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    S&D, Verdi e laSinistra all’Ue: “A Gaza è genocidio, è tempo di agire”

    Bruxelles – Violazione dei diritti umani a Gaza, “è tempo di agire”. I gruppi parlamentari socialista (S&D), Verdi e laSinistra esortano Commissione europea e Consiglio europea a prendere provvedimenti, una volta per tutte e come si deve. In una lettera indirizza ai presidenti delle due istituzioni (Ursula von der Leyen e Antonio Costa) e all’Alta rappresentante (Kaja Kallas), le tre formazioni parlamentari, che insieme rappresentano un terzo dell’Aula, dicono ‘basta’. “E’ evidente che si sta commettendo un genocidio a Gaza, con la Commissione e il Consiglio che finora hanno fallito nel rispondere con urgenza e fare ciò che i nostri trattati e i nostri valori richiedono“, denunciano e lamentano i presidenti dei gruppi, Iratxe Garcia Perez (S&D), Bas Eickhout e Terry Reintke (Verdi), Manon Aubry e Martin Schierdewan (laSinistra).I gruppi parlamentari contestano l’inazione dell’Ue anche di fronte alle dichiarate intenzioni israeliane di conquistare la striscia di Gaza, di fronte alle quali l’Unione europea non ha praticamente reagito. Nelle richieste avanzate ai ‘top jobs‘ dell’Ue viene quindi, non a caso, inserita la necessità di “riaffermare l’impegno per una soluzione a due Stati, con passi politici concreti”. Si attendono Commissione e Consiglio al varco, vale a dire alla riunione dell’Assemblea generale dell’Onu di settembre. E’ qui che socialisti, verdi e sinistra radicale vorrebbero vedere cambi di passo veri.It’s time for urgent action to end the massacre in Gaza.Presidents of @TheProgressives, @GreensEFA & @Left_EU today write to @vonderleyen, @eucopresident & @kajakallas:– Suspend the EU-Israel Association Agreement– Enforce a comprehensive arms embargo– Guarantee humanitarian… pic.twitter.com/tGIudRkqa1— S&D Group (@TheProgressives) August 5, 2025Per iniziare a dare un segnale vero si chiede la sospensione immediata e completa dell’accordo di associazione Ue-Israele, al pari dello stop della partecipazione di imprese israeliane al programma Horizon Europe per la ricerca. Richieste però di difficile realizzazione, visto che in entrambi i casi sono gli Stati membri a doversi esprimere, e sulla linea dura contro lo Stato ebraico i 27 sono divisi.Ciononostante si continua a fare pressione. “L’Unione europea deve assumersi responsabilità e agire ora”, insistono i leader di socialisti, verdi e sinistra radicale. Per questo si chiede di mandare più segnali alla leadership israeliana, a partire dal “ripristini del pieno finanziamento dell’Unrwa”, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi. E’ l’Unione europea che si fa sentire, dopo il silenzio di un’altra parte dell’Unione europea.

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    Crisi Ucraina, Zelensky fa un passo indietro e promette di restaurare l’indipendenza degli organi anticorruzione

    Bruxelles – Mentre le trattative con la Russia sono in stallo, Volodymyr Zelensky sta fronteggiando un’ondata di sdegno popolare senza precedenti in patria. Un giro di vite contro le agenzie anticorruzione, descritto dai critici del presidente come una mossa per accentrare ulteriormente il potere nelle proprie mani, si è rapidamente trasformato in un micidiale boomerang politico. Alla fine, sotto crescenti pressioni interne e internazionali, il presidente è stato costretto ad un clamoroso passo indietro per disinnescare una crisi di legittimità dagli esiti imprevedibili. E ora tutti, alleati e oppositori, lo aspettano al varco.Negli ultimi giorni, Volodymyr Zelensky è finito al centro della bufera per aver promulgato nella serata di martedì (22 luglio) la controversa legge 12414, approvata poche ore prima dalla Verchovna Rada, il Parlamento monocamerale di Kiev. C’è chi parla di “errore fatale” del presidente ucraino, mentre per i cittadini scesi in piazza due giorni di fila – per la prima volta dall’inizio dell’invasione russa, sfidando apertamente i divieti imposti dalla legge marziale in vigore dal 2022 – il capo dello Stato ha superato il “punto di non ritorno“.Manifestanti a Kiev nella serata del 22 luglio 2025 (foto: Tetiana Dzhafarova/Afp)Col pretesto di contrastare presunte infiltrazioni di spie del Cremlino, le nuove norme hanno sostanzialmente privato i due principali organi per la lotta alla corruzione – l’Ufficio nazionale anticorruzione (Nabu) e l’Ufficio del procuratore speciale anticorruzione (Sapo), creati nel 2015 nel quadro delle riforme post-Euromaidan – della loro indipendenza, riportandole sotto il diretto controllo del procuratore generale, una figura di nomina presidenziale.Alla fine, sembra che le pressioni interne ed esterne moltiplicatesi nelle ultime ore abbiano spinto Zelensky a tornare sui propri passi prima che la situazione gli sfuggisse completamente di mano. Nella mattinata di ieri (23 luglio) ha incontrato i vertici delle agenzie anticorruzione e delle forze dell’ordine, promettendo al termine della riunione la presentazione di un “piano congiunto” per rinnovare le strutture finite nel mirino del governo, epurandole dalle infiltrazioni russe e migliorandone l’efficacia.Nel tardo pomeriggio di oggi, il presidente ha annunciato di aver presentato alla Rada un nuovo disegno di legge volto a “preservare l’indipendenza delle istituzioni anticorruzione“. Il testo, sostiene, è “ben equilibrato” e “garantisce un reale rafforzamento del sistema di applicazione della legge in Ucraina”, nonché una “protezione affidabile” di quest’ultimo da “qualsiasi influenza o interferenza russa“, assicurando “l’indipendenza di Nabu e Sapo“.I’ve just approved the text of a draft bill that guarantees real strengthening of Ukraine’s law enforcement system, independence of anti-corruption agencies, and reliable protection of the law enforcement system against any Russian influence or interference. The text is…— Volodymyr Zelenskyy / Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) July 24, 2025“È importante mantenere l’unità“, ha sottolineato Zelensky nel tentativo di ricucire lo strappo da lui stesso aperto. Secondo il presidente dell’Aula, Ruslan Stefanchuk (compagno di partito del presidente), il provvedimento potrebbe venire esaminato entro un mese, cioè prima della ripresa ufficiale dei lavori dell’emiciclo, tecnicamente in pausa estiva fino al prossimo settembre.Il Nabu si è detto convinto che le nuove norme “ripristineranno tutti i poteri procedurali e le garanzie di indipendenza” suoi e del Sapo. Commenti positivi sono arrivati anche dal Centro d’azione anticorruzione (AntAC), l’ong guidata da Vitaliy Shabunin, un’altra figura chiave negli avvenimenti delle ultime settimane. La nuova legge, si legge in una nota dell’organizzazione, è il risultato della dedizione degli ucraini “che negli ultimi giorni hanno dimostrato alle autorità che non permetteranno che il loro futuro europeo venga distrutto“.Ma non sono stati solo gli ucraini – dalle opposizioni parlamentari ai militari in trincea, passando per attivisti e ong – a salire sulle barricate per richiamare la leadership di Kiev al mantenimento delle promesse di rinnovamento democratico vergate col sangue delle oltre 100 vittime dell’Euromaidan, la sollevazione popolare del 2013-2014 (altrimenti nota come “rivoluzione della Dignità“) che portò alla destituzione del presidente filorusso Viktor Yanukovych, all’inesorabile avvicinamento dell’Ucraina alla comunità euro-atlantica e al parallelo allontanamento dall’orbita di Mosca.Le proteste dell’Euromaidan a Kiev, nel febbraio 2014 (foto via Wikimedia Commons)Da giorni, a suonare l’allarme con sempre più insistenza sul pericolo di uno scivolamento autoritario sono anche un numero crescente di organizzazioni internazionali e associazioni per la tutela dei diritti umani. Tra le dichiarazioni di condanna fioccate contro la legge 12414 si annoverano quella di Human rights watch, secondo cui “rischia di indebolire le fondamenta democratiche dell’Ucraina” e quella del Consiglio d’Europa, che ha “espresso profonda preoccupazione” per i recenti sviluppi.Le reprimende sono arrivate anche dagli alleati occidentali di Kiev, dal cui sostegno dipende la resistenza all’invasione neo-imperialista del Cremlino. Dagli Stati Uniti all’Unione europea, le voci critiche hanno immancabilmente evidenziato il rischio che le norme in questione finissero per minare un decennio di conquiste democratiche, nonché i progressi compiuti negli ultimi anni sotto le bombe russe, ancora più encomiabili date le circostanze.La presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, ha avuto una conversazione telefonica con Zelensky, a cui ha “chiesto spiegazioni” sull’adozione del provvedimento legislativo. Stando ai retroscena, parole dure nei confronti del governo di Kiev sono giunte anche dalla commissaria all’Allargamento Marta Kos, la quale avrebbe ricordato che il percorso di adesione al club a dodici stelle può essere interrotto precisamente per questo genere di violazioni dello Stato di diritto, come esemplificato dal caso della Georgia.La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen (foto: Alexandros Michalidis via Imagoeconomica)Rispondendo alle domande dei giornalisti, i portavoce del Berlaymont hanno confermato che Bruxelles ha espresso “gravi preoccupazioni per i passi compiuti” dalla Rada e dallo stesso presidente, anticipando anche apprezzamento per il cambio di passo delle autorità ucraine prima ancora che questo si materializzasse concretamente. L’assistenza finanziaria dell’Ue, hanno reiterato, è condizionata al rispetto dello Stato di diritto e delle garanzie democratiche, ma hanno dichiarato di non voler “speculare sui prossimi sviluppi”, sottolineando che ora spetta al governo di Kiev “implementare le nuove misure”.Secondo alcune ricostruzioni, il presidente del Consiglio europeo António Costa e il capo di Stato francese Emmanuel Macron avrebbero tentato inutilmente di dissuadere Zelensky dal promulgare la legge in questione lo scorso martedì. Addirittura, gli ambasciatori delle nazioni G7 a Kiev sarebbero stati confinati in una stanza senza telefoni per ore mentre gli eventi precipitavano nella capitale ucraina, onde evitare che potessero informare in tempo reale le rispettive cancellerie.In realtà, secondo i critici del presidente e del suo governo, la deriva autoritaria sarebbe già iniziata da tempo. Il “caso Nabu” appena scoppiato in mano a Zelensky rappresenterebbe solo la punta dell’iceberg, l’ultimo atto di un attacco ampio e sistematico alle fondamenta democratiche dello Stato ucraino che va avanti da mesi. Con la scusa della guerra, dei protocolli di sicurezza e della legge marziale, il presidente e il suo cerchio magico starebbero accentrando sempre di più i propri poteri e quelli dell’esecutivo a scapito di Parlamento e agenzie indipendenti. Adesso, alleati e oppositori aspettano al varco Zelensky e i suoi, sapendo che il leader ucraino non può permettersi un nuovo passo falso.

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    Ue-Cina, von der Leyen invoca pragmatismo: “Riequilibrio commerciale per contrastare i dazi globali”

    Bruxelles – Un summit convocato con aspettative limitate, compresso da due a un solo giorno, e concluso con l’impressione che l’Unione europea e la Cina siano tenute legate solamente dalla necessità di non farsi nuovi nemici nel sempre più precario equilibrio internazionale. I vertici Ue ripartono da Pechino con in tasca una dichiarazione congiunta sull’impegno per il clima e l’intesa per un meccanismo che faciliti l’export di terre rare dalla Cina. Sui dossier principali, la guerra in Ucraina e gli attriti commerciali, nessun significativo passo avanti.“Le nostre relazioni sono a un punto di svolta. È importante ascoltarsi a vicenda e trovare soluzioni pragmatiche“, ha esordito la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in conferenza stampa a margine del 25esimo summit Ue-Cina, con cui Bruxelles e Pechino hanno celebrato i 50 anni di relazioni diplomatiche. L’Ue tira dritto sulla strategia di de-risking nei confronti del gigante asiatico: “Difendiamo i nostri interessi, nel contempo rimaniamo impegnati a favore di un dialogo franco, rispettoso e aperto”, ha spiegato la presidente dell’esecutivo comunitario. Nessuna illusione su una convergenza di vedute, ma la consapevolezza – come sottolineato dal presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa – che “il modo in cui interagiamo e cooperiamo è importante per il mondo”.I presidenti di Cina e Russia, Xi Jinping e Vladimir Putin, tra i generali durante la parata miliare a Mosca per le celebrazioni della grande vittoria [foto: imagoeconomica]A partire dal posizionamento nei confronti della guerra d’aggressione russa in Ucraina. “In qualità di membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la Cina ha un ruolo fondamentale“, hanno insistito i leader Ue, che da tre anni chiedono a Pechino di fare pressioni su Mosca per mettere fine al conflitto. O quanto meno di non sostenerla attivamente. “In tempo di guerra, le tecnologie a duplice uso sono spesso utilizzate come strumenti di guerra, abbiamo chiesto alla Cina di prestare attenzione”, ha dichiarato Costa. Di fronte alla negligenza di Pechino, che fa orecchie da mercante dall’inizio del conflitto, l’Ue ha già incluso diverse aziende cinesi nei pacchetti di sanzioni comminati alla Russia e ai suoi alleati.C’è poi il nodo commercio. Nel 2024 le relazioni commerciali bilaterali hanno raggiunto un valore di 730 miliardi di euro. Ma è cresciuto progressivamente anche il deficit dell’Ue nei confronti della Cina, che tocca ora i 305 miliardi. L’analisi di Bruxelles è nota: distorsioni sistemiche, barriere commerciali e la sovra-capacità produttiva di Pechino “aggravano le condizioni di disparità”. Von der Leyen ha attaccato: “A differenza di altri mercati importanti, l’Ue mantiene il suo mercato aperto alla Cina. Tuttavia, questa apertura non è ricambiata”. L’altro mercato è un riferimento agli Stati Uniti di Trump, ben presenti sullo sfondo – e nelle menti – dei leader impegnati al vertice. Tant’è che von der Leyen ha affermato chiaramente che “la necessità di riequilibrare le nostre relazioni è ancora più urgente a causa dell’aumento globale dei dazi“.Sulla destra la delegazione Ue con Ursula von der Leyen, Antonio Costa e Kaja Kallas, sulla sinistra il presidente cinese Xi Jinping e il suo team durante i lavori del summit Ue-Cina a PechinoBruxelles ha visto diversi contenziosi con Pechino negli ultimi anni: i dazi sui veicoli elettrici e l’esclusione delle imprese cinesi dagli appalti pubblici per dispositivi medici ne sono due esempi. D’altra parte, la Cina ha imposto misure di difesa commerciale “ingiustificate e di ritorsione” sei confronti del brandy, della carne suina e di prodotti lattiero-caseari provenienti dall’Ue.Sulla reciprocità e l’accesso al mercato cinese alle aziende europee, “abbiamo convenuto di lavorare a soluzioni concrete”, ha annunciato la leader Ue. Quanto alla sovra-capacità nell’economia cinese – oltre che nei veicoli elettrici, anche nell’acciaio, nelle batterie, nei pannelli solari – “la leadership cinese ha espresso la volontà di sostenere maggiormente i consumi e meno la produzione“.L’ultimo punto, l’unico in cui von der Leyen ha strappato a Xi Jinping qualcosa in più rispetto a una generico impegno, riguarda il controllo statale sulle esportazioni di terre rare dalla Cina, che secondo Bruxelles starebbe rallentando le catene di approvvigionamento globali. Le due parti hanno raggiunto un’intesa su un nuovo “meccanismo di approvvigionamento per l’esportazione potenziato”, che dovrebbe risolvere rapidamente eventuali colli di bottiglia.Nessuna dichiarazione congiunta a corredo del vertice, salvo per un impegno scritto per l’azione contro i cambiamenti climatici, nella quale Bruxelles e Pechino hanno affermato di voler “guidare gli sforzi globali per ridurre le emissioni di gas a effetto serra“, e in cui l’Ue ha incoraggiato la Cina a proporre un piano ambizioso per la riduzione delle emissioni fino al 2035 e ad aumentare i propri contributi finanziari internazionali, “in linea con le sue dimensioni e la sua responsabilità globale”.

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    “Cambiamo insieme il Wto”. L’invito dell’Ue al Giappone (in senso anti-Trump)

    Bruxelles – “Possiamo cambiare le regole dell’Organizzazione mondiale per il commercio (Wto), così da rispondere alle sfide di oggi e di domani”. E’ la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, a offrire il senso politico, che poi è geo-strategico, del summit Ue-Giappone ospitato dal partner asiatico. La dichiarazione finale serve a ribadire la volontà di una maggiore cooperazione bilaterale, ma il documento è anche un manifesto dichiaratamente anti-Trump.Contro le iniziative anti-commerciali dell’attuale amministrazione degli Stati Uniti, recita il documento, “riaffermiamo l’importanza della cooperazione Ue-Giappone per sostenere il sistema commerciale multilaterale libero e basato su regole con l’Organizzazione mondiale del commercio (Omc, o Wto) al suo centro“. Ed è qui che arriva la specifica di von der Leyen, che fa leva sul ruolo politico del Giappone in veste di membro dell’Accordo globale e progressivo per il partenariato transpacifico (CPTPP), l’area di libero scambio che comprende Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Peru, Singapore e Vietnam.La Bce: “Con la Cina nel Wto meno democrazia nel mondo in nome del commercio, ma l’Ue ha le sue colpe”“Insieme, l’Ue e i paesi aderenti al CPTPP possono guidare una riforma significativa dell’Organizzazione mondiale del commercio, in modo che le regole del commercio globale riflettano le sfide odierne e i rischi futuri”, insiste von der Leyen. E’ questa la chiamata alle armi per un nuovo ordine globale che sia chiaro, certo, e prevedibile, ora più  che mai.La riforma del Wto è un obiettivo strategico per l’Unione europea, fissato nell’agenda politica a dodici stelle ormai da anni, e con cui, da più tempo ancora, ragiona sempre con Tokyo. Ora è il momento di rilanciare il processo, come conferma anche il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa: “Siamo uniti nel difendere un ordine economico prevedibile e basato su regole“. E’ questo un passaggio chiave, che è un messaggio contro l’approccio dell’America di Trump, a cui l’Ue risponde con una presa di distanze. E non finisce qui, perché, spiega ancora Costa, “in un mondo di crescente incertezza, stiamo anche intensificando gli sforzi congiunti per rafforzare la sicurezza e la resilienza economica”. Da sinistra: il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, il primo ministro del Giappone, Shigeru Ishiba, e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen [Tokyo, 23 luglio 2025]Ue e Giappone sono decisi ad approfondire le relazioni bilaterali già esistenti, che riguardano commercio, materie prime, e soprattutto difesa. E’ previsto per il prossimo anno il primo dialogo sulla difesa Ue-Giappone, oltre al lancio di una piattaforma industriale del settore. La base di aziende del comparto di entrambe le parti sarà dunque rilanciata, perché, questo il sentore comune, una maggiore sicurezza nippo-europea contribuisce ad una maggiore stabilità della regione dell’indo-pacifico cara al Giappone come all’Europa.“Relazioni forti e stabili trar Unione europea e Giappone sono essenziali per mantenere e rafforzare un ordine internazionale libero e aperto basato sulle regole e sullo stato di diritto”, sottolinea il primo ministro giapponese, Shigeru Ishiba. Una visione che vale soprattutto per gli aspetti economico-commerciali. “Siamo d’accordo a lavorare insieme per mantenere e rafforzare il sistema basato sulle regole”, che passa attraverso “il multilateralismo con il Wto al centro” di questo ordine. La sfida a Trump è dunque lanciata, mentre viene rilanciata l’agenda di riforma dell’organizzazione mondiale per il commercio.

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    I vertici Ue a Tokyo, Trump annuncia un accordo sui dazi con il Giappone. È la corsa ad un nuovo ordine mondiale del commercio

    Bruxelles – Meno dazi e più commercio: l’Unione europea vuole trovare in Asia alternative commerciali agli Stati Uniti, che però nel continente arrivano prima degli europei. L’Ue ha capito che occorre darsi da fare, ma gli Usa sembrano aver giocato d’anticipo. Nel momento in cui i presidenti di Commissione e Consiglio europeo, Ursula von der Leyen e Antonio Costa, mettono piede in Giappone, proprio con Tokyo la Casa Bianca annuncia l’intesa per nuove relazioni commerciali. In estrema sintesi: per i beni giapponesi dazi ‘solo’ del 15 per cento, ma opportunità di investimento giapponese negli Usa per 550 miliardi di dollari.Le mosse dell’amministrazione Trump intendono creare una concorrenza tutta nuova che va nella direzione di un senso anti-europeo, in un momento in cui l’Ue tenta la penetrazione commerciale mondiale per stessa ammissione di von der Leyen. “Stiamo ovviamente lavorando per ristabilire il nostro partenariato commerciale con gli Stati Uniti su basi più solide, ma sappiamo anche che l’87 per cento del commercio globale avviene con altri Paesi, molti dei quali alla ricerca di stabilità e opportunità”, afferma la presidente dell’esecutivo comunitario nel discorso pronunciato in occasione del conferimento della laurea honoris causa dell’università di Keio. In questa corsa l’annuncio di Trump brucia sui tempi l’Ue, con le ripercussioni del caso.Se il Giappone cede all’intesa con Trump gli europei potrebbero correre il rischio di aver già perso un potenziale alleato nella nuova idea di commercio del futuro. “Sia l’Europa che il Giappone vedono un mondo tutto intorno a sé in cui gli istinti protezionistici crescono, le debolezze vengono trasformate in armi e ogni dipendenza viene sfruttata”, ragiona a voce alta von der Leyen, convinta che “è quindi normale che due partner con idee simili si uniscano per rafforzarsi a vicenda”. Però il governo giapponese potrebbe averla smentita, con la complicità dell’azione di governo di Trump.In America latina l’Ue è arrivata tardi e male, e ora sconta la forte presenza della CinaLa Commissione europea e la sua presidente hanno certamente goduto di un vantaggio di qualche mese. Prima dell’insediamento di Trump sono state raggiunte intese commerciali con i Paesi dell’area Mercosur (Argentina, Bolivia, Brasile, Paraguay, Uruguay) e con il Messico, chiusi entrambi proprio in previsione di un ritorno dell’attuale presidente degli Stati Uniti alla guida del Paese. Due colpi messi a segno in quella che gli Usa storicamente e tradizionalmente considerano una propria zona di interesse, se non di influenza. Ora che Trump è saldamente al suo posto l’Ue ha perso il vantaggio iniziale, e il colpo affondato sotto il naso degli europei proprio con i vertici Ue presenti sul posto ne è la riprova.C’è molto da perdere, e von der Leyen ne è ben consapevole: “Sono convinta che il periodo in cui ci troviamo ora, e il modo in cui lo gestiamo, definirà il resto di questo secolo“, la considerazione offerta al pubblico dell’università di Keio. L’America di Trump continua a marciare e conquistare terreno, gettando le basi per questo nuovo ordine, che però non è quello che hanno in mente gli europei. Von der Leyen non si arrende, e prova a far ragionare i partner: “Non possiamo accettare di cadere nella fallacia che le cose torneranno come prima, se solo una guerra in una regione finisse, o un accordo tariffario venisse raggiunto o un’elezione andasse diversamente la prossima volta”. Peccato che Trump annunci un accordo Usa-Giappone, mentre l’Ue deve attendere.

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    Summit Ue-Cina, l’Europa prova a giocare la carta asiatica contro gli Usa di Trump

    Bruxelles – Alla ricerca di cooperazione con la Cina, ma pronti a fare a meno di Pechino se le relazioni non saranno possibili. L’Unione europea intravede nella Repubblica popolare la risposta all’America di Trump, in un vertice bilaterale che arriva in una congiuntura tanto delicata quanto potenzialmente strategica. I presidenti di Commissione e Consiglio europeo, Ursula von der Leyen e Antonio Costa, si recheranno in Asia la prossima settimana (24 e 25 luglio) per cercare di ridefinire relazioni con la Cina nel doppio tentativo di scrivere un nuovo capitolo di scambi commerciali e dotarsi di una leva di pressione per rispondere ai dazi Usa.La missione non è di quelle semplici, e a Bruxelles lo sanno bene. La Cina è un interlocutore scomodo, spigoloso, al cospetto del quale l’Ue si presenta oltretutto in una posizione poco confortevole e ancor meno invidiabile: il Paese è definito chiaramente una minaccia per l’Unione europea, i suoi interessi e la sua sicurezza, ed è stato inserito nella lista dei ‘cattivi’, ma si va a chiedere una sponda per uscire dall’angolo in cui la Casa Bianca ha spinto gli europei.Il freddo riavvicinamento tra Ue e Cina. Von der Leyen: “Rapporto complesso che dobbiamo far funzionare”Ci sono tensioni commerciali tra Bruxelles e Pechino: i dazi europei sull’auto elettrica cinese, la sovra-produzione cinese di acciaio con cui inonda i mercati globali di prodotti a basso costo e che si intreccia con le restrizioni imposte dagli Stati Uniti sullo stesso prodotto. E poi c’è la questione delle reciprocità, regole del gioco che sono ancora troppo diverse. La Cina non permette l’ingresso all’interno del proprio mercato, e distorce quello globale con sussidi pubblici. Ciò nonostante si vuole cogliere l’occasione del 25esimo summit Ue-Cina per provare quanto meno a gettare le basi per un nuovo corso, e dare anche messaggi a Trump.Von der Leyen e Costa andranno a Pechino da Xi Jinping (presidente) e Li Qiang (primo ministro) “con uno spirito positivo e costruttivo”, ammettono a Bruxelles. Del resto non avrebbe senso tenere un summit se le aspettative fossero minime e anche meno di minime. “Non siamo pronti a compromessi su valori, ma siamo pronti a commerciare se ce ne sono le condizioni“, ammettono gli addetti ai lavori a Bruxelles. “Ribadiremo che siamo un partner affidabile”, sottolineano funzionari Ue. L’obiettivo è segnare distanze e differenze con gli Stati Uniti. Certo, reciprocità e nessuna distorsione del mercato restano gli obiettivi da raggiungere, in assenza dei quali l’Ue è pronta a cercare altri mercati. “Diversificazione, e non riduzione dei rischi, è l’approccio da tenere con la Cina” in questo momento.Von der Leyen ora guarda a est: India e Cina come alternativa all’America di TrumpLo dimostra il summit con il Giappone che anticipa quello con la Cina. Von der Leyen e Costa voleranno prima a Tokyo (23 luglio) per discutere di tre argomenti principali di cooperazione: sicurezza e difesa, commercio e sicurezza economica, difesa del multilateralismo e dell’ordine internazionale fondato su regole. Gli ultimi due punti sono sempre in funzione di una risposta alle politiche degli Stati Uniti. Una logica che stride con la visita che seguirà a Pechino. Il summit Ue-Giappone sarà l’occasione per “fare pressione” sulla Repubblica popolare, ammettono a Bruxelles, su temi come ordine mondiale e regionale e divieto di sostegno alla Russia. Cose che non faranno piacere alla leadership cinese, mai favorevole a ingerenze nelle decisioni interne e alla manovre su un quadrante di mondo dove gli interessi del Dragone non sono pochi.Non c’è solo Taiwan nelle mire della Cina, che considera l’isola come parte del Paese. Nel mar cinese meridionale le isole Spratly sono oggetto di contese sino-filippine. De facto nella zona economica esclusiva di Manila,  per le contestazioni di Pechino. L’Ue ha rilanciato il partenariato con le Filippine, senza riconoscere le rivendicazioni territoriali cinesi, e di fatto riconoscendo le ragioni dell’altro. Un altro elemento che può essere usato contro l’Ue.

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    Ucraina, la Slovacchia continua a mettersi di traverso sulle sanzioni alla Russia

    Bruxelles – Fumata nera per il 18esimo pacchetto di sanzioni contro Mosca. A ritardare l’adozione delle nuove misure restrittive, che l’Alta rappresentante Kaja Kallas sperava di finalizzare durante il Consiglio Affari esteri di ieri, è ancora una volta la Slovacchia di Robert Fico. Bratislava non è soddisfatta delle rassicurazioni offerte dalla Commissione sulle forniture di gas russo, che l’esecutivo comunitario vuole bandire entro la fine del 2027.La lettera inviata ieri (15 luglio) dal Berlaymont, e firmata da Ursula von der Leyen in persona, “non offre alla Slovacchia garanzie sufficienti” rispetto alla questione cruciale dell’approvvigionamento di gas a basso costo dalla Russia. Con queste parole, condivise sui social il giorno stesso, il primo ministro Robert Fico ha chiuso la porta alle discussioni sul 18esimo pacchetto di sanzioni contro il Cremlino, allungando un braccio di ferro politico che si trascina da mesi.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas, sperava che l’adozione del nuovo round di misure restrittive – presentato dall’esecutivo a dodici stelle a inizio giugno – potesse avvenire durante la riunione dei ministri degli Esteri dei Ventisette svoltasi ieri a Bruxelles. Ma dovrà aspettare ancora.Il primo ministro slovacco Robert Fico (sinistra) e il presidente russo Vladimir Putin (foto: Gavriil Grigorov/Afp via Sputnik)Fico giustifica l’opposizione slovacca sulla base di preoccupazioni per la sicurezza energetica di Bratislava. Di fatto, il premier nazional-populista (uno dei più stretti alleati di Vladimir Putin in Europa, insieme all’omologo ungherese Viktor Orbán) sta legando l’adozione delle sanzioni contro Mosca – che richiedono l’unanimità – alla transizione energetica dell’Ue nel quadro della strategia RePower Eu.Il piano di Bruxelles – definito “assurdo” da Fico – prevede il graduale abbandono (phase out) delle fonti fossili importate dalla Federazione entro il 2028, incluso il gas naturale, con una decisione che andrà presa a maggioranza qualificata dagli Stati membri (e che, pertanto, Fico non riuscirebbe a bloccare).Il premier slovacco ha puntato i piedi durante il vertice Ue di giugno, chiedendo garanzie per tutelare la sua economia, fortemente dipendente dalle importazioni di gas russo. Ma continua a dichiararsi aperto a negoziare un accordo che possa “garantire un certo livello di comfort” al Paese mitteleuropeo. Se Bratislava riceverà rassicurazioni accettabili circa la mitigazione dell’impatto del phase out, dice, non bloccherà più l’adozione delle sanzioni.La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (foto: Dati Bendo/Commissione europea)La soluzione preferita da Fico sarebbe un’esenzione nazionale fino al 2034, data in cui scadrà il contratto di forniture a lungo termine siglato con Gazprom, il colosso dell’energia russo di proprietà statale. In caso contrario, sostiene, Bratislava dovrà affrontare una causa legale e potrebbe dover pagare una multa fino a 20 miliardi di euro. Ma la Commissione non ne vuole sapere e fa notare che i divieti legali imposti a livello Ue possono essere fatti valere come cause di forza maggiore in sede di contenzioso con Gazprom.Per tendere una mano verso il governo slovacco, von der Leyen ha proposto di creare una task force per esaminare le necessità del Paese e monitorarne la transizione verde, coadiuvando Bratislava nell’escogitare e implementare soluzioni tecniche, economiche e normative di vario genere, inclusi un utilizzo più flessibile degli aiuti di Stato ed il ricorso ai fondi europei per compensare le perdite dovute al phase out e alla diversificazione energetica. Inoltre, ha ribadito la possibilità di ricorrere ad un “freno d’emergenza” per sospendere temporaneamente l’applicazione del divieto d’importazione del gas nel caso in cui si raggiungano picchi estremi dei prezzi.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Consiglio europeo)Tutte proposte rispedite al mittente da Fico, i cui partner di coalizione in patria si sarebbero categoricamente opposti alle aperture di Bruxelles, per la frustrazione di von der Leyen e Kallas. L’ex premier estone ha dichiarato ieri di essere “davvero triste” di non aver raggiunto l’accordo e ribadito che “eravamo davvero vicini a convincere la Slovacchia“, sottolineando che “questi negoziati vanno avanti da parecchio tempo” e puntando il dito contro l’atteggiamento ostruzionista del governo di Bratislava che, lamenta, presenta continuamente nuove condizioni. “Ora la palla è nel campo della Slovacchia”, ha aggiunto.Le discussioni tecniche, a livello di ambasciatori al Coreper, stanno proseguendo oggi. La speranza è di trovare una quadra entro la fine della settimana: “Sono ottimista e ancora fiduciosa” che si raggiungerà una conclusione oggi, ha affermato ieri Kallas. Forse una spinta al premier slovacco potrebbe arrivare dall’annunciata intenzione della Casa Bianca di Donald Trump di imporre pesanti “tariffe secondarie” a tutti i partner commerciali di Mosca se non ci saranno progressi nei negoziati con l’Ucraina nei prossimi 50 giorni.

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    L’Ue concluderà un accordo di libero scambio con l’Indonesia entro settembre

    Bruxelles – Incapace di fare la voce grossa nel braccio di ferro sui dazi commerciali con Donald Trump, l’Unione europea ha individuato due strade per non uscirne con le ossa rotte: da un lato l’approfondimento del mercato unico da un lato, dall’altro la ricerca spasmodica di nuove partnership commerciali. In America Latina e nei Caraibi, in Asia Centrale e in Australia, Bruxelles cerca di tessere una tela di accordi di libero scambio. Ieri (13 luglio) un nuovo tassello: l’obiettivo è finalizzare entro settembre un accordo di partenariato economico globale con l’Indonesia.L’hanno annunciato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente della Repubblica d’Indonesia, Prabowo Subianto. I negoziati erano in corso da 10 anni, ma la guerra commerciale globale scatenata da Trump ne ha imposto una decisa accelerazione. Se l’Ue rischia dazi del 30 per cento a partire dal primo agosto, all’Indonesia non è andata meglio: nella ‘letterina’ arrivata da Washington, all’arcipelago del sud-est asiatico sono stati annunciate tariffe del 32 per cento.Prabowo Subianto e Ursula von der Leyen a Bruxelles, 13/07/25“In tempi di sfide globali come questi, i partner devono stringere i loro legami”, ha sottolineato von der Leyen a margine dell’accordo politico raggiunto con Subianto. II Cepa (Accordo di partenariato economico globale) promuoverà il commercio e gli investimenti tra Bruxelles e Giacarta e sosterrà la cooperazione sulle materie prime critiche, estratte in gran quantità nelle isole vulcaniche della Repubblica d’Indonesia. “L’accordo aprirà nuovi mercati e creerà migliori opportunità per le nostre imprese. Contribuirà inoltre a rafforzare le catene di approvvigionamento di materie prime essenziali, fondamentali per l’industria europea delle tecnologie pulite e dell’acciaio“, ha affermato la leader Ue.Per il presidente indonesiano l’accordo “non riguarda solo il commercio, ma anche l’equità, il rispetto e la costruzione di un futuro forte insieme”. L’Indonesia, con un Pil di 1.200 miliardi di euro, è divenuta rapidamente una delle maggiori economie globali, oltre ad essere la terza democrazia più grande al mondo e il quarto Paese per popolazione. Un gigante della regione, che rappresenta più di un terzo del Pil dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (Asean). Ma se l’Ue è il quinto partner commerciale per l’Indonesia in termini di scambio di beni e servizi, viceversa Giacarta è solo al 33esimo posto nella classifica di Bruxelles. L’anno scorso, l’Ue ha esportato beni per 9,7 miliardi di euro in Indonesia, importando invece per un totale di 17,5 miliardi di euro.L’Indonesia e il nodo deforestazioneDa Giacarta arrivano soprattutto prodotti agricoli e materie prime. Olio di palma, caffè, cacao, ma anche carbone, stagno, gomma. Prodotti che arrivano dalle foreste pluviali del Borneo, di Sumatra, di Sulawesi: quel che non dice von der Leyen è che l’Indonesia ha un tasso di deforestazione tra i più alti al mondo, in aumento costante negli ultimi anni. Dal 1990, il Paese ha perso circa il 25 per cento delle sue foreste secolari e secondo l’ong Global Forest Watch, dal 2001 al 2024 il 76 per cento della perdita di copertura arborea è legata ad attività di deforestazione. La distruzione delle foreste è dovuta appunto principalmente all’attività mineraria, alla produzione di olio di palma e al commercio di legname.L’Indonesia non è tuttavia stata inserita nella lista dei Paesi ad alto rischio di deforestazione, stilata da Bruxelles come previsto dal regolamento Eudr sulla deforestazione importata. Nell’elenco ci sono solo Russia, Bielorussia, Corea del Nord e Myanmar. Nei loro confronti l’Ue rafforzerà, a partire dal 30 dicembre 2025, i controlli alle importazioni di prodotti come carne bovina, cacao, caffè, olio di palma, gomma, soia e legno.