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    Clima, al via la COP30 in Brasile. L’ONU avverte: “Impossibile c’entrare gli obiettivi di Parigi”

    Bruxelles – I leader mondiali sono arrivati a Belém per dare il via alla 30esima edizione della Conferenza delle Nazioni Unite sul clima. La COP30, ospitata dal presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, inizierà formalmente i lavori il prossimo 10 novembre e si concluderà il 21, ma oggi e domani (6-7 novembre) i capi di Stato e di governo si incontreranno nella città ai margini della foresta amazzonica per una serie di dibattiti, bilaterali e sessioni tematiche.Tra i presenti, diversi pesi massimi del Vecchio continente. Fra gli altri, ci saranno il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Friedrich Merz e il primo ministro britannico Keir Starmer, mentre il club a dodici stelle è rappresentato da un trio: il numero uno del Consiglio europeo, António Costa, il capo dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, e il ministro danese al Clima Lars Aagaard per la presidenza del Consiglio Ue.Ma ci sono anche assenze di peso. Su tutte, quelle del presidente statunitense Donald Trump, dei suoi omologhi cinese e russo, Xi Jinping e Vladimir Putin, nonché del premier indiano Narendra Modi, cioè i leader di quattro tra i principali inquinatori mondiali. Solo una sessantina dei Paesi partecipanti alla conferenza ha inviato delegazioni al massimo livello. Per l’Italia c’è il ministro degli Esteri, Antonio Tajani.We’re together in Belém with @antonioguterres.You’ve always spoken up for our planet and we thank you for that.Europe comes to Belém with our clear climate goals and our solidarity for those most at risk.The world needs strong multilateral action to face the climate… pic.twitter.com/g90CWKpyYb— António Costa (@eucopresident) November 6, 2025Eppure l’urgenza per cambiare rotta non è mai stata tanta. La doccia fredda è arrivata questa settimana da parte dell’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM), un’agenzia delle Nazioni Unite che ha pubblicato i dati che mostrano come il 2023, il 2024 e il 2025 saranno i tre anni più caldi mai registrati da quando esistono le rilevazioni (cioè da 176 anni), continuando un trend almeno decennale.Echeggiando dichiarazioni diffuse nei giorni precedenti da altri enti dell’ONU, l’OMM ha anche riconosciuto che è ormai “praticamente impossibile” limitare il riscaldamento globale a 1,5ºC rispetto ai livelli del 1990, come prescritto dall’Accordo di Parigi del 2015. Stando ai calcoli dell’UNEP (il Programma per l’ambiente dell’ONU), attualmente il mondo va verso un innalzamento medio delle temperature compreso tra i 2,3 e i 2,5ºC, un livello che secondo gli esperti provocherà un aumento massiccio degli eventi meteorologici estremi e danni devastanti a molti ecosistemi naturali.Una critica sferzante è arrivata dal Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, che insieme a Lula co-presiede la conferenza. Il capo dell’ONU ha puntato il dito contro i leader mondiali, colpevoli di non aver dato seguito agli impegni sottoscritti dieci anni fa poiché “prigionieri degli interessi radicati” di aziende e lobby che “stanno realizzando profitti record grazie alla devastazione climatica“. Il padrone di casa ha inaugurato quella che definisce “la COP della verità“, ammonendo che la “finestra di opportunità” per agire “si sta chiudendo” ed evidenziando la necessità di “invertire la deforestazione e superare la dipendenza dai combustibili fossili“.La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva (foto: Dati Bendo/Commissione europea)Parlando alla sessione plenaria al fianco di Costa, von der Leyen ha esortato i leader a “triplicare le energie rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030“, mantenendo gli obiettivi di Parigi e “le promesse fatte ai Paesi più vulnerabili agli effetti devastanti dei cambiamenti climatici”. Stasera, il presidente del Consiglio europeo interverrà alla sessione tematica dedicata a foreste e oceani, mentre il capo dell’esecutivo Ue prenderà la parola domani durante il panel su transizione energetica e decarbonizzazione dell’industria.Per volere degli stessi organizzatori, la COP30 non dovrà rappresentare un palcoscenico per nuove altisonanti promesse bensì, piuttosto, concentrarsi sull’implementazione degli impegni assunti fin qui. L’iniziativa degna di maggior rilievo è il lancio del Tropical forest forever fund (TFFF), un fondo globale per la tutela delle foreste tropicali col quale il Brasile mira a mobilitare 125 miliardi di dollari (25 dagli erari statali e gli altri 100 da investitori privati). Per il momento, tuttavia, né l’Ue né il Regno Unito parteciperanno a questo ennesimo strumento di green finance.La presidenza brasiliana ha articolato i lavori intorno a sei pilastri principali. Si parlerà di transizione energetica, industriale e dei trasporti; di gestione delle foreste, degli oceani e della biodiversità; della trasformazione dell’agricoltura e dei sistemi alimentari; della resilienza di città, infrastrutture e risorse idriche; della promozione dello sviluppo umano e sociale; e, infine, dei cosiddetti “acceleratori“, cioè quegli elementi che possono facilitare i progressi in tutti i precedenti ambiti anche sui versanti finanziario, tecnologico e logistico.Il logo della COP30 di Belém (foto: Dati Bendo/Commissione europea)L’Ue arriva alle discussioni di Belém con una posizione meno ambiziosa rispetto al quinquennio precedente, caratterizzato dall’adozione del Green deal. Per quanto von der Leyen definisca quello raggiunto ieri al Consiglio Ambiente un “risultato storico” per la riduzione delle emissioni di CO2, in realtà i Ventisette hanno fissato dei target più modesti rispetto alla proposta originaria della Commissione: una forbice tra il 66,25 e il 72,5 per cento da qui al 2035, per poi salire all’85 per cento entro il 2040.Del resto, è l’intera politica climatica internazionale a trovarsi in serie difficoltà in questa fase storica. La forte crescita elettorale dei movimenti populisti, scettici o apertamente negazionisti nei confronti del cambiamento climatico, combinata con una generalizzata contrazione dell’economia mondiale, ha portato molte cancellerie a rimangiarsi gli impegni presi di recente. Particolarmente pesante in questo senso il voltafaccia di Washington: oggi Trump sta facendo uscire (di nuovo) gli Usa dal trattato di Parigi, nonostante sia stata proprio l’amministrazione a stelle e strisce a fornire la spinta diplomatica decisiva per concluderlo.

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    Clima, al via la COP30 in Brasile. L’ONU avverte: “Impossibile centrare gli obiettivi di Parigi”

    Bruxelles – I leader mondiali sono arrivati a Belém per dare il via alla 30esima edizione della Conferenza delle Nazioni Unite sul clima. La COP30, ospitata dal presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, inizierà formalmente i lavori il prossimo 10 novembre e si concluderà il 21, ma oggi e domani (6-7 novembre) i capi di Stato e di governo si incontreranno nella città ai margini della foresta amazzonica per una serie di dibattiti, bilaterali e sessioni tematiche.Tra i presenti, diversi pesi massimi del Vecchio continente. Fra gli altri, ci saranno il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Friedrich Merz e il primo ministro britannico Keir Starmer, mentre il club a dodici stelle è rappresentato da un trio: il numero uno del Consiglio europeo, António Costa, il capo dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, e il ministro danese al Clima Lars Aagaard per la presidenza del Consiglio Ue.Ma ci sono anche assenze di peso. Su tutte, quelle del presidente statunitense Donald Trump, dei suoi omologhi cinese e russo, Xi Jinping e Vladimir Putin, nonché del premier indiano Narendra Modi, cioè i leader di quattro tra i principali inquinatori mondiali. Solo una sessantina dei Paesi partecipanti alla conferenza ha inviato delegazioni al massimo livello. Per l’Italia c’è il ministro degli Esteri, Antonio Tajani.We’re together in Belém with @antonioguterres.You’ve always spoken up for our planet and we thank you for that.Europe comes to Belém with our clear climate goals and our solidarity for those most at risk.The world needs strong multilateral action to face the climate… pic.twitter.com/g90CWKpyYb— António Costa (@eucopresident) November 6, 2025Eppure l’urgenza per cambiare rotta non è mai stata tanta. La doccia fredda è arrivata questa settimana da parte dell’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM), un’agenzia delle Nazioni Unite che ha pubblicato i dati che mostrano come il 2023, il 2024 e il 2025 saranno i tre anni più caldi mai registrati da quando esistono le rilevazioni (cioè da 176 anni), continuando un trend almeno decennale.Echeggiando dichiarazioni diffuse nei giorni precedenti da altri enti dell’ONU, l’OMM ha anche riconosciuto che è ormai “praticamente impossibile” limitare il riscaldamento globale a 1,5ºC rispetto ai livelli del 1990, come prescritto dall’Accordo di Parigi del 2015. Stando ai calcoli dell’UNEP (il Programma per l’ambiente dell’ONU), attualmente il mondo va verso un innalzamento medio delle temperature compreso tra i 2,3 e i 2,5ºC, un livello che secondo gli esperti provocherà un aumento massiccio degli eventi meteorologici estremi e danni devastanti a molti ecosistemi naturali.Una critica sferzante è arrivata dal Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, che insieme a Lula co-presiede la conferenza. Il capo dell’ONU ha puntato il dito contro i leader mondiali, colpevoli di non aver dato seguito agli impegni sottoscritti dieci anni fa poiché “prigionieri degli interessi radicati” di aziende e lobby che “stanno realizzando profitti record grazie alla devastazione climatica“. Il padrone di casa ha inaugurato quella che definisce “la COP della verità“, ammonendo che la “finestra di opportunità” per agire “si sta chiudendo” ed evidenziando la necessità di “invertire la deforestazione e superare la dipendenza dai combustibili fossili“.La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva (foto: Dati Bendo/Commissione europea)Parlando alla sessione plenaria al fianco di Costa, von der Leyen ha esortato i leader a “triplicare le energie rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030“, mantenendo gli obiettivi di Parigi e “le promesse fatte ai Paesi più vulnerabili agli effetti devastanti dei cambiamenti climatici”. Stasera, il presidente del Consiglio europeo interverrà alla sessione tematica dedicata a foreste e oceani, mentre il capo dell’esecutivo Ue prenderà la parola domani durante il panel su transizione energetica e decarbonizzazione dell’industria.Per volere degli stessi organizzatori, la COP30 non dovrà rappresentare un palcoscenico per nuove altisonanti promesse bensì, piuttosto, concentrarsi sull’implementazione degli impegni assunti fin qui. L’iniziativa degna di maggior rilievo è il lancio del Tropical forest forever fund (TFFF), un fondo globale per la tutela delle foreste tropicali col quale il Brasile mira a mobilitare 125 miliardi di dollari (25 dagli erari statali e gli altri 100 da investitori privati). Per il momento, tuttavia, né l’Ue né il Regno Unito parteciperanno a questo ennesimo strumento di green finance.La presidenza brasiliana ha articolato i lavori intorno a sei pilastri principali. Si parlerà di transizione energetica, industriale e dei trasporti; di gestione delle foreste, degli oceani e della biodiversità; della trasformazione dell’agricoltura e dei sistemi alimentari; della resilienza di città, infrastrutture e risorse idriche; della promozione dello sviluppo umano e sociale; e, infine, dei cosiddetti “acceleratori“, cioè quegli elementi che possono facilitare i progressi in tutti i precedenti ambiti anche sui versanti finanziario, tecnologico e logistico.Il logo della COP30 di Belém (foto: Dati Bendo/Commissione europea)L’Ue arriva alle discussioni di Belém con una posizione meno ambiziosa rispetto al quinquennio precedente, caratterizzato dall’adozione del Green deal. Per quanto von der Leyen definisca quello raggiunto ieri al Consiglio Ambiente un “risultato storico” per la riduzione delle emissioni di CO2, in realtà i Ventisette hanno fissato dei target più modesti rispetto alla proposta originaria della Commissione: una forbice tra il 66,25 e il 72,5 per cento da qui al 2035, per poi salire all’85 per cento entro il 2040.Del resto, è l’intera politica climatica internazionale a trovarsi in serie difficoltà in questa fase storica. La forte crescita elettorale dei movimenti populisti, scettici o apertamente negazionisti nei confronti del cambiamento climatico, combinata con una generalizzata contrazione dell’economia mondiale, ha portato molte cancellerie a rimangiarsi gli impegni presi di recente. Particolarmente pesante in questo senso il voltafaccia di Washington: oggi Trump sta facendo uscire (di nuovo) gli Usa dal trattato di Parigi, nonostante sia stata proprio l’amministrazione a stelle e strisce a fornire la spinta diplomatica decisiva per concluderlo.

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    Von der Leyen cerca supporto sugli asset russi al Consiglio nordico, dove Mosca è una “minaccia reale”

    Bruxelles – Un confine lungo 1.340 chilometri tra Finlandia e Russia, e un mare – quello di Barents – teatro di imponenti esercitazioni militari da parte di Mosca, fanno dei Paesi scandinavi la prima linea europea quando si tratta di preparazione alle minacce esterne. È lì, al Consiglio Nordico, che la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen cerca conferme alle ultime proposte per accelerare il riarmo del continente e rafforzare il sostegno all’Ucraina. A partire dal piano per utilizzare i 180 miliardi degli asset congelati russi per coprire gli urgenti bisogni finanziari di Kiev. Un piano che procede a rilento, e che rischia di complicare non poco le cose.Von der Leyen ha partecipato alla giornata inaugurale del 77esimo Consiglio Nordico, forum di cooperazione interparlamentare che riunisce Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia e tre territori autonomi di Groenlandia, Isole Fær Øer e Isole Åland. Al Parlamento di Stoccolma, ha incontrato i primi ministri dei Paesi della regione. Una regione che ha definito “la stella polare dell’Europa”, in termini di “prontezza e preparazione attraverso tutta la società”, e nella capacità di “monitoraggio dell’Artico a nord e di deterrenza di un vicino ostile a est”.Nella conferenza stampa congiunta insieme ai leader del Consiglio Nordico, il focus non poteva che essere sulla minaccia russa. “La guerra in Ucraina ha reso la nostra regione un punto caldo”, ha sottolineato il premier finlandese Petteri Orpo. Helsinki, oggetto delle mire imperialiste di Mosca per secoli, fa nomi e cognomi: “La Russia è la minaccia numero uno. Quando la guerra in Ucraina finirà, la Russia sposterà le sue forze militari al di là del nostro confine. È una minaccia reale per noi“, ha indicato chiaramente Orpo.La conferenza stampa congiunta dei leader del Consiglio nordico con la presidente della Commissione europea, Ursula von der LeyenI test nucleari che hanno coinvolto le forze aeree, navali e di terra russe pochi giorni fa, fanno parte di “una lunga tradizione che la Norvegia segue molto da vicino”, ha affermato il premier norvegese, Jonas Gahr Støre. I norvegesi, ha insistito, vivono a “100 chilometri dal più grande arsenale nucleare del mondo”. Il Consiglio Nordico “non ha paura, ma siamo preparati”, ha concluso Gahr Støre.Il vero dibattito, è sullo stallo sulla proposta di utilizzare gli asset della Banca Centrale Russa per finanziare un prestito di riparazione all’Ucraina, che copra i bisogni macro-finanziari del Paese in conflitto per i prossimi due anni. Nonostante il flop del Consiglio europeo, von der Leyen cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno: i leader “si sono impegnati a coprire il fabbisogno finanziario dell’Ucraina per il 2026-27“, ha sottolineato. Ma nelle conclusioni del vertice figura solo la generica richiesta di esplorare opzioni, e nessun riferimento al lavoro sugli asset russi. Inviso soprattutto al Belgio, che ne detiene la stragrande maggioranza.Dal Consiglio Artico invece, l’endorsement al lavoro sul ‘prestito di riparazione’ è totale. È “l’unica soluzione ragionevole”, ha affermato Orpo. “Non ci sono alternative”, gli ha fatto eco Mette Frederiksen, premier della Danimarca. La Commissione europea potrà contare su Svezia, Finlandia e Danimarca quando, al prossimo vertice di dicembre, i capi di stato e di governo dell’Ue dovranno per forza esprimersi con chiarezza sulla proposta legislativa su cui sta lavorando l’esecutivo, che a quel punto rischia di essere già in ritardo.Anche perché nessuno dei nordici vuole sentire parlare dell’altra opzione verosimile. Quella di uno strumento di debito comune. E nemmeno la ricca Norvegia, che dell’UE non fa parte, sembra voler dare seguito all’ultima idea che circola a Bruxelles, cioè che proprio Oslo posa fare da garante al prestito all’Ucraina per rassicurare i più scettici.

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    UE-Cina ai ferri corti, Bruxelles prepara la risposta alle restrizioni di Pechino sulle terre rare

    Bruxelles – Una crisi dopo l’altra, ora “alle nostre porte“: il rischio è quello di uno stop all’approvvigionamento di materie prime critiche. A Bruxelles – e a Washington – è scattato l’allarme dopo che la Cina ha annunciato restrizioni sull’export di terre rare e tecnologie correlate. L’intesa sui dazi tra Trump e Xi Jinping, con Pechino che si sarebbe impegnata a rimandare di un anno l’entrata in vigore delle restrizioni, è una segnale di disgelo. Intanto, da questa parte dell’Atlantico, l’Unione europea affila le armi a sua disposizione.In un discorso tenuto sabato (25 ottobre) al Berlin Global Dialogue 2025, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha affermato: “Siamo pronti a utilizzare tutti gli strumenti a nostra disposizione per rispondere, se necessario”. La priorità – così com’è stata per mesi durante i negoziati per l’intesa sui dazi con Washington – è “cercare soluzioni con i nostri omologhi cinesi”. Ma un’altra capitolazione al volere di una grande potenza rischierebbe di essere fatale alla leader Ue. Che dunque non esclude di mettere sul tavolo quelle misure coercitive che invece aveva lasciato nel cassetto nelle trattative con l’alleato occidentale.In realtà, von der Leyen rivede nella decisione di Pechino il rischio di un ricatto simile a quello energetico subito dalla Russia di Vladimir Putin. L’UE è vulnerabile perché estremamente dipendente dalle importazioni cinesi di materie prime critiche, fondamentali per la doppia transizione verde e digitale, così come lo era dal gas di Mosca. “Se si considera che oltre il 90 per cento del nostro consumo di magneti in terre rare proviene dalle importazioni cinesi, si comprendono i rischi per l’Europa e i suoi settori industriali più strategici, dall’automobile ai motori industriali, passando per la difesa, l’aerospaziale, i chip per l’intelligenza artificiale e i centri dati”, ha ammesso nel suo intervento alla kermesse berlinese. Un “rischio significativo”, una “minaccia per la stabilità delle catene di approvvigionamento globali” che “avrà un impatto diretto sulle imprese europee”.Antonio Costa, Xi Jinping e Ursula von der Leyen al summit UE-Cina a Pechino, 24/07/25A disposizione di Bruxelles c’è il cosiddetto ‘bazooka’ europeo, lo strumento anti-coercizione entrato in vigore nel dicembre 2023 ma ancora mai utilizzato, che offre – in caso di minacce commerciali deliberate di Paesi terzi – un ventaglio di contromisure che vanno dall’imposizione di dazi alle restrizioni al commercio dei servizi e agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale, fino a restrizioni all’accesso agli investimenti diretti esteri e agli appalti pubblici. A soli tre mesi dal vertice UE-Cina in cui si sono celebrati i 50 anni delle relazioni diplomatiche tra Bruxelles e Pechino, l’ipotesi di utilizzare un tale strumento rende l’idea di quanto stia precipitando il rapporto con il gigante asiatico.Parallelamente, la Commissione europea avrebbe messo in cantiere un nuovo piano per affrontare la “sfida strutturale” dell’approvvigionamento di materie prime. Si chiamerà ‘ReSourceEU’, sulla falsa riga di quel ‘RePowerEU’ lanciato nel maggio 2022 per far fronte alla crisi dei prezzi dell’energia innescata dall’invasione russa in Ucraina. Sarà presentato “entro la fine dell’anno”, ha precisato un portavoce della Commissione europea. “L’obiettivo è garantire l’accesso a fonti alternative di materie prime essenziali a breve, medio e lungo termine per la nostra industria europea”, ha illustrato ancora von der Leyen. Il piano includerà misure per promuovere l’economia circolare, in modo da riutilizzare al meglio le materie prime essenziali già contenute nei prodotti venduti in Europa, acquisti collettivi e stoccaggio strategico. Inoltre, “accelereremo i lavori sui partenariati per le materie prime essenziali con paesi come Ucraina, Australia, Canada, Kazakistan, Uzbekistan, Cile o Groenlandia”, ha aggiunto la presidente dell’esecutivo Ue. Proprio il giorno prima, l’Ue ha siglato uno di questi accordi rafforzati (Epca) con l’Uzbekistan.Intanto questa mattina, a margine del vertice dei Paesi ASEAN a Kuala Lumpur, si è mosso anche il presidente del Consiglio europeo. In un bilaterale con il premier cinese Li Qiang, Antonio Costa ha sottolineato “l’importanza che l’Ue attribuisce a relazioni costruttive e stabili con la Cina” ed espresso “forte preoccupazione per l’estensione dei controlli sulle esportazioni di materie prime critiche e di beni e tecnologie correlati”. Costa ha invitato Pechino a “ripristinare quanto prima catene di approvvigionamento fluide, affidabili e prevedibili”. Giovedì 30 ottobre è attesa a Bruxelles una delegazione di tecnici del governo cinese per un incontro di alto livello sul tema con la Commissione europea.

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    Non solo asset russi immobilizzati, i leader chiedono “opzioni di sostegno” all’Ucraina

    Bruxelles – Alla fine sugli asset russi la montagna non ha prodotto neppure il più classico dei topolini. Sugli aiuti finanziari che l’Unione europea dovrebbe dare all’Ucraina il vertice dei capi di Stato e di governo dell’UE conferisce un mandato alla Commissione europea che è ridotto nella portata, nella definizione e nelle ambizioni iniziali. Si invita l’esecutivo comunitario a “presentare, il prima possibile, opzioni di sostegno finanziario basate su una valutazione delle esigenze” di Kiev. Così recitano le conclusioni di fine lavori relative all’Ucraina, dove non c’è alcun riferimento ai “flussi di cassa generati dagli asset finanziari congelati”, i proventi generati dai beni immobilizzati su suolo europeo.C’è un più generico riferimento a questo aspetto, il vero nodo di una questione giuridicamente e tecnicamente complicata, e questi riferimento si esaurisce nel principio per cui “fatto salvo il diritto dell’UE, i beni della Russia dovrebbero rimanere immobilizzati finché la Russia non cesserà la sua guerra di aggressione contro l’Ucraina e non la risarcirà per i danni causati dalla sua guerra”. L’idea di fondo di far pagare a Mosca di danni di riparazione non scompare, ma scompare per ora il ricorso ai profitti generati dai patrimoni fermi perché fermati.Alla fine, dunque, c’è un impegno politico che è frutto della necessità di ribadire un impegno a sostegno dell’Ucraina di Volodymyr Zelensky e mandare un messaggio alla Russia di Vladimir Putin. Un impegno che però è un rebus, perché queste opzioni che si chiedono al team von der Leyen non ci sono e andranno trovate, oltretutto in fretta, visto che i leader si attendono di poterne discutere già al prossimo vertice del Consiglio europeo di dicembre (18 e 19).Costa accoglie Zelensky al Consiglio Europeo. “Il futuro membro dell’Unione” soddisfatto delle nuove sanzioniIl presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, prova a spacciare il risultato come quel grande successo che alla fine non é: “L’Ucraina disporrà delle risorse finanziarie necessarie per difendersi dall’aggressione russa nel prossimo futuro”, scandisce al termine dei lavori. Probabilmente alla fine l’Europa troverò davvero una quadra e una soluzione, ma al momento così non è. Serve tempo per lavorare, e questo era emerso già prima del vertice dei leader. Al partner Zelensky che chiedeva di registrare progressi sul file, gli europei non potevano non dare qualcosa. Ma il Belgio frena. Del resto il grosso del patrimonio russo a cui eventualmente attingere è presso Euroclear, che custodisce 180 miliardi di euro, un cifra che induce il premier Bart De Wever a chiedere garanzie giuridiche inopponibili, con garanzia di mutualizzazione integrale dei rischi, l’impegno cioé che tutti gli altri Paesi UE forniscano sostegno e paracadute finanziario al Belgio. In assenza di questi aspetti si è scelto per la frenata. Le conclusioni alla fine fanno sì che l’UE ne esca con un timido accordo politico da finalizzare.Per Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea che ora dovrà mettersi al lavoro, quella sul prestito di riparazione da finanziare con i beni russi immobilizzati è stata “una discussione proficua” . Non si sbilancia, non offre anteprima, ma tiene a chiarire che in quello che arriverà sul tavolo “rispetteremo sempre il diritto europeo e internazionale”. Precisazioni non di circostanza, ma legate a un aspetto chiave nella strategia europea ancora tutta da mettere a punto. 

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    A Bruxelles il primo vertice UE-Egitto, pronto un prestito da 4 miliardi per il Cairo

    Bruxelles – L’Unione europea ha individuato nell’Egitto di Abdel Fattah al-Sisi il partner più fidato nella regione del Mediterraneo. “Il nostro partenariato è più forte che mai”, ha affermato Ursula von der Leyen, che insieme al presidente del Consiglio europeo Antonio Costa ha ospitato ieri a Bruxelles il leader egiziano. Al-sisi torna al Cairo con un prestito agevolato di 4 miliardi di euro, sovvenzioni per 75 milioni di euro e l’associazione dell’Egitto al programma UE di ricerca Horizon.I tre accordi sono stati siglati in occasione del primo vertice UE-Egitto. Sono i risultati del partenariato strategico firmato nel marzo 2024, un accordo di cooperazione monstre da 7,4 miliardi di euro, il più sostanzioso mai siglato da Bruxelles. Il prestito di 4 miliardi annunciato ieri è in realtà la seconda tranche dei 5 miliardi previsti di assistenza macrofinanziaria. Un sostegno al bilancio che – come denunciato da una parte del Parlamento europeo qualche mese fa – non prevederebbe alcuna condizionalità su eventuali progressi da compiere in materia di diritti umani e standard democratici. La prima tranche da 1 miliardo era stata approvata ed erogata con urgenza già nel dicembre dello scorso anno.Al-Sisi, Costa e von der Leyen assistono alla firma degli accordi in occasione del summit UE-Egitto, 22/10/25I due partner hanno definito in un protocollo d’intesa le riforme necessarie per la stabilità economica del Paese nordafricano, che si articolano su tre pilastri: promuovere la stabilità e la resilienza macroeconomica, migliorare il contesto imprenditoriale e rafforzare la competitività dell’Egitto, sostenendo al contempo la transizione verde del paese.Inoltre, l’UE garantirà al Cairo 75 milioni di euro in sovvenzioni per sostenere “iniziative chiave volte ad affrontare le sfide socioeconomiche e a promuovere la crescita inclusiva a livello locale”. Iniziative che riguardano l’accesso ai servizi di base di qualità – sanità, istruzione, acqua, servizi igienico-sanitari – e il rafforzamento delle reti di sicurezza sociale, in particolare per le donne e i giovani.Il terzo accordo formalizza l’associazione dell’Egitto a Horizon, il programma di ricerca dell’Ue. Bruxelles ha parallelamente annunciato altre operazioni di sostegno finanziario: 110,5 milioni di euro per promuovere lo sviluppo sostenibile, l’istruzione e le competenze, e il via libera ai principali progetti sulla gestione della migrazione finanziati con un pacchetto da 200 milioni di euro. Progetti per un’intensificazione della protezione delle frontiere, la cooperazione nella lotta ai trafficanti, l’aumento dei rimpatri e il sistema d’accoglienza del Paese nordafricano. E parallelamente dovrebbero agevolare percorsi di migrazione regolare.Costa ha sottolineato “l’impegno incrollabile e gli instancabili sforzi di mediazione” profusi da al-Sisi per raggiungere l’accordo per il cessate il fuoco a Gaza. Ed ha offerto al presidente egiziano il contributo dell’UE, “pronta ad aiutare, come ha fatto in passato, nella ripresa, nella ricostruzione e nel sostegno alle riforme”.

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    Bruxelles presenta il Patto per il Mediterraneo, von der Leyen: “È una chiara offerta ai nostri vicini”

    Bruxelles – La Commissione europea ha presentato oggi (16 ottobre) una strategia per il Mediterraneo, anticamera di uno “spazio mediterraneo comune” tra l’Unione e i 10 partner meridionali. L’obiettivo di una “progressiva integrazione”, indicato da Ursula von der Leyen, rimane piuttosto lontano. Per ora, l’embrione di tale spazio, va forse cercato nell’idea di facilitare i rilasci dei visti e la mobilità tra le due sponde del Mediterraneo, soprattutto per giovani e studenti.Il Patto è rivolto ai 10 partner affacciati sul Mediterraneo: Marocco, Tunisia, Algeria, Libia, Egitto, Israele, Palestina, Giordania, Libano e Siria. Prosegue il lavoro cominciato nel 2021 con l’Agenda per il Mediterraneo, ma con una nuova “metodologia”, ha affermato Dubravka Šuica, la commissaria europea a cui von der Leyen ha affidato un nuovo portafoglio dedicato unicamente all’area mediterranea. “Stiamo creando un partenariato tra pari”, ha assicurato Šuica, basato – si legge nella nota dell’esecutivo Ue – sui principi di “comproprietà, co-creazione e responsabilità congiunta“.Il Patto è il primo risultato di un anno di consultazioni con i governi dei 10 Paesi partner, con le istituzioni europee, diverse agenzie e organizzazioni internazionali e “un’ampia gamma” di componenti della società civile nel vicinato meridionale. Il mese prossimo, in occasione del trentesimo anniversario del processo di Barcellona che diede i natali al partenariato Euromediterraneo, sarà sottoposto all’approvazione di Stati membri e dei partner coinvolti. A quel punto, nel primo trimestre dell’anno prossimo, la Commissione europea dovrebbe partorire un piano d’azione specifico, che indicherà i Paesi a bordo e le parti interessati per ciascun progetto.La parola chiave è “flessibilità”, ha dichiarato Šuica, spiegando che “coloro che sono pronti ad aderire al patto e al piano d’azione che verrà sono i benvenuti” e che “gli altri verranno dopo”. Il patto è aperto anche alla collaborazione con partner al di fuori dell’area: Paesi del Golfo, Africa subsahariana, i Balcani occidentali e la Turchia. Il rafforzamento della cooperazione tra l’Ue, il Medio oriente, il Nord Africa e la regione del Golfo “è uno degli obiettivi principali del patto”, precisa la Commissione.La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen (foto: Lukasz Kobus/Commissione europea)Finora, non è molto di più di una dichiarazione di intenti, fondata su tre pilastri: le persone e la mobilità, l’integrazione e la sostenibilità economica, la sicurezza e la gestione della migrazione. “L’obiettivo è creare vantaggi reciproci“, mette in chiaro Bruxelles. “Oggi facciamo un’offerta chiara ai nostri vicini”, ha affermato von der Leyen, consapevole che nel Mediterraneo si gioca un’importante partita geopolitica e che l’Unione, nonostante la vicinanza geografica, rischia di rimanere ai margini. Come dimostrato anche dal conflitto tra Israele e Hamas e dall’esclusione dell’Ue dai negoziati per un processo di pace.Von der Leyen ha parlato di “oltre 100 idee e azioni concrete”. Dalla creazione di un’università del Mediterraneo – idea che già di Romano Prodi, quando guidava l’esecutivo comunitario – al “collegamento delle nostre istituzioni culturali e delle nostre società civili”, dalla “costruzione di fabbriche di Intelligenza artificiale in tutto il Mediterraneo” a “una nuova iniziativa per le start-up mediterranee”.E poi, la gestione della migrazione, più che mai cruccio dell’attuale Commissione europea. “Da parte europea, mobiliteremo i nostri strumenti finanziari – ha messo sul piatto von der Leyen – e, cosa fondamentale, faremo tutto il possibile per mobilitare gli investimenti privati”.Se da un lato l’Ue chiede cooperazione nel limitare sempre di più gli attraversamenti del Mediterraneo da parte di persone migranti che puntano all’Europa, dall’altra apre ad “ampliare le partnership per i talenti con il Marocco, la Tunisia e l’Egitto” e a “facilitare il rilascio dei visti, in particolare per gli studenti“, ha annunciato Šuica, sottolineando che “se i giovani voglio venire, ci sono percorsi legali”.Bruxelles vuole mettere in cantiere anche “azioni” relative alla modernizzazione delle relazioni commerciali e di investimento, alla promozione dell’energia e delle tecnologie pulite, alla resilienza idrica, all’economia blu e all’agricoltura, alla connettività digitale e dei trasporti, nonché alla creazione di posti di lavoro. Tra gli obiettivi c’è il supporto per decarbonizzare la regione, allineando a poco a poco standard e regole ambientali su quelle del blocco. Tutto questo, attraverso i 42 miliardi di euro per il Mediterraneo che la Commissione europea vuole mettere a bilancio dal 2028 al 2034, il doppio rispetto alle risorse attuali.

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    Von der Leyen da Vučić: la Serbia “raddoppi” gli sforzi verso l’adesione all’Ue

    Bruxelles – Ursula von der Leyen fa visita a quello che è ormai il grande malato dei Balcani occidentali. A confronto con Albania, Montenegro, Macedonia del Nord e Bosnia-Erzegovina, il percorso della Serbia verso l’adesione all’Unione europea sembra procedere a ritroso. La presidente della Commissione europea, nel suo tour annuale della regione, ha fatto tappa oggi (15 ottobre) a Belgrado, ospite dell’autoritario presidente filo-russo Aleksandar Vučić. E ha scelto, ancora una volta, di non scaricarlo, ma senza fare sconti.La Serbia deve “raddoppiare” i suoi sforzi, ha intimato von der Leyen nella conferenza stampa congiunta a margine dell’incontro con il presidente serbo. È ora – ha aggiunto – che il Paese balcanico “concretizzi” la sua adesione al club a 12 stelle, il cui percorso è stato avviato più di 15 anni fa. Per fugare ogni dubbio sulla posizione di Bruxelles sulla dura repressione governativa dei movimenti di protesta che infiammano il Paese da quasi un anno, la leader Ue ha affermato: “Siamo a favore della libertà anziché dell’oppressione, compreso il diritto di riunirsi pacificamente“.Le proteste oceaniche in Serbia contro il presidente Aleksandar Vučić (foto: Tadija Anastasijevic/Afp)Le lacune di Belgrado sono ben note nella capitale Ue: “Dobbiamo vedere progressi in materia di Stato di diritto, quadro elettorale e libertà dei media”, ha elencato von der Leyen. Bastone e carota, è la strategia per tenere ancorati i Paesi candidati al faticoso percorso di riforme necessario all’adesione: la presidente ha “accolto con favore i recenti progressi” compiuti con l’istituzione del registro elettorale unificato e con le nomine del consiglio della Commissione Regolatrice dei Media Elettronici (REM).“Ho notato gli sforzi compiuti da tutti per lavorare insieme, compresa la società civile e l’opposizione”, ha riconosciuto von der Leyen, consapevole allo stesso tempo che l’indipendenza dal controllo politico dell’ente regolatore dei media è ancora tutta da ottenere e che non si può distogliere lo sguardo da Belgrado nemmeno per un attimo. “È un buon primo passo, ma ora è fondamentale l’attuazione ed è per questo che vorrei invitarvi a Bruxelles tra un mese per fare insieme il punto della situazione”, ha affermato rivolgendosi a Vučić.La ricetta indicata dall’Ue è sempre la stessa, anche quando ci si sposta in politica estera. Serve un “migliore allineamento”, il “61 per cento” indicato da von der Leyen non basta. D’altronde Vučić continua a strizzare l’occhio alla Russia e non si è ancora uniformato al regime di sanzioni europee contro Mosca. Questo nonostante – ha sottolineato ancora la presidente della Commissione europea – Belgrado e tutti i Balcani occidentali abbiano beneficiato, durante la crisi energetica “causata dall’aggressione russa in Ucraina”, delle misure di emergenza messe in campo dall’Ue.Il presidente russo Vladimir Putin (sinistra) e il suo omologo serbo Aleksandar Vučić (foto: Alexander Zemlianichenko/Afp)Per accelerare un processo lungo, che negli ultimi anni ha creato non poche frustrazioni nei Paesi candidati, nell’aprile 2024 l’Unione europea ha istituito uno strumento da 6 miliardi di euro per supportare i piani di riforme socio-economiche necessarie all’adesione nei 6 dei Balcani occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia). Nell’ambito del Piano di crescita per i Balcani occidentali, la Commissione ha “già messo a disposizione oltre 100 milioni di euro in nuovi investimenti dell’UE per la Serbia”, ha ricordato von der Leyen.Vučić, più che riluttante alle aperture sullo Stato di diritto e sulla libertà dei media previste per avanzare nei negoziati, ha messo le mani avanti: “Non posso promettere nulla, se non che lavoreremo sodo per rispettare il programma di riforme”, ha affermato, auspicando che “in tutto questo avremo il sostegno dell’Ue”. Il leader nazionalista conservatore, che guida il Paese da oltre un decennio e la cui popolarità è oggi ai minimi storici, sa che inimicarsi Bruxelles – che non l’ha scaricato dopo le enormi proteste degli studenti – potrebbe sancire il suo definitivo isolamento.A turno, Ursula von der Leyen, il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa, l’Alta rappresentante per gli Affari esteri Kaja Kallas, e la commissaria per l’Allargamento Marta Kos, hanno tutti strigliato Vučić tendendogli al contempo la mano, per non recidere un rapporto che si inscrive in un delicato equilibrio geopolitico. E da equilibrista in bilico, Vučić prova a districarsi tra promesse a Bruxelles, ammiccamenti a Mosca e piccole concessioni in patria. Vučić ha chiesto a von der Leyen di “trovare un modo per mitigare la situazione” energetica della Serbia, la cui compagnia petrolifera Nis è soggetta a sanzioni da parte dell’amministrazione americana e “di fatto anche da parte dell’Ue”. Il ricatto morale è servito: “Spero che un Paese candidato abbia il sostegno dell”Ue per la propria sicurezza energetica”, ha affermato.