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Il presidente serbo Vučić mantiene ambiguità verso la linea Ue anche sui rapporti con la Cina

Bruxelles – Un rapporto “d’acciaio” che “nessuno potrà spezzare”. Non quello tra la Serbia e l’Unione Europea, ma tra la Serbia e la Cina. Sono queste le parole scelte dal presidente serbo, Aleksandar Vučić, per accogliere l’omologo cinese, Xi Jinping, oggi (8 maggio) a Belgrado, nel suo tour europeo che lo ha portato anche a Parigi e infine a Budapest. Una tappa carica di simbolismo per le relazioni tra Serbia e Cina – ricorre il 25esimo anniversario dal bombardamento Nato di Belgrado che colpì anche l’ambasciata cinese – i cui toni hanno evidenziato ancora una volta la distanza di Vučić dalla linea che l’Unione a cui vorrebbe aderire sta cercando (a fatica) di tenere nei confronti di Pechino.

Da sinistra: il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, a Belgrado il 7 maggio 2024 (credits: Elvis Barukcic / Afp)

“La Cina non ha mai voltato le spalle alla Serbia, sono stati al nostro fianco anche 25 anni fa, siete sempre i benvenuti nella vostra seconda casa”, è stata l’accoglienza con tutti gli onori al presidente cinese da parte del leader serbo, facendo riferimento ai bombardamenti Nato nella primavera del 1999 condannati da Pechino. Un atteggiamento che non cela completamente una buona dose di provocazione nei confronti dell’Unione Europea, dalla politica estera alla politica economica. “Come piccolo Paese dobbiamo affrontare pressioni che provengono da diverse parti a causa della politica autonoma che portiamo avanti, ti chiediamo sostegno”, è la richiesta di Vučić a uno dei Paesi che più creano preoccupazioni a Bruxelles, con implicito riferimento al non-allineamento sulle sanzioni Ue contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina. Negli ultimi due anni il presidente serbo ha dovuto fare l’equilibrista per non diventare il paria in Europa – con un’opposizione totale alla linea dura dell’Ue contro il Cremlino – ma allo stesso tempo per non trovarsi costretto a recidere il legame con Mosca adottando le sanzioni internazionali. Ed è proprio grazie alla sponda cinese (e alla stessa ambiguità di Pechino verso la Russia) che Vučić riesce a ritagliarsi uno spazio di manovra altrimenti insostenibile, dimostrando al contrario l’immobilità dell’Ue nel prendere contromisure.

Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, a Mosca (4 dicembre 2019)

Un altro tema su cui la Serbia trova il sostegno della Cina è senza dubbio quello della sovranità territoriale e del non-riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo (dichiarata unilateralmente nel 2008), nonostante Bruxelles sia impegnata da oltre 10 anni nella mediazione di un difficilissimo dialogo per la normalizzazione delle relazioni tra Belgrado e Pristina. “I due Paesi sostengono fermamente i reciproci interessi, sulla base di solidi rapporti politici”, ha confermato Xi Jinping: “La Cina appoggia la Serbia nella difesa della sua indipendenza e nel suo corso di sviluppo“. Anche su questo fronte per il leader serbo risulta più sostenibile continuare a ostacolare quanto negoziato a livello diplomatico con Bruxelles, mentre l’Unione sembra incapace di reagire con la stessa rigidità assunta nei confronti di Pristina. Per Pechino la carta di scambio è il riconoscimento di Taiwan come parte integrante della Cina, questione non particolarmente spinosa a Belgrado: “Siamo amici fedeli”, ha confermato Vučić a proposito di un altro tema di distanza dalla cautela che invece sta cercando l’Unione Europea (sempre ricordando che la Serbia è un Paese candidato all’adesione).

E poi c’è la politica economica e commerciale, proprio uno dei due temi di “interesse vitale” per l’Unione Europea al centro del vertice trilaterale di lunedì (6 maggio) a Parigi tra il presidente cinese, l’omologo francese, Emmanuel Macron, e la numero uno della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. “La Serbia e la Cina stanno passando da avere relazioni strategiche al futuro comune dei nostri due Paesi, è la più alta forma di cooperazione e sono orgoglioso di aver potuto firmarla oggi”, ha esultato Vučić, parlando della Dichiarazione congiunta siglata oggi per il rafforzamento del partenariato strategico globale tra Pechino e Belgrado: “Traccia la direzione per lo sviluppo delle relazioni nostre bilaterali”. I due leader hanno siglato un totale di 28 accordi e protocolli d’intesa dalle infrastrutture alla cultura, dallo sport alla tecnologia – compreso uno sull’acquisto di nove treni elettrici per le ferrovie del Paese balcanico, mentre l’alta velocità Belgrado-Budapest sarà completata entro il 2026 con il sostegno cinese – e la cui traiettoria non può non impensierire Bruxelles: “La Serbia diventa il primo Paese europeo con il quale costruiremo una comunità per un futuro comune“, ha aggiunto il presidente cinese.

Per concludere la carrellata di dichiarazioni sibilline, se non di vere e proprie provocazioni nei confronti dell’Unione Europea, il presidente Vučić ha voluto anche sottolineare che la Cina “è il nostro principale investitore e il secondo partner commerciale”, con le esportazioni da Belgrado verso Pechino che sono “aumentate di 140 volte negli ultimi dieci anni, e con l’Accordo di libero scambio [dell’ottobre 2023, ndr] potremo esportare quasi il 95 per cento dei prodotti che produciamo senza dazi”. Il leader serbo si è però dimenticato di ricordare il valore commerciale di questo rapporto e della differenza abissale con quanto in ballo con i Ventisette: se nel 2022 la Cina muoveva 5,8 miliardi (in euro) tra esportazioni (4,7) e importazioni (1,1), nello stesso anno la Serbia importava 21,39 miliardi ed esportava 17,69 miliardi nell’Ue, per un totale di 39,08 miliardi di euro (più di sei volte rispetto a Pechino).


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