Quello sul taglio dei parlamentari è il quarto referendum costituzionale confermativo della storia della Repubblica. Nei tre precedenti, due volte la legge approvata dal Parlamento senza la maggioranza dei due terzi e’ stata respinta dagli elettori, una sola e’ stata approvata ed e’ diventata legge costituzionale. In base a quanto prevede l’articolo 138 della Costituzione, per il risultato non conta il quorum dei votanti che invece determina la validita’ dei referendum abrogativi.
I PRECEDENTI – Il primo e’ quello del 7 ottobre 2001 quando si tiene il referendum per confermare o no la riforma del Titolo V della Carta, approvata dalla maggioranza dell’Unione negli anni dei governo Prodi, D’Alema e Amato: passa con il 64,2% di voti favorevoli anche se l’affluenza si ferma poco oltre il 34%. Il secondo caso di referendum confermativo, 25-26 giugno 2006, riguarda la riforma costituzionale varata dal governo Berlusconi (su ispirazione della Lega di Bossi e con Calderoli ministro delle Riforme): la cosiddetta ‘devolution’ e’ bocciata con il 61% mentre i votanti raggiungono il 52%. Il 4 dicembre 2016 e’ la volta del terzo referendum costituzionale nella storia repubblicana: la maggioranza dei votanti respinge il disegno di legge costituzionale della riforma Renzi-Boschi, approvata in via definitiva dalla Camera ad aprile 2016 e che puntava tra l’altro a superare il bicameralismo perfetto ai danni del Senato. A dire no e’ il 59,11%, contro il 40,89% di si’. I votanti pero’ sono record, quasi il 69%. Prima conseguenza politica le dimissioni del governo Renzi.
COSA PREVEDE LA LEGGE SUL TAGLIO DEI PARLAMENTARI – La riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari riduce i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200. L’istituto dei senatori a vita e’ conservato fissandone a 5 il numero massimo (finora 5 era il numero massimo che ciascun presidente poteva nominare). Ridotti anche gli eletti all’estero: i deputati scendono da 12 a 8, i senatori da 6 a 4.
L’ARTICOLO 138 DELLA COSTITUZIONE – Il referendum confermativo per le leggi costituzionali e’ disciplinato dall’articolo 138 della Carta. Serve a sottoporre ai cittadini la riforma votata dal Parlamento, ma puo’ essere richiesto solo se i si’ della Camera e del Senato non superano i due terzi dei componenti dell’assemblea.
CHI PUO’ CHIEDERLO – Tre sono i modi previsti dalla Costituzione per far partire la macchina referendaria: a chiedere il referendum possono essere 5mila elettori, 5 Consigli regionali oppure da un quinto dei membri di una delle Camere (126 deputati o 64 senatori).
NIENTE QUORUM – A differenza dei referendum abrogativi, per la validita’ del referendum costituzionale non e’ obbligatorio che vada a votare la meta’ piu’ uno degli elettori aventi diritto: la riforma costituzionale sottoposta a referendum non e’ promulgata se non e’ approvata dalla maggioranza dei voti validi, indipendente da quante persone si recano ai seggi.
GLI ALTRI TIPI DI REFERENDUM – La Costituzione prevede referendum abrogativi (ne sono stati celebrati in Italia 67 dal 1948) e non abrogativi. Tra i referendum non abrogativi, la Carta distingue quelli istituzionali (solo quello del 2 giugno 1946 tra monarchia e Repubblica), di indirizzo (solo quello sul conferimento del mandato costituente al Parlamento europeo del 18 giugno 1989) e costituzionali.
Referendum elettorali, tutti i precedenti (di Chiara Scalise) – Dal 1991 a oggi sono stati sei i tentativi di cambiare il sistema elettorale via referendum, parzialmente coronati dal successo. Si va dal trionfo di si’ alla consultazione per la riduzione delle preferenze dei primi anni novanta fino all’inammissibilita’ da parte della Consulta dei quesiti che puntavano a cambiare il Porcellum nel gennaio del 2012, passando per la trasformazione in senso maggioritario del 1993, che porto’ poi al Mattarellum.
I referendum abrogativi in Italia sono stati tantissimi, una settantina, e quelli legati alla legge elettorale sono dunque una minoranza. Il primo risale al 9 giugno del 1991 quando gli italiani vengono chiamati a dire se vogliono ridurre le preferenze da tre a una nel voto per la Camera dei deputati. Il risultato e’ storico: l’affluenza e’ di oltre il 62% e i si’ raggiungono il 95,6%, un traguardo mai raggiunto da nessun tipo di quesito referendario; tant’e’ che l’allora capo dello Stato Francesco Cossiga si congratula personalmente con il presidente del Comitato promotore Mario Segni.
Due anni di tempo e l’Italia torna a mettere mano al sistema di voto: e’ il 18 aprile del 1993 quando con l’82,7% di voti favorevoli arriva la modifica alla legge che riguarda il Senato, un cambiamento che poi portera’ il Parlamento a scegliere un sistema maggioritario come il Mattarellum. Il successo non viene pero’ replicato nel 1999 quando non viene raggiunto il quorum sul quesito che chiede di cancellare il voto di lista per l’elezione del 25% dei deputati, visto che i votanti si fermano al 49,6%; ancora piu’ bassa la partecipazione ai referendum dell’anno successivo, il 22 maggio 2000, sui rimborsi elettorali e sull’abolizione della quota proporzionale.
Una parabola discendente che raggiunge il minimo storico il 21 e il 22 giugno 2009 quando tre quesiti provano a modificare il Porcellum del 2005: l’affluenza alle urne tocca il suo minimo mai raggiunto nella storia della Repubblica, appena il 23,4%. L’ultimo tentativo, quello di modificare il Porcellum via referendum, e’ invece andato a vuoto: il 12 gennaio del 2012 la Consulta ha infatti ha detto no ad entrambi i quesiti per l’abrogazione (parziale e completa) della legge elettorale firmata dal leghista Roberto Calderoli.
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