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    Ucraina, l’Ue rinnova le sanzioni contro la Russia

    Bruxelles – Come da programma, l’Ue ha esteso per altri sei mesi le sanzioni già in piedi contro la Russia. Dopo l’accordo politico raggiunto dai leader dei Ventisette al vertice della scorsa settimana (26 giugno) e il passaggio tra gli ambasciatori al Coreper di venerdì, stamattina è arrivato il via libera formale da parte del Consiglio Affari esteri, tramite procedura scritta. Nessuno si è messo di traverso, nemmeno Ungheria e Slovacchia.In questo modo, l’Unione rinnova per altri sei mesi i 17 pacchetti di sanzioni settoriali e contro individui ed entità specifiche, comminati contro Mosca dal febbraio 2022, quando è cominciata l’invasione su larga scala dell’Ucraina. La scadenza sarebbe stata il prossimo 31 luglio. Le misure dovranno ora essere rinnovate dagli Stati membri entro il 31 gennaio 2026.Russia’s war of aggression against Ukraine : @EUCouncil renews economic sanctions until ️ 31 Jan. 2026.It is appropriate to maintain in force all EU measures as long as Russia’s illegal actions continue to violate the prohibition on the use of force.— EU Council Press (@EUCouncilPress) June 30, 2025Col rinnovo odierno vengono mantenuti congelati anche i circa 210 miliardi di euro in asset della Banca centrale russa immobilizzati da Euroclear negli istituti sotto la giurisdizione dell’Ue, nell’attesa di capire cosa farne (ci sono ancora molti dubbi sulla legalità – e l’opportunità politica – della confisca diretta dei beni in questione, oltre a quella degli extraprofitti da essi generati).Nel frattempo, da settimane a Bruxelles si lavora per confezionare il 18esimo pacchetto, che dovrebbe colpire ancora più duramente la flotta ombra del Cremlino e le esportazioni energetiche della Federazione. Stando a fonti comunitarie, la Commissione lo metterà formalmente sul tavolo degli Stati membri solo dopo un bilaterale tra Ursula von der Leyen e il premier slovacco Robert Fico (preoccupato per i rifornimenti di gas russo di Bratislava), atteso per i prossimi giorni.Molto più incerto, invece, il destino della misura che l’esecutivo Ue voleva mettere al centro del nuovo round di misure restrittive: l’abbassamento del price cap sul greggio russo. Trattandosi di una decisione presa in ambito G7, servirebbe l’ok degli altri partner del gruppo per renderla realtà. Ma su questo punto c’è scetticismo nella Casa Bianca di Donald Trump, come pure tra gli stessi Ventisette.

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    Nato, il vertice dell’Aia alle prese col “terremoto Trump”

    Bruxelles – All’ombra dell’escalation in Medio Oriente, ha preso il via all’Aia il summit della Nato, dove gli Stati membri dovrebbero dare il disco verde ai nuovi impegni per la difesa al 5 per cento del Pil. Ma sul primo vertice dell’era Rutte si allungano diverse ombre: dal conflitto tra Israele e Iran alla “fronda” interna all’Alleanza guidata dalla Spagna contro l’aumento delle spese militari, passando per il sostegno all’Ucraina. Soprattutto, l’intera coreografia è stata pensata per ridurre al minimo i rischi legati all’imprevedibilità di Donald Trump. Che però ha già terremotato la città olandese ancora prima di metterci piede.È cominciata oggi (24 giugno) la due giorni della Nato all’Aia, il primo vertice presieduto da Mark Rutte nelle vesti di Segretario generale. Ma l’ospite più atteso e più imprevedibile, Donald Trump, è riuscito a mettere già in imbarazzo il capo dell’Alleanza prima ancora di atterrare. Appena decollato alla volta del Vecchio continente – non dopo aver rimproverato l’Iran e Israele per aver violato il cessate il fuoco da lui stesso mediato (che però, dice, è ancora in vigore) – il tycoon ha postato sul suo social Truth gli screen di alcuni messaggi ricevuti dall’ex premier olandese.“Congratulazioni e grazie per la tua azione decisiva in Iran, che è stata davvero straordinaria, qualcosa che nessun altro ha mai osato fare”, si legge nella conversazione, tutta impostata con un tono particolarmente accomodante e deferente nei confronti del presidente statunitense, azionista di maggioranza della Nato. “Stai volando verso un altro grande successo all’Aia stasera“, continuano i messaggi. “Otterrai qualcosa che nessun presidente americano è riuscito a ottenere in decenni”, si legge ancora: cioè che “l’Europa pagherà molto, come dovrebbe, e sarà un tuo successo“.Tuttavia, proprio sulla questione centrale dell’aumento delle spese in difesa (che dovrebbero passare dall’attuale 2 al 5 per cento del Pil, distinguendo tra un 3,5 per cento di spese militari “classiche” più un ulteriore 1,5 per cento in investimenti legati alla sicurezza) non sembra essersi ancora sciolta la riserva del premier spagnolo Pedro Sánchez.In un testa a testa a distanza con Rutte, il primo ministro socialista ha messo in discussione il nuovo obiettivo, sostenendo di aver ottenuto una deroga specifica per Madrid. Il capo dell’Alleanza, invece, tiene il punto sull’universalità dei nuovi impegni di spesa e mira probabilmente a risolvere la questione attraverso una formulazione sufficientemente vaga del comunicato finale del summit, che andrà sottoscritto dai 32 leader.Il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez (foto: Javier Soriano/Afp)Tutto si giocherà sull’ambiguità dei termini e sulla flessibilità concessa alle cancellerie per passare dagli attuali livelli di spesa a quelli richiesti dalla Nato in un contesto nel quale la sicurezza internazionale va deteriorandosi a vista d’occhio, tenendo conto anche dei nuovi obiettivi di capacità (specifici per ogni Stato membro) recentemente rivisti per mantenere credibile la deterrenza collettiva. Del resto, sulla flessibilità – a partire da un orizzonte decennale, fissato al 2035 – puntano anche tutti gli altri Paesi (Italia inclusa) che si trovano ancora al di sotto del precedente target, il 2 per cento deciso nel lontano 2014.Un altro imbarazzante intervento del presidente Usa riguarda la solidità della clausola di mutua difesa, sancita dal famigerato articolo 5 della Carta atlantica. A bordo dell’Air Force One, Trump ha dichiarato che “esistono numerose definizioni dell’articolo 5“, rifiutando di confermare se Washington difenderebbe i suoi alleati europei nel caso di un’aggressione armata. “Mi impegno a essere loro amico“, ha tagliato corto.Dichiarazioni che non faranno troppo piacere alle cancellerie del Vecchio continente, dove si moltiplicano gli allarmi che la Russia di Vladimir Putin potrebbe attaccare direttamente un Paese Nato lungo il fronte orientale entro la fine del decennio. Nelle parole dello stesso Rutte, la Federazione rimane “la più significativa e diretta minaccia all’Alleanza“.Anche Ursula von der Leyen ha ammonito che “la Russia sarà in grado di testare i nostri impegni di difesa reciproca entro i prossimi cinque anni“. “Entro il 2030, l’Europa deve avere tutto ciò che serve per una deterrenza credibile”, ha aggiunto. Serve mettere in campo “una nuova mentalità“, dice, che dovrà permettere ai Ventisette di “esplorare nuovi modi di fare le cose, unendo la tecnologia e la difesa, l’aspetto civile e militare“.Il Segretario generale della Nato, Mark Rutte (foto: Nato)E l’Ucraina? Il summit dell’Aia dovrà servire anche per riconfermare il sostegno dell’Alleanza atlantica alla resistenza di Kiev, ma stavolta questo tema godrà di riflettori più fiochi rispetto ai vertici precedenti. Per non irritare la sensibilità di Trump, che non nutre grande simpatia per l’omologo ucraino, Volodymyr Zelensky non è stato invitato a prendere parte nell’unica sessione di lavoro dei leader, prevista per domani.Oggi, il presidente ucraino ha incassato rassicurazioni ed elogi dai vertici comunitari. “Continueremo a dare pieno sostegno all’Ucraina e a esercitare pressioni sulla Russia attraverso sanzioni“, ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo António Costa, complimentandosi con il governo di Kiev per lo “straordinario lavoro” profuso nell’implementare le riforme pre-adesione pur sotto le bombe del Cremlino. Secondo l’ex premier portoghese, “abbiamo raggiunto le condizioni per far progredire il processo negoziale in corso” e far entrare al più presto il Paese nel club a dodici stelle.Rimane invece sospeso nel limbo l’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Al netto delle dichiarazioni di Rutte, che ha ribadito per l’ennesima volta il carattere “irreversibile” del percorso di Kiev verso l’Alleanza (“vale ancora oggi e continuerà a valere anche giovedì”, assicura), rimane ancora lontano il giorno in cui tutti gli attuali membri daranno il loro consenso unanime.

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    Ue e Canada, i partner traditi da Trump. Von der Leyen: “Gli amici veri si riconoscono nei momenti difficili”

    Bruxelles – Se Washington si allontana, Bruxelles e Ottawa si avvicinano in maniera uguale e contraria. Travolte dalla guerra commerciale trumpiana e dal disimpegno – se non proprio dalle minacce – americano dalla sicurezza collettiva, i due partner transatlantici hanno celebrato ieri (23 giugno) il ventesimo vertice Ue-Canada. “Gli amici veri si riconoscono nei momenti difficili”, è il messaggio che Ursula von der Leyen ha dedicato al primo ministro canadese, Mark Carney. E, di traverso, all’amico irriconoscibile, Donald Trump.Nella dichiarazione congiunta del vertice, i leader di Ue e Canada hanno ribadito la partnership politica, economica e strategica che li lega sempre di più. I passaggi più densi di significato quelli sull’impegno a favore del multilateralismo e dell’ordine internazionale basato sul diritto, sul sostegno all’Ucraina, sulla sicurezza economica ed il commercio. “Molto più di una semplice pietra miliare simbolica – ha affermato il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa -, è una dichiarazione politica forte”. Che sottolinea che “l’Unione europea e il Canada sono tra i più stretti alleati nello spazio transatlantico”.Sulla scia di quelli già firmati con Regno Unito, Norvegia, Moldavia, Corea del Sud, Giappone, Albania e Macedonia del Nord, Bruxelles ha siglato con Ottawa un nuovo partenariato in materia di sicurezza e difesa (SDP), puntellando ulteriormente l’architettura difensiva necessaria in caso di progressivo disimpegno statunitense. Il partenariato approfondirà la cooperazione in diversi settori, tra cui la gestione delle crisi, l’industria della difesa, le minacce ibride e la mobilità militare. “Avvieremo ora rapidamente i colloqui sull’accesso del Canada al nostro strumento comune di appalti militari, SAFE”, ha annunciato von der Leyen durante la conferenza stampa. La firma di un partenariato SDP è infatti requisito per l’accesso di Paesi terzi al nuovo fondo Ue da 150 miliardi per gli appalti congiunti per la difesa.Ursula von der Leyen alla conferenza stampa a margine del summit Ue-CanadaPer strutturare un vero coordinamento in materia di difesa, il Canada invierà un rappresentante per la difesa a Bruxelles. Von der Leyen, Costa e Carney, che oggi sono partiti alla volta dell’Aia per il summit dell’Alleanza Atlantica, hanno ribadito che la Nato “rimane la pietra angolare della loro difesa collettiva“.Il partenariato sulla difesa è un ulteriore tassello del rapporto Ue-Canada, che si aggiunge a quello sulle materie prime e al Ceta, l’accordo economico e commerciale globale firmato ormai nove anni fa. “Una storia di successo condivisa”, ha sottolineato von der Leyen, forte dei numeri diffusi la scorsa settimana dalla Commissione europea, che dimostrano come gli scambi commerciali tra le due sponde dell’Atlantico siano aumentati del 71 per cento dall’inizio dell’applicazione dell’accordo commerciale che ha portato “il 98 per cento delle nostre linee tariffarie a zero”. Un messaggio congiunto rivolto a Washington, in vista della scadenza della sospensione delle tariffe reciproche imposte da Trump al resto del mondo, fissata per il 9 luglio. Né l’Unione europea né il Canada hanno ancora trovato un accordo con la Casa Bianca.

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    Trump, l’elefante nella stanza del G7. Dazi, sanzioni alla Russia, la crisi Israele-Iran: tutto dipende da lui

    Bruxelles – Qualcuno l’ha già ribattezzato ‘G7 meno uno’: il vertice dei sette grandi del mondo alla prova di Donald Trump. In Canada, a Kananaskis, i leader di Regno Unito, Francia, Italia, Germania, Giappone, Canada ed Unione europea affrontano il presidente degli Stati Uniti in uno dei summit più densi degli ultimi anni. Al nodo delle sanzioni alla Russia si è affiancata la pericolosa escalation tra Israele e Iran. Dietro le quinte, tutti cercano di strappare al tycoon un accordo per mettere fine alla minaccia dei dazi.Sulla linea dura contro Mosca, lo strappo è già consumato. Bruxelles ha messo sul tavolo la misura chiave del diciottesimo pacchetto di sanzioni al Cremlino, la riduzione del tetto massimo del prezzo del petrolio russo da 60 a 45 dollari al barile. L’Ue e il Regno Unito insistono perché la misura sia coordinata con Washington, ma Trump ha finora chiuso la porta: “Le sanzioni ci costano molto denaro”, ha dichiarato durante una conferenza stampa con il premier britannico Keir Starmer, suggerendo che “prima dovrebbero farlo gli europei”. Agli antipodi rispetto agli alleati, Trump ha sostenuto che “buttare fuori” la Russia dal G8 è stato un errore: “Non credo che in questo momento ci sarebbe una guerra, se la Russia fosse stata dentro”, ha spiegato. Dimenticando che Putin venne escluso dalla kermesse proprio in seguito all’invasione e annessione della Crimea nel 2014.Il bilaterale tra Donald Trump e Ursula von der Leyen al G7 a KananaskisDopodiché, il waltzer dei bilaterali per risolvere la questione dei dazi americani. Sorride Starmer, che riesce a finalizzare con Trump un accordo “storico” per limitare la portata delle tariffe reciproche. Poi il presidente americano ha un confronto con Meloni, che gli ribadisce l’importanza di raggiungere un accordo con il blocco Ue, con il cancelliere tedesco Friedrich Merz e con il presidente francese Emmanuel Macron. Incontra anche i leader Ue: Antonio Costa gli regala una maglietta di Cristiano Ronaldo con scritto “Giochiamo per la pace. Come una squadra”, mentre Ursula von der Leyen affronta con il tycoon “questioni critiche, dall’Ucraina al commercio”. Per quanto riguarda quest’ultimo punto, la presidente della Commissione europea si mostra ottimista in vista della deadline del 9 luglio: “Abbiamo chiesto ai team di accelerare il lavoro per raggiungere un accordo equo e giusto“, afferma in un post su X.Von der Leyen, intervenendo al summit, ha ribadito che “i dazi, indipendentemente da chi li stabilisce, sono in definitiva una tassa pagata da consumatori e imprese in patria”. E “creano incertezza che ostacola gli investimenti e la crescita”. Poi, la leader Ue ammicca a Trump e cerca di individuare un nemico comune. “Quando concentriamo la nostra attenzione sui dazi tra i partner, distogliamo le nostre energie dalla vera sfida, una sfida che ci minaccia tutti”, avverte: la Cina. Von der Leyen ha denunciato la concorrenza sleale di Pechino, sottolineando che “le fonti del più grande problema collettivo che abbiamo hanno origine dall’adesione della Cina al Wto nel 2001”.I leader di Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Italia, Germania, Giappone, Canada ed Unione europea durante i lavori del G7Ammansire Trump, richiamarlo alla compattezza di un tempo – perché il G7 “insieme rappresenta il 45 per cento del Pil mondiale”, prima di sottoporgli una nuova proposta: secondo quanto riportato dal quotidiano tedesco Handelsblatt, la Commissione europea sarebbe pronta ad accettare dazi provvisori del 10 per cento su tutte le esportazioni verso gli Stati Uniti, se non ci saranno tariffe più elevate su automobili, farmaci e prodotti elettronici. L’Ue sarebbe disposta, in cambio, a ridurre i dazi sui veicoli prodotti negli Stati Uniti e a modificare eventuali ostacoli tecnici o giuridici per facilitare la vendita delle automobili statunitensi in Europa.Poi il colpo di scena: Trump lascia il vertice in anticipo, sembrerebbe per dedicarsi con urgenza, e unilateralmente, alla crisi in Medio Oriente. È lui stesso a smentire, attaccando personalmente Macron, reo di aver “erroneamente affermato” che Trump fosse di ritorno a Washington per lavorare a un cessate il fuoco tra Israele e Iran. “Che lo faccia intenzionalmente o meno, Emmanuel sbaglia sempre”, ha scritto l’inquilino della Casa Bianca sulla sua piattaforma social, Truth. Aggiungendo che “si tratta di qualcosa di molto più importante”.Prima di lasciare il Canada, Trump ha firmato una dichiarazione congiunta per la de-escalation in Medio Oriente, che non lascia però dubbi sull’attribuzione delle responsabilità di quanto sta accadendo nella regione: per le democrazie più influenti del mondo “l’Iran è la principale fonte di instabilità e terrorismo nella regione” ed “Israele ha il diritto di difendersi”. Teheran, ribadiscono i leader, “non potrà mai dotarsi di armi nucleari”. Per i partner europei, la preoccupazione maggiore è “salvaguardare la stabilità dei mercati”, come sottolineato nella dichiarazione. Ma anche qui, la strategia di Trump è decisamente più aggressiva. Il tycoon, di ritorno negli Usa, ha lanciato una pericolosa minaccia a Teheran: rinunciare completamente all’arricchimento dell’uranio o “succederà qualcosa”. Nel frattempo, i ministri degli Esteri dei 27 Ue si sono riuniti proprio questa mattina, convocati dall’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, per fare un punto sulla situazione. Senza l’elefante nella stanza.

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    Von der Leyen mette nel mirino l’Iran: “Principale fonte di instabilità regionale”

    Bruxelles – Non più solo dichiaratamente Cina e Russia. Nella lista dei nemici l’Unione europea inserisce pubblicamente anche l’Iran. E’ la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, a inserire la Repubblica islamica nella colonna delle nazioni ostili, continuando quell’esercizio iniziato presentando il libro bianco per la difesa che ha ufficialmente fatto di Pechino e Mosca gli attori da cui guardarsi le spalle. Ora, nella cornice del G7 canadese di Kananaskis, ‘frau’ von der Leyen punta il dito contro gli ayatollah.“L’Iran è la principale fonte di instabilità regionale“, scandisce la presidente della Commissione europea che, di fronte agli attacchi missilistici di Israele contro uno stato sovrano, avvenimento tradizionalmente riconosciuto come atto di guerra, si adegua alla linea di Netanyahu e afferma che “Israele ha il diritto di difendersi”.La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, al G7 di Kananaskis [16 giugno 2025]Sui valori l’Ue sembra perdersi, ma a l’Unione europea continua ad aver bisogno degli Stati Uniti, e si cerca di tenerli vicini anche attraverso pericolose alleanze in chiave anti-qualcuno. Certo, von der Leyen insiste sulla necessità di pace, e in tal senso ribadisce “l’impegno a trovare una soluzione duratura attraverso un accordo negoziato” con l’Iran, perché “una soluzione diplomatica resta la soluzione migliore a lungo termine per affrontare le preoccupazioni relative al programma nucleare iraniano“. Non dice, o non ricorda von der Leyen, che questi stessi sforzi vennero vanificati dalla rinuncia dal presidente degli Stati Uniti nel 2018, da quello stesso Donald Trump – allora al primo mandato – che lasciò all’Europa il delicato compito di salvare un accordo rimesso in discussione, allontanando Teheran dall’occidente e mostrando l’inquilino della Casa Bianca per ciò che era e ciò che continua a essere, un interlocutore a cui piace riscrivere da solo le regole del gioco e per questo un qualcuno di cui l’Europa non si può fidare.L’Ue arriva al G7 consapevole che guerra in Ucraina e tensioni in Medio oriente non sono fenomeni isolati né casuali quanto correlati. Preoccupa il sostegno di Teheran a Mosca, con droni e soprattutto missili. Un alto funzionario europeo riconosce che quando si parla di Iran “non siamo solo preoccupati per programma nucleare, ma anche per la proliferazione di missili balistici, che possono rappresentare un problema per la nostra sicurezza“. Lo ribadisce anche von der Leyen dal Canada: “Abbiamo espresso la nostra profonda preoccupazione per i programmi nucleari e missilistici balistici dell’Iran”. Oggi, denuncia ancora la tedesca, “lo stesso tipo di droni e missili balistici progettati e realizzati dall’Iran stanno colpendo indiscriminatamente città in Ucraina e Israele“. Ecco perché l’Iran non è un Paese amico.Cina e Russia, accuse e sanzioniVon der Leyen lo dice ai partner del G7, a cominciare dagli Stati Uniti di cui c’è un disperato bisogno. Trump saprà ascoltare? Lei ci prova, strizzando l’occhiolino e provando a compattare il gruppo contro gli ‘altri’: “Tutti i paesi del G7 si trovano ad affrontare pratiche commerciali aggressive da parte di economie non di mercato“. Velate accusa alla Cina, tralasciando i dazi degli Stati Uniti.A Trump e partner del G7 von der Leyen chiede poi unità nella risposta contro Mosca e il suo ‘zar’ Vladimir Putin: “Dobbiamo esercitare maggiore pressione sulla Russia affinché garantisca un vero cessate il fuoco, la riporti al tavolo dei negoziati e ponga fine a questa guerra”. In tale ottica “le sanzioni sono fondamentali”. La presidente dell’esecutivo comunitario assicura che “stanno funzionando”, e a riprova di ciò ricorda che “i ricavi russi dal petrolio e dal gas sono diminuiti di quasi l’80 per cento dall’inizio della guerra”. L’Ue lavora a un 18esimo pacchetto di sanzioni. “Inviterò tutti i partner del G7 a unirsi a noi in questa impresa”, conclude von der Leyen.

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    Israele attacca l’Iran: “Stanno costruendo la bomba”. L’Ue non condanna Tel Aviv ma esorta alla de-escalation

    Bruxelles – Israele alza la posta e allarga la già acuta crisi in Medio Oriente, attaccando direttamente l’Iran. La notte scorsa, Tel Aviv ha avviato un’azione militare su larga scala contro il suo storico rivale regionale che, nelle parole dello stesso Benjamin Netanyahu, durerà per tutto il tempo necessario. Con i suoi “attacchi preventivi”, lo Stato ebraico starebbe puntando ad impedire alla Repubblica islamica di costruire la bomba nucleare. Dall’Ue arrivano reazioni miste, ma tutti esortano le parti ad impegnarsi nella de-escalation.L’attacco di Tel Aviv (e la risposta di Teheran)Nella notte tra il 12 e il 13 giugno, le forze armate israeliane (Idf) hanno avviato una pesante campagna di bombardamenti sull’Iran, allargando pericolosamente l’escalation militare all’intera regione mediorientale. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha presentato l’operazione Leone rampante come un’azione preventiva per garantire la sicurezza dello Stato ebraico, che sarebbe minacciata dall’avanzamento del programma nucleare militare di Teheran.Moments ago, Israel launched Operation “Rising Lion”, a targeted military operation to roll back the Iranian threat to Israel’s very survival.This operation will continue for as many days as it takes to remove this threat.——Statement by Prime Minister Benjamin Netanyahu: pic.twitter.com/XgUTy90g1S— Benjamin Netanyahu – בנימין נתניהו (@netanyahu) June 13, 2025L’operazione continuerà “per tutti i giorni necessari”, ha dichiarato Netanyahu (sul cui capo pende dallo scorso novembre un mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale): se lasciata incontrollata, sostiene, “la crescente gittata dei missili balistici iraniani porterebbe l’incubo nucleare nelle città europee e, alla fine, anche in America“.L’esercito di Tel Aviv ha fatto alzare in volo più di 200 aerei, colpendo un centinaio di obiettivi tra siti nucleari (incluso quello di Natanz, il più grande del Paese), impianti missilistici e della contraerea, depositi di armi ma anche zone residenziali in tutta la Repubblica islamica. L’Idf ha confermato di aver assassinato “i tre più alti comandanti militari” di Teheran, tra cui il comandante delle Guardie rivoluzionarie Hossein Salami e il capo di Stato maggiore dell’esercito Mohammad Bagheri, nonché una mezza dozzina di scienziati sospettati di avere un ruolo chiave nell’arricchimento dell’uranio degli ayatollah.Per l’ennesima volta, Tel Aviv aumenta così drasticamente la tensione nell’intera regione, dopo oltre un anno e mezzo di crimini di guerra e contro l’umanità portati avanti nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania accompagnati da bombardamenti a tappeto e incursioni terrestri in Libano e Siria.Uno degli edifici colpiti dagli attacchi israeliani a Teheran, il 13 giugno 2025 (foto: Atta Kenare/Afp)In risposta ai bombardamenti notturni, Teheran ha promesso un’immediata rappresaglia che è in effetti già in corso, affidata ad almeno un centinaio di droni. Il leader supremo Ali Khamenei ha annunciato “una punizione severa”, mentre l’esercito iraniano ha parlato di una risposta “letale”. Israele è entrato stamattina in lockdown, con le strade delle principali città deserte e le autorità che suggeriscono agli abitanti di rimanere chiusi in casa e dotarsi di scorte di cibo sufficienti per un paio di settimane. Lo Stato ebraico e la vicina Giordania stanno al momento intercettando i droni iraniani nei rispettivi spazi aerei.Le reazioni dai leader mondiali e dall’UeNelle ultime ore si sono moltiplicate le reazioni da parte dei leader mondiali, che richiamano entrambi i Paesi alla moderazione per prevenire l’ennesima, devastante escalation. La Turchia condanna le “azioni aggressive” di Israele, mentre il premier britannico Keir Starmer (il cui governo ha recentemente sanzionato due membri dell’esecutivo israeliano) ha definito “preoccupanti” gli attacchi.Dai vertici dell’Ue arrivano commenti decisamente più indulgenti. Per la presidente dell’esecutivo comunitario Ursula von der Leyen, tutte le parti devono “dare prova di massima moderazione, allentare immediatamente la tensione e astenersi da ritorsioni“. Un messaggio replicato anche dal presidente del Consiglio europeo, António Costa, secondo cui “è necessario evitare un’ulteriore pericolosa escalation“, mentre l’Alta rappresentante Kaja Kallas si dice “pronta a sostenere qualsiasi sforzo diplomatico volto a ridurre la tensione“. I portavoce della Commissione e del Servizio di azione esterna (Seae) hanno confermato di essere in contatto con entrambe le parti (Kallas avrebbe avuto un colloquio in mattinata con il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar), ma si sono rifiutati di fornire “qualsiasi valutazione sulla compatibilità degli attacchi israeliani con il diritto internazionale“.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Consiglio europeo)Più critici gli eurodeputati italiani di centro-sinistra, che da qualche tempo stanno alzando la voce sulla necessità che Bruxelles sospenda l’accordo di associazione con Tel Aviv: quest’ultimo si trova attualmente in fase di revisione, ma per metterlo in pausa serve l’unanimità dei Ventisette, che rimane una chimera. Pierfrancesco Maran (Pd) suggerisce di “interrompere le forniture militari ad Israele“, mentre il suo gruppo (S&D) si limita a chiedere la sospensione delle relazioni commerciali con lo Stato ebraico. Leoluca Orlando (Avs) predice “effetti più imprevedibili ed estesi di quelli della guerra in Ucraina“, bollando l’esecutivo di Netanyahu come “un insulto alla cultura ebraica”.Per la delegazione del M5s, “Israele usa le bombe (metà delle quali sono prodotte in Europa, ndr) per sfidare il diritto internazionale e mettere in pericolo la sicurezza globale“, e Bruxelles dovrebbe smettere “di tollerare l’arroganza del governo Netanyahu“. Il gruppo dei pentastellati a Strasburgo, la Sinistra, chiede l’embargo sulle armi, la sospensione immediata dell’accordo di associazione Ue-Israele e di dare seguito al mandato di arresto emesso dalla Cpi.La posizione di Washington (e gli avvertimenti dell’Aiea)Diversamente dal solito, l’amministrazione statunitense – avvertita in anticipo dell’attacco – ha cercato di distanziarsi dalle azioni di Tel Aviv, sottolineando che si è trattato di una decisione unilaterale. “Non siamo coinvolti in attacchi contro l’Iran e la nostra priorità è proteggere le forze americane nella regione”, si legge in una nota diffusa da Marco Rubio, il capo della diplomazia a stelle e strisce, che insolitamente non include nessuna generica formula di sostegno allo Stato ebraico.La relativa freddezza dello zio Sam (tradizionalmente il più solido alleato dello Stato ebraico) sarebbe dovuta al fatto che Donald Trump nutriva ancora delle speranze di poter raggiungere un accordo con la dirigenza iraniana sul suo programma nucleare. I colloqui tra le parti vanno avanti da mesi ma si stavano arenando nelle ultime settimane, anche se il tycoon sembra sperare ancora in una ripresa delle trattative con la Repubblica islamica. Il sesto round di negoziati era previsto per questo weekend, ma gli eventi di stanotte hanno probabilmente azzerato ogni possibilità di raggiungere una svolta in tempi brevi.Il presidente statunitense Donald Trump (foto: Roberto Schmidt/Afp)Rafael Grossi, direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), ha reiterato gli appelli alla moderazione per evitare un disastro nucleare nella regione e si è reso disponibile “a recarmi sul posto al più presto per valutare la situazione e garantire la sicurezza, la protezione e la non proliferazione in Iran”. Giusto ieri, l’agenzia dell’Onu ha censurato per la prima volta in 20 anni il governo di Teheran, sostenendo che le autorità iraniane non stanno rispettando i loro impegni per quanto riguarda le “salvaguardie nucleari internazionali“.Nel 2015, l’Iran aveva siglato uno storico accordo multilaterale mediato dall’Ue sul proprio programma nucleare, noto come Joint common plan of action (Jcpoa), che prevedeva tra le altre cose un controllo internazionale sull’arricchimento dell’uranio della Repubblica islamica, permesso unicamente per usi civili. Il trattato è poi saltato nel 2018, durante il primo mandato di Trump alla Casa Bianca. Dal Berlaymont si ribadisce che “l’Ue non abbandona il Jcpoa“.

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    Usa e Cina verso una tregua commerciale (che c’era già). L’Ue rimane alla finestra

    Bruxelles – Stati Uniti e Cina avrebbero trovato la quadra per sospendere l’escalation tariffaria che stava portando le due più grandi economie del mondo alla guerra commerciale aperta. Questa, almeno, è la lettura di Donald Trump. In realtà, Washington e Pechino hanno solo fatto enorme fatica per tornare al punto in cui si trovavano un mese fa, mentre non appare vicina una soluzione strutturale e duratura. L’unica cosa certa, per ora, è che l’Europa continua a rimanere alla finestra, nell’attesa che il presidente statunitense cambi idea sui dazi.Fumata bianca da Londra“Il nostro accordo con la Cina è concluso“, ha scritto ieri (11 giugno) Donald Trump sul suo social Truth, specificando che manca ora solo “l’approvazione finale” da parte sua e del presidente cinese Xi Jinping. Parlando alla stampa, il tycoon newyorkese ha successivamente definito come “ottimo” l’accordo raggiunto: “Abbiamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno e ne trarremo grandi vantaggi. Speriamo che anche loro ne traggano beneficio”, ha dichiarato.Non sono stati resi noti molti dettagli dell’intesa preliminare raggiunta tra le squadre negoziali, emerse ieri da una maratona di due giorni a Londra. Per ora si sa solo che Pechino si è impegnata a riprendere le esportazioni verso gli States di magneti e terre rare senza limitazioni, mentre Washington ha fatto retromarcia sulle minacce di sospendere i visti per gli studenti provenienti dalla Repubblica popolare.Sul versante dazi, l’amministrazione a stelle e strisce ha mantenuto una pressione tariffaria complessiva del 55 per cento (rispetto al 145 per cento in vigore precedentemente) sui prodotti cinesi, così composta: 10 per cento di dazi “reciproci” imposti durante il Liberation Day, un ulteriore 20 per cento comminato al Dragone (insieme a Canada e Messico) come punizione per gli sforzi giudicati insufficienti nel contrasto alla diffusione del fentanyl e, infine, il 25 per cento introdotto da Trump durante il suo primo mandato e mai rimosso dal suo successore Joe Biden. Viceversa, i dazi cinesi sulle merci statunitensi si abbasseranno dal 125 al 10 per cento.I lati oscuri dell’accordoSecondo molti osservatori, tuttavia, l’entusiasmo dell’inquilino della Casa Bianca sarebbe eccessivo. Da un lato, le discussioni nella capitale britannica non hanno portato a progressi reali nei negoziati tra Washington e Pechino per evitare uno scontro a tutto campo. Tale eventualità non sarà scongiurata definitivamente finché non verrà stipulato il famigerato “accordo commerciale globale” tra i due colossi economici (Trump vorrebbe siglarlo entro la fine dell’estate).In effetti, i due Paesi si ritrovano ora nella medesima posizione in cui si erano lasciati il mese scorso, quando a Ginevra avevano concordato un compromesso che, di fatto, è tale e quale quello di ieri. Nelle settimane che sono intercorse, le due parti si sono reciprocamente accusate di aver violato i termini pattuiti in quell’occasione, dando il via ad una rapida escalation tariffaria che rischiava di danneggiare pesantemente entrambe.La Repubblica popolare aveva mancato di rimuovere alcune restrizioni sull’export di terre rare e magneti, e gli Usa avevano reagito limitando la vendita di semiconduttori, software, prodotti chimici e minacciando di sospendere i visti per studenti e ricercatori cinesi.Il segretario al Tesoro statunitense, Scott Bessent (sinistra), e il vicepremier cinese He Lifeng a Londra, il 9 giugno 2025 (foto: Li Ying via Afp)Come sottolineato dal viceministro al Commercio di Pechino Li Chenggang, quello concordato nei colloqui di Londra non è niente più che un “accordo quadro” valido “in linea di principio”, che dovrà servire a tradurre in concreto “il consenso raggiunto dai due capi di Stato durante la telefonata del 5 giugno e il consenso raggiunto durante l’incontro di Ginevra“.A sentire il segretario al Commercio Usa, Howard Lutnick, la due giorni londinese – che alcune indiscrezioni giornalistiche hanno descritto come tesa, a riprova del clima di sfiducia tra le rispettive squadre negoziali – ha “messo ordine” rispetto alle priorità delle parti: “Siamo sulla strada giusta”, dice, ma è una strada che rimane in salita. Anche per il titolare del Tesoro, Scott Bessent, il processo per giungere ad un accordo complessivo sarà “molto più lungo“.D’altra parte, notano diversi analisti, Trump avrebbe fatto il passo più lungo della gamba anche da un punto di vista strategico e geopolitico. Sarebbe stato un azzardo alzare così tanto la voce con la Repubblica popolare sia perché, a conti fatti, la Cina ha più alternative rispetto agli Usa se gli scambi tra le due superpotenze dovessero ridursi ulteriormente (o addirittura interrompersi), sia perché la leadership comunista ha uno spazio di manovra sconosciuto a qualunque governo democratico.Il presidente cinese Xi Jinping (foto: Photo by Tingshu Wang via Afp)Battere i pugni sul tavolo e ricattare, innescando una spirale incontrollabile di rappresaglie commerciali, potrebbe non essere il modo più lungimirante per trattare con Pechino, soprattutto per chi – come Washington – tratta da una situazione di sostanziale dipendenza dalle materie prime critiche su cui la Cina detiene virtualmente un monopolio planetario.E senza le quali le industrie a stelle e strisce (quella pesante, quella automobilistica, quella tecnologica e soprattutto quella militare) andrebbero a schiantarsi, con buona pace dei deliri di onnipotenza in salsa Maga. Insomma, Trump potrebbe aver ingaggiato un braccio di ferro che, semplicemente, gli Stati Uniti non sono oggi in grado di vincere.L’Ue rimane al paloAd ogni modo, il presidente Usa ha suggerito oggi (12 giugno) che nelle prossime settimane sentirà i partner commerciali di Washington per negoziare nuovi dazi unilaterali, prima che scadano le sospensioni temporanee concesse ad alcuni Paesi e all’Ue. La data fatidica è il 9 luglio, ma la finestra potrebbe allungarsi anche oltre: è “altamente probabile” che “posticiperemo la data per continuare i negoziati in buona fede“, ha pronosticato Bessent.Per il momento, a Bruxelles, l’esecutivo comunitario non si sbottona. Quelle arrivate da Londra sono “buone notizie per il mondo intero”, sostiene la portavoce Paula Pinho, ma “dobbiamo aspettare per saperne di più, vedere se e come (l’intesa tra Usa e Cina, ndr) avrà effetti sull’Ue”. Le trattative tra la Commissione – rappresentata dal titolare del Commercio Maroš Šefčovič – e la Casa Bianca continuano a porte chiuse, mentre rimangono in vigore i dazi del 50 per cento su acciaio e alluminio made in Europe.Il commissario al Commercio, Maroš Šefčovič, e la presidente dell’esecutivo comunitario Ursula von der Leyen (foto: Christophe Licoppe/Commissione europea)Verosimilmente, a questo punto, la matassa potrà essere sbrogliata solo da un incontro al massimo livello tra Trump e Ursula von der Leyen. Tutti gli occhi sono puntati sul G7 che si terrà a Kananaskis, in Canada, dal 15 al 17 giugno, ma dal Berlaymont non trapela alcuna conferma su un bilaterale tra i due leader.Che qualche giorno dopo, il 24 e il 25, si incontreranno nuovamente all’Aia in occasione del summit della Nato, durante il quale i membri dell’Alleanza dovrebbero dare il disco verde ai nuovi obiettivi di spesa militare al 5 per cento del Pil. Dopo tutto, si tratta di una richiesta avanzata dallo stesso Trump: e chissà che, se gli europei accetteranno di mettere mano al portafoglio, anche il tycoon non possa ridursi a più miti consigli sulle tariffe che stanno strangolando l’economia del Vecchio continente.

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    L’Ue annuncia il 18esimo pacchetto di sanzioni contro la Russia. Nel mirino le esportazioni energetiche e il settore bancario

    Bruxelles – Non c’è 17 senza 18. A nemmeno due settimane dall’adozione dell’ultimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, la Commissione Ue mette sul tavolo nuove misure restrittive per costringere il Cremlino ad accettare una tregua in Ucraina. Nel mirino di Bruxelles sono finiti stavolta i settori energetico e bancario, ma non è scontata la sponda di Washington sul tetto al prezzo del petrolio. E, a dirla tutta, nemmeno l’unità interna dei Ventisette.Era il 20 maggio scorso quando i ministri degli Esteri dei Ventisette approvavano il 17esimo pacchetto di sanzioni contro Mosca, puntando a colpire soprattutto la “flotta ombra” con cui la Federazione continua ad esportare il suo greggio in giro per il mondo. Oggi (10 giugno), i due papaveri più alti del Berlaymont hanno presentato un nuovo round di misure restrittive. “L’obiettivo della Russia non è la pace, bensì imporre il dominio della forza”, ha scandito Ursula von der Leyen presentando insieme a Kaja Kallas il 18esimo pacchetto sanzionatorio dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina.Secondo la presidente dell’esecutivo comunitario, “la forza è l’unica lingua che la Russia è in grado di comprendere” e dunque va mantenuta alta la pressione su Vladimir Putin affinché accetti di sedersi al tavolo negoziale, finora disertato dallo zar. Per l’Alta rappresentante, “nulla suggerisce che la Russia sia pronta per la pace”, anzi. Mosca, dice il capo della diplomazia a dodici stelle, è “crudele, aggressiva, una minaccia per tutti noi“.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)I due binari lungo i quali si muoveranno le prossime sanzioni saranno quelli dell’energia e delle transazioni finanziarie. Quanto al primo ramo, l’obiettivo è l’export di petrolio russo, che rappresenta ancora circa un terzo delle entrate del Cremlino. Per raggiungerlo, la Commissione propone tre diverse misure. Anzitutto, verranno vietate tutte le operazioni connesse ai Nord Stream 1 e 2: “Nessun operatore dell’Ue potrà effettuare, direttamente o indirettamente, alcuna transazione” relativa al doppio gasdotto che collega la Federazione alla Germania, spiega von der Leyen. Attualmente, nessuna delle due arterie sul fondale del Mar Baltico è in funzione.Un’ulteriore misura sarà poi l’abbassamento del tetto al prezzo del petrolio a 45 dollari al barile dai 60 attuali, concordati dai partner del G7 nel dicembre 2022. A sentire la popolare tedesca, “abbassando il tetto lo adattiamo alle mutate condizioni del mercato e ne ripristiniamo l’efficacia”. Contemporaneamente, la lista dei vascelli ombra del Cremlino si allunga ancora per includere altre 77 imbarcazioni, portando il totale a quota 419.Infine, l’Ue vorrebbe introdurre “un divieto di importazione di prodotti raffinati a base di petrolio greggio russo“, onde impedire che quest’ultimo raggiunga il mercato unico “per vie traverse”. Dopo l’adozione del 17esimo pacchetto di sanzioni, certifica Kallas, “le esportazioni di petrolio della Russia tramite le rotte del Mar Nero e del Mar Baltico sono diminuite del 30 per cento in una sola settimana”. Anche le cifre snocciolate da von der Leyen parlano di un crollo verticale degli introiti ottenuti da Mosca con i suoi idrocarburi: da 12 a 1,8 miliardi mensili.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Dati Bendo/Commissione europea)Per quel che riguarda il settore bancario, l’idea è quella di “trasformare l’attuale divieto di utilizzare il sistema Swift in un divieto totale di effettuare transazioni” con entità ed istituti finanziari russi. Tale divieto, assicura von der Leyen, verrà esteso non solo ad altre 22 banche russe ma anche, soprattutto, “agli operatori finanziari di Paesi terzi che finanziano il commercio con la Russia eludendo le sanzioni”.Colpito anche il Fondo russo per gli investimenti diretti, che sovvenziona progetti e interventi di vario tipo in giro per il mondo, mentre vengono introdotti anche ulteriori limitazioni sulle esportazioni di “tecnologie e beni industriali fondamentali” verso la Federazione per un valore complessivo di oltre 2,5 miliardi di euro. Si tratta di macchinari, metalli, plastica e prodotti chimici ma anche beni e tecnologie a duplice uso (sia civile sia militare) cruciali per il complesso militare-industriale russo.Ci sono, tuttavia, giusto un paio di nodi politici che potrebbero rallentare (o addirittura far deragliare) l’adozione delle sanzioni comunitarie. Da un lato, il price cap sul greggio russo, come ricordato dalla stessa von der Leyen, è stato stabilito a livello del G7 e dunque, per modificarlo, serve l’accordo dei membri della coalizione. “Discuteremo come agire insieme” al vertice in programma per il 15-17 giugno a Kananskis (in Canada), ha promesso von der Leyen, che si dice “molto fiduciosa”.Ma il presidente statunitense Donald Trump non ha mostrato fin qui grande appetito per un nuovo giro di vite contro Mosca, per quanto i suoi alleati europei gli stiano tirando la giacca in tal senso fin dal suo ritorno alla Casa Bianca a gennaio. “Insieme agli Stati Uniti possiamo davvero forzare Putin a negoziare seriamente“, ha ripetuto per l’ennesima volta Kallas. Per ora, però, sembra che Bruxelles e Washington non stiano riuscendo a coordinarsi alla grande.Il presidente statunitense Donald Trump (foto: Brendan Smialowski/Afp)Al Congresso si discute molto della proposta, avanzata dal senatore repubblicano Lindsey Graham, di imporre dazi del 500 per cento sulle importazioni da qualunque Paese che continui a commerciare con la Russia, esentando chi sostiene la resistenza di Kiev (come gli Stati Ue). Ma un regime di sanzioni secondarie così drastico potrebbe rivelarsi un boomerang pericoloso per gli stessi States, peraltro impegnati proprio in questi giorni in complessi negoziati con la Cina per disinnescare la guerra commerciale scatenata da Trump un paio di mesi fa.D’altra parte, nemmeno tra i Ventisette pare esserci accordo totale sulla questione sanzioni. Oltre alla consueta opposizione dell’Ungheria di Viktor Orbán, ora sta alzando la voce anche la Slovacchia di Robert Fico. La scorsa settimana, il Parlamento di Bratislava ha approvato una risoluzione che impegna il governo a non appoggiare nuove sanzioni comunitarie contro la Russia. “Se ci sarà una sanzione che ci danneggerà, non voterò mai a favore”, ha dichiarato l’altroieri il primo ministro slovacco.