Bruxelles – Si respira l’aria dei momenti storici nel Caucaso meridionale. Armenia e Azerbaigian sembrano sul punto di stipulare un accordo di pace che metterebbe fine a quasi 40 anni di conflitto nella martoriata regione, centro delle mire di diversi attori internazionali. I dettagli dell’intesa non sono stati resi pubblici, ma rimangono ancora degli ostacoli sulla strada della piena pacificazione e della normalizzazione diplomatica tra le due capitali.
L’annuncio dell’intesa
I ministri degli Esteri di Yerevan e Baku hanno dichiarato ieri (13 marzo) di aver raggiunto un accordo di principio sui termini sostanziali di un trattato di pace, col quale i due Paesi caucasici potrebbero voltare pagina su un aspro conflitto che va avanti da 37 anni ed ha causato decine di migliaia di morti nonché lo sfollamento di centinaia di migliaia di persone da entrambe le parti. Non è tuttavia stato fornito un calendario preciso per la stipula dello storico accordo, che rimane di fatto ancora in sospeso.
Jeyhun Bayramov, titolare della diplomazia azera, è stato il primo ad annunciare che i negoziati sul testo dell’accordo erano stati completati: “Il processo negoziale sul testo dell’accordo di pace con l’Armenia si è concluso”, ha dichiarato ieri. Poco dopo, il suo omologo armeno Ararat Mirzoyan ha confermato che “l’accordo di pace è pronto per la firma“. Secondo fonti armene, Yerevan aveva proposto di redigere una dichiarazione congiunta ma Baku avrebbe unilateralmente deciso la fuga in avanti.
Sia come sia, l’accordo ha permesso di trovare la quadra relativamente agli ultimi due punti contesi tra i 17 discussi di recente tra le parti, che dalla fine della scorsa estate si stavano muovendo verso una ricomposizione politica della crisi decennale. Si tratta nello specifico dell’espulsione degli osservatori internazionali (inclusi quelli dell’Ue) dislocati lungo il confine tra i due Paesi – attualmente chiuso e fortemente militarizzato – nonché dell’abbandono delle cause legali in corso nelle sedi multilaterali.
“Ci congratuliamo con entrambe le parti”, si legge in un comunicato del Servizio europeo di azione esterna (Seae), la Farnesina dell’Ue. “È fondamentale mantenere questo slancio e garantire il completamento senza intoppi di questo processo con lo stesso approccio lungimirante e orientato al compromesso”, continua la nota.
Le questioni territoriali
La questione principale alla base del sanguinoso conflitto iniziato nel lontano 1988 (prima ancora della dissoluzione dell’Urss, della quale facevano parte entrambi), cioè lo status del Nagorno-Karabakh, sembra in realtà sostanzialmente risolta da quando il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha ufficialmente riconosciuto la sovranità azera sull’area nel settembre 2023.
La regione, all’interno del territorio dell’Azerbaigian ma popolata storicamente da armeni e controllata da separatisti supportati da Yerevan, era stata a lungo contesa tra i due Paesi. Dopo varie fasi di guerra, alternate a periodi di relativa stabilità in cui il conflitto è parso congelato, Baku ne ha ripreso il pieno controllo nel settembre di due anni fa tramite un’operazione lampo che ha provocato una grave crisi umanitaria, l’espulsione della popolazione armena e la fine dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh.
Ora il governo azero chiede lo scioglimento del cosiddetto gruppo di Minsk, un format dell’Osce coordinato da Francia, Russia e Stati Uniti all’interno del quale hanno avuto luogo i negoziati tra le due nazioni caucasiche fino al 2020, quando è scoppiata la seconda guerra del Nagorno-Karabakh.
Rimarrebbe invece aperta la questione del Nakhchivan, un’exclave azera separata dal resto dello Stato caucasico da un lembo di terra armena: Baku vorrebbe collegarla al resto del proprio territorio tramite un corridoio terrestre che passerebbe attraverso l’Armenia, ma per il momento non si hanno notizie di passi avanti sul dossier.
Il nodo della Costituzione armena
Inoltre, è rimasta esclusa dall’intesa l’annosa questione degli emendamenti alla Costituzione armena: l’Azerbaigian insiste da tempo sul fatto che la rimozione di alcuni riferimenti alla dichiarazione d’indipendenza del Paese (i quali, sostiene Baku, minacciano l’integrità territoriale azera) è una precondizione per la stipula di un trattato di pace complessivo.
Nonostante l’Armenia neghi che la propria carta fondamentale ponga alcuna minaccia al vicino, Pashinyan ha annunciato negli scorsi mesi l’intenzione di adottare una nuova Costituzione. Tuttavia non sono ancora state fissate delle tempistiche per il processo, che dovrà includere sia un passaggio parlamentare sia un referendum popolare.
La geopolitica regionale
La regione del Caucaso meridionale, cui appartiene anche la Georgia e che affaccia da un lato sul Mar Nero e dall’altro sul Mar Caspio, ha una grande rilevanza strategica (non solo per la posizione ma anche per i ricchi giacimenti di petrolio e gas naturale) ed è pertanto al centro di un intreccio di interessi geopolitici di attori come la Russia, la Turchia, gli Stati Uniti e l’Unione europea.
Negli ultimi anni, l’Armenia sta cercando di allontanarsi dall’orbita russa (all’interno della quale si è storicamente mossa fin dall’indipendenza) e di avvicinarsi all’Ue, con la quale ha approfondito i legami diplomatici, politici e militari. Del resto, Bruxelles ha sempre incentivato il processo negoziale tra i due vicini, impiegando anche una missione di pace lungo il confine armeno che però verrebbe appunto smantellata.
L’Azerbaigian, d’altra parte, è diventato uno dei principali partner energetici dei Ventisette dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina (il gas azero arriva in Italia trasportato dal Tap). Nonostante gli standard democratici non siano particolarmente elevati nel Paese, lo scorso novembre Baku ha ospitato anche la conferenza Onu sul clima (Cop29).