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    Il passo indietro di Biden visto da Bruxelles. Borrell: Per le relazioni Ue-Usa “farà una gran differenza chi vincerà le elezioni”

    Bruxelles – Rispetto, per la decisione di Joe Biden e per il processo democratico negli Stati Uniti. Ma con un filo di preoccupazione in più, perché il ritiro del presidente americano dalla corsa per la Casa bianca accresce lo spauracchio di un ritorno di Donald Trump. I ministri degli Esteri dell’Ue si ritrovano a Bruxelles la mattina dopo il passo indietro di Biden e si interrogano sul futuro delle relazioni transatlantiche: a seconda di chi sarà il prossimo presidente a stelle e strisce, per l’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, “ci sarà sicuramente una gran differenza”.Per cogliere la portata dell’avvertimento di Borrell, basta dare un occhio ai temi principali in agenda all’incontro di oggi (22 luglio) tra i ministri dell’Ue: il sostegno all’Ucraina e la crisi in Medio Oriente. Due scenari su cui – se dovesse essere eletto a novembre – il tycoon repubblicano ha già dimostrato di poter stravolgere le posizioni dell’asse transatlantico. Senza inoltrarsi nelle relazioni bilaterali tra i due alleati sulle sponde dell’Atlantico, già messe in forte difficoltà durante il primo mandato Trump. “Abbiamo lavorato molto bene con Biden, ma se decide di ritirarsi perché pensa che un altro candidato possa avere più forza per far vincere il Partito Democratico, noi lo rispettiamo”, ha dichiarato Borrell all’ingresso al Consiglio, rispondendo in italiano a una domanda della stampa.Dello stesso tenore il commento della ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock: “Ho grande rispetto per la scelta del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, di anteporre gli interessi del suo Paese ai propri”, ha dichiarato. Berlino sembra essere una delle cancellerie più preoccupate da un eventuale ritorno di Trump alla Casa bianca: secondo il Financial Times, Baerbock avrebbe costituito un ‘gruppo di crisi’ informale per discutere e prepararsi allo scenario che potrebbe materializzarsi dopo il 5 novembre.Ha tagliato corto il ministro degli Esteri francese, Stéphane Séjourné, che ha rassicurato che “non cambierà niente”. Concetto – o augurio – sviluppato e declinato in salsa italiana dal vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani: “Siamo convinti che chiunque sarà il presidente, l’Italia rimarrà un interlocutore privilegiato”, ha dichiarato. Secondo il leader di Forza Italia, e alleato di governo di Salvini e Meloni, “non tocca a noi interferire con la campagna elettorale“, ma “rispettare le scelte che faranno gli americani”.Kamala Harris e Joe Biden (Photo by Brendan SMIALOWSKI / AFP)Non solo rispetto, ma anche “affetto” espresso da José Manuel Albares Bueno, ministro degli Esteri spagnolo, per l’ottantunenne presidente, sulla graticola per i dubbi sulla sua lucidità, e per una “decisione difficile” che dimostra invece “profondità di sguardo e senso dello Stato”. Da Madrid aveva già comunicato “ammirazione e riconoscimento” il primo ministro Pedro Sanchez. In una nota pubblicata su X, il premier socialista spagnolo ha ricordato che con la sua “determinazione e leadership” Joe Biden ha permesso agli Stati Uniti di “superare la crisi economica seguita alla pandemia e al grave assalto al Campidoglio“, il tentativo di insurrezione fomentata proprio da Trump il 6 gennaio 2021. Come a voler sottolineare cosa c’è in gioco, Sanchez ha inoltre definito “esemplare” il sostegno che Washington ha garantito finora all’Ucraina. E che rischia di essere rimesso seriamente in discussione se dovesse vincere il candidato repubblicano.Ma “il ritiro di Biden non significa automaticamente la vittoria di Trump”, ha ricordato Hadja Lahbib, ministra degli Esteri del Belgio. Il sostituto dell’anziano presidente nella corsa alla Casa Bianca sarà nominato solo alla convention del Partito Democratico, in programma a Chicago dal 19 al 22 agosto, ma tutte le attenzioni convergono sulla vice di Biden, Kamala Harris. Nella nota con cui ha comunicato il suo passo indietro, Biden ha fatto sapere che intendere sostenere la candidatura di Harris, la quale ha a sua volta confermato di voler prendere il testimone dal leader democratico. “Auguro tutto il meglio a Kamala Harris, che forse prenderà ora la guida, una donna forte”, ha dichiarato ancora la ministra belga. Il cui endorsement rispecchia verosimilmente la speranza di tutta l’Ue di non avere nuovamente a che fare con The Donald.

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    Su Israele Borrell continua a predicare nel deserto. Agli Usa: “Se credete che i morti siano troppi, smettete di vendere armi”

    Bruxelles – Di fronte all’immobilismo atlantico nei confronti della tragedia in corso a Gaza, l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell – che su Israele è la più critica voce fuori dal coro nelle istituzioni europee  – punzecchia gli Stati Uniti: “Se credete che il numero di morti sia troppo alto, forse potete fare qualcosa“, ha dichiarato oggi (12 febbraio) dalla capitale europea.Non solo un appello generico a “fare qualcosa di più che esprimere preoccupazione”, che Borrell ha rivolto anche ai Paesi dell’Ue. La critica a Joe Biden è più specifica: “L’Ue non fornisce armi a Israele. Altri lo fanno“, ha precisato. Secondo i dati più recenti, pubblicati a dicembre 2023 dal Sole 24 Ore, da Washington arriva circa il 70 per cento delle armi utilizzate dalle Forza di difesa israeliane (Fdi). Da Bruxelles nessun supporto militare, ma non si può dire lo stesso dei Paesi membri: il secondo fornitore di armi per Tel Aviv è la Germania (24 per cento dell’arsenale israeliano), seguita dall’Italia (5,6 per cento).Questa mattina, al suo arrivo al vertice informale dei ministri dello Sviluppo dell’Ue a Bruxelles, Borrell è sembrato nuovamente molto duro su Israele. “Anche il presidente degli Stati Uniti, che sono i maggiori sostenitori di Israele, ha detto ieri che le operazioni non sono più proporzionate e che il numero di persone uccise è diventato insopportabile (28 mila, secondo il ministero della Salute di Hamas, ndr). Penso che sia una frase sempre più comune da parte di molti, in tutto il mondo”, ha attaccato il capo della diplomazia europea. Che “spera che il mondo intero prenda atto” della situazione nella Striscia di Gaza: quasi 2 milioni di persone che vengono bombardate costantemente senza poter fuggire.Una moschea distrutta dai bombardamenti israeliani a Rafah, 11/2/23 (Photo by MOHAMMED ABED / AFP)A far infuriare l’Alto rappresentante è la nuova operazione che le Fdi hanno lanciato a Rafah, al confine con l’Egitto, dove in questi 4 mesi di conflitto si sono progressivamente ammassati tutti gli sfollati di Gaza. “Netanyahu ha chiesto l’evacuazione di circa 1,7 milioni di persone, senza dire dove queste persone potrebbero essere evacuate”, ha sottolineato Borrell. Che è il punto sollevato anche da Biden nell’ultima telefonata con il premier israeliano: prima dell’operazione a Rafah, Israele avrebbe dovuto “garantire la sicurezza della popolazione con un piano credibile di evacuazione”.Ma il governo guidato da Netanyahu rimane sordo a qualsiasi richiesta della comunità internazionale e prosegue a testa bassa per la sua strada verso la “completa smilitarizzazione di Gaza”. Per ora, l’operazione lanciata a Rafah avrebbe causato oltre 100 vittime palestinesi, e portato alla liberazione di 2 ostaggi israeliani. Anche l’avvertimento dell’Egitto, secondo cui gli aiuti umanitari non riusciranno più a entrare nella Striscia dal valico di Rafah in caso di attacchi massicci israeliani, è rimasto inascoltato.Al vertice informale anche il commissario generale dell’Unrwa, Philippe LazzariniA Bruxelles è arrivato anche Philippe Lazzarini, il commissario generale dell’Agenzia delle Nazioni Unite sotto accusa per il presunto coinvolgimento di alcuni membri dello staff negli attacchi di Hamas a Israele del 7 ottobre. “Una cosa è certa per me: l’Unrwa oggi svolge un lavoro insostituibile, che nessun altro potrebbe”, ha immediatamente messo in chiaro Borrell. Che ha nuovamente provocato Israele, che finora non ha presentato alcuna prova a corredo delle proprie accuse: “Le accuse devono essere verificate. La presunzione d’innocenza vale sempre, anche per l’Unrwa”. Ma c’è di più: “Non è un segreto che il governo israeliano voglia sbarazzarsi dell’Unrwa. Non ora, ma da molti anni, perché credono che in questo modo si libereranno del problema dei rifugiati palestinesi”, ha affermato l’Alto rappresentante Ue.

    Josep Borrell con il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini (Photo by Kenzo TRIBOUILLARD / AFP)Quasi una supplica, quella di Borrell, almeno a quei Paesi dell’Ue che hanno deciso troppo presto di interrompere i fondi all’Agenzia Onu per il Soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi. “Aspettiamo che l’indagine abbia luogo“, ha ripetuto due volte. Di indagine in corso ce n’è più di una: quella interna lanciata dallo stesso Lazzarini, quella avviata dal massimo organo investigativo delle Nazioni Unite (Oios), oltre al gruppo di revisione indipendente guidato dall’ex ministra francese, Catherine Colonna.L’Ue per ora sta temporeggiando, affermando che “per ora non c’è stata alcuna sospensione dei fondi”, dal momento che non sono previsti pagamenti all’Unrwa fino alla fine di febbraio. Ma difficilmente nel giro di due settimane le indagini saranno concluse, e a Bruxelles dovranno scegliere da che parte stare. Una scelta che Borrell ha già ben chiara in mente: “L’indagine prenderà il tempo necessario, ma nel frattempo le persone devono poter continuare a mangiare”.

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    Von der Leyen chiama Washington contro Putin e Hamas: “L’Europa e gli Stati Uniti insieme per plasmare il futuro”

    Bruxelles – “È nostro dovere che l’Europa e gli Stati Uniti contribuiscano a plasmare la storia del futuro“: nel think-tank fortino dei conservatori americani, quell’Hudson Institute che fu presieduto tra gli altri da Ronald Reagan, l’invettiva della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, è un ritorno a quella retorica atlantista di opposizione tra il bene e il male, tra l’Occidente democratico e le forze autocratiche.A Washington per il vertice Ue-Usa con il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e Joe Biden, von der Leyen è stata invitata da John Walters, presidente dell’Hudson Institute, a tenere un discorso sugli stravolgimenti geopolitici degli ultimi tempi, dalla guerra in Ucraina al riaccendersi della questione israelo-palestinese. “Gli eventi delle ultime settimane in Medio Oriente e degli ultimi anni nell’Europa dell’Est dimostrano che la lotta che l’Europa e gli Stati Uniti hanno combattuto negli ultimi settant’anni non è mai scomparsa”, ha esordito la leader Ue, citando Reagan e il suo impegno per la riunificazione della Germania alla fine degli anni ’80:  “Credeva che la comunità atlantica fosse la casa della democrazia”, l’ha omaggiato von der Leyen.Le crisi in Ucraina e in Israele, “per quanto diverse, chiedono all’Europa e all’America di prendere posizione e di restare unite”, ha proseguito. Perché così come Putin “vuole cancellare l’Ucraina dalla carta geografica”, Hamas, “sostenuto dall’Iran”, vuole cancellare Israele. Per von der Leyen “la Russia e Hamas sono simili”, perché entrambi hanno “deliberatamente cercato civili innocenti, compresi neonati e bambini, per ucciderli e prenderli in ostaggio”. Una barbarie che rischia di “diffondersi dall’Europa, al Medio Oriente e all’Indo Pacifico”, vola a “sovvertire l’ordine esistente”. L’ordine per il cui “mantenimento e creazione sono state sacrificate tante vite nei nostri continenti”.Per questo “tocca” ancora una volta “a noi occidentali” contribuire alla vittoria dell’Ucraina e alla de-escalation nella polveriera medio orientale. A Kiev le due sponde dell’Atlantico hanno già assicurato 90 miliardi di dollari, di cui 27 miliardi in assistenza militare. In Medio Oriente “l’instabilità può essere contenuta” facilitando il dialogo tra Israele e i suoi vicini: “Questo periodo di guerra deve essere anche un momento di diplomazia implacabile”, ha dichiarato von der Leyen. Sull’Ucraina la leader Ue è convinta che debba essere rispolverata la strategia della “deterrenza”, l’idea di “fornire l’equipaggiamento militare necessario per scoraggiare futuri attacchi russi”. Per farlo, è necessario aumentare la spesa per la difesa e alimentare l’industria bellica. In sinergia con gli Stati Uniti, “il nostro più antico e forte alleato”.La retorica è dura, con toni militaristi: Ue e Usa devono difendere oggi più che mai quell’ordine di pace conquistato insieme nella seconda guerra mondiale, quando “la democrazia vinse sul fascismo e sull’autocrazia”. Ecco perché Washington non deve tentennare sul rinnovo al sostegno militare e finanziario a Kiev, così come non lo farà Bruxelles. Perché è qui che viene fuori “il meglio del partenariato transatlantico, una partnership per la libertà, la pace e la prosperità”.
    Nel suo discorso all’Hudson Institute, la presidente della Commissione europea lancia l’appello all’alleato a stelle e strisce: “Gli Stati Uniti rinnovino il sostegno finanziario e militare a Kiev”. E accusa il Cremlino: “Russia e Hamas sono simili”

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    Acciaio, Ucraina e tensioni in Medio Oriente. Von der Leyen e Michel a Washington per il Vertice Ue-Usa

    Bruxelles – Doveva essere un semplice incontro interlocutorio per discutere delle dispute commerciali in attesa di essere risolte e per ribadire il “sostegno incondizionato” all’Ucraina da i due lati dell’Atlantico. Eppure, non è difficile immaginare che il conflitto in Medio Oriente tra Israele e Hamas e le tensioni nella striscia di Gaza stravolgeranno l’agenda. I leader europei Ursula von der Leyen e Charles Michel sono attesi nella notte (ora locale di venerdì 20 ottobre) a Washington per il secondo Vertice Ue-Usa da quando il presidente statunitense Joe Biden si è insediato alla Casa Bianca a gennaio 2021.Difesa dell’Ucraina e il sostegno alla sua ricostruzione e l’approvvigionamento di materie prime critiche, centrali per la produzione di tecnologie verdi, dovevano essere i temi dominanti secondo l’agenda annunciata lo scorso 28 settembre in una nota congiunta dei due lati dell’Atlantico in cui si legge che il presidente Biden insieme al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, faranno il punto sulla cooperazione tra Stati Uniti e Unione Europea, soprattutto per confermare il “nostro impegno condiviso a sostenere l’Ucraina nella difesa della sua sovranità e a imporre costi alla Russia per la sua aggressione”. Ma i leader si confronteranno sulla crisi in Medio Oriente dopo le visite in loco nei giorni scorsi di von der Leyen, insieme alla presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, e di Biden in Israele. Dall’acciaio ai minerali critici, le questioni commerciali in balloVon der Leyen e Michel saranno accompagnati da una schiera di rappresentanti dell’esecutivo comunitario, dall’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, al vicepresidente esecutivo con delega al commercio, Valdis Dombrovskis e alla vicepresidente per la trasparenza Vera Jourova. I leader europei, in particolare, cercheranno di portare avanti i negoziati bilaterali per scongiurare nuovi dazi sull’acciaio e l’alluminio (imposti a suo tempo sulle importazioni dal continente dall’ex presidente Donald Trump) e finalizzare l’accordo in chiave anti-cinese sui minerali critici, attenuando l’impatto negativo dell’Inflation Reduction Act (IRA) statunitense e sui suoi sussidi per i veicoli elettrici. Il riferimento alla Cina non è diretto, ma il rafforzamento della cooperazione transatlantica è in chiave anti-Pechino. Washington e Bruxelles lavorano ormai da mesi per finalizzare un accordo sui minerali critici, che entrambe le parti puntano a chiudere entro la fine dell’anno. L’obiettivo è quello di raggiungere uno status equivalente a un accordo di libero scambio per l’Ue per i minerali critici, essenziali per la produzione di tecnologie chiave per la doppia transizione, come il litio per le batterie – e distendere le tensioni create dall’Inflation Reduction Act (IRA), il vasto piano di sussidi verdi da quasi 370 miliardi di dollari varato dall’amministrazione Usa, che Bruxelles teme possa svantaggiare le imprese europee. Le discussioni “esplorative” con gli Stati Uniti tenute finora hanno mostrato un allineamento sui principi principali, mentre i dettagli verranno approfonditi durante i negoziati ancora in corso. E il Vertice di fine ottobre potrebbe essere la giusta occasione per velocizzare i negoziati. Il Vertice prenderà le mosse in un contesto completamente diverso rispetto a quello che a giugno 2021 ha accolto Biden a Bruxelles. I leader europei e statunitensi si trovavano a dover affrontare e gestire insieme la crisi economica derivata dall’urgenza sanitaria del Covid-19 e una guerra alle porte dell’Europa era impensabile.
    I leader europei Ursula von der Leyen e Charles Michel attesi a Washington da Biden per il secondo Vertice Ue-Usa da quando il presidente statunitense si è insediato alla Casa Bianca a gennaio 2021. Le tensioni tra Israele e Hamas stravolgono l’agenda del vertice

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    Von der Leyen e Michel da Biden il 20 ottobre. Il Vertice Ue-Usa tra Ucraina ed energia

    Bruxelles – Sostegno all’Ucraina, da un lato. Approvvigionamento energetico e digitale, dall’altro. I leader di Unione europea e Stati Uniti si incontreranno venerdì 20 ottobre a Washington per il secondo Vertice Ue-Usa da quando il presidente statunitense Joe Biden si è insediato alla Casa Bianca a gennaio 2021.
    La conferma è arrivata oggi (28 settembre) in una nota congiunta dei due lati dell’Atlantico in cui si legge che il presidente Biden insieme al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, faranno il punto sulla cooperazione tra Stati Uniti e Unione Europea, soprattutto per confermare il “nostro impegno condiviso a sostenere l’Ucraina nella difesa della sua sovranità e a imporre costi alla Russia per la sua aggressione”.
    La difesa dell’Ucraina e il sostegno alla sua ricostruzione saranno i temi dominanti dell’incontro. Ma le discussioni si concentreranno anche sull’approvvigionamento di materie prime critiche, centrali per la produzione di tecnologie verdi e alla doppia transizione verde e digitale. “Promuoveranno gli sforzi degli Stati Uniti e dell’UE per accelerare l’economia globale dell’energia pulita basata su catene di approvvigionamento sicure e resilienti e continueranno la cooperazione nelle tecnologie critiche ed emergenti, comprese le infrastrutture digitali e l’intelligenza artificiale”, si legge nella dichiarazione comune, in cui i leader confermano che faranno un punto anche sulle attività congiunte per rafforzare la resilienza economica e affrontare le sfide correlate.
    Il riferimento alla Cina non è diretto, ma il rafforzamento della cooperazione transatlantica è in chiave anti-Pechino. Washington e Bruxelles lavorano ormai da mesi per finalizzare un accordo sui minerali critici, che entrambe le parti puntano a chiudere entro la fine dell’anno. L’obiettivo è quello di raggiungere uno status equivalente a un accordo di libero scambio per l’Ue per i minerali critici, essenziali per la produzione di tecnologie chiave per la doppia transizione, come il litio per le batterie – e distendere le tensioni create dall’Inflation Reduction Act (IRA), il vasto piano di sussidi verdi da quasi 370 miliardi di dollari varato dall’amministrazione Usa, che Bruxelles teme possa svantaggiare le imprese europee. Le discussioni “esplorative” con gli Stati Uniti tenute finora hanno mostrato un allineamento sui principi principali, mentre i dettagli verranno approfonditi durante i negoziati ancora in corso. E il Vertice di fine ottobre potrebbe essere la giusta occasione per velocizzare i negoziati.
    Il Vertice prenderà le mosse in un contesto completamente diverso rispetto a quello che a giugno 2021 ha accolto Biden a Bruxelles. I leader europei e statunitensi si trovavano a dover affrontare e gestire insieme la crisi economica derivata dall’urgenza sanitaria del Covid-19 e una guerra alle porte dell’Europa era impensabile.

    I tre leader a Washington faranno il punto sulla cooperazione tra Stati Uniti e Unione Europea, soprattutto per confermare l’impegno “condiviso a sostenere l’Ucraina nella difesa della sua sovranità e a imporre costi alla Russia per la sua aggressione”

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    L’accordo tra Bruxelles e Washington sui minerali critici è più vicino

    Bruxelles – L’accordo tra Usa e Unione europea sui minerali critici è sempre più vicino. I ministri degli Esteri dei Ventisette Stati membri Ue hanno autorizzato ieri (20 luglio) la Commissione europea ad avviare i negoziati, a nome dell’Ue, con gli Stati Uniti su un accordo sui minerali critici e le relative direttive di negoziato. 
    Da mesi ormai è in corso il dialogo tra Bruxelles e Washington per rafforzare le catene di approvvigionamento di minerali critici, necessari alla produzione di tecnologia pulita, e distendere le tensioni create dall’Inflation Reduction Act (IRA), il vasto piano di sussidi verdi per quasi 370 miliardi di dollari varato dall’amministrazione Usa ormai quasi un anno fa, che Bruxelles teme possa svantaggiare le imprese europee. L’Unione europea è responsabile della politica commerciale degli Stati membri e negozia gli accordi per loro, dunque formalmente è la Commissione europea che chiede agli Stati membri una sorta di mandato politico per poter negoziare con una voce sola un accordo commerciale con un partner esterno.
    Da quando l’amministrazione Biden ha presentato l’IRA lo scorso agosto, è stata istituita una task force Usa-Ue con cui Bruxelles sta cercando di ottenere agevolazioni per le imprese dell’Ue, un trattamento di favore come quello di cui godono Canada e Messico. In assenza di un accordo globale di libero scambio tra l’Unione europea e gli Stati Uniti, la conclusione di un accordo mirato sui minerali critici dovrebbe consentire ai minerali critici estratti o trasformati nell’Ue di essere conteggiati ai fini di determinati requisiti di credito d’imposta dell’IRA sui veicoli puliti e dunque poter accedere alle stesse agevolazioni.
    Passi avanti nei mesi scorsi si sono registrati nell’ottenere l’accesso ai privilegi fiscali negli Stati Uniti per l’industria automobilistica europea, in particolare sulle auto elettriche aziendali in leasing. Rimane l’altra questione dei minerali critici per la produzione di batterie elettriche, su cui l’Ue vuole un accordo separato. L’Ira prevede fino a un massimo di 7.500 dollari di incentivi per le batterie elettriche, di cui 3.750 riguardano i minerali e 3.750 il resto della componentistica. Per la quota relativa ai minerali – quindi il 50 per cento – Bruxelles vuole che anche le batterie prodotte in Europa possano avvalersi degli incentivi fiscali americani.
    Mandato sui minerali critici
    Secondo il mandato adottato dagli Stati membri, l’accordo sui minerali critici alla transizione dovrebbe essere “pienamente coerente con le norme dell’Organizzazione mondiale del commercio” e pienamente in linea “con gli obiettivi perseguiti nell’atto dell’Ue sulle materie prime critiche”, il Critical Raw Material Act presentato lo scorso 16 marzo. L’intesa dovrà inoltre promuovere livelli elevati di protezione ambientale e protezione dei lavoratori nel settore dei minerali critici e “incoraggiare la responsabilità sociale delle imprese lungo le filiere di approvvigionamento di minerali critici” e mirare a prevenire pratiche distorsive e protezionistiche nelle catene di approvvigionamento di minerali critici. 
    Infine, il mandato politico alla Commissione prevede che l’accordo continui a incoraggiare “la cooperazione sulle norme internazionali per la valutazione del ciclo di vita dei minerali critici, l’estrazione, l’etichettatura, il riciclaggio e la trasparenza , al fine di sostenere catene di approvvigionamento sostenibili e contribuire a prevenire futuri ostacoli al commercio Ue-Usa”. Con il mandato ora ufficialmente in mano, la Commissione europea può ora iniziare i negoziati formali con gli Stati Uniti in vista della conclusione dell’accordo. L’approvvigionamento di minerali critici per la transizione verde dipende quasi esclusivamente dalla Cina che lavora quasi il 90 per cento di terre rare e il 60 per cento di litio, indispensabile per la produzione di batterie elettriche. La Commissione ha presentato nei mesi scorsi i dettagli legislativi del suo Piano industriale per il Green Deal, una strategia di lungo termine per la competitività dell’industria: il ‘Net-Zero Industry Act’, la proposta di regolamento per l’industria a emissioni zero, il ‘Critical Raw Material Act’ per non perdere la corsa all’approvvigionamento di materie prime critiche per la transizione e la riforma del mercato elettrico dell’Ue. I due co-legislatori europei – Parlamento e Consiglio – stanno ora cercando un accordo politico su questi tre pilastri normativi del Piano per l’industria green.

    Gli Stati membri Ue autorizzano la Commissione europea ad avviare i negoziati, a nome dell’Ue, con gli Stati Uniti su un accordo sui minerali critici che sia in linea con l’Organizzazione mondiale del commercio

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    Risoluzione bipartisan al Senato USA: “Sosteniamo l’avvicinamento tra Lituania e Taiwan”

    Bruxelles – “Questa risoluzione vuole dare il messaggio che quando i nostri amici si oppongono alle influenze nocive della Cina, gli Stati Uniti li aiuteranno”. James Risch, senatore repubblicano dell’Idaho, descrive così la risoluzione proposta insieme alla collega democratica Jeanne Shaheen, senatrice del New Hampshire, sulle relazioni tra la Lituania e Taiwan.
    La risoluzione è un testo bipartisan che vuole esprimere il supporto degli Stati Uniti per il nuovo corso delle relazioni tra Vilnius e Taipei, condannando le rappresaglie economiche che la Cina ha messo in atto contro la piccola Repubblica baltica. Si tratta di un testo non vincolante, teso ad esprimere solidarietà ed appoggio internazionale piuttosto che a definire un quadro operativo.

    China is attempting to spread its malign influence across democracies in Eastern Europe, & Lithuania is leading the way in standing up to China’s abuse. I’m proud to lead this bipartisan resolution w/ @SenatorRisch to strengthen U.S. support for Lithuania & Taiwan against China. pic.twitter.com/3rUJONJ0TW
    — Sen. Jeanne Shaheen (@SenatorShaheen) November 7, 2021

    La senatrice ha elogiato le azioni della Lituania, che oggi “indica la via” agli altri Paesi europei sul contrasto alle interferenze della Repubblica popolare in Europa. Insieme all’approfondimento delle relazioni con l’Isola, la risoluzione prende atto (e giudica positivamente) la condanna del parlamento lituano per il trattamento che la Cina sta riservando alla minoranza uigura.
    La Lituania a Taiwan (e viceversa)
    Il 20 luglio scorso il governo lituano aveva reso note le sue intenzioni aprire un “Ufficio di rappresentanza a Taiwan“, con funzioni analoghe (de facto) a quelle di un’ambasciata. La decisione, confermata a settembre dal parlamento, era stata salutata positivamente dall’esecutivo di Taipei, che aveva annunciato l’apertura di un ufficio analogo nel Paese baltico.
    La Cina, che rivendica l’isola come parte del proprio territorio nazionale, aveva reagito duramente, ritirando il proprio ambasciatore da Vilnius e espellendo il rappresentante lituano a Pechino. A questo si era aggiunto lo stop all’esportazione di alcune merci cinesi dirette in Lituania. Anche in quell’occasione non era mancato il supporto americano, segnalato dalla solidarietà del consigliere per la sicurezza nazionale dell’amministrazione Biden, Jake Sullivan.
    L’esecutivo lituano, formato da un tandem tra centrodestra e liberali, è tra quelli che nell’UE supporta più da vicino la causa di Taiwan. Il programma del Partito della libertà, che governa in coalizione con i cristianodemocratici di Tėvynės sąjunga, include un punto relativo al pieno riconoscimento della sovranità della Repubblica di Cina – un unicum in Europa.
    Lo scontro diplomatico con la Cina si è aggravato nel corso del tempo: poco dopo la reazione di Pechino, la Lituania aveva rincarato la dose, spingendo i propri cittadini a fare a meno di alcuni telefoni cinesi di marca Xiaomi e Huawei, i cui software sarebbero stati in grado di censurare i messaggi legati riguardanti l’indipendentismo taiwanese e tibetano.

    A proporre la risoluzione un senatore repubblicano, James Risch, e una senatrice democratica, Jeanne Shaheen, a dimostrazione che Taiwan resta un dossier condiviso tra i rappresentanti politici americani

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    Da UE, USA e Regno Unito 8,5 miliardi di dollari per sostenere la decarbonizzazione del Sudafrica

    Bruxelles – Unione Europea, Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania si sono uniti in un partenariato da almeno 8,5 miliardi di dollari (7,5 miliardi di euro) per aiutare il Sudafrica nella decarbonizzazione della propria economia. L’annuncio è arrivato oggi (2 novembre) a margine della Conferenza sul clima delle Nazioni Unite (COP26) in corso a Glasgow: il budget iniziale di 8,5 miliardi di dollari attraverso meccanismi di finanziamento, prestiti agevolati, investimenti e strumenti a rischio condiviso servirà per aiutare il Paese ad aggiornare i suoi impegni sulla riduzione di CO2, con particolare attenzione al sistema elettrico.
    L’obiettivo è quello di riuscire a sbloccare altri investimenti dal settore privato. Le previsioni dei 5 Paesi occidentali stimano che il partenariato preverrà fino a 1-1,5 miliardi di tonnellate di emissioni nei prossimi 20 anni e aiuterà il Sudafrica ad abbandonare in maniera definitiva il carbone. “Il Sudafrica accoglie con favore l’impegno assunto nella Dichiarazione politica a sostegno dell’attuazione del nostro contributo determinato a livello nazionale, che rappresenta l’ambizioso sforzo del nostro Paese per sostenere la battaglia globale contro il cambiamento climatico”, ha commentato il capo di Stato della Repubblica del Sudafrica, Cyril Ramaphosa. A sostegno della transizione del Paese “attendiamo con impazienza una partnership a lungo termine che possa fungere da modello appropriato di sostegno per l’azione per il clima dai Paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo”.
    “Questa partnership è una novità globale e potrebbe diventare un modello su come supportare la giusta transizione in tutto il mondo”, ha aggiunto la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. “Unendo le forze, possiamo accelerare l’eliminazione graduale del carbone nei paesi partner, sostenendo al contempo le comunità vulnerabili che dipendono da esso. Garantire una transizione giusta è una priorità per l’UE, sia in patria che all’estero”.

    A margine della COP26 di Glasgow, Bruxelles insieme a Francia, Germania, Regno Unito e USA lancia un’iniziativa finanziaria per la transizione energetica del Paese. Il presidente Ramaphosa: “Serve sostegno a lungo termine all’azione per il clima delle economie in via di sviluppo”