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    Afghanistan, Borrell: “Presenza dell’UE a Kabul necessaria, ma in sicurezza”

    Bruxelles – Come impostare il dialogo con l’Afghanistan in mano ai talebani e come fare a evacuare tutte le persone che l’UE vuole e deve ancora evacuare. Su queste due questioni i ministri europei degli Esteri cercano la quadra, riuniti oggi (3 settembre) in un vertice informale di Gymnich a Kranj, in Slovenia, ospitato dall’attuale presidente di turno del Consiglio dell’UE.
    La crisi in Afghanistan irrompe nell’agenda e costringe l’alto rappresentate UE per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, ad ammettere che l’UE è decisa a impostare un dialogo “operativo” e costruttivo con i talebani, con la necessità di instaurare una “presenza” congiunta dell’UE a Kabul per coordinare e monitorare le operazioni. Il dialogo sarà basato su un “impegno operativo”, spiega Borrell, che in altre parole significa che sarà finalizzato ad ottenere una serie di condizioni: Kabul non potrà essere terreno fertile per lo sviluppo o la protezione di cellule terroristiche; serviranno progressi sul rispetto diritti umani, “in particolare per le donne” (sostiene Borrell) e sullo stato di diritto e la libertà dei media; la formazione di un governo di transizione attraverso negoziati con le altre forze politiche, che consenta anche libero accesso agli aiuti umanitari. C’è poi l’ultimo impegno richiesto ai talebani sul lasciar partire persone afgane e di nazionalità straniere che sono a rischio e sono rimaste lì. Cinque condizioni che elenca Borrell in una conferenza stampa improvvisata quando il Consiglio Gymnich non è ancora finito. Ben consapevole che se queste sono le “condizioni” messe sul tavolo da Bruxelles non è scontato che i talebani abbiano la stessa idea di come saranno le future relazioni con il Continente.
    Se un dialogo “mirato” è percepito come necessario, altrettanto dovuta è la presenza europea a Kabul per coordinare le operazioni e in qualche modo monitorare che queste condizioni siano rispettate. Lo dice chiaramente Borrell, confermando una serie di indiscrezioni uscite nei giorni scorsi su una “ambasciata” europea a Kabul. Il capo della diplomazia europea non parla espressamente di ambasciata, ma di “presenza congiunta dell’Unione Europea coordinata dal Servizio europeo per l’azione esterna” di cui è al timone. Per coordinare gli sforzi di evacuazione di chi resta da evacuare, “gli Stati membri decideranno su base volontaria se accogliere le persone” ma “abbiamo deciso di lavorare in coordinamento, per coordinare i nostri contatti con i Talebani, anche attraverso una presenza congiunta dell’UE a Kabul coordinata dal Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) se le condizioni della sicurezza sono soddisfatte”, ha precisato Borrell.

    Dialogo necessario e finalizzato “a un impegno operativo”, dice l’alto rappresentate UE, Josep Borrell, a margine della riunione Gymnich. Accordo tra i ministri degli Esteri per una presenza europea in loco per coordinare le operazioni di evacuazione, “se saranno soddisfatte le condizioni di sicurezza”

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    Afghanistan, Borrell: “L’UE deve imparare la lezione. A novembre presenteremo le nuove forze a impiego rapido”

    Bruxelles – “La crisi e l’evacuazione dall’Afghanistan hanno dimostrato che non avere un’autonomia strategica sul fronte militare ha un prezzo“. Le parole dell’alto rappresentanti UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, sono il riassunto di una giornata di discussioni tra i 27 ministri della Difesa europei. Dalla riunione informale di oggi (2 settembre) a Kranj, in Slovenia, è emersa la necessità di “imparare la lezione e unire le nostre forze e la nostra volontà di agire”. Tradotto: bisogna accelerare sulla preparazione delle forze europee di impiego rapido.
    “Se non fossimo stati costretti a dipendere da decisioni di altri attori, anche se alleati, avremmo potuto sviluppare la nostra strategia e le nostre azioni per l’evacuazione dall’aeroporto di Kabul”, ha sottolineato Borrell. “Abbiamo le risorse e dobbiamo metterle insieme, altrimenti non potremo mai seguire una nostra strada autonoma”. Lo strumento delineato dall’alto rappresentante è quello della Bussola strategica per la sicurezza e la difesa, che “sarà presentata e spero approvata non oltre il 16 novembre dal Consiglio Affari Esteri”.
    Da sinistra: il ministro della Difesa sloveno, Matej Tonin, e l’alto rappresentante UE, Josep Borrell (2 settembre 2021)
    Nonostante oggi in Slovenia non sia stata trovata l’unanimità sulla formazione delle forze europee di impiego rapido, sono state poste le basi per una discussione strutturata. Si tratterà di “alzare il livello di preparazione con esercitazioni militari comuni” e “implementare nuove missioni che coinvolgano circa 5 mila soldati“. Ai giornalisti che in conferenza stampa hanno chiesto spiegazioni sulle voci di una forza da 50 mila unità, l’alto rappresentante UE ha risposto che “non è mai stato nella nostra agenda, 5 mila è un numero realistico e sufficiente”.
    Per quanto riguarda la situazione in Afghanistan, Borrell ha ricordato i numeri dell’evacuazione: 17.500 persone, di cui 520 dello staff UE e relative famiglie. “Tutti i Paesi membri sono stati coinvolti, ma ora è necessario aumentare il nostro impegno a supporto dei cittadini afghani che non hanno potuto lasciare il Paese“. Persone che, ha specificato Borrell, “sono richiedenti asilo, non migranti. Dobbiamo usare le parole giuste e comportarci di conseguenza”. In questo senso si inserisce la volontà di “impegnarsi con il governo dei talebani in una discussione basata su condizioni“, vale a dire uno sforzo diplomatico per lo sviluppo dell’assistenza umanitaria e il rispetto dei diritti umani.
    Le reazioni
    A dare i dettagli sulla discussione di oggi è stato il ministro della Difesa sloveno e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Matej Tonin: “L’iniziativa non è stata attivata perché manca l’unanimità, ma stiamo discutendo di un meccanismo a maggioranza“. Dopo un lungo stallo, l’accelerazione è stata frutto della “lezione afghana”, ha confermato Tonin: la forza di 5 mila unità “sarà composta dai Paesi membri più volenterosi, ma potrà agire a nome dell’intera Unione“. Secondo quanto spiegato dal ministro, “sarebbero le istituzioni europee a decidere quando attivare le truppe”. La presidenza di turno slovena sostiene la visione di un’Unione “che sia attore globale attraverso una difesa efficace e una diplomazia unita, non solo con un’economia forte”.

    Alla riunione dei Ministri della Difesa UE. È il momento di accelerare su autonomia strategica Europa. Epilogo impegno in #Afghanistan ci spinge ad agire su #Difesa comune e attraverso lo #StrategicCompass è necessario definire azione concreta #UE in sinergia con #NATO pic.twitter.com/lMWxfsRTeH
    — Lorenzo Guerini (@guerini_lorenzo) September 2, 2021

    Tra i favorevoli al progetto c’è l’Italia, rappresentata oggi dal ministro Lorenzo Guerini. “La crisi afghana rappresenta per l’Unione Europea un nuovo monito a compiere l’auspicato salto di qualità nella sua dimensione di difesa e nella gestione delle crisi”, ha comunicato attraverso una nota al termine dell’incontro in Slovenia. “Sono convinto che lo Strategic Compass debba essere un documento ambizioso e concreto“.
    In conferenza stampa a Roma dedicate alle misure di prevenzione del COVID, oggi il premier Mario Draghi ha anche sottolineato che “l’Unione Europea indubbiamente è stata abbastanza assente in Afghanistan, perché su certi piani non è organizzata”. Per questo motivo “c’è molto da fare”, in un momento storico in cui “si ripensano tutte le relazioni internazionali”, ha aggiunto il capo del governo. “Io non credo all’abbandono e nell’isolazionismo”.
    Anche la Germania sostiene l’idea di un rafforzamento della sicurezza e della difesa dell’UE: “Se stiamo affrontando un indebolimento permanente dell’Occidente dipende dalle conclusioni che possiamo trarre dalla pesante sconfitta in Afghanistan”, ha commentato senza mezzi termini la ministra tedesca, Annegret Kramp-Karrenbauer. “La nostra credibilità dipenderà dall’essere in grado di agire in modo più indipendente in futuro, anche e soprattutto come europei”.

    Alla riunione informale dei ministri UE della Difesa l’alto rappresentante UE ha ricordato che “non avere un’autonomia strategica sul fronte militare ha un prezzo”. Si cerca l’approvazione della Bussola strategica per la sicurezza e la difesa anche senza unanimità

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    La crisi in Afghanistan riaccende il dibattito sulla difesa comune europea

    Bruxelles – La crisi afghana è il filo rosso che lega i due appuntamenti strategici che l’Unione Europea ha in programma per questa settimana: la riunione informale dei ministri della Difesa che si terrà domani e dopodomani (1°e 2 settembre) e quella sempre informale dei ministri degli Esteri (chiamata Gymnich) che si terrà giovedì 2 e venerdì 3 settembre. Non mancherà “una discussione comprensiva” su quanto è accaduto dopo il rapido ritiro delle truppe occidentali da Kabul la scorsa settimana e su quali opzioni sono oggi sul tavolo dell’Unione Europea che si dice pronta a un dialogo necessario con i talebani, che, nel bene e nel male, faranno parte del futuro dell’Afghanistan.
    Entrambe le riunioni dei ministri europei si terranno a Kranj, in Slovenia, ospitate dall’attuale presidente di turno del Consiglio dell’UE e saranno presiedute dall’alto rappresentante UE per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell. La crisi in Afghanistan e gli sviluppi delle relazioni dell’UE saranno sul tavolo del vertice Gymnich, ma la discussione si interseca alla questione su come dare all’Unione Europea una difesa comune, che non significa solo un proprio contingente militare, forze armate a disposizione degli Stati membri, ma anche una comune visione strategica delle minacce dell’UE. Cosa che finora non è riuscita proprio perché gli Stati membri hanno opinioni diverse su quali siano le minacce per l’UE, ognuno con le proprie priorità strategiche.
    La riflessione innescata dalla crisi afghana farà breccia domani e dopodomani nella riunione dei ministri della Difesa, nel quadro della discussione sullo ‘Strategic compass’, la cosiddetta ‘bussola strategica’ a cui gli Stati membri stanno lavorando per orientare la rotta comune sulle minacce prioritarie alla sicurezza europea nell’arco del prossimo decennio. La crisi afghana e l’evidente disimpegno di Washington nelle dinamiche internazionali costringono a un’accelerazione della discussione e hanno riaperto a Bruxelles e dintorni il dibattito sulla necessità di rafforzare la capacità militare dell’UE e della propria autonomia strategica.
    E’ una delle lezioni dalla crisi in Afghanistan che l’UE dovrebbe imparare, ha affermato Borrell in una recente intervista al Corriere della Sera, parlando di “fallimento del mondo occidentale” ma anche di un momento spartiacque per le relazioni internazionali. Spartiacque perché costringe a una riflessione e porterà a dei cambiamenti. I lavori sulla bussola strategica “sono in corso” e si concluderanno durante il semestre di presidenza francese, presumibilmente a marzo del 2022, anche se “una prima bozza sarà disponibile già a novembre”, assicura un funzionario dell’UE che si occupa dei lavori.
    La posizione del capo della diplomazia europea è chiara: Borrell crede che i governi dell’UE debbano portare avanti una forza di reazione rapida europea per essere meglio preparati alle crisi future, come è successo in Afghanistan. La discussione va avanti da tempo: dal 2007 l’UE si è dotata di una capacità di intervento rapido per la gestione delle crisi, il cosiddetto ‘EU battle group’, che consiste in gruppi tattici o unità militari multinazionali, generalmente composte da 1.500 persone ciascuna. Come ogni decisione relativa alla politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) dell’UE, il loro dispiegamento però è soggetto a una decisione unanime del Consiglio e quindi non sono mai stati dispiegati perché di fatto manca l’unanimità in Consiglio su quali siano le priorità di dispiegamento. Oltre a una chiara mancanza di una cultura della difesa europea, c’è il tema dei numeri. Borrell ha proposto di portare a 5.000 unità il numero, perché l’Unione Europea “dovrebbe essere in grado di sviluppare una forza militare europea”: l’aumento della capacità è una delle possibili modifiche sul tavolo dei negoziati tra gli Stati membri, di cui vedremo una prima bozza già a novembre.
    La capitolazione di Kabul nelle mani dei talebani sarà dominante, ma non l’unico argomento all’ordine del giorno. Sul tavolo dei ministri degli Esteri ci sarà anche una discussione sull’Iran e sui rapporti di Bruxelles con la Cina, mentre al centro dei colloqui tra i ministri della Difesa ci saranno anche gli altri impegni geostrategici dell’UE (in Libia, nei Balcani Occidentali e in Mozambico, per citare qualche priorità indicata da funzionari europei) e infine uno scambio di vedute con la NATO e l’ONU sulle future “aree comuni” di interesse strategico.

    Il futuro delle relazioni dell’UE con Kabul in mano ai talebani e il rafforzamento dell’autonomia strategica del Continente irrompono nell’agenda della riunione informale dei ministri europei della Difesa (1° e 2 settembre) e dei ministri degli Esteri Gymnich (2 e 3 settembre). Per il capo della diplomazia europea non c’è dubbio che sia arrivato il tempo di dotarsi di una propria forza militare comune

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    UE: “Pronti ad impegnarci con i talebani, ma il dialogo dipende da loro”

    Bruxelles – Con i talebani bisognerà avere a che fare, ma la qualità e la quantità del dialogo dipenderà da come i nuovi leader dell’Afghanistan affronteranno alcuni temi cruciali.
    Così un alto funzionario dell’Unione europea spiega le future relazioni che potranno svilupparsi con la nuova amministrazione del Paese asiatico: “Dovremo avere relazioni con i talebani, perché rappresentano una forza che è nel futuro dell’Afghanistan, che sarà centrale nel nuovo governo”. Però per l’UE il dialogo, la sua qualità, sarà strettamente legata alle scelte che i talebani faranno nei prossimi giorni, quando si installeranno al potere. “Noi vogliamo che scelgano di continuare nella scia di aperture degli ultimi 20 anni, nei riguardi delle donne, del rispetto dei diritti umani, della possibilità di lasciare il Paese per chi lo vorrà”, spiega la fonte. Se la strada sarà questa allora “potremo sviluppare dei rapporti, altrimenti potrebbe essere molto difficile, sta a loro decidere”.
    L’Unione vuole avere un ruolo “di aiuto – spiega il funzionario -, vogliamo svolgere un’azione di assistenza umanitaria, ma i nostri operatori devono poter essere liberi di agire”.
    A Bruxelles si aspetta dunque di vedere che governo si formerà, che programma avrà e ci sarà molta attenzione in particolare sui diritti delle donne, “sulla loro possibilità di accedere all’istruzione”. Insomma, la qualità del rapporto con l’Unione “dipende da loro, dai talebani”.

    “Con loro dovremo avere delle relazioni perché saranno al centro del nuovo governo. Ma dobbiamo capire come vogliono affrontare alcuni temi di diritti civili, come quelli delle donne”

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    Stati Uniti e Israele fuori dalla lista di Paesi a cui garantire viaggi “non essenziali” in UE

    Bruxelles – Poco più di due mesi. E’ il tempo che gli Stati Uniti hanno trascorso nella lista “bianca” dell’UE dei Paesi a cui eliminare le restrizioni ai viaggi anche non essenziali in Europa.
    Quando ormai la stagione turistica è agli sgoccioli, gli ambasciatori europei riuniti al COREPER (sede delle rappresentanze permanente dei Paesi Ue) hanno raccomandato agli Stati membri di vietare l’ingresso nei Paesi europei per ragioni “non essenziali” a persone che arrivano dagli USA, facendo marcia indietro rispetto a quanto stabilito lo scorso 18 giugno. Gli ambasciatori dell’UE hanno aggiornato oggi (30 agosto) la lista dei Paesi a cui rimuovere le restrizioni ai viaggi in Europa anche per ragioni non essenziali.

    #COVID19 | @EUCouncil updated the list of countries & entities for which travel restrictions should be lifted. Removed from the list: 🇮🇱🇲🇪🇲🇰🇽🇰🇱🇧🇺🇲
    The criteria cover epidemiological situation & overall response, as well as reliability of available data.https://t.co/tBMwUMshXe
    — EU2021SI (@EU2021SI) August 30, 2021

    Insieme agli Stati Uniti, vengono rimossi dall’elenco dei Paesi a cui garantire l’ingresso anche per motivi “non essenziali” Israele, Kosovo, Libano, Montenegro e Macedonia del Nord. Ufficialmente, a pesare sulla rimozione di questi Paesi è il peggioramento della loro situazione epidemiologica, dovuta alla diffusione della variante Delta del Coronavirus. Secondo le regole del Consiglio, per essere nella lista – che viene controllata e aggiornata ogni 14 giorni – un Paese deve registrare meno di 75 casi di COVID-19 al giorno ogni 100 mila abitanti registrati negli ultimi 14 giorni, mentre gli Stati Uniti – ci chiariscono fonti dell’UE – ne contano circa 500 al giorno.
    I viaggi non essenziali sono stati vietati nell’UE dopo lo scoppio della pandemia di Coronavirus per evitare ulteriori contagi, ma la lista viene costantemente aggiornata. Nonostante a giugno l’Unione Europea avesse raccomandato ai governi di garantire i viaggi non essenziali dagli Stati Uniti per il miglioramento della condizione epidemiologica, ma anche per rivitalizzare il settore turistico europeo, gli Stati Uniti non hanno mai fatto altrettanto nei confronti dei Paesi europei, mantenendo complicati i viaggi negli Stati Uniti.
    Il Consiglio chiarisce che non c’è alcun legame tra la decisione di rimuovere gli Stati Uniti e la mancata reciprocità verso l’UE, nonostante Bruxelles abbia continuato a lavorare sul fronte diplomatico per convincere Washington a fare altrettanto. Rispondendo a una domanda al briefing con la stampa, un portavoce della Commissione europea ha confermato che l’esecutivo “segue molto da vicino la questione dei viaggi dei cittadini europei verso gli Stati Uniti e viceversa”. La questione della mancata reciprocità è stata uno degli argomenti affrontati dalla commissaria agli Affari interni dell’UE, Ylva Johansson, nel suo incontro di oggi (30 agosto) con il segretario di Stato alla Sicurezza, Alejandro Mayorkas.
    La lista aggiornata dal Consiglio è solo una raccomandazione nei confronti dei governi nazionali, che decidono in autonomia sulle loro frontiere. Attualmente nella “lista bianca” figurano: Albania, Armenia, Australia, Azerbaigian, Bosnia ed Erzegovina, Brunei Darussalam, Canada, Giappone, Giordania, Nuova Zelanda, Qatar, Repubblica di Moldova, Arabia Saudita, Serbia, Singapore, Corea del Sud, Ucraina, Cina (previa conferma di reciprocità).

    Il Consiglio dell’UE aggiorna la lista dei Paesi terzi per i cui residenti si possono a rimuovere gradualmente le restrizioni di viaggio e toglie USA, Israele, Kosovo, Libano, Montenegro e Macedonia del Nord. A pesare il peggioramento delle condizioni epidemiologiche con la risalita delle infezioni dovute alla variante Delta

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    Mattarella, atto d’accusa ai Paesi UE: sconcertante negare accoglienza agli afgani

    Roma – Sconcertante. Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è diretto e mette i Paesi europei di fronte alle responsabilità e rispetto dei principi dell’Unione, togliendo quel velo di ipocrisia che in questi giorni ha accompagnato la crisi afgana vista da Bruxelles.
    E ciò che si registra “appare sconcertante” dice il capo dello Stato, riferendosi alla “grande solidarietà nei confronti degli afghani che perdono libertà e diritti ma che rimangano lì, non vengano qui perché se venissero non gli accoglieremmo. Questo non è all’altezza del ruolo storico, dei valori dell’Europa verso l’Unione”.
    Parole pesanti pronunciate a Ventotene dove sono le radici dell’Unione europea e dove in questo fine settimana è stato celebrato l’ottantesimo anniversario del manifesto che dall’isola prende il nome, scritto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel 1941. Un evento organizzato come di consueto insieme al seminario dei federalisti europei e che coinvolge decine di studenti e giovani oggi impegnati anche nel dibattito della Conferenza del futuro dell’Europa.
    Mattarella a Ventotene rende omaggio alla tomba di Altiero Spinelli
    L’atto d’accusa di Mattarella non passerà inosservato nelle cancellerie europee nei giorni in cui i limiti e i vincoli della politica estera dell’Ue appaiono in tutta la loro sconsolante chiarezza. La crisi in Afghanistan ha rimesso in agenda ciò che viene sistematicamente negato sulle politiche migratorie e Mattarella invoca un’UE “che deve avere finalmente una voce unica, sviluppare un dialogo collaborativo con le altre parti del mondo e particolarmente con l’Africa”. Risponde ai giovani del seminario federalista e spiega la necessità di governare e gestire il fenomeno “in maniera ordinata, accettabile e legale senza far finta di vedere quel che avviene per ora, così da non essere in poco tempo travolti da un fenomeno ingovernabile, incontrollabile”.
    La sostanza del messaggio è che diritti umani e democrazia non possono essere evocati a corrente alternata ed è appunto “sconcertante” l’indifferenza di fronte al dramma causato dal ritiro dell’alleanza e delle istantanee di un gigantesco esodo di civili afgani.  Un punto su cui oltre al tema delle migrazioni si innesta “la scarsa capacità di incidenza dell’UE, totalmente assente degli eventi e invece servono strumenti reali ed efficaci di politica estera e di difesa”. Ancora parole molto nette, arrivate in diretta alle orecchie di Josep Borrell, alto rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza, e Guy Verhofstadt, co presidente della Conferenza per il futuro dell’Europa.
    Bene la Nato ma “all’Europa è richiesta una maggiore presenza e una voce sola nella politica estera e di difesa”, dice Mattarella che di questi temi con Borrell ha parlato dopo l’incontro pubblico anche a pranzo.
    In un’intervista al Corriere della Sera, l’alto rappresentante torna sul punto, sui rapporti tra UE e la Nato e gli Stati Uniti, spiegando che quella in Afghanistan “non è stata una guerra solo americana” e che dunque anche l’Europa ha una parte delle responsabilità. Quanto ai rapporti con l’Alleanza atlantica, Borrell spiega che “come europei dobbiamo imparare da questa crisi a lavorare di più insieme e rafforzare l’idea dell’autonomia strategica”. Poi ricorda che Biden è stato chiaro, “gli Stati uniti non sono più disposti a combattere guerre di altri” e dunque l’Ue deve essere in grado di intervenire per proteggere i propri interessi quando gli americani non vogliono essere coinvolti”.

    Il capo dello Stato ospite delle celebrazioni per l’80° anniversario del Manifesto di Ventotene, sferza l’Europa sulle politiche migratorie e chiede impegno concreto sulla politica esterea e di difesa. Borrell: “Impariamo dalla crisi, dobbiamo rafforzare l’autonomia strategica per poter intervenire da soli”

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    Un G20 straordinario per la crisi afgana. Draghi incontra il ministro russo Lavrov che chiede un vertice allargato a Iran e Pakistan

    Roma – Un G20 straordinario sulla crisi afgana. Dopo gli scarsi risultati dei sette grandi la presidenza italiana ci prova, nella speranza che con una formula più allargata si possa trovare uno spazio più condiviso. E la tappa di oggi (27 agosto) del ministro degli esteri della Federazione Russa Sergei Lavrov a Roma è stato un primo tassello, colloquio seguito da una telefonata tra il premier Mario Draghi e il primo ministro indiano Narendra Modi. Per un vertice straordinario servono certamente molti altri avvalli, tra cui quello della Cina. L’Italia sarebbe favorevole a una formula più ampia che comprenda anche alcuni inviti strategici come Iran e Pakistan, come ha rivelato il ministro russo Lavrov.
    “Il G20 rappresenta sicuramente la possibilità di intensificare la collaborazione fra i diversi Paesi e a differenza del formato G7, riflette la realtà multipolare del nostro mondo” ha detto il politico russo subito  dopo il colloquio alla Farnesina con il ministro italiano Luigi Di Maio. Conscio delle difficoltà in questa fase acuta della crisi ha detto che “le soluzioni congiunte non sono mai semplici ma la questione afgana “ci invita unire in nostri sforzi”. La preoccupazione della Russia è rivolta in modo particolare alla lotta al terrorismo e alla sicurezza dei confini, e va in questa direzione la richiesta di coinvolgimento dei Paesi alleati di Mosca, che più di altri risentiranno di una mancata stabilizzazione dell’area e del flusso dei profughi.
    Stabilizzazione tra gli obiettivi prioritari elencati anche da Mario Draghi per garantire la sicurezza del Paese e su scala regionale, “affrontare l’emergenza umanitaria e vegliare sul rispetto dei diritti umani, in particolare delle donne”.
    In questa fase è necessario uno “stretto coordinamento internazionale” ha sostenuto Di Maio, al termine del colloquio con il capo della diplomazia di Mosca, confermando che in questo contesto “il dialogo con la Russia è imprescindibile”, definendola “un attore fondamentale”.

    Durante i due distinti colloqui a Palazzo Chigi e alla Farnesina, si è discusso anche della questione libica per la quale Italia ritiene necessario “proseguire con il dialogo politico promosso a Ginevra dalle Nazioni Unite anche in vista delle elezioni di fine dicembre e della necessità di un rapido ritiro delle forze straniere dal Paese” con un chiaro riferimento anche al coinvolgimento della Russia e della Turchia.
    Restano ancora distanze profonde sulla questione Ucraina e sul caso Navalny. Lavrov ha ribadito che “è il governo di Kiev a non rispettare gli accordi di Minsk”, e ha rivendicato ancora una volta la libera scelta delle popolazioni della Crimea. Tra Mosca e l’Unione Europea resta dunque un solco profondo anche se il tema delle sanzioni è rimasto fuori dai colloqui odierni. Per quanto riguarda Alexej Navalny, Di Maio ha ricordato a Lavrov la “preoccupazione dell’Italia per l’oppositore del governo di Mosca “al quale devono essere applicate le legittime garanzie e la tutela dei “diritti fondamentali”.

    Russia disponibile a sostenere una proposta che rifletta un contesto multipolare al contrario del G7. Di Maio: Russia attore fondamentale ma con Mosca restano le distanze su Ucraina e caso Navalny

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    Afghanistan, ultime ore degli europei a Kabul. Da Roma a Berlino, chiusi in fretta i ponti aerei

    Bruxelles – Mantenere aperto e al sicuro il passaggio all’aeroporto di Kabul per portare a termine le operazioni di evacuazione, di civili e contingente militare. E’ stata questa una delle principali priorità dei leader europei nella notte tra giovedì 26 e venerdì 27 agosto, dopo essersi impegnati a portare avanti le operazioni di evacuazione della capitale afghana nonostante ma anche soprattutto a causa dell’attentato terroristico che ieri ha scosso l’aeroporto di Kabul. Facendo concludere vent’anni di presenza occidentale sul territorio afghano nel peggiore dei modi possibili.
    L’attentato è stato rivendicato ieri (26 agosto) dalla divisione afghana dell’ISIS, lo Stato islamico, e ha causato la morte di almeno 13 marines statunitensi e una settantina di civili afghani. La scadenza per il ritiro da Kabul era comunque fissato al 31 agosto su volere di Joe Biden, presidente statunitense, e i Paesi europei avevano evacuato gran parte dei propri cittadini, dei civili afghani che hanno collaborato con le truppe occidentali e la forze NATO ma anche coloro ritenuti vulnerabili al punto da portarli nel Continente.
    Avevano messo in conto che le prossime 24/36 ore sarebbero state decisive per portare a termine le operazioni con largo anticipo rispetto alla data del 31 agosto, per dare modo anche al contingente militare di andare via in sicurezza. Come prevedibile, la minaccia di nuovi attentati terroristici ai danni dell’aeroporto – unica via di fuga attraverso un “canale” occidentale (per ora) – ha ulteriormente accelerato la situazione. Uno dopo l’altro, tra ieri e questa mattina, i Paesi europei e la stessa Unione europea stanno mettendo fine alle operazioni con il sostegno della NATO, dando priorità a evacuare il maggior numero di persone in sicurezza il più rapidamente possibile.
    Ultimo C-130 da Kabul per l’Italia con a bordo il console Tommaso Claudi (in foto il terzo da sinistra)
    Si chiude oggi il ponte aereo italiano con l’Afghanistan, con la partenza dell’ultimo volo da Kabul. “Tutti gli italiani che volevano essere evacuati sono stati evacuati dall’Afghanistan assieme a circa 4.900 cittadini afghani”, ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, a margine dei colloqui a Roma con l’omologo russo Sergej Lavrov. Ha confermato che “nelle prossime ore partirà da Kabul l’ultimo aereo C-130 dall’aeroporto di Kabul con a bordo il console italiano Tommaso Claudi e l’ambasciatore Stefano Pontecorvo che coordina per conto della Nato le operazioni allo scalo afghano e tutti i militari che hanno contribuito alle operazioni di evacuazione”.
    Già concluse le operazioni per la Spagna: “Questa mattina (27 agosto) è atterrato a Dubai l’ultimo volo di evacuazione spagnolo con il personale e i collaboratori rimasti in Afghanistan fino all’ultimo minuto per rendere possibile questa missione di rimpatrio”, ha fatto sapere il premier spagnolo Pedro Sanchez. Da Madrid arriva la promessa di non volere lasciare solo il popolo afghano, quello rimasto lì. “Rimaniamo impegnati a difendere i diritti umani e la libertà nel Paese, cercando modi per aiutare a evacuare il maggior numero di persone che hanno collaborato con la Spagna e la comunità internazionale”, ha aggiunto.
    Promessa simile arriva dalla cancelliera tedesca Angela Merkel. Berlino promette assistenza anche oltre 31 agosto, anche se la Germania ha concluso già ieri le operazioni militari di evacuazione. “Non dimenticheremo coloro che non hanno potuto essere portati in salvo attraverso il ponte aereo [militare]”, ha detto Merkel. “Continueremo gli sforzi in modo che possano andarsene”. Berlino stima in 5.347 le persone evacuate dal 16 agosto, compresi più di 4.000 cittadini afgani mentre il ministro tedesco degli Esteri, Heiko Maas, conferma che Berlino sta lavorando per trovare altre vie, che non siano il ponte aereo, per evacuare “quelli in Afghanistan per i quali abbiamo una sorta di responsabilità”.
    Oltremanica, il premier britannico Boris Johnson ha fatto sapere ieri che le operazioni guidate da Londra per portare via circa 15mila persone (per lo più afgani, ma anche britannici e alcuni altri occidentali) erano agli sgoccioli. Secondo il Guardian, il premier conservatore ha confermato che la “grande maggioranza” degli afgani che hanno collaborato con Londra è stata ora portata in salvo nel Regno Unito, ma ha anche sottolineato che questa è solo la “prima fase” del processo, e che se dovesse esserci bisogno di lasciare l’Afghanistan dopo il 31 agosto, allora bisognerà trovare il modo di farlo.
    La Francia aveva programmato la fine delle evacuazioni da Kabul questa sera, dopo aver già evacuato dall’Afghanistan oltre 2mila afghani e un centinaio di francesi da quando l’operazione ha preso il via la scorsa settimana. Il governo dei Paesi Bassi ha anticipato a ieri sera il rimpatrio di tutti i cittadini olandesi presenti in Afghanistan, dopo aver evacuato già 1.200 persone, ma centinaia di cittadini olandesi e afgani che hanno lavorato per le forze armate olandesi stanno ancora aspettando di lasciare il Paese. Anche la Polonia ha chiuso ieri la sua missione di evacuazione da Kabul, dopo aver trasportato più di 1.300 persone, ha detto il viceministro degli Esteri Marcin Przydacz, sottolineando che la missione “organizzata per i polacchi e per i collaboratori dalla Polonia” si è conclusa “per motivi di sicurezza”.
    Conclusa ieri anche la missione del Belgio, della Danimarca e dell’Ungheria, dopo aver trasportato in aereo circa 540 persone tra cittadini ungheresi, afgani e le loro famiglie che in precedenza avevano lavorato per le forze ungheresi. Mentre in Svezia sono arrivate nella mattina di oggi le parole del ministro del ministro degli Esteri svedese, Ann Linde, secondo cui “in tutto circa 1.100 persone sono state evacuate dal ministero degli Esteri. Tutto il personale dell’ambasciata impiegato a livello locale e le loro famiglie sono state evacuate”, ha detto.
    Le operazioni dell’Unione Europea
    Accanto al lavoro che singolarmente stanno svolgendo i Paesi europei per chiudere in sicurezza il ponte aereo, c’è quello che sta facendo l’Unione Europea per portare a casa lo staff che è rimasto ancora su territorio e chi ha collaborato con la delegazione europea negli anni. Secondo Peter Stano, portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna che fa capo a Josep Borrell, la maggior parte dello staff europeo è stato tutto evacuato da Kabul, tranne una piccolissima quantità di persone che è rimasta lì per aiutare con gli sforzi di evacuazione in corso.
    Per ragioni di sicurezza, parlando con la stampa Stano non ha rivelato quante siano le persone ancora a Kabul. Quanto invece al personale locale che ha lavorato per la delegazione dell’UE a Kabul, sono circa 400 le persone – compresi i membri della famiglia – che Bruxelles è riuscita portare via da lì, anche se restano ancora alcune persone che è nell’interesse di Bruxelles far fuggire. La promessa nelle parole di Stano è che l’UE “rimarrà lì per tutto il tempo necessario”, fino a quando ce ne sarà bisogno. Oggi, alla luce delle violenze di ieri, arriva la conferma che il team dell’UE è ancora a lavoro per fornire il supporto necessario in questa operazione. “Non stiamo lasciando indietro il nostro personale nazionale afgano in Afghanistan , con l’aiuto dell’UE continuano a raggiungere un rifugio sicuro in Europa”, si legge in un tweet dell’account del meccanismo europeo di protezione civile e aiuto umanitario.

    We are not leaving our national Afghan staff behind in #Afghanistan, with help of the EU they continue to reach safe haven in Europe. Our EU team is working hard to provide them with the necessary support on this journey.
    📷 @FcoSerrato pic.twitter.com/v0xy0K7sWG
    — EU Civil Protection and Humanitarian Aid 🇪🇺 (@eu_echo) August 27, 2021

    Da più parti, come è evidente, è arrivata la promessa di continuare a fornire assistenza a chi, pur avendone pieno diritto, non è riuscito a salire su un volo per la salvezza. Il problema è capire come. Un dibattito su come organizzare un piano di assistenza umanitaria per chi non è riuscito a salire su quei voli – e che non contempli solo la gestione di emergenza migratoria che l’Europa si aspetta – dovrebbe arrivare proprio in sede europea, incapace finora di trovare un comune punto di vista sulla politica estera e di difesa. La presidenza di Slovenia, di turno alla guida dell’UE, ha convocato per la prossima settimana un Consiglio straordinario dei ministri responsabili per gli Affari Interni che avrà luogo il 31 agosto, nel giorno fissato per evacuare Kabul ma che presumibilmente troverà una Kabul ormai vuota dalla presenza occidentale.

    Da molti leader europei la promessa di fornire assistenza ai cittadini afghani che non riusciranno a imbarcarsi sugli ultimi voli prima della scadenza del 31 agosto, ma senza una vera proposta su come farlo. Settimana prossima previsto un Consiglio Affari interni straordinario per affrontare insieme l’emergenza