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    Macron si prepara ad accogliere Xi Jinping (e von der Leyen). Nuovo round di colloqui dopo Pechino

    Bruxelles – Tra Parigi, Berlino e Bruxelles sono iniziati i preparativi per un evento tanto atteso quanto imprevedibile per il risultato finale. Lunedì (6 maggio) il presidente francese, Emmanuel Macron, ospiterà insieme alla numero uno della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, a Parigi il presidente della Cina, Xi Jinping, in una riedizione del trilaterale andato in scena a Pechino nell’aprile dello scorso anno. Ancora una volta il leader cinese proverà a far leva sulle divergenze tra i 27 Paesi membri sull’approccio verso Pechino – in particolare Francia e Germania – per spingere i propri interessi nazionali, partendo dai due temi più rilevanti sul tavolo dell’Eliseo: la guerra russa in Ucraina e le indagini Ue sui sussidi statali per i veicoli elettrici.Da sinistra: il presidente francese, Emmanuel Macron, e il cancelliere tedesco, Olaf ScholzNon è un caso se ieri sera (2 maggio) proprio il presidente francese Macron si è incontrato in modo informale a Parigi con il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, per cercare un confronto onesto sui rispettivi approcci nei confronti di Pechino, prima dell’inizio del tour europeo di Xi Jinping (che lo porterà anche in Serbia e in Ungheria la prossima settimana). Lo scorso 16 aprile la visita del cancelliere tedesco in Cina aveva sollevato alcune perplessità, non tanto per la visita in sé quanto per la decisione di non affrontare con la controparte cinese i due temi più spinosi per i Ventisette. In primis le indagini di Bruxelles su una serie di beni ampiamente sovvenzionati dallo Stato cinese che rischiano di turbare il Mercato unico dell’Unione: uno su tutti le auto elettriche, per cui la Commissione Ue potrebbe imporre dazi provvisori nel caso in cui siano riscontrate sovvenzioni illegali lungo le catene del valore dei veicoli elettrici a batteria in Cina.Il vertice trilaterale tra la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, e il presidente della Francia, Emmanuel Macron, a Pechino (6 aprile 2023)È passato un anno dal trilaterale Macron-von der Leyen-Xi Jinping a Pechino, ma la strategia di de-risking dell’Unione Europea dalla Cina sembra essere appena alle battute iniziali. “Dobbiamo affrontare le soluzioni attraverso il dialogo e la diplomazia” e puntare su “una strategia di de-risking, cioè focalizzarci sui rischi specifici, ma anche apprezzare il fatto che la grande maggioranza dei beni e servizi è priva di rischi”, aveva sottolineato prima e durante il vertice di Pechino la numero uno della Commissione Ue, partendo dall’analisi sui rapporti Ue-Cina divenuta paradigmatica per l’approccio che si vorrebbe seguire a Bruxelles: “Alcune dipendenze commerciali sollevano dei rischi significativi e sappiamo che per alcuni la conseguenza è sganciarsi dalla Cina, ma io dubito che questa sia una soluzione desiderabile o percorribile“. Senza dubbio la questione dei potenziali sussidi anti-concorrenziali – anche nel settore delle turbine eoliche e dei dispositivi medici – non può non essere considerata come il fattore che può creare più frizioni con la controparte cinese, ma allo stesso tempo anche come la cartina tornasole della solidità dell’Unione nell’affrontare una bilancia commerciale che pende nettamente verso Pechino.La seconda linea rossa delle discussioni di lunedì a Parigi sarà senza dubbio la questione della guerra russa in Ucraina e di come l’Ue voglia uno stop totale della fornitura di attrezzature cinesi a duplice uso che stanno sostenendo la controffensiva del Cremlino. Un anno fa erano sul tavolo due proposte di pace – il piano in 10 punti del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e la proposta cinese accolta con grande scetticismo in Europa – e soprattutto le richieste dei due leader europei a Xi Jinping di definire il posizionamento della Cina in qualità di membro del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: “In quanto tale ha una grande responsabilità e ci aspettiamo che giochi un ruolo importante per promuovere una pace giusta che rispetti la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina“, aveva messo in chiaro senza troppi giri di parole von der Leyen. Quando è passato un anno e molto poco poco a livello diplomatico oltre la telefonata tra i leader ucraino e cinese a fine aprile 2023, il sostegno dei Ventisette a Kiev passerà anche dalla capacità di convincere Pechino ad allentare il sostegno indiretto a Mosca con beni a duplice uso, ovvero quelli venduti per scopi civili ma convertibili dal Cremlino per uso bellico al fronte.

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    In Georgia la polizia ha iniziato a usare la violenza contro i manifestanti pacifici pro-Ue

    Bruxelles – In Georgia lo scontro ora non è più solo politico, e nemmeno più solo pacifico. Per cercare di piegare le enormi proteste di piazza a Tbilisi, la polizia ha iniziato a utilizzare la violenza contro i manifestanti pacifici che da quasi un mese si stanno opponendo ogni giorno al progetto di legge di ispirazione filo-russa sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’. E dopo le critiche di tutte le istituzioni Ue a ogni livello, contro il marchio di fabbrica del partito al potere Sogno Georgiano si è schierata in modo inequivocabile anche la numero uno della Commissione Europea, Ursula von der Leyen: “Seguo con grande preoccupazione la situazione in Georgia e condanno la violenza nelle strade di Tbilisi”, è quanto messo nero su bianco in una dichiarazione che esorta il governo ad ascoltare il “chiaro messaggio” dei cittadini che “stanno dimostrando il loro forte attaccamento alla democrazia”.Arresti della polizia georgiana durante le manifestazioni a Tbilisi contro la legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, 30 aprile 2024 (credits: Giorgi Arjevanidze / Afp)A scatenare la tensione a Tbilisi e Bruxelles è il controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, voluto già lo scorso anno dal partito al potere Sogno Georgiano e messo in stallo dopo l’ondata oceanica di proteste del marzo 2023. Con un leggero emendamento al testo, a inizio aprile la legge è stata ripresentata dal governo: tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero dovrebbero registrarsi come ‘organizzazione che persegue gli interessi di una potenza straniera’ (simile ad ‘agente di influenza straniera’ in vigore in Russia dal primo dicembre 2022). Da settimane è altissima la tensione dentro e fuori il Parlamento di Tbilisi, dove il progetto è già stato approvato in prima e seconda lettura e ora si attende il voto definitivo per il 17 maggio. Non è attesa nessuna sorpresa dai legislatori georgiani, ma sarà inevitabile un’altra ondata di tensione. Il progetto di legge sarà inviato alla presidente della Repubblica, Salomé Nino Zourabichvili, che ha già annunciato che porrà il veto: ma Sogno Georgiano potrà utilizzare la propria maggioranza schiacciante in Parlamento per annullare il veto e far diventare legge la ‘trasparenza dell’influenza straniera’.Manifestanti georgiani a Tbilisi contro la legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, 17 aprile 2024 (credits: Giorgi Arjevanidze / Afp)Le manifestazioni organizzate dalle opposizioni unite e dalle organizzazioni della società civile hanno visto la partecipazione di decine di migliaia di cittadini – e stanno continuando da giorni in modo spontaneo – per ribadire la contrarietà a un progetto legislativo che minerebbe il percorso di adesione della Georgia all’Unione Europea, nonostante lo status di Paese candidato ricevuto il 14 dicembre 2023 dal Consiglio Europeo. “Anche l’Ue ha espresso chiaramente le sue preoccupazioni riguardo alla legge sull’influenza straniera”, ha messo in chiaro von der Leyen, che ha avvertito in modo nemmeno troppo velato che “la Georgia è a un bivio, deve mantenere la rotta verso l’Europa“. E se il popolo georgiano “vuole un futuro europeo per il proprio Paese”, il governo di Irakli Kobakhidze dovrà “agire rapidamente sulle misure che si è impegnato ad adottare come Paese candidato”. Perché ormai a Bruxelles non è più un segreto che l’entrata in vigore della legge di ispirazione filo-russa impedirebbe di aprire i negoziati di adesione all’Unione Europea: “Se i nostri partner sono in grado di leggere e capire con attenzione, sapranno riconoscere il messaggio inviato pubblicamente e direttamente”, ha spiegato oggi (2 maggio) alla stampa il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano.Ma ora preoccupa anche il modo in cui le istituzioni georgiane stanno rispondendo a decine di migliaia di persone che non mostrano segni di stanchezza nel scendere in piazza tutti i giorni per dimostrare la propria opposizione al progetto di legge filo-russo. In particolare dopo l’approvazione in seconda lettura del progetto di legge con 83 voti a favore e 23 contrari in Parlamento martedì (30 aprile). La sera stessa, per la prima volta dal marzo 2023, la polizia antisommossa ha interrotto le proteste pacifiche su viale Rustaveli (dove ha sede il Parlamento), usando gas lacrimogeni, spray al peperoncino e idranti, manganellando e arrestando oltre 60 persone. “La Georgia è un Paese candidato all’adesione all’Unione Europea e chiedo alle sue autorità di garantire il diritto di riunione pacifica, l’uso della forza per reprimerlo è inaccettabile“, è stata la dura condanna dell’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell.Il complesso rapporto tra Ue e GeorgiaLe proteste pro-Ue dei manifestanti georgiani a Tbilisi, 7 marzo 2023 (credits: Afp)Nonostante la concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue, il rapporto tra Bruxelles e Tbilisi rimane particolarmente complesso a causa dello scollamento tra una popolazione a stragrande maggioranza filo-Ue e un governo di tendenze filo-russe, lo  stesso che ha fatto richiesta di aderire all’Unione per i timori sollevati dall’espansionismo del Cremlino. Nel corso degli ultimi due anni si sono registrati diversi episodi che hanno evidenziato l’ambiguità del partito al potere Sogno Georgiano: nel maggio 2023 sono ripresi dei voli tra Georgia e Russia dopo la decisione di Mosca di eliminare il divieto in vigore, e il Paese caucasico non si è mai allineato alle misure restrittive introdotte da Bruxelles contro il Cremlino dopo l’invasione dell’Ucraina. Lo scorso autunno il governo ha anche tentato di mettere sotto impeachment (fallito) la presidente della Repubblica Zourabichvili per una serie di viaggi nell’Unione Europea che avrebbero rappresentato una violazione dei poteri della capa di Stato secondo la Costituzione nazionale.Ma la popolazione georgiana da anni dimostra di non condividere la direzione assunta da Sogno Georgiano e anche per questo motivo saranno cruciali le elezioni per il rinnovo del Parlamento il 26 ottobre. A cavallo della decisione di Bruxelles nel giugno 2022 di non concedere per il momento alla Georgia lo status di candidato all’adesione, a Tbilisi si sono svolte due grandi manifestazioni pro-Ue: una ‘marcia per l’Europa’ per ribadire l’allineamento del popolo ai valori dell’Unione e una richiesta di piazza di dimissioni del governo (senza seguito da parte dell’esecutivo allora guidato da Garibashvili). I tratti comuni evidenziati a partire da queste manifestazioni sono le bandiere – bianca e rossa delle cinque croci (nazionale) e con le dodici stelle su campo blu (dell’Ue) – cartelli con rivendicazioni europeiste e l’inno georgiano intervallato dall’Inno alla Gioia. Un anno più tardi sono scoppiate le dure proteste popolari nel marzo 2023 – appoggiate da Bruxelles – che hanno portato all’accantonamento temporaneo del controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, almeno fino agli eventi di questa primavera.In questo scenario non va dimenticato il rapporto particolarmente delicato della Georgia con la Russia, Paese con cui confina a nord. La candidatura all’adesione Ue e Nato – sancita dalla Costituzione nazionale – da tempo è causa di tensioni con il Cremlino. Dopo i conflitti degli anni Novanta con le due regioni separatiste dell’Ossezia del Sud (1991-1992) e dell’Abkhazia (1991-1993) a seguito dell’indipendenza della Georgia nel 1991 dall’Unione Sovietica, sul terreno la situazione è rimasta di fatto congelata per 15 anni, con le truppe della neonata Federazione Russa a difendere i secessionisti all’interno del territorio rivendicato. Il tentativo di riaffermare il controllo di Tbilisi sulle due regioni nell’estate del 2008 – voluto dall’allora presidente Mikheil Saakashvili – determinò il 7 agosto una violenta reazione russa non solo nel respingere l’offensiva dell’esercito georgiano, ma portando anche all’invasione del resto del territorio nazionale con carri armati e incursioni aeree per cinque giorni. Da allora la Russia di Vladimir Putin riconosce l’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud e ha dislocato migliaia di soldati nei due territori per aumentare la propria sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia, in violazione degli accordi del 12 agosto 2008.

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    L’Ue ha tagliato di due terzi le importazioni di gas dalla Russia. Attesa “l’ondata” globale di Gnl

    Bruxelles – Due inverni di guerra russa in Ucraina e anche l’Unione Europea deve fare un bilancio. A partire dal piano energetico. “Il 31 marzo, quando si è conclusa la stagione di riscaldamento invernale, i nostri stoccaggi di gas erano pieni per oltre il 58 per cento, si tratta del livello più alto mai registrato in questo periodo dell’anno”, ha reso noto oggi (12 aprile) la commissaria per l’Energia, Kadri Simson, in una dichiarazione che traccia le direttrici della “maggiore sicurezza e solidarietà energetica e un mix energetico più pulito”, in particolare sul fronte del crollo delle importazioni di gas dalla Russia.

    La commissaria europea per l’Energia, Kadri Simson“Questi elevati livelli di stoccaggio sono il risultato della nostra efficace diversificazione delle forniture energetiche, degli sforzi dei cittadini e delle imprese per ridurre la domanda di gas e dei nostri investimenti nelle energie rinnovabili“, ha ricordato i tre pilastri del piano RePowerEu la commissaria Simson, rilanciando l’impegno per il presente e prossimo futuro: “Garantire la sicurezza energetica e la competitività dell’Europa, abbassare i prezzi e promuovere la transizione verso l’energia pulita restano una priorità assoluta”. Perché ora l’obiettivo immediato è riportare il livello di riempimento degli stoccaggi al 90 per cento entro il prossimo primo novembre, ma l’elevato livello da cui si parte “significa che i mercati sono sempre più stabili, i prezzi sono tornati ai livelli di prima della guerra e l’Europa può iniziare a rifornirsi con fiducia” in vista del prossimo inverno.Ed è proprio ai luoghi di rifornimento di gas che bisogna guardare per capire il “successo con cui abbiamo gestito la crisi energetica”. Come rende noto la stessa Commissione Ue, la quota delle importazioni di gas russo in Europa è scesa dal 45 per cento nel 2021 al 24 per cento nel 2022, fino a crollare al 15 per cento nel 2023. “Questa tendenza al ribasso deve continuare”, mette in chiaro il gabinetto von der Leyen. A prendere il primo posto come maggior esportatore verso l’Ue dal 2022 è stata la Norvegia (salita fino al 30 per cento lo scorso anno), seguita dagli Stati Uniti (al 19 per cento), mentre i Paesi del Nord Africa stanno per superare la Russia (14 per cento). La diversificazione delle fonti di approvvigionamento non avrebbe però potuto risolvere da sola la crisi energetica, se i cittadini non avessero ridotto la domanda di gas di quasi il 20 per cento, “che ci ha permesso di risparmiare più di 107 miliardi di metri cubi di gas negli ultimi 18 mesi”. E nel frattempo l’aumento della quota di energie rinnovabili nel mix energetico ha permesso di sostituire l’equivalente di 24 miliardi di metri cubi di gas russo negli ultimi due anni.

    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), Fatih Birol“L’Europa ha finalmente allentato la presa che la Russia aveva sul suo settore energetico e ha ripreso in mano il proprio destino energetico”, esulta la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, in un op-ed congiunto con il direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), Fatih Birol, pubblicato questa mattina. Nonostante l’obiettivo sia sempre quello di “ridurre i consumi in linea con i nostri obiettivi climatici”, la numero uno del Berlaymont punta ancora l’attenzione sui mercati del gas, “perché ora ci stiamo dirigendo verso un’altra serie di problemi e sfide”. Più nello specifico si prevede nella seconda metà del decennio “una grande ondata di nuovi progetti di esportazione di gas naturale liquefatto, soprattutto dagli Stati Uniti e dal Qatar”, che aumenteranno “l’offerta globale di Gnl del 50 per cento”. Ecco perché “stiamo passando da un mondo di carenza di gas al contrario, un mondo in cui potremmo presto vederne in abbondanza”, con possibili effetti di “riduzione significativa” dei prezzi del gas.Senza dimenticare però che “siamo in una situazione di emergenza climatica” e un gas più economico “non solleva l’Europa e le altre grandi economie dalla responsabilità di raggiungere al più presto le emissioni nette zero e di aiutare altri Paesi a fare lo stesso”, ricordano von der Leyen e Birol. In altre parole è necessario “insistere su emissioni di metano prossime allo zero sul gas che continuiamo a usare”, ma anche aumentare “drasticamente” energie e gas rinnovabili, efficienza energetica, idrogeno pulito e le altre tecnologie energetiche a emissioni zero. Come dimostrato dai dialoghi sulla transizione pulita organizzati dalla Commissione da ottobre dello scorso anno – i cui primi risultati sono stati presentati mercoledì (10 aprile) – le istituzioni Ue sono anche impegnate nel “lavorare fianco a fianco con l’industria e sostenerla” per costruire un modello di business adatto a un’economia decarbonizzata. Perché se i Ventisette sono usciti “rafforzati” dagli inverni passati, non bisogna dimenticare che la sfida per mettere a terra “soluzioni durature ai nostri dilemmi energetici” è appena iniziata.

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    L’Ue sta preparando un Piano di resilienza e crescita per l’Armenia da 270 milioni di euro

    Bruxelles – L’Unione Europea cerca di diventare il partner di fiducia dell’Armenia, per togliere alla Russia anche l’ultimo alleato nella regione caucasica. “Stiamo rispettando la promessa fatta a ottobre di stare a fianco dell’Armenia e di fornire una visione per il nostro partenariato”, ha assicurato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nel corso di un punto stampa con il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, prima della riunione di alto livello di oggi (5 aprile) a Bruxelles.

    Da sinistra: il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken (5 aprile 2024)Un partenariato che “sarà plasmato su un Piano di resilienza e crescita da 270 milioni di euro in sovvenzioni per i prossimi quattro anni“, è l’annuncio di von der Leyen, che ha promesso che l’Unione investirà su “economia e società armena”. A partire dalle piccole e medie imprese, fino a “progetti di infrastrutture-chiave, produzione di rinnovabili in Armenia e migliori interconnessioni con la Georgia”. Come rende noto lo stesso esecutivo Ue, il Piano di resilienza e crescita per l’Armenia sosterrà la diversificazione degli scambi commerciali, rafforzerà la cooperazione settoriale con l’Unione Europea e “contribuirà a soddisfare le esigenze a lungo termine degli sfollati” dal Nagorno-Karabakh. Proprio su questa “priorità” si è soffermata anche la presidente von der Leyen, ricordando che “dallo scorso settembre abbiamo erogato oltre 30 milioni di euro a sostegno dei rifugiati e siamo pronti a fare di più per sostenere l’integrazione a lungo termine”.L’esodo della popolazione di etnia armena verso Yerevan (oltre 100 mila profughi riversatisi in un Paese di 2,8 milioni di abitanti) è iniziato dopo la presa dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh da parte dell’esercito azero il 20 settembre 2023. Da allora non hanno fatto progressi i contatti tra Bruxelles, Yerevan e Baku per arrivare a quell’accordo di pace generale che il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, dall’Aula di Strasburgo aveva prospettato per fine 2023 se solo il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, avesse deciso di non ostacolare il processo come aveva invece fatto al terzo vertice della Comunità Politica Europea del 5 ottobre in Spagna (quando aveva disertato il quintetto con il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e il presidente francese, Emmanuel Macron). La tensione è rimasta sempre alta, fino all’episodio più grave lo scorso 13 febbraio, quando quattro soldati armeni sono stati uccisi in uno scontro a fuoco con le forze di Baku lungo il confine.Il conflitto tra Armenia e AzerbaigianTra Armenia e Azerbaigian è dal 1992 che va avanti una guerra congelata, con scoppi di violenze armate ricorrenti incentrate nella regione separatista del Nagorno-Karabakh. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Dopo un anno e mezzo la situazione è tornata a scaldarsi a causa di alcune sparatorie alla frontiera a fine maggio 2022, proseguite parallelamente ai colloqui di alto livello stimolati dal presidente del Consiglio Ue, fino alla ripresa delle ostilità tra Armenia e Azerbaigian a settembre, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue, con 40 esperti dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre 2022. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin, mettendo in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Il 23 gennaio 2023 è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, ma la tensione è tornata a crescere il 23 aprile dopo la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello il 15 luglio tra Michel, il primo ministro armeno Pashinyan e il presidente azero Aliyev.Esplosioni in Nagorno-KarabakhL’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni sul campo ha messo in pericolo anche gli osservatori Ue presenti dal 20 febbraio 2023 in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. Solo un mese più tardi è sembrato che la situazione potesse pian piano stabilizzarsi, con il passaggio del primo convoglio con aiuti internazionali il 12 settembre attraverso la rotta Ağdam-Askeran e poi lo sblocco del corridoio di Lachin il 18 settembre dopo quasi nove mesi di crisi umanitaria. Neanche 24 ore dopo sono però iniziati i bombardamenti azeri contro l’enclave separatista che – per la sproporzione di forze in campo – ha determinato il cessate il fuoco e la resa fulminea dei militari di Stepanakert, con la presa totale del controllo da parte dei soldati di Baku.

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    Ucraina, l’Ue promette di velocizzare consegne militari ma non c’è accordo su come finanziarle

    Bruxelles – Più sostegno sul campo attraverso la velocizzazione delle consegne militari, anche attraverso l’eventuale utilizzo degli extra-profitti generati dai beni russi congelati in Europa e la linea dura contro i Paesi terzi che aiutano la Russia a mantenere attiva la propria macchina da guerra aggirando le sanzioni. I capi di Stato e di governo degli Stati membri dell’Ue vengono incontro alla richieste del presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, promettendo quanto prima più munizioni, pezzi di artiglieria e sistemi di difesa anti-aerea. Un modo per rispondere alle critiche e alle accuse per un’alleanza, quella con l’Ue, considerata a Kiev come “umiliante“.Le conclusioni del primo giorno di vertice del Consiglio europeo ribadiscono l’impegno incondizionato all’Ucraina. “La Russia non deve vincere“, il messaggio politico fermo messo nero su bianco dai leader, e per questo l’Unione si dice “determinata a continuare a fornire tutto il sostegno politico, economico, finanziario, militare, umanitario e diplomatico per tutto il tempo necessario“. Si riconosce la penuria e quindi la necessità di rifornimento di munizioni e sistemi di difesa anti-aerea, per cui i Ventisette si impegnano a “velocizzare e intensificare la fornitura di tutta l’assistenza militare necessaria“.Il vero nodo resta quello pratico, vale a dire finanziario, che si scontra con le necessità e le tempistiche. Servono soldi che l’Ue non ha per far ripartire l’industria bellica europea, e i leader europei lasciano il tavolo senza alcuna soluzione pratica. Invitano Commissione e ministri competenti a “esplorare tutte le opzioni” per mobilitare finanziamenti, e fare il punto della situazione “a giugno”, in occasione del vertice del consiglio Europeo di fine mese (27 e 28 giugno). Vuol dire concedere altri tre mesi all’armata russa, durante i quali gli europei continueranno, verosimilmente, a non far partire le commesse necessarie per rifornirsi e rifornire l’Ucraina.Le conclusioni sulla difesa stridono con i proclami e gli impegni scritti nelle conclusioni dedicate all’Ucraina. Vanno inoltre lette con attenzione. “Esplorare tutte le opzioni” può far intendere che l’idea di eurobond per la difesa, e quindi creazione di debito comune per stimolare l’industria del settore, non sia del tutto esclusa. Ma nel linguaggio dei tecnici gli eurobond sono riferiti a “soluzioni innovative”, riferimento scomparso dalla conclusioni. Tra chi vorrebbe eurobond (Italia, Estonia, Lituania, Spagna) e chi invece preferisce guardare gli strumenti esistenti, preferibilmente nel bilancio comune (Germania, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi e Svezia), sembra prevalere la linea di questi ultimi.Quello che ottiene Zelensky è la disponibilità dell’Unione a valutare “anche la possibilità di sostegno al finanziamento militare” attraverso l’uso degli extra-profitti derivanti dai beni russi congelati in Europa. Una proposta su cui si dovrà continuare a lavorare perché ci sia una base giuridica solida che eviti l’avvio di cause, ricorse, e le conseguenti impossibilità di aiutare militarmente Kiev e paralizzare i sistemi di giustizia nazionali. Se tutto va bene, azzarda la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, tramite extra-profitti potrebbe arrivare a Kiev “un miliardo di euro già l’1 luglio”.Resta ferma l’intenzione di fare della Banca europea per gli investimenti uno strumento utile alla causa, e aprire la strada a prestiti e finanziamenti per l’industria della difesa. Si chiede alla Bei di “adattare la propria politica” di prestiti e di “adattare la sua attuale definizione di bene a duplice-uso“. Sono proprio queste tecnologie ‘duali’ a uso civile e militare la chiave per poter aprire i rubinetti.L’Unione europea ci prova, ma ancora una volta è attesa alla prova dei fatti. Pesa l’assenza di una difesa comune, e un’Europa ancora troppo confederale. “Il sostegno militare e l’impegno alla sicurezza saranno forniti nel pieno rispetto  della politica di sicurezza e difesa di determinati Stati membri e tenendo conto degli interesse nella sicurezza e nella difesa di tutti gli Stati membri”. Vuol dire che il rischio di procedere in modo disordinato è ancora sul tavolo, e questo potrebbe giocare a favore di Putin.

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    È il giorno della Bosnia ed Erzegovina. Il Consiglio Europeo sblocca la strada per l’adesione Ue

    Bruxelles – L’endorsement è arrivato e oggi si può dire che “lo slancio e la finestra attuale di opportunità” è stata colta. I 27 leader Ue hanno deciso questa sera (21 marzo) di dare il via libera all’avvio dei negoziati di adesione con la Bosnia ed Erzegovina, appoggiando all’unanimità l’esortazione dei 7 Paesi membri più aperturisti (tra cui l’Italia) di permettere a Sarajevo di “incamminarsi saldamente sulla strada dell’Unione Europea”. È a tutti gli effetti un giorno storico per la Bosnia ed Erzegovina – anche se la svolta è ‘solo’ politica e non veramente tecnica – considerato il fatto che è da otto anni che il Paese balcanico attende alla porta dell’Unione.

    Da sinistra: la presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles MichelSulla base della raccomandazione positiva della Commissione Europea arrivata lo scorso 12 marzo, il Consiglio Europeo ha dato il suo sostegno all’apertura dei negoziati di adesione Ue, anche se va rimarcato che il lavoro più complesso arriva probabilmente solo adesso. Perché i Ventisette invitano sì la Commissione a preparare il quadro negoziale per la Bosnia ed Erzegovina, ma solo “nel momento in cui saranno prese tutte le misure pertinenti” – come si legge nelle conclusioni del Consiglio Europeo – indicate nella raccomandazione specifica del Pacchetto Allargamento Ue 2022. La palla passa dunque di nuovo a Sarajevo, che dovrà portare a compimento le 8 priorità, e solo a seguire la Commissione potrà mettere a terra il quadro negoziale da adottare all’unanimità in Consiglio Affari Generali (che riunisce i 27 ministri degli Affari Europei). Solo allora saranno davvero avviati a livello formale i negoziati di adesione Ue per la Bosnia ed Erzegovina.“Il vostro posto è nella nostra famiglia europea, la decisione odierna rappresenta un passo avanti fondamentale nel vostro cammino verso l’Ue”, è l’annuncio del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, che ha postato su X una foto con la la presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto (contattata poco prima del via libera da Bruxelles). “Ora il duro lavoro deve continuare per far sì che la Bosnia ed Erzegovina avanzi costantemente, come vuole il vostro popolo”, ha aggiunto Michel. Anche la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha accolto “con favore” quella che ha definito in conferenza stampa una “decisione storica” dei 27 leader Ue: “La Bosnia ed Erzegovina ha fatto enormi passi avanti verso l’Unione, nell’ultimo anno è stato fatto di più dei dieci anni precedenti”. A oggi il Paese balcanico “è completamente allineato a livello di governance, politica estera, di sicurezza e di difesa“, ha confermato von der Leyen, che ha rimarcato anche “progressi importanti nell’adozione di testi di legge cruciali, sulla gestione della migrazione e sul dialogo e la riconciliazione”. Ora la speranza è che “la decisione di oggi porti a nuovi ulteriori progressi” nel percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione. “È un passo importante per avvicinare il Paese all’Ue, un’Unione allargata significa un’Unione più forte”, ha rimarcato la presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola.Oltre la Bosnia, a che punto è l’allargamento UeSui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre 2022 anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione e ora attende solo l’avvio formale dei negoziati di adesione. Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata a fine 2022: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue – Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia – continuano a non riconoscerlo come Stato sovrano.

    Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Nel Pacchetto Allargamento Ue 2023 la Commissione ha raccomandato al Consiglio di avviare i negoziati di adesione con Ucraina e Moldova e di concedere alla Georgia lo status di Paese candidato. Tutte le richieste sono state poi accolte dal vertice dei leader Ue di dicembre.I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è stato affrontato in una relazione strategica apposita a Bruxelles.Come funziona il processo di adesione Ue

    Il processo di allargamento Ue inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.

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    La Commissione Ue ha effettuato il primo pagamento di 4,5 miliardi con lo Strumento per l’Ucraina

    Bruxelles – Lo Strumento per l’Ucraina entra ufficialmente in funzione con il primo pagamento da Bruxelles a Kiev, a poco più di un mese dall’intesa tra le istituzioni dell’Unione Europea per la messa a terra di un supporto macro-finanziario stabile e prevedibile fino al 2027. “Abbiamo appena pagato all’Ucraina la prima tranche di 4,5 miliardi di euro in forma di finanziamento ponte, è cruciale per mantenere il funzionamento dello Stato in un momento così difficile”, è quanto annunciato dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, in un punto con la stampa di Bruxelles oggi (20 marzo) al fianco del primo ministro ucraino, Denys Shmyhal.

    L’esborso della prima tranche di finanziamenti dallo Strumento per l’Ucrina – che in quattro anni mobiliterà 50 miliardi di euro a sostegno di salari pubblici, pensioni e servizi pubblici di base del Paese in guerra – si iscrive nel contesto della presentazione del Piano per l’Ucraina, uno dei tre pilastri del nuovo strumento finanziario dell’Unione. “L’impegno del governo ucraino nel definire il Piano è impressionante, perché sono passati solo 19 giorni da quando è entrato in vigore lo Strumento”, ha ricordato la presidente von der Leyen, parlando del programma che “definisce come l’Ucraina tornerà a una rapida crescita e inizierà a riprendersi dalle perdite che ha comportato la guerra”. Al momento la Commissione ha potuto fornire un sostegno eccezionale – un finanziamento ponte – fino al semaforo verde per l’adozione del Piano per l’Ucraina, subordinato al soddisfacimento di condizioni politiche e di obblighi di rendicontazione: “Se arriverà una valutazione positiva, ad aprile erogheremo una seconda tranche di 1,5 miliardi di euro“, ha anticipato von der Leyen.Nel frattempo i servizi del Berlaymont dovranno iniziare a valutare “attentamente” il Piano che garantirà il flusso regolare di finanziamenti fino al 2027. Si dovrebbe trattare di un programma che presenta “lo stesso approccio sviluppato nell’Ue” e che “combina riforme e investimenti per spingere la crescita e l’avvicinamento all’Unione”, ha rimarcato von der Leyen. L’esecutivo Ue dovrà valutare anche se le misure proposte dall’Ucraina possono garantire “un livello adeguato” di protezione degli interessi finanziari dell’Unione, dopodiché arriverà una raccomandazione al Consiglio per attuare il Piano (entro un mese) con gli indicatori delle riforme e degli investimenti necessari per l’erogazione del sostegno finanziario. Alla conclusione di questo iter Kiev potrà beneficiare immediatamente di un prefinanziamento da 1,9 miliardi di euro, a cui seguiranno pagamenti trimestrali regolari: “È il più grande programma di supporto per l’Ucraina, tre volte maggiore del sostegno del Fondo Monetario Internazionale, e sarà un punto di riferimento per altri donatori”, ha sottolineato von der Leyen.A precisare come si svilupperà l’azione di Kiev secondo il Piano presentato oggi al Berlaymont è stato lo stesso premier Shmyhal: “Il Piano copre circa 70 aree attraverso riforme strutturali nel settore pubblico ed economiche per sviluppare il clima imprenditoriale nell’energia, nella logistica, nell’agricoltura, nelle materie prime critiche e nelle tecnologie dell’informazione”. Inoltre, degli oltre 50 miliardi previsti dallo Strumento per l’Ucraina, l’intenzione del governo ucraino è quella di stanziare “38,8 milioni come supporto al budget, 7 miliardi per stimolare gli investimenti per l’economia e attrarre investimenti, e 4,7 miliardi per implementare le riforme e le capacità delle autorità pubbliche”, ha messo in chiaro il primo ministro Shmyhal.Come funziona lo Strumento per l’UcrainaPer quanto riguarda gli stanziamenti previsti da Bruxelles, 17 miliardi di euro in sovvenzioni saranno mobilitati attraverso lo Strumento per l’Ucraina concordato dai 27 leader Ue nel contesto del Quadro finanziario pluriennale rivisto, mentre 33 miliardi in prestiti saranno garantiti dalla riserva di risorse proprie, proprio come fatto per il finanziamento nell’ambito dell’Assistenza macro-finanziaria Plus (Amf+) che ha mobilitato 18 miliardi in tutto il 2023. Nell’ambito del Piano per l’Ucraina, Kiev potrà richiedere un prefinanziamento fino al 7 per cento, con “una quota significativa” dei primi due pilastri destinata agli investimenti verdi e un’altra parte del Quadro per gli investimenti riservata alle piccole e medie imprese.

    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr ZelenskyConsiderato il fatto che il Paese si trova ancora in guerra sarà concessa una certa flessibilità nella gestione del bilancio, ma il prerequisito per il sostegno attraverso il nuovo strumento finanziario è sempre quello di rispettare i meccanismi democratici: sistema parlamentare multipartitico, Stato di diritto, diritti umani e delle persone appartenenti a minoranze. Il Regolamento che istituisce lo Strumento per l’Ucraina garantisce che la Verchovna Rada (il Parlamento ucraino) e le organizzazioni della società civile siano “debitamente informati e consultati” sulla progettazione e sull’attuazione del primo pilastro sulle intenzioni di ripresa e riforme per l’adesione Ue. Sul fronte Ue, in Consiglio è previsto un dibattito annuale a partire dalle apposite relazioni della Commissione sull’attuazione dello Strumento, mentre l’Eurocamera potrà invitare l’esecutivo comunitario a discuterne almeno ogni quattro mesi. A questo riguardo il Regolamento include un quadro di valutazione per rendere più semplice il monitoraggio dei progressi delle varie fasi, compresa una panoramica degli elementi sociali, economici e ambientali del Piano per l’Ucraina.

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    Ue e Svizzera avviano i negoziati per un pacchetto di misure che approfondirà le relazioni bilaterali

    Bruxelles – Unione Europea e Svizzera ci riprovano, dopo il via libera della settimana scorsa dal Consiglio dell’Unione Europea alle direttrici politiche per iniziare i negoziati per un pacchetto di misure volte ad approfondire le relazioni bilaterali tra Bruxelles e Berna. A presentare il nuovo inizio del dialogo – interrotto nel 2021 per volontà della Svizzera – sono state la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e l’omologa della Confederazione svizzera, Viola Amherd, nel corso di un punto stampa congiunto questa mattina (18 marzo): “Oggi è l’inizio di un nuovo capitolo delle nostre relazioni, basato su una rinnovata fiducia e sull’impegno tra partner e vicini”, ha annunciato la numero uno dell’esecutivo dell’Unione.

    Da sinistra: la presidente della Confederazione svizzera, Viola Amherd, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (18 marzo 2024)I nuovi negoziati – che a differenza del passato non prevedono un unico accordo quadro – mettono sul tavolo la negoziazione di un accordo sull’associazione della Svizzera a una serie di programmi dell’Unione, con disposizioni istituzionali che verrebbero replicate negli accordi relativi al mercato interno dell’Ue e una base per il contributo di Berna alla coesione sociale ed economica. In questo modo si dovrebbero garantire condizioni di concorrenza eque tra le imprese delle due parti che operano nel Mercato interno e la tutela dei diritti dei cittadini dell’Ue che lavorano in Svizzera. L’obiettivo dichiarato nell’intesa comune è di concludere i negoziati nel 2024, dal momento in cui “è nell’interesse comune avanzare rapidamente”, sottolinea la Commissione.Il pacchetto consiste nell’aggiornamento di cinque accordi relativi all’accesso al mercato: trasporto aereo, trasporto di merci e passeggeri per ferrovia e su strada, libera circolazione delle persone, riconoscimento in materia di valutazione della conformità, e commercio dei prodotti agricoli. Inoltre vengono rilanciati i negoziati per la conclusione di accordi sull’elettricità, sulla sicurezza alimentare e sulla salute: sarebbe così integrata “ancora di più” la rete elettrica svizzera a quella dei Ventisette, si spingerebbe sulla stabilità della rete e la sicurezza dell’approvvigionamento e sulla transizione verso un sistema energetico a emissioni nette zero. “Un accordo sulla sicurezza alimentare contribuirebbe a creare un’area di sicurezza alimentare Ue-Svizzera” e uno sulla salute “rafforzerebbe la cooperazione bilaterale in un settore di grande importanza per i cittadini”, ricorda la Commissione.

    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (18 marzo 2024)Tra i nuovi negoziati è prevista anche la partecipazione della Svizzera alle agenzie dell’Unione Europea e ai programmi dell’Unione su ricerca e innovazione, istruzione, formazione, gioventù, sport e cultura, in particolare Horizon Europe, Euratom Research & Training, International Thermonuclear Experimental Reactor, Digital Europe, Erasmus+, Creative Europe, EU4Health e Copernicus. La base di questi accordi sarebbero una serie di disposizioni istituzionali da includere negli accordi “esistenti e futuri” relativi al Mercato interno dell’Unione, “che prevedano l’allineamento dinamico al diritto dell’Ue, la sua interpretazione e applicazione uniforme e la risoluzione delle controversie”, e disposizioni sugli aiuti di Stato. Infine dovrebbe essere prevista un’intesa sul contributo finanziario “regolare e permanente” della Svizzera alla coesione sociale ed economica dell’Unione per ridurre le disparità economiche e sociali tra le regioni, “come contropartita della sua partecipazione al Mercato interno”, precisa l’esecutivo Ue.