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    In Irlanda è pronta una legge per vietare le importazioni dagli insediamenti israeliani nella West Bank

    Bruxelles – L’Irlanda potrebbe diventare il primo Stato membro dell’Ue a vietare l’importazione di beni prodotti negli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati. Il governo irlandese presenterà domani (27 maggio) una proposta di legge che, se approvata, renderebbe reato l’acquisto di prodotti israeliani provenienti dalla Cisgiordania e da Gerusalemme Est, aree considerate illegalmente occupate dallo Stato ebraico secondo il diritto internazionale.Il disegno di legge, annunciato dal tánaiste e ministro degli Esteri e del Commercio Simon Harris, si inserisce in un contesto di crescente attenzione internazionale sulla situazione a Gaza. “È evidente che si stanno commettendo crimini di guerra: i bambini vengono affamati e il cibo è usato come arma”, ha dichiarato Harris al Financial Times: “Il mondo non ha fatto abbastanza, e dobbiamo agire”. La proposta irlandese rappresenta il primo tentativo concreto all’interno dell’Ue di introdurre una restrizione commerciale mirata nei confronti degli insediamenti israeliani.Insediamenti israeliani in CisgiordaniaIl disegno di legge prevede il divieto di importazione di beni fisici come datteri, arance, olive, legname e cosmetici, provenienti da insediamenti israeliani. A rimanere esclusi dal provvedimento sarebbero invece i prodotti realizzati da aziende palestinesi nella stessa area, come l’olio d’oliva Zaytoun. Tra il 2020 e il 2024, il valore complessivo delle importazioni irlandesi da questi territori è stato di appena 685.000 euro, ma la portata del provvedimento è considerata altamente simbolica. Oltre ai beni materiali, è in corso un dibattito giuridico sull’inclusione dei servizi, come turismo e tecnologia. Più di 400 accademici e giuristi irlandesi hanno firmato una lettera aperta a sostegno dell’estensione del divieto anche a settori come l’ospitalità, sottolineando come non vi siano ostacoli insormontabili nel diritto irlandese, europeo o internazionale a un provvedimento di questo tipo. Se inclusi, i servizi potrebbero coinvolgere aziende come Airbnb, che ha la propria sede europea a Dublino e sarebbe quindi soggetta alla normativa irlandese. Nel 2019, Airbnb aveva inizialmente annunciato il ritiro delle sue inserzioni nei territori occupati, salvo poi fare marcia indietro in seguito a cause legali, decidendo infine di devolvere i profitti derivanti da quelle attività a organizzazioni umanitarie. Harris ha dichiarato di non avere obiezioni politiche all’estensione del divieto ai servizi, confermando di aver ricevuto pareri legali secondo cui l’inclusione sarebbe attualmente impossibile.Sebbene il commercio sia una competenza dell’Unione Europea, esistono eccezioni in cui gli Stati membri possono agire autonomamente, specialmente in situazioni considerate di “straordinaria gravità”. A tal fine, l’Irlanda si richiama a un parere consultivo emesso lo scorso anno dalla Corte internazionale di giustizia, secondo cui gli Stati devono “adottare misure per impedire relazioni commerciali o d’investimento che contribuiscano al mantenimento della situazione illegale nei territori palestinesi occupati”.A livello comunitario, il provvedimento giunge pochi giorni dopo che una maggioranza di Stati membri ha votato per una revisione dell’accordo di associazione Ue-Israele del 1995. Una richiesta simile, avanzata da Irlanda e Spagna nel febbraio 2024, era stata in precedenza respinta dalla Commissione europea. L’esecutivo comunitario ha dichiarato che commenterà la proposta solo dopo che sarà adottata dal parlamento irlandese e formalmente trasmessa a Bruxelles. “Vogliamo fare qualcosa di significativo, ma un’azione collettiva dell’Unione avrebbe un impatto molto più forte“, ha osservato Harris.

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    Gaza, la Spagna chiede sanzioni contro Israele: “Fermi la sua guerra ingiusta e disumana”

    Bruxelles – La Spagna torna all’attacco e chiede sanzioni internazionali contro Israele se Tel Aviv non interromperà immediatamente la sua offensiva nella Striscia di Gaza e non permetterà agli aiuti umanitari di raggiungere la popolazione palestinese. La richiesta arriva direttamente da Madrid, dove ieri (25 maggio) un gruppo di Paesi europei e arabi si è riunito per cercare un approccio comune e aumentare la pressione su Benjamin Netanyahu affinché ponga fine alla catastrofe in corso e restituisca la parola alla diplomazia.Erano 20 gli Stati rappresentati nella capitale spagnola per discutere di una via d’uscita diplomatica alla devastante guerra che lo Stato ebraico sta portando avanti da oltre un anno e mezzo nell’enclave palestinese. Oltre alla Spagna, c’erano diversi Paesi Ue (Francia, Germania, Irlanda, Italia e Slovenia) ed europei (Norvegia, Islanda e Regno Unito), più gli arabi (Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Marocco e Turchia, cui si aggiungevano gli emissari della Lega araba e dell’Organizzazione della cooperazione islamica).La campagna militare israeliana a Gaza sta conoscendo una sanguinosa recrudescenza nelle ultime settimane, mentre gli aiuti umanitari per i civili della Striscia vengono sistematicamente bloccati da quasi tre mesi dall’esercito dello Stato ebraico (Idf) e, quando riescono a entrare, rischiano di venire attaccati.Per il padrone di casa, il ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares, quella che Israele sta conducendo a Gaza è una “guerra ingiusta, crudele e disumana”. Secondo lui, la Striscia è una “ferita aperta dell’umanità” e il silenzio del mondo è “complice di questo massacro”. I camion con gli aiuti per la popolazione civile devono entrare “massicciamente, senza condizioni e senza limiti”, ha aggiunto, specificando che la gestione dell’intero processo “non dovrebbe essere controllata da Israele”.A fare le veci dell’Alta rappresentante Ue, Kaja Kallas, c’era a Madrid anche l’inviato speciale di Bruxelles per il Golfo, Luigi Di Maio, che momentaneamente detiene la delega al processo di pace mediorientale. Stando al resoconto dei portavoce della Commissione, l’ex ministro italiano ha ribadito “la necessità di un cessate il fuoco immediato a Gaza, il rilascio di tutti gli ostaggi e la ripresa completa degli aiuti a Gaza, immediatamente”.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas, e il ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares (foto: European Council)La Spagna, ha sostenuto Albares, solleciterà i suoi partner a imporre un embargo sulla vendita di armi a Tel Aviv – metà delle bombe che vengono sganciate sulla Striscia sono europee, ha rivelato l’ex capo della diplomazia a dodici stelle Josep Borrell – e spingerà per “considerare le sanzioni” poiché, dice, occorre “considerare tutto per fermare questa guerra“. Ma, fanno notare dal Berlaymont, la questione delle sanzioni è spinosa perché richiede l’unanimità dei Ventisette.Non è una novità che Madrid assuma posizioni intransigenti nei confronti di Tel Aviv, soprattutto da quando Benjamin Netanyahu è tornato al potere. Il premier spagnolo Pedro Sánchez ha bollato Israele come “Stato genocida” in un discorso al Parlamento nazionale la settimana scorsa, scoperchiando un ginepraio di polemiche e critiche.Del resto, osserva Albares, non sono da escludere nemmeno sanzioni individuali contro coloro che “intendono rovinare per sempre la soluzione dei due Stati“. Quest’ultimo è uno dei temi al centro dei lavori del cosiddetto Gruppo di Madrid (noto anche come G5+). Ma ora come ora si tratta sostanzialmente di una chimera, vista la netta opposizione del primo ministro israeliano e dei suoi partner di governo dell’ultradestra messianica alla creazione di un’entità statale palestinese.L’incontro di ieri è servito anche come preparazione alla conferenza di alto livello dell’Onu dedicata specificamente alla soluzione a due Stati, in calendario per il 17 giugno a New York e organizzata da Francia e Arabia Saudita. Albares si augura che il summit del mese prossimo possa aprire la strada ad un riconoscimento della Palestina come nazione indipendente da parte del numero maggiore possibile di Paesi.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Ohad Zwigenberg/Afp)Il primo ministro palestinese Mohammad Mustafa spera che il presidente Usa Donald Trump possa giocare un ruolo chiave per sbloccare questa difficilissima partita. Gli sforzi di Washington per un cessate il fuoco nella Striscia “sono apprezzati”, ha dichiarato, e l’auspicio è che “un impegno concreto, un impegno positivo da parte degli Stati Uniti contribuisca a portare la pace e la stabilità nella regione“.All’Onu, 147 Paesi su 193 riconoscono ufficialmente lo Stato di Palestina. Tra questi ci sono 10 membri dell’Ue, ma nel Vecchio continente mancano ancora all’appello Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi e Regno Unito, più Canada e Usa da oltreoceano. Teoricamente, il futuro Stato palestinese dovrebbe esercitare la propria sovranità su quelli che sono oggi i territori occupati: Gaza e Cisgiordania. Ma sul terreno la situazione appare impossibile.La Striscia è il teatro delle più sanguinose operazioni militari della storia recente (almeno 54mila morti, stando ai dati del ministero della Sanità guidato da Hamas) e Israele sta pianificando di occuparla militarmente una volta terminata la guerra, facendo marcia indietro sullo storico ritiro dall’enclave nel 2005. Quanto alla West Bank, continuano a espandersi sia gli insediamenti illegali dei coloni israeliani sia la violenza contro le comunità locali. Che è recentemente tracimata nell’aggressione ad una delegazione diplomatica in visita al campo profughi di Jenin, denunciata da Kallas come “inaccettabile”.Infine, Albares ha ribadito la richiesta dell’esecutivo di Madrid di sospendere l’accordo di associazione Ue-Israele, anche se si tratta probabilmente di una battaglia contro i mulini a vento. Per metterlo in pausa serve, anche qui, l’unanimità degli Stati membri. Tuttavia, il Consiglio Ue ha recentemente aperto alla revisione dell’accordo, una mossa che evidenzia l’isolamento politico crescente di Netanyahu.

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    Von der Leyen chiama Trump, nuova giravolta sui dazi: sospesi fino al 9 luglio

    Bruxelles – Nuovo passo indietro di Donald Trump sui dazi alle merci Ue. Dopo la minaccia, arrivata come un fulmine a ciel sereno, di tariffe del 50 per cento su tutte le importazioni a partire dal primo giugno, ieri (25 maggio) il presidente americano ha ricevuto la telefonata di Ursula von der Leyen. La leader Ue l’avrebbe convinto – il condizionale ormai è d’obbligo – a congelare i dazi reciproci e mantenere aperto il dialogo fino al 9 luglio, riconfermando la proroga di 90 giorni decisa lo scorso 9 aprile.“Una buona telefonata”, l’ha definita von der Leyen. La prima, da quando il tycoon è tornato alla Casa Bianca. “L’Unione europea e gli Stati Uniti intrattengono il rapporto commerciale più stretto e importante al mondo. L’Europa è pronta a far avanzare i colloqui con rapidità e decisione. Per raggiungere un buon accordo avremmo bisogno di tempo fino al 9 luglio“, ha affermato la presidente della Commissione europea in un post su X. Dall’altro capo della cornetta, Trump ha “acconsentito alla proroga” chiesta da von der Leyen. “È stato un privilegio per me farlo. La presidente della Commissione ha affermato che i colloqui inizieranno rapidamente. Grazie per l’attenzione dedicata a questa questione!”, ha scritto sul suo social Truth. In realtà, i Paesi Ue continuano comunque a essere soggetti a tariffe reciproche del 10 per cento su tutto l’export negli Stati Uniti, e a dazi del 25 per cento sull’export di acciaio, alluminio e derivati, auto e componenti.Di buono c’è che per la prima volta Washington e Bruxelles hanno stabilito un confronto diretto al massimo livello sulla questione. “È grazie all’Italia se si è avuto questo rapporto diretto von der Leyen-Trump”, si è affrettato a dire questa mattina il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani. Nel tentativo di mantenere il ruolo di mediatore abilmente ritagliatosi – e minacciato dal ponte diretto tra i due leader -, Giorgia Meloni starebbe accelerando il lavoro diplomatico per orchestrare un vertice europeo prima del D-Day.Il presidente statunitense Donald Trump annuncia l’imposizione di dazi sulle importazioni dai partner globali, il 2 aprile 2025 (foto: Brendan Smialowski/Afp)Ruolo effettivo o presunto di Roma a parte, la telefonata e le dichiarazioni immediatamente successive di Trump e von der Leyen portano una ventata di ottimismo. Lo confermano le borse europee, che oggi si sono svegliate in deciso rialzo, con il Dax di Francoforte al +1,76 per cento, il Cac40 di Parigi al +1,36 per cento e il Ftse Mib di Milano al +1,53 per cento.Ora la palla torna nelle mani di Maroš Šefčovič, il commissario europeo per il commercio, che guida i complessi negoziati con le controparti americane. Finora, il socialista slovacco sta tornando da Washington ogni volta a mani vuote: venerdì scorso (23 maggio), l’ultimo round di negoziati ha portato all’annuncio furioso di Trump – che ha addirittura raddoppiato l’onere delle tariffe sull’import Ue rispetto a quanto previsto nel ‘Liberation Day‘ – accompagnato dal commento: “Le nostre discussioni con loro non stanno andando da nessuna parte!“.Lo stesso Šefčovič aveva dichiarato piccato, dopo i colloqui con il rappresentante commerciale americano Jamieson Greer e il segretario al Commercio Howard Lutnick, che il commercio tra Ue e Stati Uniti “deve essere guidato dal rispetto reciproco, non dalle minacce“. Aggiungendo che Bruxelles è “pronta a difendere i nostri interessi”. Il piano B svelato dalla Commissione europea, in caso le trattative naufragassero, prevede contromisure su una lunga lista di prodotti americani, dal valore di 95 miliardi di euro, e una procedura formale contro Washington all’Organizzazione Mondiale del Commercio. Ma anche Bruxelles ha un asso nella manica con cui minacciare Trump: lo strumento anti-coercizione, con cui potrebbe tassare pesantemente i profitti delle big tech americane nel vecchio continente. La Commissione europea ha fatto sapere che già oggi pomeriggio Šefčovič avrà un nuovo contatto telefonico con Lutnick.

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    Sulla Serbia l’Ue rimane in silenzio. Dopo Costa, neanche Kallas critica Vučić

    Bruxelles – Altro giro, altri mezzi silenzi. L’Ue non vuole alzare la voce con la Serbia, scegliendo di non prendere di petto due questioni fondamentali: la vicinanza del presidente Aleksandar Vučić alla Russia di Vladimir Putin e la repressione delle proteste antigovernative. In visita a Belgrado, Kaja Kallas è stata giusto un pelo più loquace di António Costa, che l’aveva preceduta di una decina di giorni. Ma nemmeno lei è riuscita a pronunciare una condanna chiara e netta né dell’autoritarismo del leader serbo né dello scivolamento del Paese candidato verso Mosca.Per la seconda volta nel giro di una decina di giorni, uno dei vertici comunitari si è presentato a Belgrado per confrontarsi con la leadership serba sui progressi nel processo di adesione. Oggi (22 maggio) è toccato a Kaja Kallas, dopo che lo scorso 13 maggio era stato il turno del presidente del Consiglio europeo António Costa.Rispetto a quest’ultimo, l’Alta rappresentante è stata un po’ più schietta. “Voglio sottolineare che abbiamo bisogno di vedere azioni” concrete da parte del Paese balcanico che dimostrino una reale volontà di progredire sulla strada dell’ingresso in Ue, ha dichiarato di fronte ai giornalisti. L’unico modo per Belgrado di avanzare sul sentiero europeo, ha detto, è realizzare “riforme reali”, non cosmetiche. “Non ci sono scorciatoie per l’adesione”, ha aggiunto, suggerendo che “i prossimi passi includono la libertà dei media, la lotta alla corruzione e la riforma elettorale“.My message to the authorities in Belgrade is clear.I want to see Serbia advancing towards the EU. For that, political leaders must deliver the necessary reforms and clarify the strategic direction.This is best done by restoring trust and staying true to democratic principles. pic.twitter.com/I9Jv9BV33P— Kaja Kallas (@kajakallas) May 22, 2025Queste riforme, ha osservato, porteranno benefici a tutta la popolazione, a partire dai giovani animatori dell’agguerrito movimento studentesco, che da mesi si stanno riversando nelle piazze per chiedere un impegno serio contro la corruzione dilagante e reclamare il proprio futuro europeo. Un futuro in cui “l’autonomia delle università dev’essere rispettata”, dice Kallas, riconoscendo esplicitamente le rivendicazioni dei manifestanti.Ma la sua loquacità si è fermata lì. Nessuna condanna della repressione delle proteste ordinata dal governo, oltre a vaghe parole sulla necessità che “i Paesi candidati seguano i princìpi dei diritti umani” tra cui quello a un giusto processo, negato invece agli studenti detenuti arbitrariamente nelle carceri serbe.E nessuna condanna esplicita nemmeno del clamoroso viaggio del presidente Vučić a Mosca, dove ha partecipato alle celebrazioni dello scorso 9 maggio insieme a Vladimir Putin. Un vero e proprio schiaffo in faccia alla stessa Kallas, che aveva personalmente esortato i leader di Stati membri e Paesi candidati a non presentarsi sulla Piazza Rossa (in rappresentanza della prima categoria c’era il premier slovacco Robert Fico).Rispondendo ad una domanda sul tema, il capo della diplomazia a dodici stelle si è limitata a ripetere che “il mio punto di vista è molto chiaro, non capisco perché sia necessario stare fianco a fianco con la persona che sta conducendo questa orribile guerra in Ucraina“. Per poi aggiungere, senza elaborare oltre, che il capo dello Stato “mi ha spiegato la sua versione della storia” nel corso di una “discussione molto lunga”.Il presidente russo Vladimir Putin (sinistra) e il suo omologo serbo Aleksandar Vučić (foto: Alexander Zemlianichenko/Afp)La vicinanza di Vučić al Cremlino è uno dei motivi di maggior imbarazzo a Bruxelles per quel che riguarda la politica estera del Paese candidato. L’altro elemento che sta “ostacolando l’allineamento con la Pesc“, cioè la politica estera dell’Ue, è lo stallo in cui si trova il processo noto come dialogo Belgrado-Pristina, il cui obiettivo è la normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Serbia e Kosovo.“La Serbia sta affrontando scelte geostrategiche” importanti, ha rimarcato Kallas, e deve decidere “dove vuole stare”. “Il futuro europeo della Serbia dipende dai valori che sceglie di sostenere” in patria e all’estero, dice l’Alta rappresentante: sia nei rapporti con la Russia sia nelle relazioni di vicinato, a partire dal Kosovo e dalla Bosnia-Erzegovina.L’invito di Kallas: “È tempo di superare il passato e focalizzarci sul futuro comune“. Bruxelles incoraggia i partner dei Balcani occidentali a “far tesoro dello slancio attuale sull’allargamento”, pur riconoscendo la lentezza di un processo che finora ha prodotto pochi risultati concreti. Il rischio, se i Paesi candidati implementano le riforme ma i Ventisette non fanno “i compiti a casa”, è quello di alimentare “frustrazione” nei cittadini, riconosce Kallas.La sua visita a Belgrado è la prima tappa di un tour nella regione che ricalca, seppur in versione ridotta, quello di Costa: lasciata la Serbia, l’Alta rappresentante si è recata in Kosovo. Da Pristina ha annunciato che l’Ue “ha iniziato a rimuovere gradualmente le misure introdotte nel giugno 2023“, cioè le sanzioni seguite agli scontri nel nord del Paese, ma che la rimozione totale rimane “condizionale” ad una completa de-escalation. Domani, l’Alta rappresentante concluderà il suo viaggio in Macedonia del nord.

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    Israele, l’ex Alto rappresentante Borrell attacca l’Ue: “La metà delle bombe sganciate su Gaza sono europee”

    Bruxelles – Ora che l’Ue, con colpevole ritardo, ha deciso che procederà ad una revisione dell’accordo di associazione con Israele, l’ex Alto rappresentante per gli Affari esteri, Josep Borrell – che già sei mesi fa cercò di insistere per la sospensione del dialogo politico con Tel Aviv -, può togliersi qualche sassolino dalle scarpe. In un’intervista alla radio spagnola Cadena Ser, ha affermato che “la metà delle bombe che cadono su Gaza sono fabbricate in Europa” e che, “se l’Europa volesse, avrebbe una grande capacità di influenzare Israele“.Il socialista catalano, ora presidente del Barcelona Centre for International Affairs, è stato l’unico, tra i vertici delle istituzioni europee, a denunciare apertamente le violazioni del diritto internazionale commesse da Israele dopo il 7 ottobre 2023 e i doppi standard di Bruxelles. Di fronte al silenzio di Ursula von der Leyen – che “ha dimostrato pochissima empatia per le sofferenze dei palestinesi” – ha cercato di dare seguito alla richiesta di revisione dell’Accordo di associazione con Tel Aviv che Spagna e Irlanda avevano inoltrato alla Commissione europea già nel febbraio del 2024. Un tentativo fallito a causa dell’allora opposizione della maggior parte dei Paesi membri. La situazione ora si è ribaltata e 17 capitali Ue (ma non Roma) hanno sostenuto la nuova richiesta messa sul tavolo dal governo olandese.“Meglio tardi che mai”, ha commentato amaramente Borrell, sottolineando che, da quando Madrid e Dublino sollevarono la questione per la prima volta, “sono passati 15 mesi e quasi 30 mila morti in più“. La verifica del rispetto degli obblighi sui diritti umani da parte di Israele, prevista dall’articolo 2 dell’accordo Ue-Israele, è stata infine paradossalmente lanciata dal suo successore, la liberale estone Kaja Kallas, molto più cauta finora nelle critiche a Tel Aviv, e sarà condotta dai servizi interni della Commissione europea in cooperazione con il Servizio Europeo di Azione Esterna (Eeas). Questo perché il vasto accordo che lega Bruxelles a Tel Aviv copre diverse dimensioni: per la parte politica, ne è competente l’Alto rappresentante e in definitiva il Consiglio dell’Ue, mentre l’area economica è coperta dalla Commissione.Il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar, con l’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, il 20 febbraio 2025E mentre eventuali modifiche dei termini politici dell’accordo vanno approvate all’unanimità dai Paesi membri, basterebbe la maggioranza qualificata per decidere ad esempio di limitare gli scambi commerciali con Israele. “La Commissione può proporlo – ha spiegato Borrell -. Se l’Europa volesse, avrebbe una grande capacità di influenzare Israele”.L’ex capo della diplomazia europea ha sollevato dubbi sulla possibilità che Benjamin Netanyahu possa essere processato per crimini di guerra e contro l’umanità, sottolineando al contempo “la delusione di vedere che in Europa qualche Paese lo accoglie con grandi onori”. Il premier israeliano si è recato recentemente in Ungheria, su invito di Viktor Orban, che ha contemporaneamente avviato il processo per la fuoriuscita di Budapest dalla Corte Penale Internazionale. “Genocidio è una definizione giuridica che dovrà essere determinata da un tribunale, ma non ho nessun dubbio che ci sia un’intenzione genocida“, ha aggiunto Borrell, definendo l’esecutivo guidato da Netanyahu come “il più religioso e fanatico che ci sia mai stato in Israele”.Di chi sono le armi utilizzate da Israele a GazaBorrell ha affermato, nel corso dell’intervista, che “la metà delle bombe che cadono su Gaza sono fabbricate in Europa”. Israele, dal 7 ottobre a oggi, ha sganciato oltre 100 mila tonnellate di esplosivo sull’enclave palestinese. Già a novembre 2024, in un anno di bombardamenti, aveva superato la quantità di esplosivo utilizzato durante tutta la seconda guerra mondiale.A livello militare, Israele dipende fortemente dai rifornimenti che arrivano da Washington. Secondo i dati dello Stockholm International Peace Research Institute, nel periodo 2020-2024 i due terzi delle importazioni di armi di Israele sono giunte dagli Stati Uniti (66 per cento). Per la guerra a Gaza, spiega il SIPRI, Israele “ha fatto ampio ricorso alle armi ricevute in aiuto dagli Stati Uniti prima del 7 ottobre 2023, in particolare agli aerei da combattimento”. Ma ha continuato a ricevere nel corso del 2024 “ingenti aiuti militari” dalla Casa Bianca, tra cui “missili, bombe guidate e veicoli blindati”.Gli altri due grandi fornitori di armi a Israele sono la Germania, al 33 per cento delle importazioni, e l’Italia, all’1 per cento. Berlino consegna a Tel Aviv soprattutto armamenti destinati alle forze navali israeliane, ma anche motori per i veicoli blindati che vengono utilizzati nella guerra di Gaza. La maggior parte di ciò che arriva da Roma, secondo quanto tracciato dal SIPRI, sono elicotteri leggeri e cannoni navali. L’Italia produce anche componenti per gli F-35 americani su cui volano le forze di difesa israeliane.

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    Investimenti, migrazione e disinformazione al centro dell’agenda di cooperazione tra Ue e Unione africana

    Bruxelles – L’Unione africana e l’Unione europea mirano a rafforzare la loro cooperazione formale, che compie quest’anno un quarto di secolo, per affrontare insieme le sfide comuni a entrambi i continenti. A partire dall’approfondimento della collaborazione su temi cruciali come l’uso delle materie prime critiche, la migrazione e gli investimenti, ma anche il contrasto alla disinformazione del Cremlino.“L’Africa e l’Europa sono ciascuna il continente gemello dell’altra“: con queste parole Kaja Kallas ha aperto i lavori della terza ministeriale Esteri Ue-Ua svoltasi oggi (21 maggio) a Bruxelles in preparazione del prossimo summit di alto livello, il settimo, in programma per quest’anno. Il 2025 segna peraltro il 25esimo anniversario del format di dialogo tra le due organizzazioni continentali, inaugurato al Cairo nel 2000.Per il capo della diplomazia a dodici stelle, per i Paesi sulle due sponde del Mediterraneo ci sono “interessi condivisi ma anche sfide condivise” su una serie di questioni cruciali. “Le sfide sono immense ma lo sono anche le nostre risorse comuni“, ha sottolineato, menzionandone curiosamente solo di africane: “La popolazione che cresce più velocemente sul pianeta, un’immenso potenziale imprenditoriale, un’abbondanza di risorse e di materie prime critiche necessarie per le transizioni verde e digitale”.A co-presiedere la riunione odierna c’era Téte António, ministro degli Esteri angolano a capo del Consiglio esecutivo dell’Ua. Il quale, su quest’ultimo aspetto specifico, ha tenuto a precisare che “i progetti per la lavorazione delle materie prime devono avvenire sul campo in Africa” e non altrove, onde evitare di “esportare il valore aggiunto, cioè il lavoro, il benessere, lo sviluppo e la conoscenza”. In altre parole, per non ripetere le dinamiche predatorie del colonialismo estrattivo che gli Stati europei hanno praticato per secoli nel continente.Africa and Europe are partners of choice.We are working together for peace, security and sustainable growth.Today, we are gathering with foreign ministers and members of the African Union — strengthening our partnership and marking 25 years since the first EU-Africa Summit. pic.twitter.com/E4IiFarFmK— Kaja Kallas (@kajakallas) May 21, 2025“Dall’ultimo vertice” Ua-Ue, cioè il sesto (risalente a metà febbraio 2022), “il mondo è cambiato radicalmente“, ha osservato Kallas. “La guerra è tornata in Europa, l’instabilità sta crescendo in alcune aree dell’Africa e in Medio Oriente, assistiamo a un aumento della disinformazione e delle interferenze straniere nei nostri affari interni, a un’instabilità senza precedenti nei mercati mondiali e a minacce al multilateralismo e all’ordine internazionale fondato sulle regole”.António ha auspicato “delle soluzioni innovative” per rispondere in maniera congiunta alle sfide epocali che “non si fermano ai confini geografici” – il cambiamento climatico, la trasformazione economica, la sanità, la pace e la sicurezza e la migrazione, nell’elenco del ministro – e offrire “benefici tangibili per i nostri popoli su entrambi i continenti“.Le priorità chiave delle relazioni Ua-Ue comprendono gli investimenti e gli scambi commerciali tra i due mercati unici, lo sfruttamento delle materie prime critiche, la cooperazione in materia di sicurezza, lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e di solide infrastrutture digitali, la blue economy, la mobilità (incluso il capitolo fondamentale della gestione dei flussi migratori), la connettività e l’integrazione regionale nonché le sfide della governance globale (a partire dalla tutela del multilateralismo in un’epoca di conflitti militari e guerre commerciali).Sul dossier migrazioni, António ha rimarcato che gli spostamenti delle persone “non rappresentano un problema di per sé” e possono anzi “portare benefici che hanno un impatto positivo” sui Paesi ospitanti, ma “il problema riguarda il ‘come’ questo fenomeno si sviluppa”. Vanno cioè trovate delle modalità per garantire vie sicure per la migrazione legale, dice, e va sostenuto lo sviluppo economico del continente africano.D’accordo anche Kallas: “È anche nel nostro interesse che ci sia prosperità in Africa, che ci siano posti di lavoro in Africa”, ha ragionato di fronte ai giornalisti, in modo che “non ci sia la pressione migratoria” sulle sponde europee. Così, spiega, il trasferimento tecnologico per l’estrazione e la lavorazione delle materie prime critiche farà “in modo tale che la prosperità rimanga in Africa”. Allo stesso obiettivo dovrebbero concorrere, nell’ottica dell’Alta rappresentante, anche altre azioni come “la riforma dell’architettura finanziaria internazionale, in modo che l’accesso ai capitali sia simile ovunque si effettuino investimenti”.Il logo del 25esimo anniversario dalla nascita del dialogo Ue-Ua (foto: Seae)E naturalmente anche la prevenzione dei conflitti, come quelli che affliggono la regione del Sahel in generale e il Sudan in particolare, definito dal ministro angolano come “il microcosmo dell’Africa” (poiché, sostiene, quello che accade lì si riverbera nell’intero continente). “La priorità è la cessazione delle ostilità“, ha assicurato l’ex premier estone, sottolineando che il processo di ricomposizione della crisi “dev’essere guidato dall’Africa, anche se c’è il bisogno di una mediazione” per la quale, eventualmente, Bruxelles si rende disponibile.Un altro dei temi toccati oggi è quello del contrasto alle campagne ibride di disinformazione e misinformazione, soprattutto quelle orchestrate da Mosca. “La lotta alle narrazioni si svolge ovunque e la disinformazione è uno degli strumenti che la Russia sta utilizzando, soprattutto in Africa”, ha ammonito l’Alta rappresentante. E ha ammesso che “è sempre più difficile” riuscire a “combattere la disinformazione e l’influenza maligna straniera“, nonostante gli sforzi messi in campo finora, perché “viviamo nell’era dell’informazione” nella quale “le bugie viaggiano velocemente e si espandono rapidamente”.L’Ue e i suoi Stati membri rappresentano per l’Ua il primo partner commerciale, il primo investitore estero (309 miliardi di euro nel 2022) e il principale donatore di aiuti allo sviluppo e aiuti umanitari. Il supporto dell’Unione alla sicurezza del continente africano nel quadro dello Strumento europeo per la pace – Epf nell’acronimo inglese – vale oltre 1 miliardo (anche se parte di quei fondi, per ammissione della stessa Kallas, sono momentaneamente bloccati), e nel continente sono attualmente operative 11 missioni civili e operazioni militari sotto l’ombrello Pesc.

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    Sdegno internazionale per gli spari israeliani sui diplomatici a Jenin. Kallas: “Inaccettabile, Tel Aviv faccia chiarezza”

    Bruxelles – Roma, Parigi, Madrid. E Bruxelles. Immediate le condanne delle cancellerie europee per l’episodio di Jenin, dove le forze di difesa israeliane hanno sparato dei colpi d’avvertimento nei confronti di una delegazione diplomatica in visita nella Cisgiordania occupata. “È inaccettabile“, ha dichiarato l’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, che ha chiesto a Tel Aviv di indagare sull’incidente e di portare davanti alla giustizia i responsabili. Il governo italiano, il cui vice console è stato coinvolto nell’incidente, ha convocato l’ambasciatore israeliano a Roma.L’esercito israeliano ha rilasciato a stretto giro una dichiarazione di scuse, annunciando accertamenti e spiegando che “la delegazione ha deviato dal percorso approvato ed è entrata in un’area dove non era permesso stare”, motivo per cui “i soldati che operano nell’area hanno sparato colpi di avvertimento per tenerli lontani”. Resta il fatto che “le minacce contro i diplomatici sono inaccettabili”, ha dichiarato il vicepremier italiano, Antonio Tajani, e che – come ricordato dal capo della diplomazia Ue – Israele è firmatario della Convenzione di Vienna e “ha l’obbligo di garantire la sicurezza di tutti i diplomatici stranieri”.La notizia dello spiacevole “incidente” – va ricordato che a Gaza, dall’ottobre del 2023, sono stati uccisi centinaia di operatori umanitari, alcuni volontariamente presi di mira dai bombardamenti israeliani, nonostante il diritto internazionale umanitario preveda la protezione degli operatori umanitari negli scenari di guerra – è giunta a Bruxelles proprio nel giorno in cui, al Parlamento europeo, si è tornato a parlare con urgenza della risposta dell’Ue al piano del governo israeliano di occupare la Striscia di Gaza.Socialisti, verdi e sinistra chiedono a gran voce azioni decisive. “La decisione presa ieri dall’Ue di rivedere l’accordo di associazione non è sufficiente. Avrebbe dovuto essere presa molto tempo fa. Ora è il momento di sospenderlo. Una revisione non è sufficiente. Sospendiamo l’accordo di associazione, imponiamo un embargo totale sulle armi a Israele e sanzioni individuali ai membri di spicco del governo Netanyahu”, ha dichiarato in plenaria la leader socialista Iratxe Garcia Perez. Sulla stessa linea i Verdi, secondo cui “il governo e l’esercito israeliani sono responsabili delle più gravi violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani, non possiamo restare a guardare”.La protesta di The Left, Verdi e S&d davanti al Parlamento europeo [Ph: Account X The LEft]Per Benedetta Scuderi, eurodeputata dei Verdi rientrata dalla ‘Carovana solidale’ a Rafah con l’Intergruppo per la pace, “a Gaza è piu’ facile morire che sopravvivere”. E “a volte è meglio morire”, le avrebbe detto una cittadina di Gaza che è riuscita a scappare. “Siamo stanche dei dibattiti in plenaria mentre la gente muore. Cosa ancora deve accadere per sanzionare Israele, per interrompere l’accordo di commercio, porre un embargo totale sulle armi?”, ha attaccato Scuderi.Prima del dibattito, i deputati europei della sinistra, dei Verdi e dei Socialisti, insieme a attivisti e funzionari dell’Ue, si sono sdraiati a terra davanti al Parlamento di Bruxelles, rappresentando le decine di migliaia di persone uccise a Gaza dall’Idf negli ultimi 20 mesi. Per il gruppo The Left “è evidente che l’articolo 2 dell’accordo di associazione UE-Israele è stato sistematicamente violato da Israele, che ha perpetrato un genocidio a Gaza. Il processo di revisione annunciato questa settimana dall’Ue è solo una manovra dilatoria”.Nella giornata di ieri (20 maggio), il Consiglio dell’Ue ha deciso che procederà ad un esercizio di revisione dell’articolo 2 dell’Accordo di associazione con Israele, che impone alle parti il rispetto dei diritti umani. Per la prima volta dopo più di un anno e mezzo di guerra e 53 mila vittime palestinesi, una maggioranza di 17 Paesi membri si è detta a favore della revisione. Italia e Germania si sono opposte.

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    Il Vaticano è “disponibile” ad ospitare i negoziati Ucraina-Russia

    Bruxelles – Il Vaticano come cornice per nuovi negoziati tra Russia e Ucraina? È la domanda che sta serpeggiando tra le cancellerie di mezzo mondo nelle ultime ore, dopo una serie di contatti tra Washington, le capitali dell’Ue, quella italiana e la Santa Sede. Intorno alla città eterna – e al nuovo pontefice Leone XIV – sembrano stringersi le maglie della diplomazia internazionale per portare al tavolo delle trattative Mosca e Kiev, superando i fallimenti dei round negoziali precedenti.A dare nuova linfa alle speculazioni sul potenziale ruolo del Vaticano nei negoziati tra Russia e Ucraina è stata, nella serata di ieri (21 maggio), una scarna nota di Palazzo Chigi che rendeva conto di una conversazione telefonica tra la premier Giorgia Meloni e il nuovo papa Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost.La presidente del Consiglio ha trovato “nel Santo Padre la conferma della disponibilità ad ospitare in Vaticano i prossimi colloqui tra le parti“, si legge nel comunicato. Il confronto tra i due ha dato seguito, si scopre, alla “richiesta” di Donald Trump di sondare il terreno presso la Santa Sede rispetto ad un potenziale coinvolgimento della diplomazia pontificia nei negoziati in corso (o meglio in stallo) sulla guerra d’Ucraina.Da sinistra: il vicepresidente statunitense JD Vance, la premier italiana Giorgia Meloni e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (foto via Imagoeconomica)Poco dopo l’elezione al soglio di Pietro, il papa ha espresso il desiderio di dare una nuova centralità al Vaticano come mediatore nei conflitti globali, pur senza menzionare direttamente il conflitto in Ucraina. Negli scorsi giorni, Leone XIV ha incontrato Volodymyr Zelensky e il numero due della Casa Bianca, JD Vance, accompagnato dal Segretario di Stato Marco Rubio. In quello che è stato sbandierato dal governo italiano come un successo politico per la premier, Vance si è confrontato anche con Ursula von der Leyen, che finalmente sembra venire presa in qualche considerazione da Trump.Il capo della diplomazia a stelle e strisce si aspetta che il Cremlino presenti i propri termini per un cessate il fuoco in breve tempo, “forse tra qualche giorno”. La proposta russa sarà a quel punto esaminata dall’amministrazione statunitense, sostiene Rubio, per determinare la “serietà” di Vladimir Putin rispetto ad un processo negoziale inceppato da mesi e che sta indispettendo non poco Washington, che ha già minacciato più volte di sfilarsi dalle trattative.Nonostante le dichiarazioni pubbliche di apertura a colloqui diretti con la dirigenza ucraina, i gesti concreti dello zar non lasciano intendere per ora alcuna disponibilità ad intavolare reali negoziati con Kiev. A dimostrarlo, sotto la luce del sole, ci sono i buchi nell’acqua collezionati finora negli incontri tra le delegazioni dei belligeranti: quello indiretto di Riad, lo scorso marzo, e quello diretto di Istanbul della scorsa settimana.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Del resto, non sembrano esserci grandi incentivi per Mosca per cessare le ostilità, almeno in questa fase. Sul campo, la situazione è favorevole all’esercito russo, mentre diplomaticamente il fronte degli alleati di Kiev si è scoperto particolarmente fragile da quando Trump ha deciso di prendere in mano personalmente la questione, mostrandosi esageratamente morbido nei confronti dell’aggressore e offrendo addirittura a quest’ultimo opportunità commerciali con gli Stati Uniti.Lo zar, peraltro, non ha mai riconosciuto esplicitamente la legittimità di Zelensky né dell’Ucraina come nazione sovrana e indipendente. Anzi, le richieste massimaliste che la squadra negoziale russa continua a mettere sul tavolo – tra cui “neutralizzazione” dello Stato ucraino, rinuncia all’adesione alla Nato e cessione de jure dei territori occupati alla Federazione – sembrano andare nella direzione opposta. Questo almeno il leitmotiv a Bruxelles, dove giusto ieri i Ventisette hanno dato il via libera al 17esimo pacchetto di sanzioni contro il Cremlino per continuare a “mettere pressione” su Putin.I had a good conversation with the President of the Council of Ministers of Italy @GiorgiaMeloni. As always, cool ideas.We discussed yesterday’s talks with President Trump and European leaders. We are coordinating our positions. Italy supports all efforts aimed at achieving a… pic.twitter.com/YdEl26IZ3g— Volodymyr Zelenskyy / Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) May 20, 2025Sia come sia, la diplomazia internazionale non vuole ancora darsi per vinta. La chiamata Meloni-Prevost è l’ennesima di un’incessante girandola di telefonate che sta facendo squillare freneticamente gli apparecchi delle cancellerie in molti Paesi. Da Tirana a Washington, da Bruxelles a Istanbul, da Londra a Varsavia, da Parigi a Helsinki, da Berlino a Kiev passando, appunto, per Roma e il Vaticano.“È stato concordato di mantenere uno stretto coordinamento tra i partner in vista di un nuovo ciclo di negoziati per un cessate il fuoco e un accordo di pace”, fa sapere Palazzo Chigi. Le dietrologie sui pasticci diplomatici tra alleati si sprecano e alimentano il dibattito politico nazionale (e non solo). I prossimi incontri, a sentire gli interessati, adotteranno formati “fluidi” e potranno prevedere geometrie variabili. Resta sempre da vedere quanto tali incontri siano in grado di avvicinare sul serio una soluzione diplomatica alla crisi che da 11 anni sta dilaniando il cuore dell’Europa.