Bruxelles – È da sempre uno dei temi più caldi sui tavoli delle istituzioni dell’Unione Europea, caldissimo dal febbraio 2022. La politica estera comune tra i Ventisette si ritaglia un ruolo da protagonista nella campagna elettorale in vista del voto del 6-9 giugno per il rinnovo del Parlamento Ue, come emerge da tutti i programmi delle famiglie politiche europee (fatta eccezione per Identità e Democrazia che ha scelto di non adottarne uno comune per i partiti aderenti). Dalla guerra russa in Ucraina, che ha stravolto la concezione di sicurezza e del ruolo dell’Ue nel mondo dopo la pandemia Covid-19, alla crisi nel Medio Oriente e il continuo assedio di Israele alla Striscia di Gaza, senza dimenticare il gigante cinese che non ha mai smesso di preoccupare l’Unione e i suoi Paesi membri. Con una parola che risuona in (quasi) tutti i programmi elettorali, seppur con declinazioni e implicazioni differenti: pace.
Il Ppe tra sostegno all’Ucraina e un ministro degli Esteri Ue
Il Manifesto del Partito Popolare Europeo (Ppe) per le elezioni europee del 2024 esordisce in modo paradigmatico sul fronte della politica estera: “La nostra Europa è al fianco dell’Ucraina“. Rimane centrale la prosecuzione e l’amplificazione del sostegno “politico, economico, umanitario e militare, per tutto il tempo necessario”, nell’ottica che Kiev “deve vincere la guerra”. Dal momento in cui la guerra in Ucraina “è direttamente collegata alla sicurezza europea”, per i popolari europei Kiev dovrebbe di conseguenza “diventare membro dell’Ue e della Nato non appena soddisfa tutti i criteri”. Parallelamente dovrà essere “ulteriormente” rafforzata la portata del regime di sanzioni contro la Russia di Vladimir Putin e contro l’elusione delle stesse sanzioni, “dove e quando necessario”. A questo proposito, sul piano globale il Ppe chiede di “abbandonare il principio dell’unanimità nel campo delle sanzioni dell’Ue contro i regimi totalitari nel mondo”.
Ma la proposta più significativa è quella di “sostituire l’alto rappresentante con un ministro degli Esteri dell’Ue, in qualità di vicepresidente della Commissione Europea“, che collaborerebbe “strettamente” con gli omologhi nazionali e con un “Consiglio di sicurezza europeo composto dai leader degli Stati membri dell’Ue e di altri Paesi europei, tra cui “almeno Regno Unito, Norvegia e Islanda”. Breve il passaggio sul conflitto in Medio Oriente – senza alcun riferimento a Israele o alle possibili soluzioni alla crisi – che rimanda solo alle “enormi sfide sulla scena mondiale” e alla “recente instabilità causata dal regime iraniano”. Tra Cina e Taiwan, Russia e Bielorussia, Africa, America Latina, regione mediterranea e Medio Oriente è richiesta una “strategia a lungo termine” e la definizione degli “interessi dell’Europa per avere una politica estera coerente in cui tutti gli Stati membri devono essere considerati e i loro interessi tutelati”. Più corposo il paragrafo su Cipro e la necessità di “superare lo stallo e riprendere i negoziati per porre fine all’occupazione da parte della Turchia”, spingendo per una riunificazione dell’isola “sulla base di una federazione bizonale bicomunale, con parità politica”.
Il Pes tra pace e cooperazione internazionale
“L’Ue deve parlare con una sola voce nelle questioni di politica estera e passare a decisioni più maggioritarie in alcune questioni politiche“, esordisce così il capitolo sulla politica estera nel Manifesto del Partito del Socialismo Europeo (Pse) per le elezioni europee 2024, senza mettere esplicitamente nero su bianco l’urgenza di abbandonare l’unanimità in Consiglio su alcune questioni (come le sanzioni). Parallelamente al rafforzamento del “ruolo diplomatico e politico dell’Ue sulla scena globale”, i socialisti europei spingono per “risolvere i conflitti di lunga data in tutto il mondo e in Europa, compreso quello di Cipro”, ma sulla questione ucraina non ci sono margini di dubbio: “Manteniamo il nostro incrollabile sostegno all’Ucraina, fornendo assistenza politica, umanitaria, finanziaria e militare per tutto il tempo necessario”, con gli obiettivi finali del “ripristino della sua integrità territoriale” e il raggiungimento di una pace “giusta e sostenibile”.
Per quanto riguarda l’ordine multilaterale e la pace, il Pes si sofferma sul lavoro necessario per “porre fine ai conflitti, all’instabilità e alle tragedie umanitarie in Medio Oriente”, in particolare attraverso una “conferenza di pace internazionale per raggiungere un’equa soluzione a due Stati tra israeliani e palestinesi che rispetti i diritti e i doveri dei due popoli”. Nel frattempo sono richieste iniziative per un cessate il fuoco “sostenibile”. Le relazioni con la Cina richiedono di essere “riequilibrate”, da una parte “promuovendo i nostri valori e proteggendo i nostri interessi” e dall’altra “collaborando ulteriormente per affrontare le questioni globali più urgenti”. L’attenzione è focalizzata anche sulla costruzione di “un nuovo partenariato tra pari” con il Sud globale, un partenariato euromediterraneo “rilanciato” e una “nuova agenda progressista Ue-America Latina”, tutti che includano “un forte sostegno all’Organizzazione internazionale del lavoro”.
Renew Europe e l’Alleanza Globale delle Democrazie
In vista delle europee di giugno la politica estera trova spazio anche tra le 10 priorità di Renew Europe. “Oggi i regimi autocratici di tutto il mondo affermano con orgoglio di essere qui per restare, attaccano le democrazie e sono pronti ad affermarsi”, è l’avvertimento dei liberali europei a proposito delle speranze tradite del liberalismo, della democrazia e del libero mercato dopo la Guerra Fredda. Il contrattacco parte da un’unione delle democrazie “per difendere i loro obiettivi comuni al di là degli interessi geografici“. In altre parole – seppur senza maggiori dettagli a riguardo – Renew Europe intende costruire “un’Alleanza Globale delle Democrazie che rafforzi l’influenza globale dell’Ue al fine di promuovere i nostri valori”, sulla base di “partenariati con Paesi che la pensano allo stesso modo”.
I Verdi e il contratto di pace per l’Europa
“L’invasione russa su larga scala dell’Ucraina è stata un punto di svolta nella storia del nostro continente e del mondo, viola le regole del diritto internazionale, della pace e della sicurezza”, recita il Manifesto del Partito Verde Europeo per le europee 2024, in apertura del lungo capitolo sulla politica estera. Incrollabile la solidarietà verso Kiev – “la lotta del popolo ucraino per la libertà, la pace e l’adesione all’Unione Europea è la nostra lotta” – ma lo sguardo si allarga oltre, ai “dolorosi conflitti infuriano in Medio Oriente, nel Caucaso, nel Sahel e nell’Africa centrale”. L’esortazione all’Ue è di essere “un attore forte”, ma in linea con la sua natura di “progetto di pace”. In questo contesto si inserisce la proposta per il post-elezioni europee di un “contratto di pace” per l’Europa, in cui assume particolare risalto il “nesso clima-sicurezza”, per fare in modo che “la transizione verde dell’Europa sia uno strumento geopolitico e una responsabilità globale” e che gli interventi miliari siano “sempre e solo l’ultima risorsa”.
Ampio spazio al conflitto in Medio Oriente, per cui i Verdi europei spingono l’Ue verso un “rilancio dei negoziati politici per una soluzione a due Stati, basata su confini sicuri e concordati”, dal momento in cui una pace “duratura” nella regione richiede “risultati negoziali che rispettino il diritto di Israele e della Palestina di esistere come Stati democratici e sovrani e del popolo palestinese di avere una propria casa“. La politica estera nel programma elettorale dei Verdi europei include una forte indicazione a non “compiacersi della dipendenza economica dai regimi autoritari” come la Russia di Putin: “Faremo in modo che l’Europa non commetta di nuovo lo stesso errore con altri regimi bellicosi nel mondo”. Non di poco conto il fatto che subito dopo venga citata la “minaccia rappresentata dalla Cina nei confronti di Taiwan, che mette a repentaglio la pace e la sicurezza internazionale“. In risposta viene richiesta “una politica europea attiva, chiara e comune”, ma senza negare che “l’interdipendenza è un fattore chiave per un sistema internazionale pacifico e per una giusta transizione globale”.
Ecr per una politica estera “sfumata”
Le parole-chiave per la politica estera del Partito dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr) è “sicurezza”, ma anche “sfumata”. Così recita il capitolo apposito del Manifesto in vista delle elezioni europee di giugno, su uno dei temi più delicati per l’Unione Europea: “Nel gestire le relazioni con la Cina, Ecr assume una posizione sfumata“. Da un parte viene riconosciuta la “necessità di un impegno” anche per “affrontare le violazioni dei diritti umani”, ma dall’altra si vuole “sostenere legami più forti con Taiwan e altri partner affini nella regione del Pacifico”. Nessun riferimento alla guerra russa in Ucraina, trattata nell’ambito della difesa europea, mentre una politica “più assertiva” viene invocata nei confronti dell’Iran, “concentrandoci sui suoi programmi nucleari e sul terrorismo sponsorizzato dallo Stato”. Oltre a una cooperazione più stretta “tra l’Ue, l’Occidente globale e il Regno Unito”, i conservatori europei si distinguono per la “priorità” della “protezione dei cristiani perseguitati in tutto il mondo” e della “difesa della libertà religiosa”, nonostante anche in questo caso rimanga un velo di ambiguità: “Il nostro approccio alla promozione dei nostri interessi comuni è ricco di sfumature”.
La Sinistra tra rifiuto della guerra e sanzioni a Russia-Stati Uniti
“Pace” è il principio-cardine su cui si basa tutto il capitolo sulla politica estera del Manifesto del Partito della Sinistra Europea verso le europee di giugno. Non di poco conto è la condanna netta all’aggressione militare russa contro l’Ucraina, “che è un crimine secondo il diritto umanitario internazionale”, e la definizione dei “passi immediati” per mettere fine alla guerra: “Il ritorno al tavolo dei negoziati, un cessate il fuoco e il ritiro di tutte le truppe russe dall’Ucraina“. Il sostegno alle sanzioni contro “il complesso militare-industriale russo” offrono un ponte tra il tema della guerra in Ucraina e quella in Medio Oriente: “Chiediamo sanzioni contro il complesso militare-industriale statunitense per aver sostenuto l’aggressione del governo dello Stato di Israele“, oltre a misure restrittive verso Israele. “Un cessate il fuoco immediato, la fornitura di aiuti umanitari alla popolazione di Gaza e il ritiro immediato di Israele da tutti i territori che occupa” sono le richieste della Sinistra europea, che non perde di vista le “altre 22 guerre” in corso nel mondo: “Stiamo vivendo una ‘guerra mondiale a rate’, che potrebbe rapidamente degenerare in un disastro nucleare mondiale”.
Tra le proposte per evitare che l’Europa diventi “l’arena di una nuova guerra fredda e di una corsa agli armamenti” c’è l’inserimento del rifiuto della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali tra i principi fondamentali dell’Ue, “niente nuove armi nucleari” sul continente e l’assunzione della “responsabilità della propria sicurezza in modo autonomo e indipendente dagli Stati Uniti”. Da segnalare anche il sostegno alle “aspirazioni del popolo irlandese a riunire la propria nazione divisa dal colonialismo britannico” e “la fine dell’occupazione turca di Cipro e la riunificazione del Paese”. La politica estera della Sinistra prende in considerazione anche la “cancellazione del contratto sul gas tra l’Ue e l’Azerbaigian“, un’azione contro l’embargo “economico, finanziario e commerciale” ai danni di Cuba, la fine dell’aggressione turca ai danni del popolo curdo e la condanna dell’occupazione del Sahara occidentale da parte del Marocco. Ampio spazio viene riservato infine alle questioni del “co-sviluppo e non dominazione” nelle relazioni con il resto del mondo: “Chiediamo all’Ue di rompere con il suo stile di dominio neocoloniale e di rilanciare su nuove basi le sue relazioni commerciali e finanziarie con il Sud globale”, basate sulla “cancellazione degli accordi di libero scambio” (a livello Ue) e del “debito Covid” (a livello di Stati membri) e sulla “creazione di un Fondo europeo per il co-sviluppo ecologico e sociale, finanziato dalla Bce”.