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    L’Ue dei “Ventisette meno uno” rinnova il sostegno all’Ucraina. E tiene dentro la Slovacchia sulle sanzioni

    Bruxelles – Per l’ennesima volta, sull’Ucraina i Ventisette diventano Ventisei. È una “divergenza strategica” quella con l’Ungheria di Viktor Orbán, ribadiscono fonti comunitarie. L’uomo forte di Budapest ha da tempo puntato i piedi sull’apertura dei cluster negoziali per far entrare Kiev nel club a dodici stelle. Per quello serve l’unanimità, e dunque il percorso dell’adesione non parte.“Il problema è la guerra“, ha ribadito stamattina (26 giugno) il premier magiaro arrivando al Consiglio europeo in corso a Bruxelles. “Se integrassimo l’Ucraina in Ue integreremmo anche la guerra“, ragiona. E se la guerra finisse? Orbán non ci vuole nemmeno pensare: “Non c’è alcun cessate il fuoco“, taglia corto, quindi è inutile fantasticare al riguardo. E vanta il risultato di quello che chiama “referendum” (in realtà un questionario inviato ai cittadini, privo di alcun valore legale) sull’ingresso di Kiev nel club europeo: dei poco più di 2 milioni di risposte, il 95 per cento è contrario, dice.❌ The Hungarian people have spoken: 95% said NO to dragging Ukraine into the EU! ❌They said NO to war, NO to economic ruin, and NO to Brussels’ delusions. With over 2 million votes cast, we’re taking our people’s mandate for peace and common sense to Brussels. pic.twitter.com/PaD0jQqBfy— Orbán Viktor (@PM_ViktorOrban) June 26, 2025Così, i Ventisette hanno approvato delle conclusioni estremamente snelle, che rimandano ad un documento separato approvato a 26 per rinnovare il loro appoggio al Paese aggredito. Come al solito, c’è il sostegno per il raggiungimento di una tregua incondizionata e immediata e una pace giusta e duratura, per continuare a inviare a Kiev aiuti militari e per mantenere alta la pressione sulla Russia di Vladimir Putin.Prima della discussione, i capi di Stato e di governo hanno avuto uno scambio telematico con Volodymyr Zelensky. Il presidente ucraino avrebbe dovuto partecipare in presenza al vertice, ma i pesanti bombardamenti russi lo hanno costretto in patria. La drammatica situazione a Kiev ha poi imposto, prima dell’inizio del summit, un ulteriore cambio di scaletta, facendo scalare il punto dell’agenda dalla mattina al pomeriggio.Il dibattito tra i leader è stato piuttosto rapido, ma il nodo che ha creato qualche problema intorno al tavolo è stato quello delle sanzioni contro Mosca. La Commissione sta lavorando per mettere insieme il 18esimo pacchetto, che dovrà colpire in particolare le esportazioni energetiche della Federazione e la sua flotta ombra.Il primo ministro slovacco Robert Fico (sinistra) incontra al Cremlino il presidente russo Vladimir Putin, il 22 dicembre 2024 (foto: Gavriil Grigorov/Afp via Sputnik)Vanno ancora limati alcuni dettagli, a partire dall’abbassamento del tetto al prezzo del greggio di Mosca dagli attuali 60 a 45 dollari al barile. Una misura che, in realtà, dovrebbe venire decisa in sede G7, dato che l’oil price cap originale era stato deciso lì.Non è del tutto chiaro cosa ne sarà di quel “dettaglio”, ma per ora il presidente del Consiglio europeo, António Costa, è riuscito ad aggirare il potenziale veto del primo ministro slovacco Robert Fico (preoccupato dallo stop all’afflusso di gas russo) inserendo una menzione generica all’inclusione, nel prossimo round di sanzioni, di “misure volte a colpire ulteriormente le entrate energetiche” del Cremlino.Alla fine, tutti contenti: Costa ha portato a casa l’unità dei “27 meno uno” (se di unità si può parlare), il premier di Bratislava non si è lasciato mettere all’angolo dai suoi omologhi e Ursula von der Leyen si è tenuta una finestra aperta per continuare a limare i contorni delle sanzioni sul petrolio di Mosca.

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    Ucraina, i Ventisette al lavoro sul 17esimo pacchetto di sanzioni contro Mosca

    Bruxelles – Mentre la Russia continua a bombardare l’Ucraina, l’Ue non ha ancora trovato la quadra per imporre nuove sanzioni su Mosca, mentre il sostegno a Kiev procede ancora a singhiozzo. Le cancellerie stanno lavorando al 17esimo pacchetto di misure restrittive, che potrebbe essere pronto il mese prossimo, ma le difficoltà maggiori si riscontrano ancora sull’utilizzo dei proventi dai capitali russi congelati.È di almeno 34 morti e oltre 110 feriti il bilancio dell’ultimo attacco russo sulla città ucraina di Sumy, poco distante dal confine con la Federazione, condotto ieri (13 aprile) mentre la cittadinanza era riunita per celebrare la domenica delle Palme, ad appena un paio di giorni dalla visita a Mosca dell’inviato speciale della Casa Bianca, Steve Witkoff. L’ennesima strage di civili ha aumentato la pressione politica sui ministri degli Esteri dei Ventisette, riuniti stamattina a Lussemburgo, ma non è stata sufficiente per imprimere una svolta decisiva. Il 17esimo pacchetto di sanzioni contro Mosca è ancora in preparazione e non sarà ultimato prima del mese prossimo, come sottolineato dalla stessa Kaja Kallas.Sanzioni e beni congelati“Tutti gli Stati membri vogliono la pace e tutti appoggiano il cessate il fuoco” accettato dall’ex repubblica sovietica quasi un mese fa, ha dichiarato l’Alta rappresentante (alla sua prima missione nel Granducato). Ma il bombardamento di Sumy “dimostra che i russi non vogliono la pace“, e dunque “l’unico modo per portare la Russia a negoziare è aumentare la pressione“. L’ultimo round di misure restrittive contro la Russia è stato approvato lo scorso febbraio in occasione del terzo anniversario dell’invasione su larga scala dell’Ucraina del 2022.“Stiamo lavorando all’imposizione di sanzioni sul petrolio e sul gas“, ha aggiunto l’ex premier estone auspicando “un pacchetto il più forte possibile“. Stavolta, tra le maglie delle sanzioni potrebbero finire intrappolate anche le navi della cosiddetta “flotta ombra” della Federazione (utilizzata fin qui per aggirare le sanzioni già esistenti) e le importazioni di gas naturale liquefatto (gnl), nonché la società atomica statale Rosatom. Questi, almeno, sarebbero i desiderata dei baltici e degli scandinavi, i più vocali sostenitori dell’Ucraina e i più accaniti detrattori della Russia.Una volta confezionate, ad ogni modo, le nuove misure restrittive dovranno passare per le Forche Caudine dell’unanimità tra le cancellerie. Che, in termini pratici, significa esporle al veto del primo ministro ungherese Viktor Orbán, il cavallo di Troia del Cremlino in seno all’Ue che si è sempre messo di traverso per quanto riguarda il sostegno a Kiev, tanto da far parlare il ministro lituano Kęstutis Budrys di “un’umiliazione per tutti coloro che si impegnano diplomaticamente per fermare questa guerra”.Il primo ministro ungherese Viktor Orbán (foto: European Council)Una questione ancora più spinosa è quella relativa all’utilizzo degli extraprofitti generati dagli interessi sui capitali russi immobilizzati nella giurisdizione dell’Unione (un tesoretto che ammonta a qualcosa come 210 miliardi di euro) per finanziare la resistenza ucraina e la futura ricostruzione del Paese aggredito. La ministra svedese Maria Palmer Stenergard, ad esempio, vorrebbe spingersi fino a sequestrare gli stessi beni congelati.La faccenda è complessa tanto dal punto di vista politico quanto da quello giuridico e in Ue se ne discute da parecchio tempo, ma il tema ha guadagnato nuova urgenza dopo il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, data la prospettiva di una chiusura dei rubinetti a stelle e strisce e l’alleggerimento delle sanzioni a Mosca ventilato recentemente dal tycoon newyorkese.Aiuti militariSul tavolo dei titolari degli Esteri c’erano anche gli aiuti militari a Kiev. “Abbiamo discusso dell’espansione delle missioni già in corso“, ha spiegato il capo della diplomazia a dodici stelle, ma anche di quella “forza di rassicurazione” di cui si sta occupando la coalizione dei volenterosi a egida franco-britannica. In termini finanziari, ha osservato Kallas “quest’anno gli Stati membri hanno già contribuito oltre 23 miliardi di euro”, una cifra superiore a quella versata dai Ventisette nel 2024 (circa 20 miliardi).Ad oggi, ha annunciato, sono stati consegnati circa due terzi dei 2 milioni di proiettili (per un valore totale di 5 miliardi) promessi all’Ucraina dagli Stati membri in quello che resta dell’ambizioso “piano Kallas” da 40 miliardi affossato qualche settimana fa da Italia, Francia e Spagna. L’Alta rappresentante spera di poter arrivare al 100% “nel più breve tempo possibile”.È peraltro di stamattina la notizia che il cancelliere tedesco in pectore, il conservatore Friedrich Merz, sarebbe propenso ad inviare all’ex repubblica sovietica i missili Taurus a lunga gittata, superando il netto rifiuto del Bundeskanzler uscente Olaf Scholz e innescando la risposta del Cremlino che condanna l’ennesima “pericolosa escalation”.Following yesterday’s horrific Russian attack on Sumy, I addressed the EU Foreign Affairs Council online upon @kajakallas invitation.This weekend was Passover and Palm Sunday, and now the Holy Week begins. This should have been a time for peace, but Putin made it a time of… pic.twitter.com/2VVTXzSAPp— Andrii Sybiha (@andrii_sybiha) April 14, 2025Stamattina, il ministro degli Esteri ucraino Andrij Sybiha (collegato da remoto al Consiglio in corso a Lussemburgo) ha invitato i suoi omologhi Ue a recarsi a Kiev in occasione della giornata dell’Europa il prossimo 9 maggio. Da un paio d’anni, l’Ucraina ha anticipato le celebrazioni per la fine della Seconda guerra mondiale dal 9 maggio – data in cui si festeggiava nell’Urss e si festeggia ancora in Russia – all’8, mentre il giorno successivo ricorda la dichiarazione Schuman del 1950 (considerato l’avvio del progetto comunitario) come fanno i Ventisette.Ma sul punto Kallas è stata evasiva: “Ho chiesto a tutti gli Stati membri e alle istituzioni dell’Unione di visitare Kiev quanto più possibile per mostrare la nostra solidarietà”, ha dichiarato ai giornalisti rispondendo ad una domanda sul tema, specificando invece che “non vogliamo che nessun Paese candidato partecipi alle celebrazioni del 9 maggio a Mosca“.

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    Da Macron a Merz, fino a Orbán. La vicinanza dei leader europei a Netanyahu e la sconfitta del diritto internazionale

    Bruxelles – Mercoledì 2 aprile il premier israeliano Benjamin Netanyahu metterà piede per la prima volta sul territorio europeo da quando è oggetto di un mandato d’arresto della Corte penale internazionale (Icc). Sarà ospite di Viktor Orbán, che come altre volte rompe tabù che a ben vedere stanno stretti anche ai suoi omologhi europei. Dal futuro cancelliere tedesco Friedrich Merz al presidente francese Emmanuel Macron e al ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, sono già diversi i Paesi Ue che hanno messo in dubbio – se non proprio respinto – la possibilità di perseguire Netanyahu per crimini di guerra e contro l’umanità commessi a Gaza.Nel weekend, ci ha pensato il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis a varcare la prima linea rossa, incontrando Netanyahu a Gerusalemme, proprio mentre – nel primo giorno dell’Eid al-Fitr, la festività che segna la fine del Ramadan – i raid israeliani su Gaza avrebbero ucciso almeno 64 palestinesi. I due hanno “ribadito la relazione strategica tra Grecia e Israele” e discusso “l’ulteriore approfondimento della cooperazione bilaterale, in particolare nel campo della difesa”.Kyriakos Mitsotakis e Benjamin Netanyahu a Gerusalemme, 30/3/25 [Credits: Account X Kyriakos Mitsotakis]Dal 21 novembre scorso, quando il Tribunale de L’Aia ha emesso il mandato di cattura per Netanyahu e l’ex ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, nessun leader europeo aveva ancora incontrato di persona il capo del governo israeliano. Ma in realtà, nessuno dei 27 ha veramente tagliato i ponti con l’uomo accusato di crimini di guerra, come invece è stato fatto con il presidente russo Vladimir Putin, su cui pende lo stesso mandato d’arresto internazionale. Ieri sera, Macron ha diffuso un resoconto di una telefonata con Netanyahu, in cui ha ribadito che “la liberazione di tutti gli ostaggi e la sicurezza di Israele sono una priorità per la Francia” e ha chiesto “al primo ministro israeliano di porre fine agli attacchi su Gaza e di tornare al cessate il fuoco, che Hamas deve accettare”.Parigi era stata tra le prime capitali Ue a mettere in discussione la legittimità del mandato d’arresto, chiamando in causa un articolo dello Statuto di Roma – fondativo della Corte – che garantirebbe un’immunità agli Stati che non fanno parte dell’Icc. Il ministero degli Esteri francese è stato seguito a ruota da quello italiano, con Tajani che ha sostenuto che il mandato d’arresto non può essere applicato almeno fino alla fine dell’incarico di Netanyahu e ribadito poi in differenti occasioni che l’Italia non arresterebbe il premier israeliano. Roma la sua picconata al diritto internazionale l’ha già data, scegliendo di riaccompagnare in Libia con un volo di Stato il torturatore e capo della polizia giudiziaria di Tripoli, Najim Osama Al Masri, ricercato dal Tribunale de l’Aia per crimini di guerra, omicidio, tortura e trattamenti crudeli.Berlino aveva invece  sottolineato che la posizione tedesca non poteva che essere frutto “della storia tedesca” e della “grande responsabilità” che la Germania sente nei confronti di Israele dopo lo sterminio degli ebrei perpetrato dal regime nazista. Il cancelliere eletto Friedrich Merz ha poi sfidato apertamente la Corte, definendo “completamente assurda” l’idea che un primo ministro israeliano non possa visitare la Germania e invitando espressamente Netanyahu nella Repubblica Federale.Viktor Orban e Benjamin Netanyahu a Gerusalemme nel febbraio 2019 (Photo by Ariel Schalit / POOL / AFP)Berlino, Roma e Parigi, così come tutti i 27 Paesi Ue, fanno parte della Corte Penale Internazionale e sono quindi tenuti ad applicare le sue decisioni. Alla fine, ad ospitare per primo Netanyahu in questa inquietante gara a violare il diritto internazionale sarà Orbán, che dall’inizio aveva definito il mandato d’arresto “vergognoso” e annunciato che non l’avrebbe eseguito. Anzi, dopo la decisione americana di imporre sanzioni contro l’Icc, Orbán ha annunciato l’intenzione di “rivedere l’impegno” dell’Ungheria nei confronti di un tribunale “degradato a strumento politico di parte”.I due dovrebbero discutere del piano per il futuro di Gaza. Netanyahu – nonostante il supporto della comunità internazionale per il piano elaborato dai Paesi arabi – è convinto di poter allargare il consenso sulla controversa e fumosa proposta di Trump, che prevede la “migrazione volontaria” della popolazione locale e la trasformazione della Striscia di Gaza in una lussuosa riviera aperta al turismo internazionale.Il sostegno di Orbán al piano di Trump e Netanyahu va contro la posizione presa dall’Unione europea, che appoggia invece l’iniziativa araba e si oppone fermamente a qualsiasi tentativo di emigrazione forzata della popolazione gazawi. A ben vedere, il viaggio di Netanyahu in Ungheria va letto anche come un’ennesima provocazione del premier magiaro nei confronti di Bruxelles, che a parole continua a sostenere la Corte Penale. “Come affermato nelle Conclusioni del Consiglio del 2023, il Consiglio invita tutti gli Stati a garantire la piena cooperazione con la Corte, anche mediante la rapida esecuzione dei mandati di arresto pendenti, e a stipulare accordi volontari”, ha dichiarato ancora a proposito della vicenda un portavoce della Commissione europea.

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    I leader Ue confermano il loro impegno sull’Ucraina (di nuovo senza Orbán)

    Bruxelles – Sembrano finiti i giorni in cui i leader dell’Ue cercavano di mantenere l’unità tra le 27 cancellerie. L’Europa a geometria variabile è già qui, con l’esclusione di fatto sistematica dell’Ungheria di Viktor Orbán. Come accaduto al vertice straordinario di due settimane fa, anche stavolta i capi di Stato e di governo hanno adottato le loro conclusioni sull’Ucraina aggirando l’opposizione del premier magiaro, mettendolo – o meglio lasciandolo – all’angolo.Niente di nuovo né nel metodo né nel merito. Nel metodo, appunto, si registra di nuovo il ricorso all’approccio sperimentato dal presidente del Consiglio europeo, António Costa, per raggiungere un consenso a 26 laddove non si riesca ad ottenere l’unanimità (richiesta per le decisioni formali di politica estera). Detto, fatto. Per la seconda volta di fila, anziché essere inserite nel testo finale delle conclusioni del summit, le determinazioni dei leader riguardo al conflitto nell’ex repubblica sovietica sono state inserite in un documento separato, firmato da tutti meno che dal primo ministro ungherese. “Divergenza strategica“, la formula utilizzata a Budapest e a Bruxelles per giustificare la nuova dinamica.Il primo ministro ungherese Viktor Orbán e l’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas (foto: European Council)Nel merito, la sessione durata un paio d’ore ha prodotto risultati sostanzialmente identici a quelli del vertice straordinario dello scorso 6 marzo. Si riafferma il “continuo e incrollabile sostegno all’indipendenza, alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale”, si ribadisce l’approccio di “pace attraverso la forza“, si ripete l’impegno “a fornire ulteriore supporto completo all’Ucraina e al suo popolo”, inclusa la fornitura di nuovi e consistenti aiuti finanziari e militari.E, naturalmente, il sostegno a “una pace globale, giusta e duratura” che sia “accompagnata da solide e credibili garanzie di sicurezza“, per monitorare la quale è benvenuto il contributo della cosiddetta coalizione dei volenterosi a egida franco-britannica (i cui capi di Stato maggiore si stanno riunendo proprio in queste ore a Londra). Infine, i leader hanno “sottolineato la necessità di accelerare i negoziati di adesione” dell’Ucraina al club a dodici stelle.C’è poi un passaggio sui colloqui in corso per giungere ad una tregua dei combattimenti. I leader dei Ventisette accolgono “con favore” la dichiarazione congiunta siglata da Ucraina e Stati Uniti dopo l’incontro di Gedda dello scorso 11 marzo, “comprese le proposte per un accordo di cessate il fuoco, gli sforzi umanitari” e soprattutto “la ripresa della condivisione di intelligence e dell’assistenza” da parte degli Usa. In altre parole, c’è sollievo a Bruxelles per il riavvio dei rapporti tra Kiev e Washington (e soprattutto degli aiuti militari) dopo l’epilogo burrascoso del bilaterale alla Casa Bianca di fine febbraio.Il presidente statunitense Donald Trump (destra) accoglie l’omologo ucraino Volodymyr Zelensky nello Studio ovale, il 28 febbraio 2025 (foto via Imagoeconomica)Ma l’entusiasmo delle cancellerie si ferma qui. Secondo fonti diplomatiche comunitarie, l’opinione condivisa al tavolo è che “al momento non sono in corso veri negoziati” tra Washington, Mosca e Kiev. Sembra che i Ventisei siano quantomeno contrariati dalla rapidità con cui si stanno susseguendo i contatti degli ultimi giorni (con Trump incollato al telefono per sentire gli omologhi russo e ucraino), dai quali si sentono esclusi. E infatti, sempre stando ad alti funzionari Ue, i leader si sarebbero “confrontati sui modi migliori per influenzare il processo“.Lo stesso Volodymyr Zelensky si è collegato da remoto coi capi di Stato e di governo, ringraziando i partner europei per il loro sostegno e accogliendo positivamente l’impegno a rifornire Kiev con munizioni per l’artiglieria per un valore di 5 miliardi di euro. Che poi è tutto quello che rimane della proposta ambiziosa – forse troppo – avanzata dall’Alta rappresentante Kaja Kallas, la quale aveva chiesto alle cancellerie uno sforzo dell’ordine dei 40 miliardi.Sempre sul tema della sicurezza del Vecchio continente, Zelensky ha descritto il piano ReArm Europe come “molto utile e lungimirante” e ha chiesto ai leader di metterlo in pratica rapidamente. “Sono necessari investimenti nella produzione di armi sia in Ucraina che nei vostri Paesi”, ha osservato. E bisogna arrangiarsi: “Tutto il necessario per difendere il continente dovrebbe essere prodotto qui in Europa“, ha aggiunto.Il presidente russo Vladimir Putin (foto: Maxim Shemetov/Afp)Dopo aver confermato che il suo team negoziale sta lavorando per “raggiungere un cessate il fuoco incondizionato e completo sulla terraferma” che vada oltre la tregua temporanea concordata (almeno sulla carta) con Washington e Mosca, il leader ucraino ha ribadito che “Putin deve smetterla di fare richieste inutili che non fanno altro che prolungare la guerra e deve iniziare a mantenere ciò che promette“. Non esattamente quello che si è visto nelle ultime ore.Il Consiglio europeo esorta dunque la Russia “a mostrare una reale volontà politica per porre fine alla guerra“. Come? Rendendosi disponibile ad aumentare gli sforzi umanitari, in particolare lo scambio di prigionieri e il rilascio dei civili (e dei bambini) deportati. Nel frattempo, i Ventisei si dicono pronti ad “aumentare la pressione” su Mosca, anche con nuovi pacchetti di sanzioni, come richiesto dallo stesso Zelensky almeno “finché la Russia non inizierà a ritirarsi dal nostro territorio e finché non avrà completamente compensato i danni causati dalla sua aggressione”.

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    L’Ue aggira il veto di Orbán in extremis e rinnova le sanzioni contro individui e entità russi. Ma ne rimuove quattro

    Bruxelles – Il premier ungherese filorusso Viktor Orbán è andato vicinissimo a far saltare il periodico rinnovo delle misure restrittive europee che colpiscono quasi 2 mila individui e circa 500 entità nell’ambito della guerra russa in Ucraina. In extremis, gli altri 26 Paesi membri l’hanno convinto – acconsentendo a rimuovere tre oligarchi e il ministro dello sport di Mosca dalla lista – e hanno raggiunto l’unanimità necessaria per riaffermare le sanzioni. E soprattutto per trattenere i beni privati per un valore di 25 miliardi di euro congelati dall’Ue nel corso dei tre anni di guerra.I nomi dei 1927 individui che Bruxelles ha identificato come responsabili dello sforzo bellico russo e delle violenze commesse in Ucraina – così come delle circa 500 entità – vanno confermati ogni sei mesi. Dopo l’ultimo rinnovo di settembre, la scadenza era fissata a sabato 15 marzo. Ieri, Budapest aveva confermato il suo “no”. Secondo fonti Ue, Orbán aveva posto come condizione per togliere il proprio veto che fossero cancellati 9 nomi. Questa mattina, all’ultima riunione degli ambasciatori dei 27 possibile sul calendario, la presidenza polacca del Consiglio dell’Ue è riuscita a trovare un compromesso: l’Ungheria si è fatta da parte in cambio della cancellazione di 4 persone dalla lista. E di tre recentemente decedute.Fonti diplomatiche confermano che si tratta dell’oligarca Vyacheslav Kantor, dell’uomo d’affari Vladimir Rashevsky, di Gulbakhor Ismailova, sorella dell’uomo d’affari Alisher Usmanov, e del ministro dello sport della Federazione Russa, Mikhail Degtyarev. I tre deceduti rimossi dalla lista sono il veterano politico russo Nikolai Ryzhkov e gli ufficiali militari Andrei Ermishko e Aleksei Bolshakov. Rimangono le misure restrittive contro il  miliardario Mikhail Fridman, oligarca russo nato in Ucraina, che l’Ungheria insisteva per rimuovere dall’elenco.“L’Ue aumenta la pressione sulla Russia. Estendiamo le nostre sanzioni a circa 2400 individui ed entità a causa dell’aggressione in corso da parte della Russia contro l’Ucraina”, ha esultato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in un post su X. In realtà, ciò che salta all’occhio sono le sempre maggiori frequenza e forza con cui Budapest mette in pericolo il supporto dell’Ue all’Ucraina e l’unità dei 27. Non è la prima volta che Orbán mette in discussione le misure restrittive contro la Russia: lo scorso gennaio aveva minacciato a lungo – salvo poi cedere all’ultimo minuto in cambio di una fumosa dichiarazione sulle garanzie di forniture di gas attraverso l’Ucraina – di far saltare tutte le sanzioni settoriali, quelle che hanno permesso a Bruxelles di congelare 200 miliardi di euro di asset russi, di imporre divieti su import ed export e di tagliare fuori Mosca dai circuiti finanziari occidentali. In totale, dal febbraio 2022 a oggi, Bruxelles ha adottato 16 pacchetti di sanzioni contro la Russia e i suoi alleati nell’ambito della guerra in Ucraina.Le misure restrittive Ue contro i responsabili di “minare l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina” si applicano a oltre 2.400 persone ed entità e consistono – per quanto riguarda gli individui – in divieto di viaggio e congelamento dei beni sul territorio Ue, mentre nei confronti delle entità nel congelamento dei beni. L’elenco comprende dal presidente Vladimir Putin al ministro degli Esteri Sergey Lavrov, l’ex presidente ucraino Viktor Yanukovych, i membri della Duma russa, del Consiglio di sicurezza nazionale e del Consiglio della Federazione Russa, ministri, governatori e politici locali, come il sindaco di Mosca, funzionari di alto rango e personale militare, comandanti del gruppo Wagner, imprenditori e oligarchi di spicco. Sono inclusi nell’elenco anche individui provenienti da Iran, Bielorussia e Repubblica Democratica Popolare di Corea. Nella lista nera ci sono poi partiti politici, forze armate e gruppi paramilitari, banche e istituzioni finanziarie, organizzazioni mediatiche responsabili di propaganda e disinformazione, aziende nei settori della difesa, dei trasporti, dell’energia e IT, società coinvolte nell’elusione delle sanzioni. E organizzazioni responsabili dei programmi di rieducazione e deportazione dei bambini ucraini.

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    L’Ue rinnova il sostegno all’Ucraina. Impegno a 26, senza l’Ungheria messa all’angolo

    Bruxelles – I timori di un possibile accordo mancato svaniscono presto, poco dopo le 20, quando i capi di Stato e di governo dell’Ue riuniti a Bruxelles per il vertice straordinario dedicato a difesa e Ucraina approvano il testo sugli aiuti a Kiev, isolando e mettendo all’angolo l’Ungheria di Viktor Orban lasciata sola a recitare la parte dell’alleato di ferro di Mosca. Certo, non è stato possibile approvare un testo di conclusioni tutti insieme, ma il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, riesce comunque a risolvere il problema facendo approvare un allegato alla conclusioni sulla difesa. Un escamotage per andare avanti, e mostrare che gli europei, a differenza degli americani, sono davvero amici fedeli, credibili e affidabili.“Oggi è una giornata importante per la difesa europea e l’Ucraina“, sottolinea Costa, che guarda all’esito della riunione. L’unità a 27 è un principio che viene di fatto superato, i leader scelgono un approccio tutto nuovo, forte anche della famiglia dei popolari (Ppe), nutrita e numerosa, un terzo di tutti i leader, ben 10 su 27, che ha scelto di scaricare il premier ungherese e senza neppure nasconderlo.Il primo ministro ungherese, Viktor Orban, è stato lasciato solo a dire ‘no’ al sostegno all’Ucraina [Bruxelles, 6 marzo 2025. Foto: European Council]Alla fine la dichiarazione sull’Ucraina allegata alle conclusioni mantengono proclami, impegni e posizioni espressi fin qui: rispetto dell’integrità territoriale del Paese secondo i confini “internazionalmente riconosciuti”, e quindi comprendenti anche della Crimea annessa nel 2014. Una condizione che difficilmente potrà essere accettata dalla Russia in chiave negoziale. I Ventisei poi insistono sulla necessità di “raggiungere la pace attraverso la forza”, che obiettivo che implica “solide capacità militari e di difesa come componente essenziale”. Ed è in tale ottica che i leader europei si impegnano a continuare a fornire ogni tipo di sostegno (politico, finanziario, economico, umanitario, militare e diplomatico).Sul fronte finanziario a Kiev vengono assicurati 30,6 miliardi di euro per il 2025, con la richiesta esplicita alla Commissione a incrementare le risorse dello Strumento europeo per la pace (European Peace Facility). Oltre a ciò i capi di Stato e di governi dell’Ue si rendono disponibili a “intensificare urgentemente” gli sforzi per rispondere alle urgenti esigenze militari e di difesa dell’Ucraina, “in particolare la fornitura di sistemi di difesa aerea, munizioni e missili, la fornitura della formazione e delle attrezzature necessarie per le brigate ucraine e altre esigenze che l’Ucraina potrebbe avere”.Per il futuro, poi, si resta disponibili a lavorare per quelle ‘garanzie di sicurezza’ da ottenere soprattutto in un’ottica post-negoziale e di pace. Qui, recitano le conclusioni, “l‘Unione e gli Stati membri sono pronti a contribuire ulteriormente sulla base delle rispettive competenze e capacità”. Le misure non vengono esplicitate perché vanno stabilite e definite, i leader rimandano alle prossime riunione del Consiglio europeo, a iniziare da quella di fine mese (20 e 21 marzo). 

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    A Budapest l’atto quinto della Comunità Politica Europea. Von der Leyen: “No a intimidazioni dagli autocrati”

    Bruxelles – I leader delle istituzioni Ue e i capi di stato e di governo di oltre 40 Paesi dell’Europa continentale si sono dati appuntamento a Budapest, ospiti del premier ungherese Viktor Orbán, per il quinto incontro della Comunità Politica Europea. Il protrarsi della guerra in Ucraina, la sicurezza economica e la difesa al centro del vertice: tutti temi che non possono che essere letti alla luce del prossimo ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump.Al suo arrivo alla Puskas Arena di Budapest – dove domani (8 ottobre) si terrà anche il vertice informale Ue -, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha ribadito le sue congratulazioni al tycoon “per la sua chiara vittoria” alle elezioni americane. “Non vedo l’ora di lavorare ancora con lui per rafforzare il legame transatlantico”, ha dichiarato la leader Ue, forte di “alcune esperienze dal suo (di Trump, ndr) precedente mandato”. Nessun allarmismo sull’agenda isolazionista trumpiana: “Sarà importante analizzare insieme quali sono i nostri interessi comuni e lavorare in base a questi”, ha indicato von der Leyen. Uno su tutti: “È nel nostro interesse comune non permettere agli autocrati di intimidire gli altri“.Charles Michel e Viktor Orban alla sessione inaugurale della Comunità Politica Europea a Budapet (Photo by Attila KISBENEDEK / AFP)Una mano tesa verso l’altra sponda dell’Atlantico, nel tentativo di assicurarsi che Trump non volti le spalle all’Ucraina e continui a sostenere una pace fondata sul diritto internazionale. Prendendo in prestito le parole di Charles Michel, presidente uscente del Consiglio europeo, che continui “la battaglia a favore della Carta delle Nazioni Unite e dell’integrità e della sovranità degli Stati”.Anche Mark Rutte, neo-segretario generale della Nato, al suo arrivo a Budapest si è congratulato con Trump per il “grande successo” elettorale e l’ha invitato a “sedersi al tavolo” per capire come affrontare “la Corea del Nord, che assieme alla Cina e alla Russia lavorano assieme contro l’Ucraina“. Nel 2019 Trump fu il primo presidente americano a varcare il confine della Corea del Nord e a incontrare Kim Jong-un, ma ora l’aiuto di Pyongyang a Putin “non è una minaccia solo alla parte europea della Nato, ma anche agli Stati Uniti”, ha avvertito Rutte.Al di là di quel che succederà a Washington dopo l’insediamento del nuovo presidente, Michel ha sottolineato che Bruxelles “ha un piano per un’Unione europea più stabile e prospera”, perché diventi maggiormente “padrona del proprio destino”. E sull’Ucraina, questo significa proseguire “con più equipaggiamento militare, più mezzi finanziari e più sostegno politico”. Non proprio l’idea del padrone di casa a Budapest: nel suo intervento d’apertura, di fronte anche al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Orbán ha immediatamente colto l’occasione per rilanciare la sua personalissima missione di pace.“Ho lanciato una missione di pace e sono grato al presidente Erdogan per aver sostenuto i miei sforzi”, ha evidenziato Orbán, secondo cui il suo sforzo ha avuto il merito di innescare “la discussione sui modi per sostituire la strategia di guerra con una strategia di pace”. Secondo il premier magiaro non ci saranno alternative: “Continua a esserci una massiccia maggioranza pro-guerra nell’Unione europea nonostante gli esperti militari vedano una sconfitta della strategia europea sul campo di battaglia”, ha denunciato ai colleghi della Comunità Politica Europea.

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    La Commissione Ue vuole chiarezza dall’Ungheria sul nuovo sistema di visti rapidi per russi e bielorussi

    Bruxelles – È passato appena un mese di presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea per l’Ungheria, e già Budapest ha creato non pochi problemi all’unità dell’Unione nei confronti della Russia. Perché dopo la “missione di pace” del premier ungherese, Viktor Orbán, a Mosca dall’autocrate russo, Vladimir Putin, ora Budapest preoccupa Bruxelles per il potenziale buco che può creare nell’area Schengen, da cui potrebbero penetrare spie russe e bielorusse.La commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson“Condivido le preoccupazioni espresse negli ultimi giorni in merito all’estensione del programma ‘Carta Nazionale’ ai cittadini di Russia e Bielorussia, entrato in vigore nei primissimi giorni della vostra presidenza”, è quanto messo nero su bianco dalla commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, in una lettera inviata ieri (primo agosto) al ministro degli Interni ungherese, Sándor Pintér, in cui ha voluto sottolineare come “l’estensione dell’elaborazione agevolata delle domande di permesso di soggiorno e di lavoro dei cittadini di Russia e Bielorussia potrebbe portare a un’elusione di fatto delle restrizioni imposte dall’Unione Europea”. Al centro della nuova contesa tra l’Ungheria di Orbán e la Commissione Ue c’è l’estensione ai cittadini di otto Paesi – prima era disponibile solo per quelli di Serbia e Ucraina – del programma ‘Carta Nazionale’, un sistema di visti rapidi per l’ingresso nel Paese e che consente di lavorare sul territorio nazionale ungherese per un massimo di due anni. Si tratta di un sistema più semplice rispetto al permesso di lavoro o al visto, e consente il ricongiungimento familiare.“Ci sono sempre più segnalazioni di sabotaggi e attacchi alle nostre infrastrutture critiche e altri atti ostili“, ricorda la commissaria Johansson a proposito della messa in campo di “ogni strumento disponibile per garantire la sicurezza dell’area Schengen”, tra cui la sospensione dell’accordo di facilitazione dei visti con la Russia nel settembre di due anni fa e “standard di controllo e vigilanza più elevati” per i cittadini russi in arrivo alle frontiere esterne dell’Unione. È pur sempre vero che gli Stati membri hanno la competenza per il rilascio di visti di lungo soggiorno e permessi di soggiorno, ma l’esecutivo Ue ricorda che i programmi nazionali “devono essere attentamente bilanciati per non mettere a rischio l’integrità del nostro spazio comune senza controlli alle frontiere interne e per considerare debitamente le potenziali implicazioni per la sicurezza“, senza dimenticare l’obbligo di “leale cooperazione” e di non pregiudicare “l’effetto utile delle disposizioni del diritto dell’Unione”, Schengen compreso. In questo quadro l’Ungheria (e tutti i Paesi membri Ue) devono garantire che “i cittadini russi che potrebbero rappresentare spionaggio o altre minacce alla sicurezza siano sottoposti al massimo livello di controllo“.Da sinistra: la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, e il ministro degli Interni ungherese, Sándor PintérÈ per queste ragioni che la commissaria Johansson chiede al ministro ungherese di rispondere alle domande allegate alla lettera “entro e non oltre il 19 agosto”, per fare chiarezza sul programma ‘Carta Nazionale’ e permettere all’esecutivo Ue di verificare se sia compatibile con il diritto dell’Unione o se metta a rischio il funzionamento complessivo dello spazio Schengen. “L’obbligo di valutare se gli individui che attraversano la frontiera esterna rappresentano una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica o le relazioni internazionali è un impegno fondamentale di tutti i membri Schengen” – conclude la titolare per gli Affari interni nel gabinetto von der Leyen – e per Russia e Bielorussia include anche “la piena e leale applicazione delle misure restrittive Ue sul divieto di ingresso o transito nei territori degli Stati membri da parte di alcuni dei suoi cittadini”. Come misura estrema la Commissione Ue potrebbe sospendere lo status Schengen di un Paese (membro Ue), ma si tratterebbe di un caso senza precedenti.