Si contano “497 strutture di gestione dell’acqua danneggiate o distrutte, oltre 1,4 miliardi di euro di danni nel settore forestale e il 20 per cento delle aree protette minacciato”. Oggi l’Ucraina “è il Paese più minato al mondo”, senza dimenticare che la devastazione ambientale causata dalla distruzione della centrale idroelettrica di Kakhovka “è il peggior disastro causato dall’uomo dai tempi dell’incidente di Chernobyl”.Il sostegno Ue per un’Ucraina più verdeIl Palazzo Berlaymont, sede della Commissione Europea a Bruxelles, illuminato con la bandiera dell’UcrainaÈ per queste regioni che l’Ue guarda agli strumenti che ha già iniziato a mettere in campo per sostenere la ripresa verde dell’Ucraina, con l’obiettivo di spingere ancora di più il suo supporto a Kiev. “L’iniziativa Phoenix è una combinazione su misura tra i programmi della Commissione Europea che abbiamo lanciato quest’anno e riguarda decisori politici e società civile dell’Ucraina per facilitare la ricostruzione verde”, ha ricordato il commissario Sinkevičius. Si tratta di un’iniziativa pensata per la prima volta a inizio febbraio, quando 15 commissari europei (guidati dalla presidente Ursula von der Leyen) si erano recati in visita a Kiev per una serie di incontri con le controparti del governo ucraino. Phoenix si articola in due direttrici: un bando da 5 milioni di euro nel contesto del Nuovo Bauhaus Europeo e 7 milioni di euro in finanziamenti dai programmi Horizon Europe e Life, tutti con il focus della gestione dei rifiuti, del riutilizzo dei detriti nel settore dell’edilizia e delle costruzioni e della conservazione della natura.Come precisato dal commissario Sinkevičius, il Nuovo Bauhaus Europeo punta a “combinare le migliori idee del Green Deal e la realtà degli spazi abitativi, per l’Ucraina permetterà una ricostruzione sostenibile, accessibile e costruita sui bisogni delle persone“. Il network del Bauhaus “sta aiutando le città su questioni specifiche, come i materiali riciclabili da edifici demoliti e l’uso di metodi di costruzione circolare”, grazie a una “stretta cooperazione con i sindaci ucraini, che presenteranno le loro esperienze di collaborazione con l’Ue”. Per quanto riguarda il secondo elemento dell’iniziativa, i due bandi di gara “dedicati appositamente all’Ucraina” sotto il programma Life e sotto Horizon Europe per le città climaticamente neutre e intelligenti sono pensati per “incoraggiare gli standard di sostenibilità negli sforzi di ricostruzione, con un lavoro congiunto insieme ai partner europei e con progetti scelti che coinvolgeranno città ucraine ed europee”. Anche grazie all’intensificazione dei rapporti tra Bruxelles e Kiev con la cruciale conferenza di Vilnius, l’Unione Europea si pone così in prima linea non solo nel sostegno immediato alle capacità dell’Ucraina di affrontare la guerra russa, ma anche per lo sviluppo della pianificazione urbana e la ricostruzione circolare e sostenibile in vista del futuro comune.
    Aperta a Vilnius (Lituania) la conferenza di alto livello per la definizione delle linee strategiche per allineare politiche e azioni sul campo tra Kiev e Bruxelles attraverso diversi canali di sviluppo dei progetti congiunti: Nuovo Bauhaus Europeo, fondi Horizon e Life e iniziativa Phoenix

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    Von der Leyen lancia l’Alleanza globale contro il traffico di persone migranti: “Prevenzione, risposta e alternative legali”

    Bruxelles – L’annuncio era arrivato a metà settembre, durante l’ultimo discorso sullo Stato dell’Unione, e dopo due mesi l’Alleanza globale per contrastare il traffico di persone migranti si è riunita per la prima volta a Bruxelles per tentare di definire il campo d’azione e i partenariati internazionali necessari per “combattere questa attività criminale e fermare questa intollerabile sofferenza umana”. Ad aprire oggi (28 novembre) la prima conferenza internazionale della nuova Alleanza è stata la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, con un intervento che non solo ha tracciato le tre direttrici dell’azione globale contro il traffico di persone migranti, ma che ha anche anticipato il lavoro in corso per l’aggiornamento della legislazione comunitaria in materia.La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (28 novembre 2023)“Sappiamo quanto è difficile, ma dove siamo riusciti a unire le forze con i Paesi vicini e lontani e con le organizzazioni internazionali, i progressi stanno già accadendo”, ha esordito la numero uno della Commissione, facendo subito un riferimento all’Italia (rappresentata alla conferenza di oggi dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi). “A settembre ero a Lampedusa, una delle porte tra Europa e Africa”, quando – insieme con la premier Giorgia Meloni – è stato lanciato un piano d’azione in 10 punti (che ha però nascosto alcuni punti controversi tra Roma e Bruxelles): “Da allora abbiamo migliorato la situazione con un duro lavoro insieme all’Italia, le agenzie Onu e la Tunisia”. Tuttavia von der Leyen ha voluto ricordare che “la gestione della crisi è importante, ma non è abbastanza, dobbiamo costruire una risposta sistemica” sulla base dei partenariati anti-traffico “che abbiamo creato in questi anni con i Balcani Occidentali e con altri Paesi-chiave ai nostri confini, come Marocco e Tunisia”.Di qui si arriva alla necessità secondo la leader della Commissione Ue di una “più ampia cooperazione globale“, che affronti la “natura internazionale delle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di migranti e operano in modo trans-frontaliero lungo tutte le rotte migratorie”. La nuova Alleanza “dovrebbe essere globale non solo in senso geografico, ma anche nei suoi obiettivi: focalizzata sulla prevenzione, sulla riposta e sulle alternative legali“. La direttrice più urgente è quella della risposta al traffico di persone migranti, che coinvolge da vicino Bruxelles. “Stiamo lavorando a livello Ue per aggiornare la nostra legislazione anti-traffico che è vecchia di 20 anni“, ha annunciato von der Leyen, riferendosi alla direttiva del 2002 che stabilisce una definizione comune del reato di favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali. “Lo faremo con un aggiornamento della definizione di crimine di traffico di migranti, un rafforzamento delle sanzioni, un’estensione della giurisdizione, un miglioramento della cooperazione e con un centro europeo di coordinamento”, sono le linee anticipate dalla leader della Commissione Ue.Da sinistra: la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (28 novembre 2023)Per quanto riguarda le altre due direttrici della conferenza presieduta dalla commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, è considerata “essenziale” la dissuasione delle persone migranti “dal mettersi nelle mani dei trafficanti”, ha spiegato von der Leyen, parlando di “campagne informative e lotta contro le pubblicità sui social media degli attraversamenti illegali con pagamenti digitali”. Sul piano delle “alternative legali per le persone che vogliono cercare fortuna all’estero“, la stessa leader della Commissione ha voluto sottolineare che “è un interesse di tutti, in Europa la carenza di manodopera ha raggiunto livelli record, mentre in altri continenti ci sono milioni di persone che cercano lavoro e istruzione”, anche se le iniziative per l’abbinamento di domanda e offerta di lavoro vanno di pari passo con “il ritorno di persone irregolari nei Paesi di origine”. Dalla conferenza di oggi a Bruxelles parte il lavoro di un gruppo di esperti a livello tecnico per portare avanti le tre direttrici, prima di una nuova conferenza fra un anno. “È l’inizio di un percorso condiviso, per questo lanciamo un invito all’azione aperto a tutti quelli che vogliono unirsi in questa missione“, dalle istituzioni Ue alle agenzie Onu, fino a governi, autorità nazionali, organizzazioni internazionali e piattaforme online: “Con l’Alleanza globale possiamo iniziare una nuova era di cooperazione”, è la promessa di von der Leyen.Cosa prevede la proposta Ue contro il traffico di persone migrantiLa commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson (28 novembre 2023)Al termine della conferenza sull’Alleanza globale, è stata la commissaria Johansson a dettagliare alla stampa la proposta vera e propria dell’esecutivo comunitario per l’aggiornamento del quadro legislativo con “norme minime” rispetto alla direttiva del 2002. Il primo dei cinque obiettivi è quello di arrivare a “una definizione più chiara del reato di traffico”, compresa “l’istigazione pubblica a entrare nell’Ue senza autorizzazione”, che diventerà “un reato penale” (così come la strumentalizzazione messa in atto da attori statali, “per esempio quello che sta facendo ora la Russia alla frontiera con la Finlandia“, ha precisato Johansson). Il secondo obiettivo è quello dell’armonizzazione delle sanzioni, con un innalzamento del massimo della pena detentiva da 8 a 15 anni per “casi di reati aggravati”. Il terzo obiettivo è far in modo che la giurisdizione degli Stati membri si applichi anche in acque internazionali in caso di morte delle persone a bordo di un’imbarcazione o di reati commessi a bordo di navi o aerei immatricolati negli Stati membri. In ogni caso la Commissione Ue precisa chiaramente che “attività come l’assistenza umanitaria da parte delle Ong, l’adempimento di un obbligo legale di ricerca e salvataggio, l’assistenza da parte dei familiari e degli stessi migranti non devono essere criminalizzate“.L’aggiornamento della legislazione comunitaria riguarda “risorse adeguate” per gli Stati membri “per garantire un’efficace prevenzione, indagine e perseguimento dei trafficanti” e il miglioramento della raccolta e della comunicazione dei dati statistici “su base annuale”. È anche per questo motivo che la proposta della Commissione Ue prevede un nuovo Regolamento per rafforzare il ruolo di Europol e la cooperazione tra agenzie nella lotta contro il traffico di persone migranti e la tratta di esseri umani. Il Centro europeo apposito “sarà rafforzato e sostenuto” dagli Stati membri, da Eurojust, Frontex e dalla Commissione Europea, per la produzione di relazioni annuali, analisi strategiche, valutazioni delle minacce e azioni investigative. Il Regolamento include concetti di “task force” e “dispiegamento di Europol per il supporto operativo”, definiti “strumenti avanzati di coordinamento e supporto analitico, operativo, tecnico e forense” agli Stati membri, mentre non cambia il quadro operativo in Paesi terzi, “che può avvenire solo con accordi bilaterali”, ha precisato Johansson.
    A margine della conferenza a Bruxelles, l’esecutivo Ue ha presentato anche l’aggiornamento della legislazione comunitaria anti-traffico “vecchia di 20 anni”, attraverso il rafforzamento delle sanzioni, l’estensione della giurisdizione e il miglioramento della cooperazione con Europol

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    L’Unione per il Mediterraneo alza la voce contro la “follia” della risposta israeliana a Gaza

    Bruxelles – Non c’era nessun rappresentante di Tel Aviv al vertice dell’Unione per il Mediterraneo (Ufm) tenutosi oggi (27 novembre) a Barcellona. Ma sicuramente arriveranno come uno schiaffo anche in Israele i toni durissimi usati dal segretario generale, Nasser Kamal, e dal ministro degli Esteri della Giordania, Ayman Al-Safadi, sui bombardamenti che in un mese hanno mietuto 15 mila vittime nella Striscia di Gaza. E che, una volta finita la tregua in corso da venerdì, con ogni probabilità riprenderanno con la stessa intensità.
    “Questa follia deve fermarsi ora”, ha tuonato il segretario generale dell’Ufm puntando il dito contro il “completo disprezzo per il diritto internazionale umanitario” mostrato da Israele dopo il brutale attacco terroristico compiuto da Hamas lo scorso 7 ottobre. Dal vertice, che avrebbe dovuto celebrare i 15 anni dell’Ufm ma che alla fine è stato dedicato interamente alla crisi in Medio Oriente, non è uscita nessuna dichiarazione congiunta, a dimostrazione della distanza che permane tra i 27 Paesi Ue e i 16 partner del Mediterraneo meridionale e orientale. Anzi, lo stesso Kamal ha sottolineato l’urgenza di “rispondere insieme” sulle accuse dell’utilizzo di doppi standard in Europa e in Medio Oriente, in Ucraina e a Gaza.
    ìJosep Borrell (L) speaks with Jordan’s Minister of Foreign Affairs Ayman Safadi (Photo by Josep LAGO / AFP)
    L’attacco più duro a Tel Aviv è stato quello del ministro Al-Safadi, co-presidente del vertice. “La guerra che vediamo in corso a Gaza è solo una delle manifestazioni dell’orrore che l’occupazione ha portato ai palestinesi da decenni“, ha dichiarato. E il risultato “delle politiche di un governo che ha lavorato sistematicamente per minare le prospettive di pace e per negare i diritti dei palestinesi”. Per Al-Safadi è sufficiente fare uno sforzo di onestà intellettuale per rendersi conto del quadro reale. Se contestualizzato, il conflitto di oggi “non è iniziato il 7 ottobre”, anche perché parallelamente il 2023 era già stato “l’anno più sanguinoso per la popolazione della Cisgiordania”. Un anno che ha visto un susseguirsi di violenze da parte delle forze di difesa israeliane e dei coloni nei territori occupati, istigati da dichiarazioni vergognose dei ministri di estrema destra del governo Netanyahu che “negavano l’umanità del popolo palestinese”.
    A vertice già concluso, è arrivata la notizia della proroga della pause delle ostilità per altri due giorni. Da venerdì sono stati rilasciati 58 ostaggi da Hamas, in cambio della liberazione di più di 100 prigionieri palestinesi dalle carceri israeliane. E nella Striscia di Gaza sono entrati, secondo l’Unrwa, 248 camion carichi di aiuti umanitari. “L’accordo sulla tregua e il rilascio di ostaggi è un primo step importante, ma molto di più è necessario per alleviare la situazione a Gaza e trovare una via d’uscita alla crisi attuale. Le pause dovrebbero essere estese per renderle sostenibili e durevoli mentre si lavora a una soluzione politica”, aveva dichiarato in mattinata al vertice l’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell. Che ha voluto sottolineare che, nonostante le divergenze, alcuni paletti sono fissati e condivisi da tutti: che “il diritto umanitario si applica per tutti, sempre e senza eccezioni, che il numero di vittime civili è altamente sproporzionato”.
    Ma il dibattito non si è limitato a dare un nome a ciò che è successo: l’Ufm ha indicato tre principi per il futuro basato sulla soluzione dei due Stati. “No al ritorno di Hamas a Gaza, no allo smembramento e alla ricolonizzazione di Gaza da parte di Israele, no agli insediamenti illegali in Cisgiordania”, ha elencato Borrell, che si è detto “sconvolto” dal piano da 43 milioni di dollari del governo israeliano per sostenere ancora le attività dei coloni nella West Bank. Se Borrell ha provato a sottolineare i punti in comune con i partner del Mediterraneo, l’omologo giordano ha messo in luce il bicchiere mezzo vuoto: “Alcuni nostri colleghi chiamano ancora autodifesa l’uccisione di 15 mila palestinesi, la distruzione di casa e di ospedali, il blocco di cibo acqua e medicine. Noi la chiamiamo aggressione brutale. Alcuni si rifiutano ancora di chiedere un cessate il fuoco”. E incalza i colleghi che si riempiono la bocca con la pluridecennale soluzione dei due stati: “Siamo chiari su cosa significhi – ha dichiarato -, significa mettere fine all’occupazione israeliana, rispettare i diritti dei palestinesi, conformarsi al diritto internazionale”. E se Israele rifiuta di impegnarsi “coma fa da trent’anni”- si chiede Al-Safadi- cosa faremo?”.

    I’m appalled to learn that in the middle of a war, the Israeli gov is poised to commit new funds to build more illegal settlements.
    This is not self-defence and will not make Israel safer. The settlements are grave IHL breach, and they are Israel’s greatest security liability.
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) November 27, 2023

    Israele assente al vertice tra i 27 Paesi Ue e i 16 Partner che si affacciano sul Mediterraneo. Nessuna dichiarazione congiunta, ma parole dure contro il “disprezzo del diritto umanitario” mostrato da Tel Aviv. Borrell: “Un orrore non può giustificarne un altro”

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    Il Montenegro ha completato l’iter di nomina dei giudici della Corte Costituzionale. “Ottime notizie” per la strada verso l’Ue

    Bruxelles – Si chiude dopo più di tre anni una crisi istituzionale che ha rischiato di mettere a repentaglio la strada del Montenegro verso l’adesione all’Unione Europea. Con il via libera a larghissima maggioranza delle nuova Assemblea nazionale, anche l’ultimo dei quattro giudici della Corte Costituzionale vacanti è stato nominato, permettendo così all’istituzione di ripristinare la sua piena funzionalità e al Paese balcanico di continuare il percorso verso l’adesione all’Unione Europea.
    L’elezione di Faruk Rasulbegović era attesa da nove mesi, quando l’Assemblea del Montenegro aveva dato l’ok a tre nomine ma non era riuscita a trovare l’accordo sul settimo giudice. L’istituzione di fatto in stallo dal 2020 si è sbloccata a fine febbraio con sei giudici su sette in carica, ma finora non era ancora stata istituita la piena operatività. Dopo il voto degli 81 deputati, il presidente del Montenegro, Jakov Milatović, ha sottolineato che l’elezione dell’ultimo membro sono state finalmente create le condizioni necessarie per il pieno funzionamento della Corte Costituzionale. L’istituzione sta ancora smaltendo quasi tremila ricorsi sulla protezione dei diritti umani nel Paese accumulatisi nel corso degli ultimi tre anni.
    “Abbiamo ricevuto ottime notizie dal Montenegro“, ha commentato il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi: “Le nomine della Corte Costituzionale, attese da tempo, sono state finalmente completate, con un’impressionante maggioranza qualificata trasversale”. A questo punto da Bruxelles ci si aspetta “ulteriori decisioni su nomine giudiziarie chiave e altre riforme in sospeso” per l’avvicinamento all’adesione Ue, a partire dalla nomina del nuovo Consiglio giudiziario e del procuratore-capo. Dopo anni di “profonda polarizzazione politica e instabilità” che hanno determinato “l’arenarsi dei progressi” del Paese più avanzato dei 10 che hanno intrapreso la strada verso l’Ue, ora con il nuovo governo c’è la possibilità concreta di mettere a terra i “parametri provvisori sullo Stato di diritto stabiliti nei capitoli 23 e 24” (‘giudiziario e diritti fondamentali’ e ‘giustizia, libertà e sicurezza’), si legge nel report specifico per il Montenegro del Pacchetto Allargamento Ue 2023 pubblicato lo scorso 8 novembre.

    La crisi istituzionale in Montenegro
    La chiusura dell’iter di nomina dei giudici della Corte Costituzionale è considerato di cruciale importanza a Bruxelles se si considera in particolare la contestatissima legge sugli obblighi del presidente nella nomina dell’esecutivo, che ha infiammato la seconda metà dello scorso anno. Considerato il fatto che la Corte Costituzionale è l’unico organismo istituzionale che può valutare nel merito la legge, senza la sua piena funzionalità non è possibile considerare il voto dell’Assemblea nazionale in linea con la raccomandazione della Commissione di Venezia, l’organo consultivo del Consiglio d’Europa che ha un ruolo-chiave nell’adozione di Costituzioni conformi agli standard europei.
    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e l’ex-presidente del Montenegro, Milo Đukanović
    Eppure l’iter di approvazione della legge è proseguito lo stesso a Podgorica. Dopo il primo via libera di inizio novembre 2022 la tensione è aumentata esponenzialmente fino al voto decisivo di un mese più tardi. La legge permetterebbe ai parlamentari di firmare una petizione per la designazione di un primo ministro (con il supporto della maggioranza assoluta, cioè 41), nel caso in cui il presidente si rifiutasse di proporre un candidato: in caso di assenza della maggioranza, lo stesso presidente avrà l’obbligo di organizzare un secondo giro di consultazioni con i partiti e proporre un candidato. Al contrario, secondo la Costituzione del Montenegro il presidente ha solo il dovere di organizzare le consultazioni e proporre un premier designato con il sostegno firmato di almeno 41 parlamentari entro un massimo di 30 giorni. Il 20 settembre dello scorso anno l’ex-numero uno del Paese, Milo Đukanović, aveva proposto di tornare alle urne, dopo essersi rifiutato di confermare come nuovo primo ministro il leader dell’Alleanza Democratica (Demos), Miodrag Lekić, a causa del ritardo nella presentazione delle 41 firme a suo sostegno.
    La fine dei tre anni di turbolenza politica
    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Montenegro, Jakov Milatović, a Podgorica (31 ottobre 2023)
    Il 2023 chiude così a tutti gli effetti la crisi istituzionale (con la nomina di tutti e quattro i giudici della Corte Costituzionale) ma anche politica. Da febbraio a oggi è stato un anno di trionfi per il nuovo movimento europeista Europe Now, fondato e guidato da quelli che ora sono il primo ministro e il presidente del Montenegro – rispettivamente Milojko Spajić e Jakov Milatović – vincitori dalla doppia tornata elettorale in poco più di due mesi: il ballottaggio delle presidenziali del 2 aprile e le elezioni per il rinnovo del Parlamento dell’11 giugno. Il neo-premier Spajić – eletto nel giorno della visita a Podgorica della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen – e il neo-presidente Milatović erano rispettivamente ministro delle Finanze e dell’Economia e dello Sviluppo economico nella grande coalizione anti-Đukanović (padre-padrone del Paese balcanico per 32 anni) guidata dal 4 dicembre 2020 al 28 aprile 2022 da Krivokapić. Durante l’anno e mezzo di governo i due hanno presentato un programma di riforme economiche intitolato proprio ‘Europe Now’, che comprendeva misure come il taglio dei contributi sanitari e l’aumento del salario minimo a 450 euro. I due tecnocrati hanno annunciato la volontà di fondare un nuovo partito di centro-destra liberale, anti-corruzione ed europeista dopo la caduta del governo Krivokapić nel febbraio 2022 – poi effettivamente fondato il 26 giugno – anticipando l’intenzione di collaborare con altre formazioni civiche e di centro in vista delle elezioni del 2023.
    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro del Montenegro, Milojko Spajić, a Podgorica (31 ottobre 2023)
    La nomina di Spajić e Milatović (i più giovani mai eletti alle due cariche istituzionali del Paese, entrambi all’età di 36 anni) ha messo fine a una fase di turbolenza per il Montenegro iniziata con le elezioni del 30 agosto 2020. In quell’occasione sono cambiati gli equilibri politici dopo 30 anni ininterrotti al potere per il Dps di Đukanović (sempre al governo o alla presidenza del Paese dal 1991). A guidare l’esecutivo per poco più di un anno è stata una colazione formata dai filo-serbi di ‘Per il futuro del Montenegro’ (dell’allora premier Zdravko Krivokapić), dai moderati di ‘La pace è la nostra nazione’ (guidata da Montenegro Democratico) e dalla piattaforma civica ‘Nero su bianco’ dominata dal Movimento Civico Azione Riformista Unita (Ura) di Dritan Abazović. Il 4 febbraio 2022 era stata proprio ‘Nero su bianco’ a sfiduciare il governo Krivokapić, appoggiando una mozione dell’opposizione e dando il via all’esecutivo di minoranza di Abazović.
    Lo stesso governo Abazović è però crollato il 19 agosto (il più breve della storia del Paese) con la mozione di sfiducia dei nuovi alleati del Dps di Đukanović, a causa del cosiddetto ‘accordo fondamentale’ con la Chiesa ortodossa serba. L’intesa per regolare i rapporti reciproci – con il riconoscimento della presenza e della continuità della Chiesa ortodossa serba in Montenegro dal 1219 – è stata appoggiata dai partiti filo-serbi, mentre tutti gli altri l’hanno rigettata, perché considerata un’ingerenza di Belgrado nel Paese e un ostacolo per la strada verso l’adesione all’Ue. Nel pieno della crisi istituzionale emersa dalla seconda metà dell’anno e dopo il rifiuto a nominare un nuovo primo ministro, lo scorso 16 marzo l’ex-presidente Đukanović ha sciolto il Parlamento e ha indetto nuove elezioni anticipate per l’11 giugno, non sapendo che di lì a poche settimane avrebbe perso le elezioni presidenziali prima, e le nazionali poi.

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    Il commissario per l’Allargamento, Olivér Várhelyi, ha accolto con favore il voto dell’Assemblea nazionale che rende pienamente funzionante l’organo costituzionale. Ora da Bruxelles ci si attende da Podgorica “ulteriori decisioni su nomine giudiziarie chiave e altre riforme in sospeso”

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    Il supporto macrofinanziario Ue all’Ucraina sale a 16,5 miliardi nel 2023. Arrivata da Bruxelles la penultima tranche

    Bruxelles – Si va verso la scadenza delle tranche di supporto macro-finanziario erogate dall’Unione Europea all’Ucraina per tutto il 2023. Mentre lo sguardo delle istituzioni comunitarie è già rivolto al futuro dopo la fine dell’anno, è arrivato oggi (22 novembre) il pagamento della decima – e penultima – tranche di aiuti da 1,5 miliardi di euro previsti dal pacchetto complessivo da 18 miliardi erogato dalla Commissione Europea da gennaio. “I finanziamenti europei hanno sostenuto la stabilità economica e i servizi pubblici dell’Ucraina dall’inizio della guerra contro la Russia”, è il commento della presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, rendendo noto il nuovo pagamento al Paese invaso dall’esercito del Cremlino dal 24 febbraio 2022.La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (8 maggio 2023)Con la decima tranche di aiuti destinati a Kiev attraverso lo strumento di assistenza macro-finanziaria Amf+, il supporto economico per il 2023 sale a 16,5 miliardi di euro. Ora al pacchetto approvato alla fine dello scorso anno dai co-legislatori manca solo l’ultimo tassello da 1,5 miliardi atteso nel giro del prossimo mese. “Con questo strumento l’Ue intende aiutare l’Ucraina a coprire il suo fabbisogno finanziario immediato, con un sostegno finanziario stabile, prevedibile e consistente”, sottolinea l’esecutivo comunitario in una nota. Nello specifico il sostegno finanziario aiuterà l’Ucraina a continuare a pagare stipendi e pensioni e a mantenere in funzione i servizi pubblici essenziali – come ospedali, scuole e alloggi per gli sfollati – oltre a garantire la stabilità macro-economica e a ripristinare le infrastrutture critiche distrutte dalla Russia (infrastrutture energetiche, sistemi idrici, reti di trasporto, strade, ponti).La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, a Kiev (4 novembre 2023)Il decimo pagamento è arrivato dopo che il 18 ottobre scorso i servizi della Commissione Europea hanno rilevato “progressi soddisfacenti nell’attuazione delle condizioni politiche concordate” e il rispetto dei “requisiti di rendicontazione volti a garantire un uso trasparente ed efficiente dei fondi”. Nello specifico vengono segnalati gli “importanti progressi” dell’Ucraina per rafforzare sia la stabilità finanziaria “con la graduale eliminazione della tassazione temporanea di emergenza”, sia lo Stato di diritto con il ripristino del funzionamento dell’Alto Consiglio di Giustizia e dell’Alto Consiglio di Qualificazione dei Giudici. Infine è stato registrato un “miglioramento del sistema energetico” con la ristrutturazione del gestore del sistema di trasmissione del gas e verso la promozione di “un migliore clima imprenditoriale”. Dall’inizio della guerra russa in Ucraina Bruxelles stima che il sostegno finanziario, umanitario, di bilancio d’emergenza e militare a Kiev arrivato dall’Unione, dai Paesi membri e dalle istituzioni finanziaria europee “ammonta a 85 miliardi di euro“. Per quanto riguarda l’assistenza macro-finanziaria Ue, il totale è di 23,7 miliardi, di cui 7,2 miliardi stanziati nel 2022 e i 16,5 di quest’anno. La prima tranche dallo strumento assistenza macro-finanziaria Amf+ è arrivata all’Ucraina il 17 gennaio con un supporto iniziale di 3 miliardi, seguita da altri nove tranche mensili da 1,5 miliardi fino a oggi.Ma l’attenzione della Commissione e della sua presidente è già oltre il 2023. “Abbiamo proposto 50 miliardi di euro per l’Ucraina fino al 2027”, ha ricordato von der Leyen, facendo riferimento alla proposta di revisione del bilancio pluriennale Ue 2021-2027. L’obiettivo dell’esecutivo comunitario è quello di creare una riserva finanziaria da 50 miliardi di euro per i prossimi quattro anni costituita di sovvenzioni e prestiti. Mentre i 33 miliardi di prestiti saranno finanziati attraverso l’assunzione di prestiti sui mercati finanziari, i 17 miliardi di euro in sovvenzioni arriveranno direttamente dalle risorse aggiuntive previste dalla revisione del bilancio. Per il via libera dai Ventisette servirà però l’unanimità in Consiglio e questo rischia di essere un problema considerate le posizioni particolarmente dure dell’Ungheria di Viktor Orbán, che potrebbero indurre l’esecutivo comunitario ad alleggerire la mano sui fondi Ue congelati a Budapest pur di mettere a terra il “sostegno coerente, prevedibile e flessibile” a Kiev per gli anni a venire.
    Lo strumento di assistenza macrofinanziaria Amf+ mobiliterà in totale 18 miliardi per gli “sforzi di riparazione, recupero e mantenimento dello Stato” invaso dall’esercito russo. Il decimo pagamento arrivato dopo la valutazione positiva dei progressi su condizioni politiche e rendicontazione