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    Sull’Ucraina, l’Europa non ha ancora reagito alle mosse di Trump

    Bruxelles – Donald Trump è in carica da appena un mese e ha già sconvolto la politica internazionale. Soprattutto sul dossier della guerra in Ucraina, ha colto alla sprovvista gli alleati europei, escludendoli di fatto dalle trattative per la fine delle ostilità (ma scaricando su di loro la responsabilità del mantenimento della pace). Nel Vecchio continente lo smarrimento è totale.Con timidezza, alcune voci iniziano a levarsi in modo disordinato. Tuttavia non c’è ancora una vera strategia per reagire alle picconate che il presidente statunitense sta sferrando all’impazzata: non solo agli ultimi tre anni di politica estera a stelle e strisce, ma allo stesso ordine internazionale che Washington aveva costruito dopo la Seconda guerra mondiale.Scontro frontale Trump-ZelenskyIn effetti, la gran parte del lavoro Trump l’ha fatta nel giro di una sola settimana. Cioè da quando ha chiamato al telefono l’omologo russo Vladimir Putin senza coordinarsi né col leader ucraino Volodymyr Zelensky né con gli alleati europei (o presunti tali). Sconfessione su tutta la linea dell’approccio del suo predecessore Joe Biden: riabilitazione della Russia dopo tre anni di isolamento diplomatico e porta in faccia all’adesione di Kiev alla Nato, con annessa minaccia di chiudere i rubinetti degli aiuti militari al Paese invaso.L’allora presidente-eletto Donald Trump (sinistra) e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si incontrano alla cerimonia di riapertura della cattedrale di Notre Dame a Parigi, il 7 dicembre 2024 (foto: Ludovic Marin/Afp)Negli ultimi giorni, le relazioni tra la Casa Bianca e la leadership ucraina sono precipitate. Un’escalation verbale che è culminata con l’uomo più potente del mondo (libero e non) che dà del “dittatore” al presidente ucraino, mettendone in dubbio la legittimità democratica. Quest’ultimo, eletto prima della guerra, non è sostituibile fintanto che vige la legge marziale (come detta la Costituzione ucraina). A dargli lezioni di democrazia, l’istigatore dell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, scaturito proprio dall’incapacità di accettare l’esito di un’elezione assolutamente democratica e legittima. Del resto, c’è chi sostiene che la ruggine tra i due viene da lontano, dai tempi in cui Trump finì sotto impeachment alla Camera dei deputati.Ma il presidente statunitense non è certo l’unico a trattare in maniera disinvolta quello che dovrebbe essere un alleato. Dopo che Zelensky si è permesso di controbattere alle sparate dei giorni scorsi, il consigliere per la Sicurezza nazionale di Washington Michael Waltz ha suggerito agli ucraini di “abbassare i toni e firmare l’accordo” sulle terre rare proposto dal suo capo (il quale ha preteso i diritti di sfruttamento sul 50 per cento delle risorse minerarie dell’ex repubblica sovietica), definendolo “la migliore” garanzia di sicurezza per Kiev. Il leader ucraino aveva già declinato l’offerta sostenendo che non può “vendere” il proprio Paese.Una nuova Jalta?Presa in mezzo al fuoco amico è rimasta anche l’Europa. Le prove tecniche di disgelo tra Washington e Mosca andate in scena a Riad hanno gelato, invece, le cancellerie del Vecchio continente. Non solo perché, dopo tre anni in cui hanno ripetuto che non si decide nulla sull’Ucraina senza di loro – e senza Kiev – sono effettivamente state messe all’angolo da Trump, che considera Putin il suo unico interlocutore.Ma anche perché, rendendo esplicito il disimpegno degli Stati Uniti dall’Europa, il tycoon ha sostanzialmente privato l’intero continente del principale garante della sua sicurezza. La cui architettura andrà ora ridisegnata da capo, per la prima volta dal 1945. Una nuova Jalta, 80 anni dopo l’originale. Con la differenza che, stavolta, l’Europa non ha nessun Winston Churchill da mandare al tavolo.La debole risposta europeaE proprio l’iconico leader britannico è stato tirato in ballo da uno dei pochi che, seppur con toni cauti e circostanziati, hanno avuto il coraggio di solidarizzare con Zelensky. “Un leader democraticamente eletto“, lo ha descritto Keir Starmer, l’attuale inquilino di Downing Street, secondo cui è “perfettamente ragionevole” sospendere le elezioni in tempo di guerra, come fatto appunto da Churchill.Il primo ministro britannico Keir Starmer (foto via Imagoeconomica)Il primo ministro volerà verso la capitale Usa “la prossima settimana”, per cercare di riaprire un canale di dialogo con la Casa Bianca. E per mettere sul tavolo l’ipotesi di una forza d’interposizione anglo-francese in Ucraina per monitorare la linea di un eventuale cessate il fuoco a condizione che venga fornita una “copertura americana”. A Washington dovrebbe recarsi anche Emmanuel Macron, che negli scorsi giorni ha organizzato in fretta e furia nella capitale transalpina due vertici non ufficiali tra leader europei (uno lunedì e uno ieri) per coordinare una reazione al terremoto Trump. Obiettivo mancato.Ieri sera, era stato il cancelliere tedesco uscente Olaf Scholz a bollare come “sbagliate e pericolose” le insinuazioni del presidente Usa, mentre anche altri leader scandinavi hanno preso le difese di Zelensky (la premier danese Mette Frederiksen, quello svedese Ulf Kristersson e quello norvegese Jonas Gahr Støre). Assordante, invece, il silenzio di Giorgia Meloni, costretta ad una difficile opera di equilibrismo tra il convinto sostegno all’Ucraina (che le ha permesso di rendersi presentabile in Europa negli ultimi anni) e il ruolo di “ponte e pontiera” tra le due sponde dell’Atlantico, reclamato per sé dalla premier in virtù della vicinanza politica con Trump.Territorio inesploratoPer il momento, il Segretario generale della Nato Mark Rutte getta acqua sul fuoco. L’ex premier olandese si è detto “un po’ irritato” dell’atteggiamento dei leader europei che si sono lamentati per non essere stati coinvolti nei negoziati. Il suo suggerimento: “Organizzatevi, trovatevi a un tavolo, qualunque cosa questo tavolo comporti esattamente”. Il plauso è per l’iniziativa dell’Eliseo. “L’importante”, dice, “è che in qualche modo in Europa si discuta di come organizzare le garanzie di sicurezza in Ucraina”. Rutte ammette che i tempi non saranno brevi, ma è “felice che almeno si sia smesso di piagnucolare e si sia iniziato ad agire, a mettersi d’accordo“. Un inizio poco promettente, ben distante dal genere di “elettroshock” auspicato dal presidente francese solo pochi giorni fa.Stiamo entrando in un territorio inesplorato. E nessuno sa come muoversi. Manca a Bruxelles una figura dalla statura politica sufficientemente alta per confrontarsi con Trump. L’Alta rappresentante Kaja Kallas, cui pure i Trattati sembrerebbero affidare un ruolo del genere, è ammutolita da giorni sulla questione. Ancora più scandaloso se si considera che era stata nominata in quanto “falco” sull’Ucraina.Il Segretario generale della Nato Mark Rutte alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, il 14 febbraio 2025 (foto: Nato via Imagoeconomica)Il presidente del Consiglio europeo António Costa sarebbe in contatto costante con i capi di Stato e di governo dei Ventisette per organizzare un summit d’emergenza (il prossimo sarebbe in calendario per il 20 marzo). Stando a quanto riportato da funzionari comunitari, ne verrà convocato uno solo quando ci sarà una ragionevole sicurezza di ottenere dei risultati (e tanti auguri a mettere d’accordo anche Ungheria e Slovacchia, che hanno peraltro lamentato l’esclusone dai vertici di Parigi).A livello Ue, sta venendo messo a punto il 16esimo pacchetto di sanzioni contro il Cremlino, mentre la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock ha annunciato un piano monstre di aiuti militari per l’Ucraina che varrebbe addirittura 700 miliardi di euro, una cifra mai sborsata prima d’ora né da Washington né da Bruxelles (né dalle due insieme).Kiev al centro dell’azioneMa per il momento è un liberi tutti. Oltre alle visite di Starmer e Macron negli Stati Uniti, ci sarà quella di Costa e del capo dell’esecutivo comunitario Ursula von der Leyen a Kiev il prossimo 24 febbraio, per celebrare il terzo anniversario dell’invasione russa su larga scala. Dalla Commissione ci si limita a osservare che “Zelensky è stato legittimamente eletto in elezioni libere, corrette e democratiche” e che “l’Ucraina è una democrazia, la Russia di Putin no“. Ovvietà, si direbbe, ma di questi tempi meglio essere sicuri.Nella capitale ucraina, intanto, è atterrato ieri Keith Kellogg. Sulla carta, è l’inviato speciale della Casa Bianca per la crisi russo-ucraina, ma sembra che Trump lo stia mettendo in secondo piano rispetto ad un altro inviato speciale (nonché suo compagno di golf), Steve Witkoff, che però si dovrebbe occupare di Medio Oriente. I maligni dicono che Kellogg sarebbe stato tenuto alla larga in quanto inviso ai russi. Witkoff è l’artefice dello storico accordo tra Israele e Hamas di metà gennaio, e pare avrà un ruolo cruciale anche nei negoziati col Cremlino, che non a caso sono iniziati proprio in Arabia Saudita.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (sinistra) accoglie a Kiev l’inviato speciale per la crisi russo-ucraina degli Stati Uniti, Keith Kellogg, il 20 febbraio 2025 (foto: Sergei Supinsky/Afp)“Ho affermato la volontà dell’Ucraina di raggiungere la pace attraverso la forza e la nostra visione per i passi necessari”, ha commentato il ministro degli Esteri di Kiev Andrii Sybiha dopo aver incontrato Kellogg. Che in questo momento sta ancora parlando con Zelensky, mentre è stata annullata la conferenza stampa congiunta inizialmente prevista al termine del bilaterale. A inizio settimana, il presidente ucraino aveva incontrato ad Ankara il suo omologo turco Recep Tayyip Erdoğan, che vorrebbe proporsi come mediatore al posto dei sauditi.

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    Monaco, tutti gli occhi sull’Ucraina (e Vance). Zelensky: “Putin attaccherà la Nato”

    Bruxelles – La Conferenza sulla sicurezza di Monaco è col fiato sospeso. A difendere le ambizioni euro-atlantiche dell’Ucraina sembra rimasta solo Bruxelles, almeno nominalmente, mentre il vicepresidente Usa James David Vance minimizza le minacce poste dalla Russia al Vecchio continente. Prima del colloquio col numero due della Casa Bianca, Volodymyr Zelensky ha incontrato i vertici delle istituzioni comunitarie.Nel settembre 1938, Monaco di Baviera fece da cornice ad uno degli accordi più scellerati della storia europea, quando le cancellerie democratiche permisero ad Adolf Hitler di fare a pezzi l’allora Cecoslovacchia dandogli in pasto la regione dei Sudeti (oggetto delle mire pangermaniste del Partito nazionalsocialista), nella speranza di scongiurare una guerra. Il risultato ottenuto dalla strategia dell’appeasement fu l’invasione della Polonia da parte delle truppe del Reich nel giro di un anno e, da lì, la deflagrazione del conflitto più devastante di cui si abbia traccia nella storia dell’umanità.Da oggi (14 febbraio) e fino a dopodomani, a Monaco sono riuniti i leader mondiali per partecipare alla Conferenza sulla sicurezza (Msc). Mentre aleggia sopra il Bayerischer Hof lo spettro del presidente russo Vladimir Putin, la preoccupazione è che l’approccio della nuova amministrazione statunitense ai negoziati col Cremlino porti a ripetere gli stessi errori del passato.“Un’Ucraina fallita indebolirebbe l’Europa, ma anche gli Stati Uniti“, ha avvertito la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen dal palco, un monito a non lasciare che sia Putin a dettare i termini del cessate il fuoco che, dopo la telefonata dell’altroieri con Donald Trump, sembra ormai a portata di mano.Dear @ZelenskyyUa, Europe stands with you for a just and lasting peace, with strong security guarantees.We will keep providing continued and stable support to Ukraine.And speed up work on your EU accession.Joint read-out with @eucopresident ↓— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) February 14, 2025Alla conferenza è presente anche Volodymyr Zelensky. Il presidente ucraino sa bene che la finestra di opportunità per impedire che Trump negozi direttamente con Putin bypassando completamente Kiev si sta chiudendo rapidamente. “Un accordo di pace non può essere firmato a Monaco, ricordiamo quello che è stato firmato qui, non lo ripeterò”, ha dichiarato, aggiungendo di non voler essere “quella persona nella storia che ha aiutato Putin a occupare il mio Paese“.Mentre aspetta il suo faccia-a-faccia con il numero due della Casa Bianca, James David Vance (con il quale si è detto disposto a “discutere l’accordo sui nostri minerali“, un’opzione ventilata dallo stesso Trump per garantire il sostegno militare a Kiev), il presidente ucraino ha incontrato i vertici Ue.Nel comunicato congiunto diffuso dopo il colloquio con il capo dell’esecutivo comunitario e il presidente del Consiglio europeo, António Costa, si legge dell’impegno a “fornire un sostegno costante e stabile all’Ucraina fino al raggiungimento di una pace giusta, globale e duratura“, l’unico esito che “porterà a un’Ucraina sovrana e prospera e garantirà la sicurezza dell’Ucraina e dell’Europa“. La nota ribadisce inoltre “la volontà di porre l’Ucraina in una posizione di forza prima di qualsiasi negoziato futuro e di fornire all’Ucraina forti garanzie di sicurezza“.Cioè quanto i governi europei – soprattutto quelli baltici e scandinavi – e l’Alta rappresentante Kaja Kallas stanno ripetendo con particolare insistenza negli ultimi giorni, dopo che il segretario alla Difesa di Washington Pete Hegseth ha chiuso la porta ad ogni possibilità di impiegare truppe statunitensi in qualunque operazione di peacekeeping nell’ex repubblica sovietica (operazione che, se ci sarà, dovrà essere fuori dall’ombrello Nato). Costa, von der Leyen e Zelensky hanno reiterato infine la loro volontà condivisa di “intensificare il lavoro per accelerare il processo di adesione dell’Ucraina” al club a dodici stelle.Nello stesso momento in cui i droni russi tornano a cadere sulla centrale nucleare di Chernobyl, il leader ucraino ha avvertito che il Cremlino potrebbe presto lanciare un’aggressione dalla Bielorussia contro uno Stato lungo il fianco orientale della Nato, “forse la Polonia, forse i Baltici”, oppure sferrare una nuova offensiva verso Kiev.Il vicepresidente statunitense James David Vance parla alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, il 14 febbraio 2025 (foto via Imagoeconomica)Ma gli occhi e gli orecchi degli astanti sono tutti per Vance, dichiaratosi fiducioso del fatto che “possiamo giungere ad un accordo ragionevole tra la Russia e l’Ucraina“. Il vicepresidente ha poi spiazzato la platea sostenendo che il pericolo maggiore in Europa non deriva dalle minacce esterne ma proviene dall’interno, da quelle che ha bollato come “restrizioni alla libera espressione“, che sono per definizione intrinsecamente antidemocratiche.Esortando i leader europei a “non fuggire dagli elettori“, Vance ha anche suggerito di abbandonare i “cordoni sanitari” contro l’estrema destra, ad appena nove giorni dalle elezioni federali in Germania in cui l’ultradestra post-nazista e filorussa di Alternative für Deutschland (AfD), elogiata costantemente da Elon Musk, è accreditata dai sondaggi con almeno il 20 per cento dei consensi.

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    Meno parole, più armi. La Nato promette nuovi aiuti a Kiev per rinforzarla in vista dei negoziati

    Bruxelles – Meno discussioni sul processo di pace e più aiuti militari. È questo il messaggio che il nuovo segretario generale della Nato, l’ex premier olandese Mark Rutte, ha portato al quartier generale dell’Alleanza nordatlantica a Bruxelles circa la guerra in Ucraina. Esprimendo una posizione condivisa da diversi Stati membri – e da Kiev – il leader dell’organizzazione ha spiegato per l’ennesima volta come rinforzare le forze armate ucraine sia l’unico modo per consentire al Paese aggredito di negoziare una “pace giusta”. Ma sui contorni che tale pace potrebbe avere, inclusa la spinosa questione dell’adesione di Kiev alla Nato, nessuno ancora si sbilancia.Corsa contro il tempoSi è aperta oggi (3 dicembre) la due giorni in cui, al quartier generale della Nato a Bruxelles, si riuniscono i ministri degli Esteri dei 32 Stati membri per discutere di Ucraina e Medio Oriente. Parteciperà al meeting anche l’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas, che nel suo primo giorno in carica (il primo dicembre scorso) si è recata a Kiev per dimostrare tangibilmente il proprio sostegno al Paese aggredito dalla Russia di Vladimir Putin.Si tratterà invece dell’ultima riunione cui partecipa Antony Blinken in quota Usa, dato l’imminente insediamento di Donald Trump il prossimo 20 gennaio. E del resto quella di oggi e domani ha tutto il sapore di una corsa contro il tempo per garantire che Kiev “abbia ciò di cui ha bisogno” (Blinken dixit) per resistere all’aggressione dell’esercito di Mosca prima che alla Casa Bianca torni il tycoon newyorkese, il quale ha millantato di poter porre fine al conflitto nel giro di 24 ore.Il segretario di Stato statunitense Antony Blinken e il ministro degli Esteri ucraino Andriy Sybiha firmano un memorandum d’intesa al quartier generale della Nato a Bruxelles, il 3 dicembre 2024 (foto: Yves Herman/Afp)“Più armi, meno discussioni”Nessuno conosce ancora il piano di Trump, ma i critici del presidente-eletto temono che forzare l’Ucraina al tavolo negoziale ora che la situazione sul campo volge a favore della Russia significhi costringere l’ex repubblica sovietica ad una pace ingiusta, le cui condizioni verrebbero dettate dal Cremlino. A Bruxelles si vuole scongiurare un esito di questo genere.“Credo che l’Ucraina non abbia bisogno di ulteriori idee su come potrebbe essere un processo di pace”, ha spiegato Rutte ai giornalisti, ma di “più aiuti militari”. “Potremmo sederci a bere una tazza di caffè e discutere dei molti modi” in cui si potrebbero interrompere le ostilità, ha continuato, ma sarebbe piuttosto il caso di “assicurarci che l’Ucraina abbia tutto quello che le serve per essere in una posizione di forza quando partiranno i colloqui di pace, quando il governo ucraino avrà deciso di essere pronto ad agire in questo senso”.Il segretario Nato ha accolto con favore la notizia che Estonia, Germania, Lituania, Norvegia, Stati Uniti e Svezia hanno aumentato gli aiuti militari a Kiev, ma ha sottolineato che “tutti dobbiamo fare di più”. Il titolare della Farnesina Antonio Tajani ha confermato che l’Italia continua “a sostenere l’Ucraina da tutti i punti di vista: politico, finanziario, economico, militare” e che per quanto riguarda la difesa aerea “abbiamo fatto tutto ciò che potevamo” per aiutare il Paese aggredito a difendersi.Le difficoltà al fronteSul terreno, intanto, l’inerzia sta favorendo le truppe di Mosca. Oggi il fronte “si muove lentamente verso ovest, non verso est”, ha riconosciuto il leader dell’Alleanza, pur “con molte perdite sul lato russo”, qualcosa come 700mila vittime tra morti e feriti gravi. Il tutto mentre nell’oblast’ di Kursk sono ormai ampiamente operativi i soldati d’elite nordcoreani, che rappresentano secondo Rutte una “enorme escalation” del conflitto.Il presidente russo Vladimir Putin (foto: Gavriil Grigorov/Afp via Sputnik)“Sappiamo che la situazione sul campo di battaglia è difficile e dobbiamo fare tutto il possibile per far arrivare più munizioni ed equipaggiamento” all’Ucraina, ha continuato, “soprattutto ora che sta arrivando l’inverno” e gli attacchi russi si intensificano ai danni delle infrastrutture energetiche. Lo stesso ministro degli Esteri di Kiev, Andriy Sybiha, ha chiesto ai membri Nato l’invio di almeno una ventina di nuovi sistemi di difesa antiaerea per contrastare gli attacchi missilistici del nemico.Kiev nella Nato?Se l’invio di armi occidentali può tenere in vita la resistenza ucraina sul breve periodo, almeno fino all’avvio dei negoziati di pace, la stabilizzazione a lungo termine di quel pezzo d’Europa orientale avrà però bisogno di credibili garanzie di sicurezza. “L’unica vera garanzia di sicurezza per l’Ucraina, così come un deterrente contro ulteriori aggressioni russe contro l’Ucraina ed altri Stati, è la piena adesione dell’Ucraina alla Nato”, ha ribadito il ministero degli Esteri di Kiev in una nota, in cui si legge che “con l’amara esperienza del memorandum di Budapest alle nostre spalle, non accetteremo alcuna alternativa, surrogato o sostituto” di un ingresso a pieno titolo nell’Alleanza nordatlantica. Il riferimento è al patto, siglato il 5 dicembre 1994 tra Mosca e Kiev, tramite il quale l’Ucraina cedette alla Russia le sue testate nucleari in cambio di garanzie di sicurezza da parte del Cremlino.Il comunicato riprende le osservazioni fatte lo scorso weekend dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky, in cui per la prima volta ha ammesso che le forze armate di Kiev “non hanno la forza” per riconquistare militarmente le regioni occupate dai russi e che andranno trovate “soluzioni diplomatiche”. A oltre due anni e mezzo dall’inizio dell’invasione su larga scala, Zelensky ha fatto una parziale marcia indietro sulla posizione tenuta fin qui, aprendo all’eventualità di negoziare la restituzione di una parte dei territori sotto occupazione anziché insistere sulla loro liberazione con le armi.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto: Sergei Supinsky/Afp)Ma, questo il ragionamento, per poter negoziare tale restituzione occorre avere forza al tavolo delle trattative, e per avere forza serve rispondere colpo sul colpo sul campo di battaglia. Dunque servono gli aiuti occidentali e serve anche, al più presto, che la Nato si assuma la responsabilità di garantire la sicurezza di Kiev non appena cesseranno i combattimenti.Non così in frettaUn’eventualità definita “inaccettabile” e addirittura un “evento minaccioso” dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, per il quale “la sicurezza di un Paese non può essere garantita a spese della sicurezza di un altro Paese” – un principio che la stessa Russia ha violato nel febbraio 2022 invadendo l’Ucraina. L’ingresso dell’ex repubblica sovietica nella Nato, ha incalzato, “sarebbe un evento che ci minaccerebbe” e soprattutto “non eliminerebbe le cause profonde di quello che sta succedendo” da oltre due anni e mezzo.Lo stesso Rutte non vuole lasciare spazio alle speculazioni. L’Ucraina, sembra voler rassicurare Mosca, non aderirà in tempi brevi all’Alleanza. I membri di quest’ultima, ha confermato, “concordano sul fatto che il futuro dell’Ucraina è nella Nato”, sul “percorso irreversibile” di Kiev verso l’ingresso nell’organizzazione. “Ma penso che dobbiamo concentrarci molto”, anziché su quello che verrà in un futuro indefinito, “su quello che è necessario ora”, cioè appunto gli aiuti miliari alla resistenza.D’accordo anche Tajani: “Siamo tutti favorevoli a che l’Ucraina entri nella Nato“, ha detto ai cronisti, “così come siamo favorevoli a che l’Ucraina entri all’interno dell’Unione europea”. “Certamente c’è un percorso da compiere“, ha concesso il vicepremier forzista, riconoscendo tuttavia che gli ucraini “stanno facendo grandi passi in avanti”. Il destino di Kiev, in ogni caso, “è quello di entrare a far parte in futuro della Nato“, anche se questo futuro appare tutt’altro che prossimo.Alla corte di TrumpIl numero uno dell’Alleanza è tornato anche sui colloqui avuti con Trump il mese scorso. Sul tema del conflitto in Ucraina i due hanno concordato che “qualsiasi accordo” di pace dovrà essere “un buon accordo”, cioè dovrà tenere in considerazione le richieste del Paese aggredito. E dovrà anche segnalare agli alleati di Mosca – a partire da Pechino, Pyongyang e Teheran – che non si può invadere un Paese e pensare di passarla liscia.Il presidente-eletto degli Stati Uniti Donald Trump (foto: Jim Watson/Afp)“Questo è cruciale per la nostra difesa non solo in Europa ma anche negli Usa e nell’Indopacifico”, ha spiegato Rutte, secondo cui Washington si troverebbe ad affrontare “una grave minaccia” da parte di questi attori se l’Ucraina fosse costretta a firmare un accordo di pace troppo favorevole alla Russia. Cosa tratterrebbe Xi Jinping dall’attaccare Taiwan, o Kim Jong-un dal lanciare missili balistici su Seul o Tokyo, se Putin riuscisse a ottenere una pace vantaggiosa in Ucraina?Anche Zelensky, da parte sua, ha auspicato una più stretta cooperazione tra la propria squadra da un lato e, dall’altro, quella del presidente-eletto e il team che sta gestendo la transizione a Washington. “Dobbiamo prepararci con attenzione per il prossimo anno”, ha dichiarato il leader ucraino, il quale ha ribadito che è importante che “la politica degli Stati Uniti non cambi, in modo che gli Stati Uniti non cerchino un compromesso tra l’assassino e la vittima”.Sulla stessa linea anche il commento di Tajani: “L’obiettivo è quello di arrivare alla pace anche con la nuova amministrazione americana“, ha ribadito, sottolineando che una “pace giusta” significa “l’indipendenza dell’Ucraina. Sulle tempistiche per giungere a tale risultato, ha evidenziato che “tutti quanti sono convinti che nel 2025 si arriverà a un cessate il fuoco“, e che tanto Mosca quanto Kiev stanno cercando di ottenere successi militari ora per sedersi al tavolo da una posizione di forza.

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    Kiev e l’Ue tentano di capire cosa succederà all’Ucraina con la rielezione di Trump

    Bruxelles – Ora che Donald Trump è stato rieletto alla Casa Bianca, l’Europa cerca di prevedere quali saranno le sue mosse su uno dei fronti internazionali più caldi, quello della guerra in Ucraina. Mentre a Bruxelles si teme che il sostegno militare e finanziario a stelle e strisce possa diminuire drasticamente o addirittura interrompersi, a preoccupare Kiev c’è soprattutto la promessa del presidente (ri)eletto di mettere fine al conflitto “in 24 ore”. Il capo dello Stato ucraino, Volodymyr Zelensky, sta lanciando messaggi decisamente eloquenti al suo omologo statunitense, per impedire che imponga all’ex repubblica sovietica un processo di pace accelerato che rischia di tramutarsi in una “sconfitta”.Zelensky a BudapestDopo essersi congratulato con Trump per la sua vittoria nelle urne, il presidente ucraino è tornato sulla questione del sostegno di Washington agli sforzi bellici di Kiev ieri (7 novembre) in occasione del quinto incontro della Comunità politica europea, ospitato a Budapest dal premier ungherese Viktor Orbán. Lì, parlando ai giornalisti, ha ammesso che “il presidente Trump vuole davvero una decisione rapida” su come giungere alla fine delle ostilità con la Russia, ma ha aggiunto che “ciò non significa che andrà in questo modo”. Perché, ha insistito, “tutti vogliamo che questa guerra finisca, ma con una fine giusta”: se il processo di pace “è troppo veloce, sarà una sconfitta per l’Ucraina”, ha detto chiaro e tondo.Anche il padrone di casa è apparso fiducioso sulle prospettive per una risoluzione diplomatica del conflitto aperte dal ritorno di Trump alla Casa Bianca. “Quelli che vogliono la pace sono sempre più numerosi”, ha dichiarato Orbán, rinnovando il suo appello per un cessate il fuoco immediato. “La precondizione per la pace è la comunicazione”, ha spiegato il leader magiaro, e “la condizione per la comunicazione è un cessate il fuoco”, il quale “può fornire margine e tempo alle parti in conflitto” per “cominciare a negoziare la pace”.Il primo ministro ungherese, Viktor Orbán (foto: European Council)Appello immediatamente bollato come “pericoloso” e “irresponsabile” da Zelensky, secondo cui una tregua in questo momento – cioè con circa un quinto del territorio ucraino in mano alle forze di Mosca, che stanno peraltro avanzando anche sul fronte del Donbass – equivarrebbe a “distruggere la nostra indipendenza e la nostra sovranità”. “Abbiamo già provato” a raggiungere un cessate il fuoco nel 2014, ha ricordato il presidente ucraino, “e abbiamo perso la Crimea, e poi abbiamo avuto l’invasione su larga scala nel 2022”. Come a dire: non è possibile fidarsi di Vladimir Putin, perché non è realmente interessato alla pace.Qual è l’idea di pace secondo Trump?Cercare di capire l’idea di “pace” che avrebbe in mente Trump è dunque, comprensibilmente, la questione centrale che arrovella l’intera leadership ucraina. Per ora, il presidente eletto non ha fatto trapelare pubblicamente alcun dettaglio su come intende risolvere la crisi che da dieci anni tormenta l’ex repubblica sovietica, ma alcune indiscrezioni giornalistiche parlano di diverse opzioni sul tavolo del leader repubblicano.E tutte, allontanandosi dall’approccio seguito dall’amministrazione Biden (cioè quello di lasciar decidere a Kiev quando avviare le trattative), prevedono che l’Ucraina rinunci ad una parte del suo territorio riconosciuto internazionalmente, cioè quello disegnato dai confini del 1991. In alcune versioni si tratterebbe delle regioni occupate militarmente da Mosca, in altre di una sorta di zona cuscinetto demilitarizzata (sul modello delle due Coree) i cui contorni andrebbero negoziati a tavolino e che andrebbe pattugliata da truppe internazionali. Le quali, beninteso, dovranno essere europee e non statunitensi: “Non manderemo uomini e donne americani a difendere la pace in Ucraina”, ha dichiarato un membro dell’entourage di Trump, suggerendo di farlo fare “ai polacchi, ai tedeschi, agli inglesi e ai francesi”.Un altro elemento ricorrente sarebbe l’imposizione di una qualche forma di neutralità a Kiev, quella che veniva ironicamente chiamata “finlandizzazione” dell’ex repubblica sovietica prima che Helsinki decidesse di entrare nella Nato poco dopo l’avvio dell’invasione russa. Sempre secondo questi ipotetici piani, l’ingresso nell’Alleanza nordatlantica verrebbe congelato almeno temporaneamente per l’Ucraina, che in cambio continuerebbe a ricevere sistemi d’arma occidentali come deterrente contro un’eventuale nuova aggressione.L’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, celebra la rielezione il 6 novembre 2024 (foto: Jim Watson/Afp)Un’ulteriore opzione, ancora più radicale, proposta da alcuni collaboratori della prima amministrazione Trump per costringere Kiev a sedersi al tavolo delle trattative sarebbe invece quella di interrompere le forniture di armi alla resistenza ucraina. Si tratta dell’ipotesi peggiore per Zelensky e i suoi: non solo entrerebbero nei negoziati da una posizione di estrema debolezza, ma non riuscirebbero nemmeno a contenere ulteriori attacchi russi se Putin decidesse che, prima di trattare, vuole annettere alla Federazione qualche altro pezzo dell’ex repubblica sovietica. Si tratterebbe, in altre parole, di lasciare carta bianca al Cremlino.Visione strategicaPer Kiev, l’imperativo è far capire a Trump che sostenere l’Ucraina è nello stesso interesse di Washington. Da un lato, perché qualunque soluzione temporanea al conflitto che sia troppo vantaggiosa per la Russia rischia di trasmettere a Mosca il messaggio che, alla fine, l’ha avuta vinta e che quindi può ritentarci quando vuole. Che poi è quello che è successo quando, dieci anni fa, non ci sono state grosse conseguenze per l’annessione unilaterale della Crimea e lo stazionamento di truppe in Donbass, due violazioni della sovranità ucraina che hanno posto le basi per la guerra su larga scala del 2022.Dall’altro perché, se parti dell’Ucraina cadranno definitivamente in mano alla Russia, l’Europa e gli Stati Uniti perderanno l’accesso alle risorse naturali del Paese aggredito, nonché agli asset militari che Kiev ha sviluppato in due anni e mezzo di guerra e che potrebbero essere utilizzati per la sicurezza del Vecchio continente in sinergia con le forze Nato.È questo, in fin dei conti, il senso del “piano per la vittoria” che Zelensky ha presentato ai leader dei Ventisette il mese scorso: al netto della richiesta di far entrare l’Ucraina nell’Alleanza, il presidente ha messo nero su bianco quello che il suo Paese può offrire in cambio dell’aiuto internazionale. Per far passare il messaggio che l’investimento occidentale è strategico, a lungo termine, e che cedere a Putin ora significherebbe compromettere la sicurezza dell’Europa intera.Nel frattempo, l’Ue cerca di correre ai ripari come può. Proprio oggi (8 novembre) il Consiglio ha esteso di altri due anni – fino al novembre 2026 – il mandato della sua missione di assistenza militare all’Ucraina (Eumam Ukraine), dotandola di un budget da circa 409 milioni di euro. Un messaggio simbolico di sostegno a Kiev, ma poco più che noccioline se si considera l’entità delle spese che deve sostenere la resistenza. Allo stato attuale, difficilmente i Ventisette sarebbero in grado di mantenere a galla l’Ucraina da soli nel caso in cui dovessero realmente venire meno gli aiuti dall’altro lato dell’Atlantico.

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    La pro europea Maia Sandu ha vinto al secondo turno le presidenziali in Moldova

    Bruxelles – L’esito finale delle presidenziali moldave regala un sospiro di sollievo alle cancellerie occidentali, con la conferma del capo dello Stato uscente, l’europeista Maia Sandu, per altri quattro anni. Dopo il primo turno dello scorso 20 ottobre, gli elettori hanno premiato nel ballottaggio la presidente della Repubblica in carica, che vuole blindare il percorso di Chisinau verso l’Ue. Secondo le autorità, il voto è stato inquinato per l’ennesima volta dalle interferenze di Mosca. Di sicuro, per l’ennesima volta, c’è che Sandu è stata “salvata” dalla diaspora, mentre in patria avrebbe vinto lo sfidante filorusso.I numeri della sfidaA scrutinio quasi completato (99,86 per cento dei seggi) il quadro che emerge dalle presidenziali moldave di ieri (3 novembre) è chiaro: la presidente uscente Maia Sandu ha vinto il secondo turno con il 55,41 per cento dei consensi, staccando di oltre dieci punti l’ex procuratore generale filorusso Alexandr Stoianoglo, fermo al 44,59 per cento. Il capo dello Stato ha commentato così il responso delle urne: “Moldova, oggi sei vincitrice. Insieme, abbiamo dimostrato la forza della nostra unità, democrazia e impegno per un futuro dignitoso”.Moldova, today you are victorious. Together, we’ve shown the strength of our unity, democracy, and commitment to a dignified future.Thank you, dear Moldovans, at home and abroad. Walk with pride—you are freedom, hope, and resilience. I am proud to serve you all. pic.twitter.com/yGGlrjAMEC— Maia Sandu (@sandumaiamd) November 3, 2024I dati aggregati non restituiscono pienamente la dinamica del voto. Per farsi un’idea più completa occorre considerare la provenienza geografica dei consensi espressi. Nei 1988 collegi in cui è divisa la Moldova, Stoianoglo ha sorpassato Sandu di oltre due punti (51,19 a 48,81 per cento), mentre la presidente in carica ha stravinto il voto dall’estero: con 228 su 231 collegi scrutinati, Sandu si è portata a casa l’82,77 per cento delle preferenze degli expat moldavi, mentre Stoianoglo è rimasto inchiodato al 17,23 per cento. Nella capitale Chisinau, il vantaggio di Sandu sullo sfidante è di una quindicina di punti: 57,38 contro 42,62 per cento.Gioco sporco?Fino alla chiusura delle urne, il ballottaggio si annunciava particolarmente combattuto e il suo esito difficile da prevedere. Sandu, un’ex economista della Banca mondiale candidatasi come indipendente di area del Partito di azione e solidarietà (Pas), la forza di governo liberale ed europeista, aveva ottenuto il 42,5 per cento al primo turno, mentre Stoianoglo si era attestato al 26,5 per cento. Ma quest’ultimo, appoggiato dal Partito dei socialisti (Psrm), filo-russo, aveva ricevuto l’endorsement di diversi altri candidati sconfitti il 20 ottobre.Un altro ostacolo alla riconferma di Sandu, almeno stando alle dichiarazioni delle autorità moldave e della stessa presidente, è stata poi l’ennesima campagna di interferenza orchestrata dalla Russia di Vladimir Putin, che avrebbe preso di mira il processo democratico del Paese balcanico tramite fake news, disinformazione, propaganda e varie forme di coercizione degli elettori, inclusa la minaccia di attacchi ai seggi all’estero. Il segretario di Stato per la sicurezza, Stanislav Secrieru, ha denunciato il trasporto coatto di centinaia di elettori moldavi da parte russa, mentre il premier Dorin Recean ha affermato che diversi cittadini hanno ricevuto “minacce di morte anonime tramite chiamate telefoniche”.Sandu ha parlato di “attacchi senza precedenti” mossi da “forze ostili fuori dal Paese”, e ha accusato lo sfidante (che lei stessa aveva destituito dall’incarico di procuratore generale l’anno scorso) di essere un “cavallo di Troia” putiniano. Stoianoglo ha contrattaccato dipingendosi come l’uomo del dialogo sia con l’Occidente che con la Russia e imputando al capo dello Stato una retorica “divisiva” in un Paese in cui, affianco alla maggioranza romena, abita una nutrita comunità russofona.La partita geopoliticaL’esito del voto è fondamentale per la collocazione internazionale della Moldova e potrebbe anticipare le dinamiche che caratterizzeranno le prossime elezioni legislative, che si terranno entro la prima metà del 2025. Con la riconferma della presidente in carica per un altro mandato di quattro anni, il piccolo Paese balcanico parrebbe essersi ancorato più saldamente nel campo occidentale, ma non è ancora detto che il Pas (al potere dal 2021) riesca a mantenere il controllo del governo il prossimo anno.La stessa Sandu ha dichiarato che l’ingresso nel club europeo sarà l’imperativo strategico più importante della politica estera di Chisinau e che si augura di centrare l’obiettivo entro la fine del decennio. “Entrare nell’Unione europea è il piano Marshall della Moldova”, ha dichiarato, riferendosi al piano di investimenti monstre con cui gli Stati Uniti hanno sostenuto la ricostruzione dell’Europa occidentale nel secondo dopoguerra. Bruxelles ha recentemente adottato un pacchetto di finanziamenti da quasi 2 miliardi di euro per assistere Chisinau nel suo percorso verso l’Ue.L’alternativa, per la piccola repubblica balcanica, è il ritorno nell’orbita del Cremlino. La Moldova è uno degli Stati che costituiscono il cosiddetto spazio post-sovietico: una “cintura” di Paesi che secondo molti analisti Putin vorrebbe mantenere sottoposti alla Federazione Russa al fine di creare una zona cuscinetto in funzione anti-Nato, e che cerca di trattenere tramite interventi più o meno diretti, militari e ibridi. Oltre alle interferenze nei processi elettorali moldavi, Mosca mantiene da decenni delle truppe nella regione separatista della Transnistria, un lembo di terra moldava al confine con l’Ucraina.Bruxelles festeggia SanduEcco perché a Bruxelles la vittoria di Sandu è stata salutata con particolare sollievo. “Ci congratuliamo con le autorità moldave per il successo delle elezioni, nonostante le interferenze senza precedenti della Russia, anche con schemi di compravendita di voti e disinformazione”, si è complimentato l’Alto rappresentante per la politica estera comunitaria Josep Borrell, che ha denunciato i “tentativi ibridi” del Cremlino “di minare le istituzioni democratiche del Paese e il suo percorso nell’Ue”.Lo stesso giorno in cui si è tenuto il primo turno delle presidenziali, i moldavi avevano anche votato in un referendum che li interrogava sull’eventualità di introdurre in Costituzione l’obiettivo di aderire all’Ue. Sandu aveva convocato la consultazione popolare sperando in un plebiscito a favore del “sì”, ma alla fine il fronte europeista ha vinto sul filo del rasoio, sempre grazie al voto della diaspora e della capitale. Anche in quell’occasione erano state denunciate forti ingerenze di Mosca, facilitate da schemi di frodi elettorali ricondotti dagli inquirenti all’oligarca filorusso Ilan Shor.La domanda di adesione moldava risale al marzo 2022 e lo status di candidato è arrivato lo scorso dicembre. A giugno di quest’anno si è tenuta la prima conferenza intergovernativa Ue-Moldova, con cui sono stati formalmente avviati i negoziati per l’ingresso in Ue.

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    Allargamento Ue 3/ Quando Mosca è troppo vicina: gli ostacoli all’adesione di Georgia, Serbia e Turchia

    Bruxelles – Tra i Paesi candidati ad entrare in Unione europea, tre sembrano al momento piuttosto lontani. Si tratta di Georgia, Serbia e Turchia. Ognuno di loro presenta varie criticità su diversi livelli, ma un elemento che accomuna Tbilisi, Belgrado e Ankara è lo scollamento da Bruxelles su un punto fondamentale: la politica estera e di sicurezza. Che, a partire dall’aggressione dell’Ucraina di due anni e mezzo fa, comprende l’imperativo di non allinearsi alla Russia di Vladimir Putin.La Serbia, tallone d’Achille dei BalcaniTra i sei Paesi candidati della regione balcanica, la Serbia (che ha avanzato la sua domanda di adesione nel 2012) è decisamente la più problematica dal punto di vista del disallineamento rispetto alle priorità strategiche della politica estera comunitaria. Nella sua relazione annuale sul progresso del processo di adesione (chiamata anche “pacchetto sull’allargamento“), presentata mercoledì (30 ottobre) dall’Alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell e dal commissario all’Allargamento e al vicinato Olivér Várhelyi, si legge che “il ritmo dei negoziati” per l’ingresso di Belgrado nel club europeo “continuerà a dipendere dalle riforme sullo Stato di diritto e dalla normalizzazione delle relazioni della Serbia con il Kosovo”.Per quanto riguarda il primo punto, le riforme su cui il Paese balcanico deve concentrare i propri sforzi hanno a che fare soprattutto con la libertà della società civile e dei media e la lotta contro la disinformazione e le interferenze dall’estero. Tradotto: va ridotta l’esposizione alle campagne ibride del Cremlino, che fanno presa in questo Stato più che negli altri della regione.Ma è soprattutto sul difficile rapporto con il Kosovo che si stanno giocando le prospettive europee della Serbia. Belgrado non ha mai riconosciuto l’indipendenza di Pristina (proclamata unilateralmente nel 2008 e riconosciuta da oltre metà degli Stati membri dell’Onu), e il dialogo tra le due nazioni – facilitato dall’Ue – non sta compiendo progressi significativi. Il che è un eufemismo, considerati i momenti di crisi acuta negli ultimi tempi (ad esempio la disputa sulle targhe albanesi sfociata poi nell’episodio di sangue presso il monastero di Banjska nel settembre 2023). Del resto, il governo serbo guidato da Miloš Vučević ha ribadito che intende continuare sulla linea del non-riconoscimento di quella che considera una parte del territorio nazionale.A preoccupare Bruxelles è parallelamente anche la vicinanza di Belgrado a Mosca, un altro problema dell’esecutivo di Vučević (ma anche di quelli precedenti), di cui fanno parte due politici sanzionati dagli Stati Uniti per il loro legame alla Russia di Vladimir Putin: l’ex capo dell’intelligence Aleksandar Vulin e l’imprenditore Nenand Popović. L’esecutivo comunitario sottolinea che la Serbia “non è ancora allineata alle misure restrittive” adottate dall’Ue “contro la Federazione Russa” e altri Paesi come Bielorussia, Corea del Nord e Iran e “non si è allineata alla maggior parte delle dichiarazioni dell’Alto rappresentante” rivolte al Cremlino. Oltre a ciò, continua il rapporto, Belgrado “ha mantenuto relazioni di alto livello” con Mosca e “intensificato” quelle con Pechino, “sollevando dubbi circa la direzione strategica della Serbia”.La Georgia, un Paese in bilicoUn altro Stato candidato che sta pericolosamente pendendo verso Mosca è la Georgia. Nonostante la sua popolazione sia fortemente filo-occidentale, il governo – dal 2012 saldamente nelle mani di Sogno georgiano, il partito-macchina dell’oligarca Bidzina Ivanishvili – ha assunto nel corso dell’ultimo anno posizioni sempre più marcatamente filorusse, forzando peraltro l’approvazione parlamentare di due provvedimenti liberticidi (una legge sugli “agenti stranieri” e una sulla famiglia che discrimina i membri della comunità Lgbtq+) modellati sull’esempio di analoghe norme russe, che sono costati a Tbilisi il congelamento del percorso di avvicinamento all’Ue (avviato nel 2022) e la sospensione dell’erogazione dei fondi comunitari.La situazione non è affatto migliorata con l’ultima tornata elettorale dello scorso sabato (26 ottobre), durante la quale gli osservatori locali e internazionali hanno denunciato una lunga serie di irregolarità e violazioni e che le opposizioni si sono impegnate a non riconoscere, rifiutandosi di insediarsi nel nuovo Parlamento. Secondo la presidente della Repubblica, Salomé Zourabichvili, le elezioni sono state “rubate” ai georgiani da “un’operazione dei servizi segreti russi” e anche a Bruxelles si teme che l’esito del voto possa spingere il piccolo Stato caucasico verso l’orbita di Mosca in maniera irrimediabile.Secondo l’analisi della Commissione europea, “il tasso di allineamento con la politica estera e di sicurezza dell’Ue rimane considerevolmente basso”, anche se Tbilisi ha “cooperato con l’Ue per prevenire la circonvenzione delle sanzioni” comminate alla Federazione Russa. Una cooperazione che potrebbe venir meno nell’immediato futuro.Il limbo eterno della TurchiaRimangono decisamente esigue anche le speranze della Turchia di entrare in Ue: il Paese anatolico ha fatto domanda di adesione nel lontano 1999 ma, per una lunga serie di motivi, non ha mai avuto una prospettiva concreta di far parte del club a dodici stelle e ora la sua pratica è bloccata dal 2018. Tra i maggiori ostacoli ci sono la questione cipriota, le dispute con la Grecia per il controllo di alcuni tratti di mare (e dei sottostanti giacimenti di idrocarburi) nel Mediterraneo orientale, il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali (inclusi quelli delle minoranze e delle donne) e, pure in questo caso, il disallineamento in politica estera tra Ankara e Bruxelles.Sotto la presidenza di Recep Tayyip Erdoğan, la Turchia si è mossa con relativa disinvoltura (i critici direbbero con spregiudicatezza) sulla scena internazionale, instaurando un rapporto ambivalente con la Russia di Putin. Su alcuni fronti di crisi, come quello siriano, i due leader si sono trovati su posizioni opposte, ma i due Paesi sono in realtà strettamente legati da una crescente relazione che investe il piano politico (Ankara starebbe ambendo ad entrare nei Brics, che l’uomo forte di Mosca definisce l’alternativa globale all’Occidente), strategico (dall’Africa all’Ucraina passando per il Caucaso), economico (con uno scambio commerciale in continuo aumento) ed energetico (la Turchia sembra puntare a diventare l’hub per far entrare il gas russo in Europa nell’epoca in cui le sanzioni impediscono agli Stati Ue di rifornirsi direttamente dalla Federazione).L’esecutivo comunitario ribadisce che Ankara “si è rifiutata di allinearsi alle misure restrittive dell’Ue contro la Russia riguardo all’aggressione russa dell’Ucraina”, e suggerisce che la Turchia dovrebbe impegnarsi maggiormente per ridurre la circonvenzione delle sanzioni dei beni diretti verso la Federazione impedendo il “falso transito” di articoli particolarmente sensibili attraverso il proprio territorio. La repubblica anatolica dovrebbe inoltre “cooperare più attivamente con le autorità inquirenti dell’Ue sui casi di falsificazione dell’origine dei beni sanzionati provenienti dalla Russia che entrano illegalmente nel mercato unico” dei Ventisette. Nelle parole di Borrell, l’allineamento tra la politica estera comunitaria e quella turca è “particolarmente basso e in diminuzione”.

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    Bruxelles e Seul serrano i rapporti in chiave anti-Pyongyang

    Bruxelles – Se la Corea del Nord si allinea con la Russia, l’Unione europea si tiene stretta la Corea del Sud. In un intreccio di alleanze e contrasti internazionali, l’asse che si è ormai saldato tra Pyongyang e Mosca sta portando a rafforzarsi anche il legame tra Bruxelles e Seul, già importanti partner commerciali e presto anche militari. La goccia che sta facendo traboccare il vaso è la presenza, ormai confermata, di soldati nordcoreani affianco alle truppe russe contro l’esercito di Kiev.La presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, ha sentito al telefono il capo dello Stato sudcoreano Yoon Sul Yeol lunedì (28 ottobre), per discutere dei progressi sul partenariato di sicurezza e difesa tra Ue e Repubblica di Corea annunciato nel maggio 2023 e prossimo all’avvio. L’accordo, si legge sul sito della Commissione europea, “sottolinea la natura interconnessa della sicurezza dell’Europa e dell’Asia orientale” e mira a rafforzare “l’impegno comune dell’Ue e della Repubblica di Corea a promuovere la pace e la stabilità in entrambe le regioni”.Fuor di metafora, significa che Bruxelles e Seul vogliono unire gli sforzi per far fronte ad un’alleanza politico-militare che sta preoccupando l’intero Occidente, dentro e fuori la Nato: quella tra la Federazione Russa e la Corea del Nord. Da mesi ormai i media internazionali e le agenzie di intelligence di mezzo mondo hanno messo in evidenza come la dittatura guidata da Kim Jong-un stia aiutando l’autocrazia di Vladimir Putin nella sua guerra di aggressione contro l’Ucraina. Dapprima con la fornitura di materiale bellico (soprattutto balistico) e, recentemente, anche con l’invio di soldati.Le prime segnalazioni che personale militare della Repubblica popolare democratica di Corea (Rpdc) era giunto sul suolo russo per essere addestrato dall’esercito di Mosca erano arrivate da Kiev, che intorno al 23 ottobre scorso aveva registrato la presenza di soldati nordcoreani nell’oblast’ di Kursk, il territorio della Federazione dove ad agosto sono penetrati gli ucraini con un’incursione a sorpresa. Poi le conferme sono arrivate anche da Washington e da Bruxelles.Oggi, la presidente von der Leyen ha denunciato la fornitura di “sempre più assistenza letale alla Russia” da parte della Rpdc, culminato nel fatto che “per la prima volta i soldati della Corea del Nord sono schierati a sostegno della guerra di aggressione russa”, il che “rappresenta una significativa escalation della guerra contro l’Ucraina e minaccia la pace globale”. Sull’impiego delle truppe nordcoreane in Russia, il vicedirettore dell’agenzia di spionaggio sudcoreana, Hong Jang-won, ha aggiornato i diplomatici di Ue e Nato a Bruxelles: secondo le stime dei servizi di Seul, entro il mese di dicembre si sarà raggiunta quota 10mila unità pronte al combattimento.Il capo dell’esecutivo Ue ha assicurato al presidente sudcoreano che la risposta europea a tali sviluppi “sarà incentrata sulla cooperazione con la Repubblica di Corea e con altri partner” della regione, come ad esempio il Giappone – col quale, pure, Bruxelles è in procinto di avviare un partenariato in materia di sicurezza e difesa. Del resto, ha notato von der Leyen, l’intensificarsi della cooperazione militare tra Mosca e Pyongyang rischia di spingere l’Rpdc ad “aumentare ulteriormente le tensioni nella penisola coreana” minacciando più da vicino Seul. La situazione nell’area è già tesa dopo che, a metà ottobre, alcuni collegamenti stradali tra le due Coree sono stati fatti letteralmente saltare in aria dai militari nordcoreani.

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    Il doppio voto in Moldova avvicina Chisinau all’Europa

    Bruxelles – Per il rotto della cuffia i cittadini moldavi hanno deciso che il futuro del loro Paese è quello di entrare nell’Unione europea. Il “sì” al referendum popolare sull’adesione è passato in testa lunedì mattina (21 ottobre), il giorno dopo la chiusura delle urne, e pare che la volata sia stata tirata dai residenti all’estero. Ma domenica si è votato anche per le presidenziali: la presidente uscente Maia Sandu, un’europeista che ha ripetutamente denunciato ingerenze russe nel processo democratico nazionale, è in vantaggio, ma dovrà andare al ballottaggio tra due settimane.Chisinau verso BruxellesSembrava fosse già l’ora di intonare il de profundis delle ambizioni europee della Moldova, con il fronte contrario all’ingresso nell’Ue del piccolo Paese esteuropeo sembrava in netto vantaggio fino alle prime ore di lunedì. Ma all’ultimo miglio dello scrutinio si è registrato il sorpasso, spinto dal voto della diaspora che è stato conteggiato solo alla fine e a quello della Capitale Chisinau, arrivato all’alba di oggi. Per tutta la notte tra domenica e lunedì era rimasto saldamente in testa (con una percentuale che oscillava tra il 55 e il 57) il “no” al referendum, ma poi la situazione si è ribaltata – almeno stando ai dati preliminari forniti dalla commissione elettorale centrale.Il distacco tra i due schieramenti corre sulla lama di un rasoio, ma sarebbe sufficiente a far vincere il fronte europeista: 50,39 contro 49,61 per cento con oltre il 99 per cento dei voti scrutinati. Lo scarto sarebbe di poche migliaia di voti, poco più di 11mila su una popolazione totale da 2 milioni e mezzo di abitanti. L’affluenza è stata ampiamente superiore alla soglia necessaria ai fini della validità del referendum (33,3 per cento), con oltre la metà degli aventi diritto (51,68 per cento) che si sono recati alle urne.Nel quesito referendario si chiedeva ai cittadini se inserire nella carta fondamentale l’impegno dell’ex repubblica sovietica verso l’integrazione nel club europeo. Nello specifico, il preambolo della Costituzione dovrebbe ora venire arricchito da due nuovi paragrafi per “riconfermare l’identità europea del popolo della Repubblica di Moldova e l’irreversibilità del percorso europeo” e per “dichiarare l’integrazione nell’Unione Europea un obiettivo strategico della Repubblica di Moldova”.Ombre russeSecondo molti osservatori, il successo del fronte anti-Ue sarebbe dovuto anche ad una pesante campagna di interferenza orchestrata da Mosca, che ha tutto l’interesse a tenere la Moldova lontana da Bruxelles. Quando il “no” al referendum era ancora in vantaggio, Sandu ha accusato “gruppi criminali” legati al Cremlino di aver interferito con il voto, per impedire all’ex repubblica sovietica di abbandonare l’orbita russa. “Abbiamo prove chiare che questi gruppi criminali hanno tentato di comprare 300mila voti”, ha dichiarato, con l’obiettivo “di minare un processo democratico” e di “diffondere paura e panico nella società”.Da Bruxelles le ha fatto eco il portavoce per gli Affari esteri dell’esecutivo comunitario, Peter Stano: “Abbiamo notato che questa votazione si è svolta sotto un’interferenza e un’intimidazione senza precedenti da parte della Russia” e di altri attori riconducibili alla Federazione, ha dichiarato durante una conferenza stampa, “con l’obiettivo di destabilizzare i processi democratici nella Repubblica di Moldova”. Del resto, non si tratta certo di un fulmine a ciel sereno. “Questa interferenza straniera e manipolazione delle informazioni” da parte del Cremlino “ha molti volti, e sta accadendo in molte forme non solo pochi giorni prima del voto”, ha aggiunto Stano, parlando di “uno sforzo a lungo termine” che è finito nel mirino della Commissione “molto tempo fa”.Le autorità moldave avevano già smantellato un massiccio schema di compravendita di voti a inizio mese, che avevano ricondotto alle ingerenze dell’oligarca Ilan Shor, vicino a Mosca e attualmente residente in Russia. La settimana scorsa, hanno sventato un altro complotto in cui erano coinvolti oltre un centinaio di giovani che avrebbero ricevuto un addestramento da parte di gruppi militari privati russi su come creare disordini in occasione del doppio voto di domenica scorsa.Le aspirazioni europee della leadership in caricaUn’ex repubblica sovietica, la Moldova è guidata dal 2021 da un governo filo-occidentale e dalla presidente pro-Ue Maia Sandu eletta l’anno precedente.Esecutivo e capo dello Stato stanno cercando di sganciare la nazione balcanica da quella che il presidente russo Vladimir Putin continua a considerare la “sfera d’influenza” della Federazione. Da decenni Chisinau è alle prese con i separatisti della Transnistria, un lembo di terra al confine con l’Ucraina che si è autoproclamata indipendente nel 1990 e continua a sfidare la sovranità e l’integrità territoriale moldave grazie all’appoggio della Russia.Nel marzo 2022 la Moldova ha fatto domanda per entrare in Ue insieme all’Ucraina ed ha ottenuto lo status di Paese candidato nel giugno di quello stesso anno, sempre in tandem con Kiev. Lo scorso dicembre, il Consiglio europeo ha dato il via libera per avviare formalmente i negoziati di adesione, una decisione concretizzatasi a giugno di quest’anno con la prima conferenza intergovernativa.Ballottaggio presidenzialeMa l’appuntamento elettorale di domenica era doppio. Oltre ad esprimersi sul futuro europeo di Chisinau, i moldavi erano anche chiamati a scegliere il nuovo capo dello Stato, che si dovrà insediare alla scadenza del mandato della presidente uscente, la 52enne Sandu (il prossimo dicembre).L’attuale presidente (la prima donna a ricoprire tale incarico, già prima ministra per qualche mese nel 2019) ha ottenuto il 42,31 per cento dei consensi a scrutinio quasi completo, che la posizionano saldamente in testa ma non le hanno permesso di centrare il bis al primo turno. Ora dovrà sfidare il candidato filorusso Alexandr Stoianoglo (che ha preso il 26,09 per cento) al ballottaggio in calendario per il 3 novembre.