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    Cina, Xinjiang a “rischio di genocidio” denunciano gli eurodeputati

    Bruxelles – L’operato cinese nella regione del Xinjiang, nel nord-ovest della Cina, rappresenta “un grave rischio di genocidio”. Il Parlamento Europeo ha rinnovato oggi (9 giugno) la propria condanna nei confronti delle autorità di Pechino per violazioni dei diritti umani sugli uiguri – minoranza turcofona di religione islamica – dopo la pubblicazione dei ‘Xinjiang Police Files’, una serie di documenti provenienti dai computer della polizia locale che aggiungono nuovi dettagli sul ruolo della leadership cinese nelle campagne di repressione.
    “Le prove credibili delle misure di prevenzione delle nascite e della separazione dei bambini uiguri dalle loro famiglie costituiscono crimini contro l’umanità e rappresentano un grave rischio di genocidio”, riporta la nuova risoluzione del Parlamento, a firma Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici, Renew Europe, Conservatori e Riformisti Europei, Verdi e Partito Popolare Europeo (PPE). “Il Parlamento Europeo riconosce per la prima volta che il regime cinese sta commettendo crimini contro l’umanità e un grave rischio di genocidio”, ha sottolineato David Lega (PPE), tra i principali autori della risoluzione: “Genocidio, atti deliberati commessi con l’intento di distruggere per intero o in parte un gruppo nazionale, etnico o religioso”. Proprio Lega aveva sottolineato qualche giorno fa come si stesse negoziando per inserire il termine nel testo finale.

    BREAKING❗️ The @EPPGroup is pushing for the recognition of the ongoing Uyghur Genocide in #Xinjiang.The #XinjiangPoliceFiles are another confirmation of the horrible atrocities made by the #CCP. I will negotiate the text for the urgency resolution tomorrow. Vote: Thursday.
    — David Lega (@DavidLega) June 6, 2022

    Oltre a chiedere la chiusura di tutti i campi e centri di detenzione, il Parlamento Europeo ha sollecitato ulteriori sanzioni europee nei confronti di alcuni funzionari cinesi, come l’ex segretario regionale e membro dell’Ufficio politico di partito, Chen Quanguo, l’attuale ministro della Pubblica sicurezza Zhao Kezhi e il precedente Guo Shengkun, e altri individui presenti negli archivi di polizia del Xinjiang. Nella risoluzione si invita inoltre la Commissione Europea a proporre un divieto di importazione “su tutti i prodotti realizzati mediante il lavoro forzato e sui prodotti fabbricati da tutte le società cinesi note per il suo impiego”, un tema oggetto di una seconda risoluzione anch’essa votata in giornata.
    Il Parlamento ha anche espresso la propria preoccupazione rispetto all’esito della visita dell’alta commissaria per i diritti umani delle Nazioni Unite, Michelle Bachelet, in Cina il mese scorso. Bachelet “non ha usato la sua autorità per condannare ciò che ha visto o avrebbe dovuto vedere durante la sua visita”, ha scandito la vicepresidente del Parlamento Europeo, Heidi Hautala (Verdi), nel dibattito prima della votazione. L’alta commissaria dell’ONU aveva detto di “non essere stata in grado di valutare l’intera portata” dei campi di internamento e rieducazione degli uiguri, perché priva di un pieno accesso ai centri.
    “Alcuni di noi l’avevano avvertita di non diventare una vittima degli sforzi della propaganda cinese”, ha continuato Hautala, “è esattamente quello che è successo”. “Penso che l’UE dovrebbe essere molto cauta riguardo a un suo eventuale secondo mandato – ha proseguito – perché abbiamo visto che il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite è diventato vulnerabile agli sforzi cinesi di minare l’ordine dei diritti umani stabilito nel dopoguerra”. Nella risoluzione, oltre a stabilire un “grave rischio di genocidio”, il Parlamento chiede anche la pubblicazione immediata del rapporto sulla situazione degli uiguri nel Paese, atteso da ben tre anni e posticipato in occasione della visita di Bachelet. Una richiesta che è stata fatta anche dall’alto rappresentante per gli affari esteri e la politiche di sicurezza Josep Borrell: “La visita e la pubblicazione dei Xinjiang Police Files invitano al rilascio, come questione di assoluta priorità, del rapporto di monitoraggio a distanza preparato dalle Nazioni Unite”.

    “Let me assure you that the EU will continue to speak out against human rights violations occurring across China.”
    Speech on human rights situation in China delivered by Executive VP @VDombrovskis on behalf of HR/VP @JosepBorrellF at @Europarl_EN debatehttps://t.co/Octfi1Z8jH
    — European External Action Service – EEAS 🇪🇺 (@eu_eeas) June 9, 2022

    “Le relazioni UE-Cina sono sempre più caratterizzate da concorrenza economica e rivalità sistemica”, calca il testo, riprendendo il lessico della relazione del 2019, ‘UE-Cina – Una prospettiva strategica’, che aveva definito l’approccio di Bruxelles nei confronti di Pechino. “A seconda dei settori, la Cina è un partner di cooperazione con obiettivi largamente allineati a quelli dell’UE – elenca la relazione – un partner di negoziato con cui l’UE deve trovare un equilibrio di interessi, un concorrente economico che ambisce alla leadership tecnologica e un rivale sistemico che promuove modelli di governance alternativi”.
    Il documento di oggi conferma ciò quanto emerso nella recente risoluzione delle sfide per la sicurezza nell’Indo-Pacifico: la Cina è, secondo l’UE, “sempre più assertiva e aggressiva”. L’approccio europeo nei confronti della Cina deve essere quindi “unificato, pragmatico, sfaccettato e di principio”, pur mantenendo una certa cooperazione sulle questioni di interesse comune come la lotta al cambiamento climatico. Mentre Taiwan viene indicata, sempre nella risoluzione sull’Indo-Pacifico, come “partner fondamentale e alleato democratico nella regione”.

    Il Parlamento Europeo ha rinnovato con una nuova risoluzione la propria condanna nei confronti delle autorità di Pechino per violazioni dei diritti umani sugli uiguri, dopo la pubblicazione dei ‘Xinjiang Police Files’

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    Xinjiang Police Files: pubblicate le prime foto non ufficiali all’interno dei campi per gli uiguri, durante la visita della commissaria ONU

    Bruxelles – L’ingresso di questa settimana di Michelle Bachelet, l’alta commissaria per i diritti umani delle Nazioni Unite, in quelle che la Cina definisce ‘strutture di avviamento professionale’ – campi di internamento e rieducazione degli uiguri –, è stato anticipato dai media internazionali e senza alcun filtro da parte delle autorità di Pechino. A guidare all’interno dei centri oltre 5mila fotografie e centinaia di migliaia di documenti, in una raccolta chiamata ‘Xinjiang Police Files’, pubblicata dal think tank americano Fondazione Memoriale delle Vittime del Comunismo e da una serie di testate affiliate al Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi (ICIJ).
    Un’esercitazione delle forze di sicurezza di uno dei centri (foto di: vittime della Fondazione Memoriale del Comunismo)
    Il materiale arriva dai computer della polizia locale dopo un’operazione di hackeraggio e risale dai primi anni 2000 al 2018. Ci sono documenti confidenziali e interni, direttive e trascrizioni dei discorsi delle autorità locali e regionali del Xinjiang, tra cui dell’ex segretario regionale e membro dell’Ufficio politico di partito, Chen Quanguo, tra i principali fautori dei campi di internamento, e dell’attuale ministro della Pubblica sicurezza cinese, Zhao Kezhi. Si va da procedure contro la fuga durante le attività, con l’ordine di uccidere i detenuti se necessario fino a disposizioni speciali, di controllo più rigido, in occasione del Ramadan. In una trascrizione, il ministro della Pubblica sicurezza elenca gli obiettivi, stabiliti a livello centrale, per il Xinjiang: “in un anno stabilizzare la regione, in due consolidare i risultati, in tre normalizzare la stabilità sociale, in cinque raggiungere la stabilità nel complesso”.
    Foto di: vittime della Fondazione Memoriale del Comunismo
    Gran parte delle fotografie sono invece, secondo il think tank, un archivio per la raccolta dei dati biometrici, con i dettagli sull’internamento di 2.884 uiguri. I più giovani sono due ragazzi di 15 anni, le più anziane due donne di 73 anni. Molti sono stati puniti solo per aver esternato la propria fede islamica o per aver viaggiato in Paesi a maggioranza musulmana, altri per ‘crimini’ risalenti a più di dieci anni prima. Una serie di foto mostrano invece le operazioni all’interno di alcuni dei campi e sono le prime immagini non ufficiali mai pubblicate.
    “I documenti trapelati contengono nuove prove dall’interno sulle violazioni dei diritti umani nel Xinjiang, che verrebbero perpetrate a tutti i livelli amministrativi: dai principali funzionari, da unità speciali di polizia e da gruppi speciali delle forze armate”, ha dichiarato a Eunews Nabila Massrali, portavoce della Commissione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza. “Si aggiungono all’insieme di prove esistenti sulle vergognose violazioni dei diritti umani – ha proseguito la portavoce – come l’esistenza di un’ampia rete di campi di rieducazione politica, le estese misure di sorveglianza e tracciamento, le limitazioni sistemiche all’esercizio delle libertà fondamentali – incluse quelle di credo e religione, l’uso di politiche di lavoro forzato, sterilizzazione forzata, controllo delle nascite e di separazione familiare, e di violenze sessuali e di genere”.
    Alcune fotografie di materiale religioso requisito agli uiguri (foto di: vittime della Fondazione Memoriale del Comunismo)
    Anche l’eurodeputato tedesco Reinhard Bütikofer (Verdi europei), a capo della delegazione per le relazioni con la Repubblica Popolare cinese e sanzionato da Pechino ha commentato i Xinjiang Police Files con un tweet: “I fatti parlano chiaro. La Cina commette crimini contro i diritti umani, contro gli uiguri e altre minoranze musulmane”. Ha aggiunto: “La chiarezza con cui von der Leyen e Michel hanno sollevato le questioni relative ai diritti umani al vertice UE-Cina di aprile necessita del sostegno chiaro e unanime di tutti i 27 governi dell’Unione. Ciò deve includere la volontà di accettare ulteriori sanzioni appropriate”.
    All’incontro di oggi, online, tra l’alta commissaria e il presidente Xi Jinping, Bachelet è stata tuttavia ammonita dal leader cinese: “Nelle questioni relative ai diritti umani, non esiste uno ‘Stato ideale’ perfetto, non c’è bisogno di insegnanti arroganti nei confronti degli altri Paesi, e neppure di utilizzare doppi standard che strumentalizzino e politicizzino i temi relativi ai diritti umani, prendendo i diritti umani come scusa per interferire nelle questioni interne degli altri Paesi”. La commissaria, al momento in Cina, sta lavorando da almeno tre anni al rapporto delle Nazioni Unite sulla situazione degli uiguri nel Paese e visiterà il Xinjiang nei prossimi giorni.

    Oltre 5mila fotografie e centinaia di migliaia di documenti hackerati dalla polizia della regione autonoma cinese. La portavoce per gli affari esteri UE: “Nuove prove dall’interno sulle violazioni dei diritti umani”

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    La Cina dice ‘no’ ai lavori forzati in vista della visita dell’alta commissaria ONU per i diritti umani

    Bruxelles – ‘No’ ai lavori forzati. È questo il messaggio che la Cina ha inviato all’Organizzazione delle Nazioni unite (ONU), a meno di un mese dalla visita dell’alta commissaria per i Diritti umani, Michelle Bachelet, nella regione autonoma del Xinjiang, nel nord-ovest del Paese, e dimora della minoranza degli uiguri. Ma non solo. L’adesione del Paese a due delle Convenzioni fondamentali sul lavoro forzato punta anche all’Europa e agli Stati Uniti, dopo anni di denunce – e, dal 2021, sanzioni – da parte della comunità internazionale per lo sfruttamento degli uiguri, la minoranza etnica turcofona, di religione islamica, sottoposta a pratiche di detenzione arbitraria di massa e perfino di sterilizzazione.
    Il 20 aprile 2022 il Comitato permanente del tredicesimo Congresso nazionale del Popolo, il massimo organo legislativo cinese, ha ratificato la Convenzione sul lavoro forzato e obbligatorio (1930) e la Convenzione per l’abolizione del lavoro forzato (1957). Si tratta di due Convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), l’ente con sede a Ginevra che stabilisce, a livello globale, i principi e i diritti fondamentali dei lavoratori. La Cina ne è parte dal 1985, per quanto non abbia mai aderito a diversi dei suoi trattati né garantisca piene tutele sul lavoro.
    In questo modo, il Paese si è impegnato “a eliminare l’uso del lavoro forzato o coatto in tutte le sue forme, entro il periodo più breve possibile”, come recita l’articolo 1 della Convenzione del 1930. Mentre quella del 1957, ne proibisce ogni uso “come mezzo di coercizione o di educazione politica”. “Come sanzione per aver espresso opinioni politiche o ideologiche”. “Come metodo di mobilitazione alla manodopera”. “Come misura disciplinare sul lavoro”. “Come sanzione per aver partecipato a scioperi o come misura di discriminazione”.
    Si tratta di un passo significativo per il Paese. Secondo la Risoluzione del Parlamento europeo del 17 dicembre 2020, che ha analizzato (e condannato) la situazione degli uiguri nella Repubblica Popolare, dal 2014 “sono numerose le denunce credibili” secondo cui la minoranza verrebbe impiegata per i lavori forzati. Soprattutto, “nelle catene di produzione dei settori dell’abbigliamento, della tecnologia e dell’automobile”. Nel marzo 2020 il think thank Australian Strategic Policy Institute aveva individuato che nelle filiere produttive di ben 83 brand, anche internazionali, lavoravano oltre 80mila uiguri in condizioni assimilabili a quelle del lavoro forzato.
    Non è un caso che la ratifica delle Convenzioni sia avvenuta ora. L’alta commissaria Bachelet sta lavorando da almeno tre anni al rapporto delle Nazioni Unite sulla situazione degli uiguri nel Paese. L’uscita della relazione era stata annunciata lo scorso dicembre, ma non è escluso che ora venga posticipata, per quanto richiesta a gran voce, quanto prima, da attivisti e organizzazioni internazionali per i diritti umani.
    L’adesione alle Convenzioni sul lavoro forzato era anche una condizione prevista dai negoziati per l’Accordo comprensivo sugli investimenti (CAI) con l’Unione Europea. Il documento, mai finalizzato – anche per l’elezione del presidente americano Joe Biden – avrebbe garantito un unico quadro legale sugli investimenti, andando a sostituire i 26 accordi bilaterali tra gli Stati membri dell’UE e la Repubblica Popolare, con condizioni commerciali più vantaggiose. Tuttavia proprio le divergenze sui diritti umani e la questione del Xinjiang hanno contribuito a congelare i negoziati del CAI, soprattutto dopo le sanzioni cinesi a una serie di enti ed eurodeputati, in risposta a quelle europee a diversi funzionari del Paese del Dragone e all’ufficio di pubblica sicurezza del Xinjiang.
    Per quanto ferme, le trattative per il CAI potrebbero riprendere in futuro. Le nuove Convenzioni ILO sono un primo, per quanto timido, segnale di un’apertura cinese. “La Cina sta inviando un segnale cinico”, ha però detto a Eunews l’europarlamentare Reinhard Bütikofer (Verdi), a capo della Delegazione per le relazioni con la Repubblica Popolare cinese e tra i sanzionati da Pechino, “procede con la ratifica delle principali Convenzioni dell’ILO contro il lavoro forzato, mentre continua, senza vergogna, pratiche di lavoro forzato e nega i fatti”.
    Nel 2021, gli Stati Uniti avevano invece adottato la Legge sulla prevenzione del lavoro forzato uiguro che tuttora vieta l’importazione di alcuni prodotti, come cotone o pomodori, provenienti dalla regione autonoma. Anche Washington aveva fatto pressione sul Paese a riguardo, dopo il rapporto del 2022 della stessa Organizzazione internazionale del lavoro.

    Michelle Bachelet è attesa a maggio 2022, insieme al rapporto sulla situazione uigura nel Xinjiang. Bütikofer (Verdi): “Segnale cinico”. Si teme il non rispetto dei trattati all’atto pratico

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    La Commissione dissente dal voto dell’Europarlamento sull’accordo per gli investimenti in Cina: “Va considerato in un contesto più ampio”

    Bruxelles – Secondo quanto dichiarato da una portavoce per la Commissione europea la ratifica dell’accordo di principio sugli investimenti UE-Cina firmato negli ultimi giorni del 2020 “va considerata guardando al più ampio contesto politico” delle relazioni tra le due parti. Bruxelles disapprova così la risoluzione adottata dal Parlamento giovedì 20 maggio che blocca l’entrata in vigore dei termini dell’intesa fino a quando Pechino non ritirerà le misure restrittive imposte a dieci cittadini europei (tra cui cinque eurodeputati) e a quattro enti che hanno la loro sede nell’UE.
    “Le ultime iniziative del governo cinese non creano un clima favorevole“, ha affermato la portavoce riferendosi alla reazione con cui Pechino ha risposto alla precedente scelta di Bruxelles di sanzionare quattro funzionari e un ente colpevoli di essersi macchiati di crimini contro la minoranza musulmana degli Uiguri nel territorio dello Xinjiang. L’esecutivo europeo, pur schierandosi a favore dei diritti umani e dei valori europei, ammette che l’accordo globale sugli investimenti (in inglese Comprehensive Agreement on Investment, CAI) “apporterà benefici per l’accesso al mercato cinese da parte delle imprese europee, migliorerà le parità di condizioni fra i due mercati e favorirà lo sviluppo sostenibile”.
    La decisione dell’Eurocamera quindi non è gradita a Bruxelles, ma neanche a Pechino. Fortemente voluto dalla presidenza di turno tedesca del Consiglio UE, il CAI è considerato uno strumento fondamentale per lo sviluppo delle relazioni economiche tra Cina e Unione Europea. L’UE è il primo partner commerciale di Pechino, che a sua volta è secondo solo agli USA in termini di flussi commerciali e finanziari con il vecchio continente.
    Dopo l’annuncio dei voti il Ministero degli Esteri cinesi ha parlato per tramite del suo portavoce Zhao Lijian. Il governo cinese sostiene che le sanzioni da lui applicate sono giustificate e chiede alle istituzioni dell’UE di “smetterla di interferire con le vicende interne e di porre fine all’atteggiamento conflittuale”. Per il regime di Pechino le misure restrittive adottate sono una risposta legittima all’offesa lanciata dalla parte europea.
    “L’accordo è vantaggioso per tutti, non è un favore concesso da una parte all’altra”, ha precisato Zhao Lijian. “La Cina ha sempre favorito la cooperazione nei rapporti con l’UE e noi speriamo che la controparte europea si comporterà allo stesso modo con noi, mettendo da parte gli sfoghi emotivi e preferendo la razionalità per prendere le decisioni giuste nel suo interesse.

    Dopo il voto del Parlamento europeo era arrivata la reazione del Ministero degli Esteri cinese: “L’UE metta da parte gli sfoghi emotivi e preferisca la razionalità”

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    Parlamento UE sospende la ratifica dell’accordo sugli investimenti con la Cina finché Pechino non ritirerà le sanzioni

    Bruxelles – Il Parlamento europeo non ratificherà l’accordo politico di principio sugli investimenti firmato con la Cina a fine 2020 finché quest’ultima non ritirerà le sanzioni imposte a dieci individui tra europarlamentari, deputati nazionali e accademici e a quattro enti europei. La posizione dell’Eurocamera viene definita in una risoluzione che durante l’ultima seduta plenaria ha raccolto 599 voti a favore, 30 contrari e 58 astenuti.
    L’Europarlamento condanna la scelta di Pechino e le sanzioni con cui ha risposto alle misure restrittive imposte ancor prima dall’Unione Europea per le detenzioni arbitrarie applicate alla minoranza musulmana degli Uiguri nel territorio dello Xinjiang. Ma chiede alle altre istituzioni dell’UE un’azione forte che contrasti la diplomazia assertiva portata avanti dalla Cina nel corso della pandemia di COVID-19 nel resto del mondo e una maggiore insistenza nel progetto di autonomia strategica. Per gli europarlamentari l’Unione Europea “dovrebbe cercare una più profonda collaborazione con Paesi affini e con le altre democrazie nel mondo, tra cui gli USA, il Canada, e con i partner asiatici del Pacifico” e dovrebbe architettare una strategia per la regione indo-pacifica. Soprattutto, la sospensione dell’accordo sugli investimenti non dovrebbe tenere in ostaggio le iniziative di cooperazione commerciale e finanziaria negoziate con altri Paesi (nel testo si fa riferimento a Taiwan, storico rivale di Pechino)
    In ogni caso l’invito a non ratificare l’accordo sottoscritto con la Cina fino a che le sanzioni imposte da quest’ultima saranno vigenti è esteso anche ai co-legislatori del Consiglio UE, cioè ai 27 Stati membri. A loro e alla Commissione europea l’Eurocamera chiede anche di utilizzare tutti gli strumenti a disposizione, specialmente quelli economici, “per forzare il governo cinese a chiudere i campi di detenzione e a cessare le violazioni dei diritti umani”. E all’esecutivo europeo si chiede uno strumento preciso che impedisca l’importazione in Europa di beni prodotti in Cina grazie al lavoro forzato e che preveda degli obblighi per le aziende che operano sul suolo europeo e che hanno rapporti con Pechino.
    Il Parlamento chiede anche alle capitali europee un riesame e l’eventuale abolizione degli accordi di estradizione conclusi con il regime di Pechino alla luce delle violazioni contro i cittadini cinesi residenti all’estero e l’istituzione di un meccanismo di controllo sulle esportazioni di tecnologie per evitare che “vengano usate per la violazione di diritti fondamentali e per agevolare la repressione interna”.

    Sollecitata la Commissione sul divieto di importare in Europa i beni prodotti grazie al lavoro forzato

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    Violazioni dei diritti umani a Hong Kong e sugli uiguri: Borrell e Parlamento condannano la Cina

    RT : 🇩🇪Pour Angela Merkel qui a pris aujourd’hui la présidence du Conseil de l’Union européenne 🇪🇺on est encore loin d’un acco… RT : Comme le disait Claude Cheysson, ministre des Affaires étrangères de François Mitterrand, en décembre 1981 lors du coup d’Et… RT : Bachelot disruptive. “j’entends un syndicaliste médecin se plaindre : “je […]