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    Summit Ue-Cina, l’Europa prova a giocare la carta asiatica contro gli Usa di Trump

    Bruxelles – Alla ricerca di cooperazione con la Cina, ma pronti a fare a meno di Pechino se le relazioni non saranno possibili. L’Unione europea intravede nella Repubblica popolare la risposta all’America di Trump, in un vertice bilaterale che arriva in una congiuntura tanto delicata quanto potenzialmente strategica. I presidenti di Commissione e Consiglio europeo, Ursula von der Leyen e Antonio Costa, si recheranno in Asia la prossima settimana (24 e 25 luglio) per cercare di ridefinire relazioni con la Cina nel doppio tentativo di scrivere un nuovo capitolo di scambi commerciali e dotarsi di una leva di pressione per rispondere ai dazi Usa.La missione non è di quelle semplici, e a Bruxelles lo sanno bene. La Cina è un interlocutore scomodo, spigoloso, al cospetto del quale l’Ue si presenta oltretutto in una posizione poco confortevole e ancor meno invidiabile: il Paese è definito chiaramente una minaccia per l’Unione europea, i suoi interessi e la sua sicurezza, ed è stato inserito nella lista dei ‘cattivi’, ma si va a chiedere una sponda per uscire dall’angolo in cui la Casa Bianca ha spinto gli europei.Il freddo riavvicinamento tra Ue e Cina. Von der Leyen: “Rapporto complesso che dobbiamo far funzionare”Ci sono tensioni commerciali tra Bruxelles e Pechino: i dazi europei sull’auto elettrica cinese, la sovra-produzione cinese di acciaio con cui inonda i mercati globali di prodotti a basso costo e che si intreccia con le restrizioni imposte dagli Stati Uniti sullo stesso prodotto. E poi c’è la questione delle reciprocità, regole del gioco che sono ancora troppo diverse. La Cina non permette l’ingresso all’interno del proprio mercato, e distorce quello globale con sussidi pubblici. Ciò nonostante si vuole cogliere l’occasione del 25esimo summit Ue-Cina per provare quanto meno a gettare le basi per un nuovo corso, e dare anche messaggi a Trump.Von der Leyen e Costa andranno a Pechino da Xi Jinping (presidente) e Li Qiang (primo ministro) “con uno spirito positivo e costruttivo”, ammettono a Bruxelles. Del resto non avrebbe senso tenere un summit se le aspettative fossero minime e anche meno di minime. “Non siamo pronti a compromessi su valori, ma siamo pronti a commerciare se ce ne sono le condizioni“, ammettono gli addetti ai lavori a Bruxelles. “Ribadiremo che siamo un partner affidabile”, sottolineano funzionari Ue. L’obiettivo è segnare distanze e differenze con gli Stati Uniti. Certo, reciprocità e nessuna distorsione del mercato restano gli obiettivi da raggiungere, in assenza dei quali l’Ue è pronta a cercare altri mercati. “Diversificazione, e non riduzione dei rischi, è l’approccio da tenere con la Cina” in questo momento.Von der Leyen ora guarda a est: India e Cina come alternativa all’America di TrumpLo dimostra il summit con il Giappone che anticipa quello con la Cina. Von der Leyen e Costa voleranno prima a Tokyo (23 luglio) per discutere di tre argomenti principali di cooperazione: sicurezza e difesa, commercio e sicurezza economica, difesa del multilateralismo e dell’ordine internazionale fondato su regole. Gli ultimi due punti sono sempre in funzione di una risposta alle politiche degli Stati Uniti. Una logica che stride con la visita che seguirà a Pechino. Il summit Ue-Giappone sarà l’occasione per “fare pressione” sulla Repubblica popolare, ammettono a Bruxelles, su temi come ordine mondiale e regionale e divieto di sostegno alla Russia. Cose che non faranno piacere alla leadership cinese, mai favorevole a ingerenze nelle decisioni interne e alla manovre su un quadrante di mondo dove gli interessi del Dragone non sono pochi.Non c’è solo Taiwan nelle mire della Cina, che considera l’isola come parte del Paese. Nel mar cinese meridionale le isole Spratly sono oggetto di contese sino-filippine. De facto nella zona economica esclusiva di Manila,  per le contestazioni di Pechino. L’Ue ha rilanciato il partenariato con le Filippine, senza riconoscere le rivendicazioni territoriali cinesi, e di fatto riconoscendo le ragioni dell’altro. Un altro elemento che può essere usato contro l’Ue.

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    Ucraina, la Slovacchia continua a mettersi di traverso sulle sanzioni alla Russia

    Bruxelles – Fumata nera per il 18esimo pacchetto di sanzioni contro Mosca. A ritardare l’adozione delle nuove misure restrittive, che l’Alta rappresentante Kaja Kallas sperava di finalizzare durante il Consiglio Affari esteri di ieri, è ancora una volta la Slovacchia di Robert Fico. Bratislava non è soddisfatta delle rassicurazioni offerte dalla Commissione sulle forniture di gas russo, che l’esecutivo comunitario vuole bandire entro la fine del 2027.La lettera inviata ieri (15 luglio) dal Berlaymont, e firmata da Ursula von der Leyen in persona, “non offre alla Slovacchia garanzie sufficienti” rispetto alla questione cruciale dell’approvvigionamento di gas a basso costo dalla Russia. Con queste parole, condivise sui social il giorno stesso, il primo ministro Robert Fico ha chiuso la porta alle discussioni sul 18esimo pacchetto di sanzioni contro il Cremlino, allungando un braccio di ferro politico che si trascina da mesi.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas, sperava che l’adozione del nuovo round di misure restrittive – presentato dall’esecutivo a dodici stelle a inizio giugno – potesse avvenire durante la riunione dei ministri degli Esteri dei Ventisette svoltasi ieri a Bruxelles. Ma dovrà aspettare ancora.Il primo ministro slovacco Robert Fico (sinistra) e il presidente russo Vladimir Putin (foto: Gavriil Grigorov/Afp via Sputnik)Fico giustifica l’opposizione slovacca sulla base di preoccupazioni per la sicurezza energetica di Bratislava. Di fatto, il premier nazional-populista (uno dei più stretti alleati di Vladimir Putin in Europa, insieme all’omologo ungherese Viktor Orbán) sta legando l’adozione delle sanzioni contro Mosca – che richiedono l’unanimità – alla transizione energetica dell’Ue nel quadro della strategia RePower Eu.Il piano di Bruxelles – definito “assurdo” da Fico – prevede il graduale abbandono (phase out) delle fonti fossili importate dalla Federazione entro il 2028, incluso il gas naturale, con una decisione che andrà presa a maggioranza qualificata dagli Stati membri (e che, pertanto, Fico non riuscirebbe a bloccare).Il premier slovacco ha puntato i piedi durante il vertice Ue di giugno, chiedendo garanzie per tutelare la sua economia, fortemente dipendente dalle importazioni di gas russo. Ma continua a dichiararsi aperto a negoziare un accordo che possa “garantire un certo livello di comfort” al Paese mitteleuropeo. Se Bratislava riceverà rassicurazioni accettabili circa la mitigazione dell’impatto del phase out, dice, non bloccherà più l’adozione delle sanzioni.La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (foto: Dati Bendo/Commissione europea)La soluzione preferita da Fico sarebbe un’esenzione nazionale fino al 2034, data in cui scadrà il contratto di forniture a lungo termine siglato con Gazprom, il colosso dell’energia russo di proprietà statale. In caso contrario, sostiene, Bratislava dovrà affrontare una causa legale e potrebbe dover pagare una multa fino a 20 miliardi di euro. Ma la Commissione non ne vuole sapere e fa notare che i divieti legali imposti a livello Ue possono essere fatti valere come cause di forza maggiore in sede di contenzioso con Gazprom.Per tendere una mano verso il governo slovacco, von der Leyen ha proposto di creare una task force per esaminare le necessità del Paese e monitorarne la transizione verde, coadiuvando Bratislava nell’escogitare e implementare soluzioni tecniche, economiche e normative di vario genere, inclusi un utilizzo più flessibile degli aiuti di Stato ed il ricorso ai fondi europei per compensare le perdite dovute al phase out e alla diversificazione energetica. Inoltre, ha ribadito la possibilità di ricorrere ad un “freno d’emergenza” per sospendere temporaneamente l’applicazione del divieto d’importazione del gas nel caso in cui si raggiungano picchi estremi dei prezzi.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Consiglio europeo)Tutte proposte rispedite al mittente da Fico, i cui partner di coalizione in patria si sarebbero categoricamente opposti alle aperture di Bruxelles, per la frustrazione di von der Leyen e Kallas. L’ex premier estone ha dichiarato ieri di essere “davvero triste” di non aver raggiunto l’accordo e ribadito che “eravamo davvero vicini a convincere la Slovacchia“, sottolineando che “questi negoziati vanno avanti da parecchio tempo” e puntando il dito contro l’atteggiamento ostruzionista del governo di Bratislava che, lamenta, presenta continuamente nuove condizioni. “Ora la palla è nel campo della Slovacchia”, ha aggiunto.Le discussioni tecniche, a livello di ambasciatori al Coreper, stanno proseguendo oggi. La speranza è di trovare una quadra entro la fine della settimana: “Sono ottimista e ancora fiduciosa” che si raggiungerà una conclusione oggi, ha affermato ieri Kallas. Forse una spinta al premier slovacco potrebbe arrivare dall’annunciata intenzione della Casa Bianca di Donald Trump di imporre pesanti “tariffe secondarie” a tutti i partner commerciali di Mosca se non ci saranno progressi nei negoziati con l’Ucraina nei prossimi 50 giorni.

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    L’Ue concluderà un accordo di libero scambio con l’Indonesia entro settembre

    Bruxelles – Incapace di fare la voce grossa nel braccio di ferro sui dazi commerciali con Donald Trump, l’Unione europea ha individuato due strade per non uscirne con le ossa rotte: da un lato l’approfondimento del mercato unico da un lato, dall’altro la ricerca spasmodica di nuove partnership commerciali. In America Latina e nei Caraibi, in Asia Centrale e in Australia, Bruxelles cerca di tessere una tela di accordi di libero scambio. Ieri (13 luglio) un nuovo tassello: l’obiettivo è finalizzare entro settembre un accordo di partenariato economico globale con l’Indonesia.L’hanno annunciato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente della Repubblica d’Indonesia, Prabowo Subianto. I negoziati erano in corso da 10 anni, ma la guerra commerciale globale scatenata da Trump ne ha imposto una decisa accelerazione. Se l’Ue rischia dazi del 30 per cento a partire dal primo agosto, all’Indonesia non è andata meglio: nella ‘letterina’ arrivata da Washington, all’arcipelago del sud-est asiatico sono stati annunciate tariffe del 32 per cento.Prabowo Subianto e Ursula von der Leyen a Bruxelles, 13/07/25“In tempi di sfide globali come questi, i partner devono stringere i loro legami”, ha sottolineato von der Leyen a margine dell’accordo politico raggiunto con Subianto. II Cepa (Accordo di partenariato economico globale) promuoverà il commercio e gli investimenti tra Bruxelles e Giacarta e sosterrà la cooperazione sulle materie prime critiche, estratte in gran quantità nelle isole vulcaniche della Repubblica d’Indonesia. “L’accordo aprirà nuovi mercati e creerà migliori opportunità per le nostre imprese. Contribuirà inoltre a rafforzare le catene di approvvigionamento di materie prime essenziali, fondamentali per l’industria europea delle tecnologie pulite e dell’acciaio“, ha affermato la leader Ue.Per il presidente indonesiano l’accordo “non riguarda solo il commercio, ma anche l’equità, il rispetto e la costruzione di un futuro forte insieme”. L’Indonesia, con un Pil di 1.200 miliardi di euro, è divenuta rapidamente una delle maggiori economie globali, oltre ad essere la terza democrazia più grande al mondo e il quarto Paese per popolazione. Un gigante della regione, che rappresenta più di un terzo del Pil dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (Asean). Ma se l’Ue è il quinto partner commerciale per l’Indonesia in termini di scambio di beni e servizi, viceversa Giacarta è solo al 33esimo posto nella classifica di Bruxelles. L’anno scorso, l’Ue ha esportato beni per 9,7 miliardi di euro in Indonesia, importando invece per un totale di 17,5 miliardi di euro.L’Indonesia e il nodo deforestazioneDa Giacarta arrivano soprattutto prodotti agricoli e materie prime. Olio di palma, caffè, cacao, ma anche carbone, stagno, gomma. Prodotti che arrivano dalle foreste pluviali del Borneo, di Sumatra, di Sulawesi: quel che non dice von der Leyen è che l’Indonesia ha un tasso di deforestazione tra i più alti al mondo, in aumento costante negli ultimi anni. Dal 1990, il Paese ha perso circa il 25 per cento delle sue foreste secolari e secondo l’ong Global Forest Watch, dal 2001 al 2024 il 76 per cento della perdita di copertura arborea è legata ad attività di deforestazione. La distruzione delle foreste è dovuta appunto principalmente all’attività mineraria, alla produzione di olio di palma e al commercio di legname.L’Indonesia non è tuttavia stata inserita nella lista dei Paesi ad alto rischio di deforestazione, stilata da Bruxelles come previsto dal regolamento Eudr sulla deforestazione importata. Nell’elenco ci sono solo Russia, Bielorussia, Corea del Nord e Myanmar. Nei loro confronti l’Ue rafforzerà, a partire dal 30 dicembre 2025, i controlli alle importazioni di prodotti come carne bovina, cacao, caffè, olio di palma, gomma, soia e legno.

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    Al via la quarta Conferenza sugli aiuti allo sviluppo: tutti gli occhi sull’Ue dopo il ritiro degli Stati Uniti

    Bruxelles – Il deficit di finanziamenti per lo sviluppo tocca già i 4 mila miliardi di dollari all’anno. Prima del ritiro degli Stati Uniti dalla corsa – ormai compromessa – verso gli obiettivi stilati dalle Nazioni Unite nell’Agenda 2030. La Conferenza dell’Onu che si apre oggi (30 giugno) a Siviglia, è un’ultima chiamata per i circa 70 leader ospiti di Pedro Sanchez. A rispondere, in prima linea, deve essere l’Unione europea, da cui provengono il 42 per cento degli aiuti globali: “Il nostro impegno è destinato a durare”, ha garantito Ursula von der Leyen.A 23 anni dalla prima Conferenza sul finanziamento dello sviluppo, a Monterrey, l’ottimismo di inizio millennio sembra svanito. L’architettura su cui poggiava lo sforzo globale per ricucire la distanza tra i potenti del mondo e i paesi più svantaggiati è crollata. Come certificato dal taglio dell’ammnistrazione Trump all’83 per cento dei finanziamenti ai programmi all’estero di Usaid, l’agenzia statunitense per lo sviluppo. A Siviglia, si cerca un nuovo slancio: nel documento finale, il ‘Compromiso de Sevilla’, si affrontano il debito crescente e il calo degli investimenti, la crisi dei finanziamenti e le difficoltà nel raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile. L’accordo sul testo è stato raggiunto nonostante le profonde divisioni su diverse questioni, culminate con la decisione degli Stati Uniti di ritirarsi completamente dal processo.Pedro Sánchez, Ursula Von der Leyen, Antonio Guterres [Credit: Eu Commission]Nel 2024, Gli aiuti allo sviluppo in tutto il mondo ammontavano a poco più di 200 miliardi di dollari. “Il divario di investimenti annuali rispetto agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile è pari a migliaia di miliardi di dollari”, ha constatato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel suo intervento alla Conferenza. Quasi la metà proviene dal vecchio continente, circa 96 miliardi. “Allo stesso tempo, è positivo che nuovi donatori stiano ora intensificando il loro impegno”, ha continuato la leader Ue. La strategia di Bruxelles, per portare più Paesi a bordo, è quella di “unire le forze e istituire programmi di investimento congiunti“, come fatto di recente con l’India.Sul tavolo c’è inoltre l’implementazione dell’accordo, siglato nell’ottobre 2021, con cui 136 Paesi hanno concordato di imporre un’imposta minima del 15 per cento alle multinazionali con oltre 750 milioni di euro di fatturato. L’Unione europea ha trasposto l’accordo in una direttiva e gli Stati membri sono stati chiamati ad adeguarsi dal 31 dicembre 2023. Trump, anche su questo campo, ha ritirato gli Stati Uniti dai negoziati nel febbraio 2025. La Cina sta attuando con estrema lentezza i termini dell’accordo. “Dobbiamo dare attuazione all’accordo sulle norme internazionali in materia di tassazione delle imprese”, ha incalzato von der Leyen, non solo perché “ciò rafforzerà le entrate delle economie in via di sviluppo”, ma anche “per una questione di equità“.Ma anche l’Unione europea ha tradito l’accordo mediato nel 2021 dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico: in piena guerra commerciale con Washington, di fronte alle minacce di ritorsione da parte di Trump, i membri del G7 hanno concordato questo fine settimana di esentare le multinazionali statunitensi dall’applicazione dell’aliquota. Nella dichiarazione diffusa dalla presidenza canadese del G7, si indica la creazione di “un sistema parallelo” che esclude le aziende statunitensi dalle norme fiscali minime e “facilita ulteriori progressi per stabilizzare il sistema fiscale internazionale”.Il grande tema, sottolineato anche dal segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, è l’urgenza di “riformare il sistema finanziario internazionale”, giudicato da alcuni “obsoleto” e “disfunzionale”. Deve essere “più inclusivo, efficace e rappresentativo“, gli ha fatto eco il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa. Di fronte agli altri leader e 4 mila esponenti della società civile e di organizzazioni internazionali, Costa ha concluso: “Il multilateralismo non sta attraversando il suo momento migliore, è vero. Ma resiste ed è vivo. Oggi, qui, lo stiamo dimostrando”.

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    Ucraina, l’Ue rinnova le sanzioni contro la Russia

    Bruxelles – Come da programma, l’Ue ha esteso per altri sei mesi le sanzioni già in piedi contro la Russia. Dopo l’accordo politico raggiunto dai leader dei Ventisette al vertice della scorsa settimana (26 giugno) e il passaggio tra gli ambasciatori al Coreper di venerdì, stamattina è arrivato il via libera formale da parte del Consiglio Affari esteri, tramite procedura scritta. Nessuno si è messo di traverso, nemmeno Ungheria e Slovacchia.In questo modo, l’Unione rinnova per altri sei mesi i 17 pacchetti di sanzioni settoriali e contro individui ed entità specifiche, comminati contro Mosca dal febbraio 2022, quando è cominciata l’invasione su larga scala dell’Ucraina. La scadenza sarebbe stata il prossimo 31 luglio. Le misure dovranno ora essere rinnovate dagli Stati membri entro il 31 gennaio 2026.Russia’s war of aggression against Ukraine : @EUCouncil renews economic sanctions until ️ 31 Jan. 2026.It is appropriate to maintain in force all EU measures as long as Russia’s illegal actions continue to violate the prohibition on the use of force.— EU Council Press (@EUCouncilPress) June 30, 2025Col rinnovo odierno vengono mantenuti congelati anche i circa 210 miliardi di euro in asset della Banca centrale russa immobilizzati da Euroclear negli istituti sotto la giurisdizione dell’Ue, nell’attesa di capire cosa farne (ci sono ancora molti dubbi sulla legalità – e l’opportunità politica – della confisca diretta dei beni in questione, oltre a quella degli extraprofitti da essi generati).Nel frattempo, da settimane a Bruxelles si lavora per confezionare il 18esimo pacchetto, che dovrebbe colpire ancora più duramente la flotta ombra del Cremlino e le esportazioni energetiche della Federazione. Stando a fonti comunitarie, la Commissione lo metterà formalmente sul tavolo degli Stati membri solo dopo un bilaterale tra Ursula von der Leyen e il premier slovacco Robert Fico (preoccupato per i rifornimenti di gas russo di Bratislava), atteso per i prossimi giorni.Molto più incerto, invece, il destino della misura che l’esecutivo Ue voleva mettere al centro del nuovo round di misure restrittive: l’abbassamento del price cap sul greggio russo. Trattandosi di una decisione presa in ambito G7, servirebbe l’ok degli altri partner del gruppo per renderla realtà. Ma su questo punto c’è scetticismo nella Casa Bianca di Donald Trump, come pure tra gli stessi Ventisette.

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    Nato, il vertice dell’Aia alle prese col “terremoto Trump”

    Bruxelles – All’ombra dell’escalation in Medio Oriente, ha preso il via all’Aia il summit della Nato, dove gli Stati membri dovrebbero dare il disco verde ai nuovi impegni per la difesa al 5 per cento del Pil. Ma sul primo vertice dell’era Rutte si allungano diverse ombre: dal conflitto tra Israele e Iran alla “fronda” interna all’Alleanza guidata dalla Spagna contro l’aumento delle spese militari, passando per il sostegno all’Ucraina. Soprattutto, l’intera coreografia è stata pensata per ridurre al minimo i rischi legati all’imprevedibilità di Donald Trump. Che però ha già terremotato la città olandese ancora prima di metterci piede.È cominciata oggi (24 giugno) la due giorni della Nato all’Aia, il primo vertice presieduto da Mark Rutte nelle vesti di Segretario generale. Ma l’ospite più atteso e più imprevedibile, Donald Trump, è riuscito a mettere già in imbarazzo il capo dell’Alleanza prima ancora di atterrare. Appena decollato alla volta del Vecchio continente – non dopo aver rimproverato l’Iran e Israele per aver violato il cessate il fuoco da lui stesso mediato (che però, dice, è ancora in vigore) – il tycoon ha postato sul suo social Truth gli screen di alcuni messaggi ricevuti dall’ex premier olandese.“Congratulazioni e grazie per la tua azione decisiva in Iran, che è stata davvero straordinaria, qualcosa che nessun altro ha mai osato fare”, si legge nella conversazione, tutta impostata con un tono particolarmente accomodante e deferente nei confronti del presidente statunitense, azionista di maggioranza della Nato. “Stai volando verso un altro grande successo all’Aia stasera“, continuano i messaggi. “Otterrai qualcosa che nessun presidente americano è riuscito a ottenere in decenni”, si legge ancora: cioè che “l’Europa pagherà molto, come dovrebbe, e sarà un tuo successo“.Tuttavia, proprio sulla questione centrale dell’aumento delle spese in difesa (che dovrebbero passare dall’attuale 2 al 5 per cento del Pil, distinguendo tra un 3,5 per cento di spese militari “classiche” più un ulteriore 1,5 per cento in investimenti legati alla sicurezza) non sembra essersi ancora sciolta la riserva del premier spagnolo Pedro Sánchez.In un testa a testa a distanza con Rutte, il primo ministro socialista ha messo in discussione il nuovo obiettivo, sostenendo di aver ottenuto una deroga specifica per Madrid. Il capo dell’Alleanza, invece, tiene il punto sull’universalità dei nuovi impegni di spesa e mira probabilmente a risolvere la questione attraverso una formulazione sufficientemente vaga del comunicato finale del summit, che andrà sottoscritto dai 32 leader.Il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez (foto: Javier Soriano/Afp)Tutto si giocherà sull’ambiguità dei termini e sulla flessibilità concessa alle cancellerie per passare dagli attuali livelli di spesa a quelli richiesti dalla Nato in un contesto nel quale la sicurezza internazionale va deteriorandosi a vista d’occhio, tenendo conto anche dei nuovi obiettivi di capacità (specifici per ogni Stato membro) recentemente rivisti per mantenere credibile la deterrenza collettiva. Del resto, sulla flessibilità – a partire da un orizzonte decennale, fissato al 2035 – puntano anche tutti gli altri Paesi (Italia inclusa) che si trovano ancora al di sotto del precedente target, il 2 per cento deciso nel lontano 2014.Un altro imbarazzante intervento del presidente Usa riguarda la solidità della clausola di mutua difesa, sancita dal famigerato articolo 5 della Carta atlantica. A bordo dell’Air Force One, Trump ha dichiarato che “esistono numerose definizioni dell’articolo 5“, rifiutando di confermare se Washington difenderebbe i suoi alleati europei nel caso di un’aggressione armata. “Mi impegno a essere loro amico“, ha tagliato corto.Dichiarazioni che non faranno troppo piacere alle cancellerie del Vecchio continente, dove si moltiplicano gli allarmi che la Russia di Vladimir Putin potrebbe attaccare direttamente un Paese Nato lungo il fronte orientale entro la fine del decennio. Nelle parole dello stesso Rutte, la Federazione rimane “la più significativa e diretta minaccia all’Alleanza“.Anche Ursula von der Leyen ha ammonito che “la Russia sarà in grado di testare i nostri impegni di difesa reciproca entro i prossimi cinque anni“. “Entro il 2030, l’Europa deve avere tutto ciò che serve per una deterrenza credibile”, ha aggiunto. Serve mettere in campo “una nuova mentalità“, dice, che dovrà permettere ai Ventisette di “esplorare nuovi modi di fare le cose, unendo la tecnologia e la difesa, l’aspetto civile e militare“.Il Segretario generale della Nato, Mark Rutte (foto: Nato)E l’Ucraina? Il summit dell’Aia dovrà servire anche per riconfermare il sostegno dell’Alleanza atlantica alla resistenza di Kiev, ma stavolta questo tema godrà di riflettori più fiochi rispetto ai vertici precedenti. Per non irritare la sensibilità di Trump, che non nutre grande simpatia per l’omologo ucraino, Volodymyr Zelensky non è stato invitato a prendere parte nell’unica sessione di lavoro dei leader, prevista per domani.Oggi, il presidente ucraino ha incassato rassicurazioni ed elogi dai vertici comunitari. “Continueremo a dare pieno sostegno all’Ucraina e a esercitare pressioni sulla Russia attraverso sanzioni“, ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo António Costa, complimentandosi con il governo di Kiev per lo “straordinario lavoro” profuso nell’implementare le riforme pre-adesione pur sotto le bombe del Cremlino. Secondo l’ex premier portoghese, “abbiamo raggiunto le condizioni per far progredire il processo negoziale in corso” e far entrare al più presto il Paese nel club a dodici stelle.Rimane invece sospeso nel limbo l’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Al netto delle dichiarazioni di Rutte, che ha ribadito per l’ennesima volta il carattere “irreversibile” del percorso di Kiev verso l’Alleanza (“vale ancora oggi e continuerà a valere anche giovedì”, assicura), rimane ancora lontano il giorno in cui tutti gli attuali membri daranno il loro consenso unanime.

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    Ue e Canada, i partner traditi da Trump. Von der Leyen: “Gli amici veri si riconoscono nei momenti difficili”

    Bruxelles – Se Washington si allontana, Bruxelles e Ottawa si avvicinano in maniera uguale e contraria. Travolte dalla guerra commerciale trumpiana e dal disimpegno – se non proprio dalle minacce – americano dalla sicurezza collettiva, i due partner transatlantici hanno celebrato ieri (23 giugno) il ventesimo vertice Ue-Canada. “Gli amici veri si riconoscono nei momenti difficili”, è il messaggio che Ursula von der Leyen ha dedicato al primo ministro canadese, Mark Carney. E, di traverso, all’amico irriconoscibile, Donald Trump.Nella dichiarazione congiunta del vertice, i leader di Ue e Canada hanno ribadito la partnership politica, economica e strategica che li lega sempre di più. I passaggi più densi di significato quelli sull’impegno a favore del multilateralismo e dell’ordine internazionale basato sul diritto, sul sostegno all’Ucraina, sulla sicurezza economica ed il commercio. “Molto più di una semplice pietra miliare simbolica – ha affermato il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa -, è una dichiarazione politica forte”. Che sottolinea che “l’Unione europea e il Canada sono tra i più stretti alleati nello spazio transatlantico”.Sulla scia di quelli già firmati con Regno Unito, Norvegia, Moldavia, Corea del Sud, Giappone, Albania e Macedonia del Nord, Bruxelles ha siglato con Ottawa un nuovo partenariato in materia di sicurezza e difesa (SDP), puntellando ulteriormente l’architettura difensiva necessaria in caso di progressivo disimpegno statunitense. Il partenariato approfondirà la cooperazione in diversi settori, tra cui la gestione delle crisi, l’industria della difesa, le minacce ibride e la mobilità militare. “Avvieremo ora rapidamente i colloqui sull’accesso del Canada al nostro strumento comune di appalti militari, SAFE”, ha annunciato von der Leyen durante la conferenza stampa. La firma di un partenariato SDP è infatti requisito per l’accesso di Paesi terzi al nuovo fondo Ue da 150 miliardi per gli appalti congiunti per la difesa.Ursula von der Leyen alla conferenza stampa a margine del summit Ue-CanadaPer strutturare un vero coordinamento in materia di difesa, il Canada invierà un rappresentante per la difesa a Bruxelles. Von der Leyen, Costa e Carney, che oggi sono partiti alla volta dell’Aia per il summit dell’Alleanza Atlantica, hanno ribadito che la Nato “rimane la pietra angolare della loro difesa collettiva“.Il partenariato sulla difesa è un ulteriore tassello del rapporto Ue-Canada, che si aggiunge a quello sulle materie prime e al Ceta, l’accordo economico e commerciale globale firmato ormai nove anni fa. “Una storia di successo condivisa”, ha sottolineato von der Leyen, forte dei numeri diffusi la scorsa settimana dalla Commissione europea, che dimostrano come gli scambi commerciali tra le due sponde dell’Atlantico siano aumentati del 71 per cento dall’inizio dell’applicazione dell’accordo commerciale che ha portato “il 98 per cento delle nostre linee tariffarie a zero”. Un messaggio congiunto rivolto a Washington, in vista della scadenza della sospensione delle tariffe reciproche imposte da Trump al resto del mondo, fissata per il 9 luglio. Né l’Unione europea né il Canada hanno ancora trovato un accordo con la Casa Bianca.

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    Trump, l’elefante nella stanza del G7. Dazi, sanzioni alla Russia, la crisi Israele-Iran: tutto dipende da lui

    Bruxelles – Qualcuno l’ha già ribattezzato ‘G7 meno uno’: il vertice dei sette grandi del mondo alla prova di Donald Trump. In Canada, a Kananaskis, i leader di Regno Unito, Francia, Italia, Germania, Giappone, Canada ed Unione europea affrontano il presidente degli Stati Uniti in uno dei summit più densi degli ultimi anni. Al nodo delle sanzioni alla Russia si è affiancata la pericolosa escalation tra Israele e Iran. Dietro le quinte, tutti cercano di strappare al tycoon un accordo per mettere fine alla minaccia dei dazi.Sulla linea dura contro Mosca, lo strappo è già consumato. Bruxelles ha messo sul tavolo la misura chiave del diciottesimo pacchetto di sanzioni al Cremlino, la riduzione del tetto massimo del prezzo del petrolio russo da 60 a 45 dollari al barile. L’Ue e il Regno Unito insistono perché la misura sia coordinata con Washington, ma Trump ha finora chiuso la porta: “Le sanzioni ci costano molto denaro”, ha dichiarato durante una conferenza stampa con il premier britannico Keir Starmer, suggerendo che “prima dovrebbero farlo gli europei”. Agli antipodi rispetto agli alleati, Trump ha sostenuto che “buttare fuori” la Russia dal G8 è stato un errore: “Non credo che in questo momento ci sarebbe una guerra, se la Russia fosse stata dentro”, ha spiegato. Dimenticando che Putin venne escluso dalla kermesse proprio in seguito all’invasione e annessione della Crimea nel 2014.Il bilaterale tra Donald Trump e Ursula von der Leyen al G7 a KananaskisDopodiché, il waltzer dei bilaterali per risolvere la questione dei dazi americani. Sorride Starmer, che riesce a finalizzare con Trump un accordo “storico” per limitare la portata delle tariffe reciproche. Poi il presidente americano ha un confronto con Meloni, che gli ribadisce l’importanza di raggiungere un accordo con il blocco Ue, con il cancelliere tedesco Friedrich Merz e con il presidente francese Emmanuel Macron. Incontra anche i leader Ue: Antonio Costa gli regala una maglietta di Cristiano Ronaldo con scritto “Giochiamo per la pace. Come una squadra”, mentre Ursula von der Leyen affronta con il tycoon “questioni critiche, dall’Ucraina al commercio”. Per quanto riguarda quest’ultimo punto, la presidente della Commissione europea si mostra ottimista in vista della deadline del 9 luglio: “Abbiamo chiesto ai team di accelerare il lavoro per raggiungere un accordo equo e giusto“, afferma in un post su X.Von der Leyen, intervenendo al summit, ha ribadito che “i dazi, indipendentemente da chi li stabilisce, sono in definitiva una tassa pagata da consumatori e imprese in patria”. E “creano incertezza che ostacola gli investimenti e la crescita”. Poi, la leader Ue ammicca a Trump e cerca di individuare un nemico comune. “Quando concentriamo la nostra attenzione sui dazi tra i partner, distogliamo le nostre energie dalla vera sfida, una sfida che ci minaccia tutti”, avverte: la Cina. Von der Leyen ha denunciato la concorrenza sleale di Pechino, sottolineando che “le fonti del più grande problema collettivo che abbiamo hanno origine dall’adesione della Cina al Wto nel 2001”.I leader di Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Italia, Germania, Giappone, Canada ed Unione europea durante i lavori del G7Ammansire Trump, richiamarlo alla compattezza di un tempo – perché il G7 “insieme rappresenta il 45 per cento del Pil mondiale”, prima di sottoporgli una nuova proposta: secondo quanto riportato dal quotidiano tedesco Handelsblatt, la Commissione europea sarebbe pronta ad accettare dazi provvisori del 10 per cento su tutte le esportazioni verso gli Stati Uniti, se non ci saranno tariffe più elevate su automobili, farmaci e prodotti elettronici. L’Ue sarebbe disposta, in cambio, a ridurre i dazi sui veicoli prodotti negli Stati Uniti e a modificare eventuali ostacoli tecnici o giuridici per facilitare la vendita delle automobili statunitensi in Europa.Poi il colpo di scena: Trump lascia il vertice in anticipo, sembrerebbe per dedicarsi con urgenza, e unilateralmente, alla crisi in Medio Oriente. È lui stesso a smentire, attaccando personalmente Macron, reo di aver “erroneamente affermato” che Trump fosse di ritorno a Washington per lavorare a un cessate il fuoco tra Israele e Iran. “Che lo faccia intenzionalmente o meno, Emmanuel sbaglia sempre”, ha scritto l’inquilino della Casa Bianca sulla sua piattaforma social, Truth. Aggiungendo che “si tratta di qualcosa di molto più importante”.Prima di lasciare il Canada, Trump ha firmato una dichiarazione congiunta per la de-escalation in Medio Oriente, che non lascia però dubbi sull’attribuzione delle responsabilità di quanto sta accadendo nella regione: per le democrazie più influenti del mondo “l’Iran è la principale fonte di instabilità e terrorismo nella regione” ed “Israele ha il diritto di difendersi”. Teheran, ribadiscono i leader, “non potrà mai dotarsi di armi nucleari”. Per i partner europei, la preoccupazione maggiore è “salvaguardare la stabilità dei mercati”, come sottolineato nella dichiarazione. Ma anche qui, la strategia di Trump è decisamente più aggressiva. Il tycoon, di ritorno negli Usa, ha lanciato una pericolosa minaccia a Teheran: rinunciare completamente all’arricchimento dell’uranio o “succederà qualcosa”. Nel frattempo, i ministri degli Esteri dei 27 Ue si sono riuniti proprio questa mattina, convocati dall’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, per fare un punto sulla situazione. Senza l’elefante nella stanza.