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    Von der Leyen chiama Trump, nuova giravolta sui dazi: sospesi fino al 9 luglio

    Bruxelles – Nuovo passo indietro di Donald Trump sui dazi alle merci Ue. Dopo la minaccia, arrivata come un fulmine a ciel sereno, di tariffe del 50 per cento su tutte le importazioni a partire dal primo giugno, ieri (25 maggio) il presidente americano ha ricevuto la telefonata di Ursula von der Leyen. La leader Ue l’avrebbe convinto – il condizionale ormai è d’obbligo – a congelare i dazi reciproci e mantenere aperto il dialogo fino al 9 luglio, riconfermando la proroga di 90 giorni decisa lo scorso 9 aprile.“Una buona telefonata”, l’ha definita von der Leyen. La prima, da quando il tycoon è tornato alla Casa Bianca. “L’Unione europea e gli Stati Uniti intrattengono il rapporto commerciale più stretto e importante al mondo. L’Europa è pronta a far avanzare i colloqui con rapidità e decisione. Per raggiungere un buon accordo avremmo bisogno di tempo fino al 9 luglio“, ha affermato la presidente della Commissione europea in un post su X. Dall’altro capo della cornetta, Trump ha “acconsentito alla proroga” chiesta da von der Leyen. “È stato un privilegio per me farlo. La presidente della Commissione ha affermato che i colloqui inizieranno rapidamente. Grazie per l’attenzione dedicata a questa questione!”, ha scritto sul suo social Truth. In realtà, i Paesi Ue continuano comunque a essere soggetti a tariffe reciproche del 10 per cento su tutto l’export negli Stati Uniti, e a dazi del 25 per cento sull’export di acciaio, alluminio e derivati, auto e componenti.Di buono c’è che per la prima volta Washington e Bruxelles hanno stabilito un confronto diretto al massimo livello sulla questione. “È grazie all’Italia se si è avuto questo rapporto diretto von der Leyen-Trump”, si è affrettato a dire questa mattina il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani. Nel tentativo di mantenere il ruolo di mediatore abilmente ritagliatosi – e minacciato dal ponte diretto tra i due leader -, Giorgia Meloni starebbe accelerando il lavoro diplomatico per orchestrare un vertice europeo prima del D-Day.Il presidente statunitense Donald Trump annuncia l’imposizione di dazi sulle importazioni dai partner globali, il 2 aprile 2025 (foto: Brendan Smialowski/Afp)Ruolo effettivo o presunto di Roma a parte, la telefonata e le dichiarazioni immediatamente successive di Trump e von der Leyen portano una ventata di ottimismo. Lo confermano le borse europee, che oggi si sono svegliate in deciso rialzo, con il Dax di Francoforte al +1,76 per cento, il Cac40 di Parigi al +1,36 per cento e il Ftse Mib di Milano al +1,53 per cento.Ora la palla torna nelle mani di Maroš Šefčovič, il commissario europeo per il commercio, che guida i complessi negoziati con le controparti americane. Finora, il socialista slovacco sta tornando da Washington ogni volta a mani vuote: venerdì scorso (23 maggio), l’ultimo round di negoziati ha portato all’annuncio furioso di Trump – che ha addirittura raddoppiato l’onere delle tariffe sull’import Ue rispetto a quanto previsto nel ‘Liberation Day‘ – accompagnato dal commento: “Le nostre discussioni con loro non stanno andando da nessuna parte!“.Lo stesso Šefčovič aveva dichiarato piccato, dopo i colloqui con il rappresentante commerciale americano Jamieson Greer e il segretario al Commercio Howard Lutnick, che il commercio tra Ue e Stati Uniti “deve essere guidato dal rispetto reciproco, non dalle minacce“. Aggiungendo che Bruxelles è “pronta a difendere i nostri interessi”. Il piano B svelato dalla Commissione europea, in caso le trattative naufragassero, prevede contromisure su una lunga lista di prodotti americani, dal valore di 95 miliardi di euro, e una procedura formale contro Washington all’Organizzazione Mondiale del Commercio. Ma anche Bruxelles ha un asso nella manica con cui minacciare Trump: lo strumento anti-coercizione, con cui potrebbe tassare pesantemente i profitti delle big tech americane nel vecchio continente. La Commissione europea ha fatto sapere che già oggi pomeriggio Šefčovič avrà un nuovo contatto telefonico con Lutnick.

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    Ue-Uk, il riavvicinamento dopo la Brexit. Dalla difesa agli Erasmus, si apre un “nuovo capitolo”

    Bruxelles – Difesa, energia, commercio, pesca, migrazioni, giovani. Al primo summit tra la “Gran Bretagna indipendente e gli alleati in Europa” – come l’ha definito il primo ministro laburista Keir Starmer -, celebrato oggi (19 maggio) nella City, Bruxelles e Londra riprendono in mano l’intricato tessuto dei rapporti Ue-Regno Unito e rammendano alcuni degli strappi traumatici inflitti dalla Brexit.Il riavvicinamento non può che essere figlio delle maggiori crisi di questi tempi. E parte dunque dalla partecipazione di Londra a Safe, il nuovo strumento Ue per finanziare l’industria della difesa degli Stati membri, e passa per una maggiore integrazione del Regno Unito nel mercato unico, in risposta alle minacce commerciali che arrivano da oltreoceano. Ursula von der Leyen, Antonio Costa e Kaja Kallas, tutti e tre presenti al summit – accompagnati dal commissario europeo per il Commercio, Maroš Šefčovič – tornano a casa con “tre risultati concreti”: una dichiarazione congiunta, un partenariato per la sicurezza e la difesa e un documento di intesa comune tra la Commissione europea e il Regno Unito.“Questi accordi riflettono i nostri impegni comuni”, ha affermato il presidente del Consiglio europeo Costa durante la conferenza stampa congiunta con von der Leyen e Starmer. Rivolgendosi al primo ministro britannico, ha aggiunto: “Siamo vicini, alleati, partner, e siamo amici”. Sulla stessa linea la presidente della Commissione europea, per cui le due sponde della Manica sono “partner storici e naturali”. Più cauto Starmer – che deve rendere conto a chi nove anni fa scelse di tagliare il cordone ombelicale con le imposizioni di Bruxelles -, per cui l’accordo di oggi è stato raggiunto “nell’interesse nazionale” e “nello stesso spirito con cui abbiamo raggiunto accordi con gli Stati Uniti e l’India”.Sulla destra: la delegazione Ue a Londra, con Maros Sefcovic, Antonio Costa, Ursula von der Leyen e Kaja Kallas al Eu-Uk Summit a LondraAccordi, quelli di libero scambio con Nuova Delhi e sui dazi con Washington, che secondo Starmer hanno permesso a Londra di presentarsi al vertice con l’Ue “da una posizione di forza“. E così, a  meno di un decennio dalla Brexit, Londra si garantisce “un accesso senza precedenti” al mercato unico, “il migliore di qualsiasi Paese al di fuori dell’Ue”. Nel tentativo di convincere i più scettici, Starmer ha snocciolato l’elenco dei vantaggi del riavvicinamento: la riapertura del mercato unico verso la Manica “darà impulso alle esportazioni britanniche“, la partnership sulla difesa “offrirà nuove opportunità alle industrie”, mentre la cooperazione in materia di scambio di quote di emissioni “eviterà alle imprese britanniche di dover pagare 800 milioni di sterline in tasse europee sul carbonio“.Il tutto – ha garantito il primo ministro – senza oltrepassare la linea rossa del manifesto con cui ha varcato la soglia di Downing Street: “Non rientrare né nel mercato unico né nell’Unione doganale, non tornare alla libertà di circolazione“. Bruxelles, viceversa, ha sottolineato l’importanza del prolungamento per dodici anni, fino al 30 giugno 2038, del pieno accesso reciproco delle acque per la pesca. E del capitolo sull’energia, che apre la strada alla partecipazione del Regno Unito al mercato elettrico Ue: “Positivo per la stabilità dei flussi energetici, per la nostra sicurezza energetica comune, per abbassare i prezzi”, ha spiegato von der Leyen.Ursula von der Leyen, Keir Starmer and Antonio Costa al Eu-Uk Summit a LondraPer quanto riguarda l’accesso a Safe, il fondo comune da 150 miliardi per la difesa, in un primo momento Londra avrà la possibilità di aderire agli appalti congiunti, ma poi – attraverso “ulteriori accordi bilaterali” – l’idea è che anche le imprese britanniche possano essere ammissibili al programma. Sempre che tale strumento venga approvato così com’è dal Consiglio dell’Ue, dove è ancora in discussione.C’è poi il nodo mobilità, giovani, Erasmus: tra le ‘vittime’ innocenti e indiscriminate della Brexit, da entrambe le sponde della Manica, ci sono senz’altro loro, le centinaia di migliaia di studenti e giovani lavoratori britannici ed europei a cui la fuoriuscita del Regno Unito dai 27 ha tolto opportunità di formazione e di crescita. “Ricordo il periodo in cui ero studente qui a Londra”, ha enfatizzato von der Leyen, che si è detta “molto lieta” dell’accordo – ancora da definire – per l’associazione del Regno Unito al programma Erasmus+ dell’Unione europea. Le cui “condizioni specifiche, comprese le condizioni finanziarie”, dovrebbero “garantire un giusto equilibrio per quanto riguarda i contributi e i benefici per il Regno Unito”. Sul tavolo c’è anche un programma di esperienze per i giovani, da istituire con un regime di visti a tempo determinato, per facilitare la partecipazione a “varie attività, quali il lavoro, gli studi, il soggiorno alla pari, il volontariato o semplicemente i viaggi”.L’accelerata impressa oggi al riavvicinamento tra Regno Unito e Unione europea è notevole. Come dichiarato dal direttore generale di BusinessEurope Markus J. Beyrer, “ha dato slancio al nostro fondamentale partenariato economico, ma ora occorre compiere progressi concreti per facilitare gli scambi di beni e servizi“. Secondo Sandro Gozi, eurodeputato liberale e presidente della delegazione all’Assemblea parlamentare di partenariato Ue-Regno Unito, “perché questa svolta sia credibile dobbiamo ricostruire una fiducia reale, che si traduca in accordi solidi su difesa, sicurezza, energia e pesca” e ancor più “su mobilità giovanile, cooperazione digitale, intelligenza artificiale e ricerca”.

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    A Tirana si sono riuniti i leader europei, ma tutti pensavano a Istanbul

    Bruxelles – “La nuova Europa in un mondo nuovo“. È con questo motto che si è svolto oggi a Tirana il sesto summit della Comunità politica europea (Cpe), il forum informale che riunisce i leader di 47 Paesi dell’Europa geografica. Co-presieduto dal premier albanese Edi Rama e il presidente del Consiglio europeo, António Costa, l’incontro si è focalizzato su sicurezza, competitività e immigrazione. Tra i temi più caldi anche la guerra d’Ucraina, con Volodymyr Zelensky che ha criticato il buco nell’acqua dei colloqui di Istanbul e i vertici dell’Ue che hanno promesso nuove sanzioni contro Mosca.Si sono dati appuntamento oggi (16 maggio) a Tirana i “grandi” del Vecchio continente: i leader dei Ventisette e quelli di quasi tutti i Paesi extra-Ue (con l’eccezione di Russia e Bielorussia), i vertici comunitari e quelli di organizzazioni multilaterali come Nato e Consiglio d’Europa.La riunione è stata co-presieduta dal padrone di casa, il primo ministro albanese Edi Rama fresco di rielezione (la quarta consecutiva, seppur con qualche ombra), e da António Costa, il presidente del Consiglio europeo che ha appena concluso un tour di tre giorni nei Balcani occidentali per sottolineare l’impegno di Bruxelles sul dossier allargamento.Il primo ministro albanese Edi Rama (sinistra) e il presidente del Consiglio europeo António Costa (foto: European Council)Un palcoscenico internazionale non da poco per il leader del piccolo Paese balcanico, che vorrebbe far entrare Tirana nel club a dodici stelle entro il 2030 e che, a questo punto, può contare su buone connessioni politiche sia a Bruxelles sia tra i Ventisette (vedi il protocollo Italia-Albania sui famigerati centri di rimpatrio).Ma tutti gli occhi (o quasi) erano puntati su Volodymyr Zelensky, che dal summit di Tirana ha commentato l’esito, piuttosto deludente, dei primi colloqui diretti tra le delegazioni di Mosca e Kiev dal marzo 2022, svoltisi in mattinata a Istanbul alla presenza dei mediatori turchi e statunitensi.Come la maggior parte degli osservatori si aspettava, l’incontro (durato meno di due ore) non ha portato ad alcun accordo sul cessate il fuoco – che al momento rimane una chimera – ma ha dato il disco verde allo scambio di 1.000 prigionieri per parte. Le squadre negoziali avrebbero discusso, in maniera preliminare, alcune proposte per una tregua e, pare, anche l’eventualità di un incontro al massimo livello tra Zelensky e Vladimir Putin.Spoke with @POTUS together with President Macron, Federal Chancellor Merz, Prime Ministers Starmer and Tusk. We discussed the meeting in Istanbul.Ukraine is ready to take the fastest possible steps to bring real peace, and it is important that the world holds a strong stance.… pic.twitter.com/CG3pAnN5Ip— Volodymyr Zelenskyy / Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) May 16, 2025Il presidente ucraino ha avuto uno scambio sul tema con l’omologo francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il primo ministro britannico Keir Starmer e quello polacco Donald Tusk. I cinque hanno parlato brevemente al telefono con Donald Trump (il quale ha annunciato di voler vedere al più presto l’omologo russo), per ribadire che “la pressione sulla Russia deve essere mantenuta fino a quando la Russia non sarà pronta a porre fine alla guerra”. Assente invece alla riunione ristretta la premier italiana Giorgia Meloni, che sembra essersi fatta bastare i siparietti con Rama.In risposta all’indisponibilità di Mosca di sedersi al tavolo delle trattative, Ursula von der Leyen e Kaja Kallas hanno annunciato dalla cornice della Cpe che Bruxelles si metterà al lavoro per confezionare un nuovo round di sanzioni contro il Cremlino, a distanza di pochi giorni dall’approvazione (a livello di ambasciatori degli Stati membri) del 17esimo pacchetto di misure restrittive.Il capo dell’esecutivo comunitario ha sottolineato che verranno incluse, tra le altre cose, “sanzioni su Nord Stream 1 e Nord Stream 2” (i gasdotti che collegano la Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico), mentre l’Alta rappresentante ha ripetuto che l’assenza di Putin ad Istanbul dimostra che lo zar “non è serio” sul processo negoziale. Opinione condivisa anche dal Segretario generale della Nato Mark Rutte, per il quale è stato “un errore” da parte della Federazione inviare nel Bosforo una delegazione di basso livello.La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (foto: Aurore Martignoni/European Commission)Dopo la prima sessione plenaria (e una cerimonia d’apertura in cui su un maxischermo sono state proiettate delle versioni “infantili” dei leader presenti al vertice, generate con l’intelligenza artificiale), i capi di Stato e di governo si sono seduti intorno a tre tavole rotonde tematiche, ciascuna co-presieduta da un leader Ue e da uno extra-Ue.La prima si è occupata di sicurezza (incluso, naturalmente, il dossier ucraino) e resilienza democratica; la seconda di competitività economica; la terza di migrazione, mobilità e giovani. In chiusura dei lavori, una seconda plenaria per dare appuntamento ai leader al prossimo summit della Cpe, fissata per l’autunno in Danimarca.

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    Cipro, Johannes Hahn sarà l’inviato speciale Ue per la riunificazione dell’isola

    Bruxelles – La Commissione Europea ha nominato Johannes Hahn, ex Commissario europeo, come Inviato speciale per Cipro. La scelta, annunciata ieri (14 maggio), rappresenta un rinnovato impegno dell’Ue nel sostenere un processo di pace duraturo sull’isola, nel quadro delle Nazioni Unite. Hahn riferirà direttamente alla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen e collaborerà strettamente con l’Inviata personale del Segretario generale dell’Onu per Cipro, María Ángela Holguín Cuéllar.Cipro è divisa in un nord turco-cipriota e un sud greco-cipriota dal 1974, quando le forze turche invasero l’isola in risposta a un colpo di Stato sostenuto dalla Grecia. Ankara non riconosce la Repubblica di Cipro, un paese membro dell’Ue che è invece riconosciuto a livello internazionale come unica autorità sovrana sull’intera isola. Il nord turco-cipriota è riconosciuto solo dalla Turchia. Il presidente cipriota Nikos Christodoulides, in un post su X, ha accolto con favore la nomina di Hahn, sottolineando che rappresenta “Una prova concreta che l’Ue è fermamente e risolutamente al fianco di Cipro e del suo popolo”.L’incarico dell’Inviato speciale, che avrà una durata iniziale di un anno, sarà quello di facilitare il dialogo tra le parti coinvolte, promuovere misure di fiducia reciproca e creare le condizioni per la ripresa dei negoziati intercomunitari, da tempo in stallo. Johannes Hahn porta con sé una lunga esperienza istituzionale: ha ricoperto per tre mandati consecutivi il ruolo di Commissario europeo, occupandosi di Politica Regionale, Allargamento e, più recentemente, Bilancio e Amministrazione. Oltre agli incarichi presso la Commissione, Hahn condivide con von der Leyen anche l’orientamento politico: sono infatti entrambi membri del Partito popolare europeo. Johannes Hahn è stato Ministro della Scienza e della Ricerca in Austria e membro del governo regionale viennese.Thank you President @vonderleyen for your leadership. The appointment of Johannes Hahn as your Special Envoy to support UN led efforts to reunify Cyprus, in line with UNSCRs and EU law, is tangible proof that the EU stands firmly and resolutely with Cyprus and its people, pic.twitter.com/vcgRv8U43z— NikosChristodoulides (@Christodulides) May 14, 2025

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    Ucraina, von der Leyen spinge per aprire tutti i capitoli per l’adesione all’Ue nel 2025. I Patrioti di Orbán di traverso

    Bruxelles – Nel percorso verso l’adesione all’Unione europea, l’Ucraina può contare sul più influente dei sostenitori: la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si sta spendendo in prima persona per accelerare l’ingresso di Kiev nel blocco Ue. “Può essere la più forte garanzia di sicurezza” e di una “pace giusta e duratura”, ha evidenziato oggi (7 maggio) intervenendo al Parlamento europeo di Strasburgo. L’obiettivo – che la leader Ue avrebbe concordato con Zelensky a Roma, in occasione dei funerali di papa Francesco – è “aprire tutti i capitoli di negoziati di adesione nel 2025“.I vertici delle istituzioni europee sono d’accordo, l’adesione dell’Ucraina si deve fare il più presto possibile. A costo di far passare Kiev davanti a candidati di lunga data, come i sei dei Balcani occidentali. Serbia e Montenegro, ad esempio, di capitoli di negoziazione ne hanno già aperti da anni ma procedono a rilento verso il completamento dei 35 totali. Ma – come emerso già nell’ultimo Consiglio europeo – i Paesi membri, titolari del potere di veto sugli avanzamenti dei Paesi candidati, sono divisi. A ben vedere, l’Ue è già venuta meno alla promessa di aprire il processo di adesione entro marzo: se formalmente il percorso è stato avviato, non è stato però aperto nessuno dei cluster negoziali, nemmeno quello dei cosiddetti capitoli fondamentali.Da un lato ci sono i baltici e i nordici (Danimarca, Finlandia, Svezia, Estonia, Lettonia e Lituania), che vorrebbero premere sull’acceleratore. A loro, in linea di principio, si unirebbe anche la Polonia. Ma Varsavia, che attualmente detiene la presidenza di turno semestrale del Consiglio dell’Ue, è più cauta, perché consapevole delle difficoltà nel costruire un consenso all’unanimità che ancora non c’è. I Paesi dell’Europa meridionale e orientale hanno sensibilità differenti e – per quanto generalmente d’accordo con la necessità di allargare l’Unione a Kiev – hanno riserve a scavalcare altri Paesi candidati con cui storicamente intrattengono rapporti più stretti.C’è poi il solito elefante nella stanza, quel Viktor Orbán che proprio non ne vuole sapere. Anche oggi, il gruppo dei Patrioti per l’Europa, creatura fondata dal premier sovranista ungherese, ha ribadito il suo no all’ingresso dell’Ucraina nei 27: “Non è nel nostro interesse – ha dichiarato Kinga Gal, vicepresidente del gruppo e membro di Fidesz, il partito di Orbán -, causerebbe gravi danni alla politica agricola, alla politica di coesione e altro”. L’Ucraina non sarebbe in linea “con nessuna delle condizioni di adesione”, ha proseguito Gal, denunciando il rischio di “doppi standard” nella politica di allargamento di Bruxelles.In realtà, la posizione filo-russa di Budapest – e dei Patrioti – va ben oltre l’opposizione all’allargamento a Kiev. Delle tre priorità elencate oggi da von der Leyen per fare in modo di arrivare all’agognata pace “giusta e sostenibile”, l’Ungheria non ne condivide nessuna. Non il sostegno alle capacità di difesa dell’Ucraina, tanto meno l’eliminazione graduale dei combustibili fossili russi. Ma se su queste due – con qualche escamotage – l’Ue può procedere a 26, sull’adesione non può. E continuare a fissare date e a fare promesse, diventa rischioso.

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    Ucraina, difesa, dazi. Le crisi avvicinano l’Ue e la Norvegia, e a Oslo fa capolino il dibattito sull’adesione

    Bruxelles – “La Norvegia è un membro della famiglia europea. La nostre cooperazione ci rende più forti”. Con queste parole, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha accolto oggi (7 aprile) il primo ministro norvegese, Jonas Gahr Støre. Sul tavolo, il sostegno all’Ucraina, il rafforzamento dell’industria della difesa e i dazi statunitensi. Crisi e periodi straordinari che riavvicinano un’altra volta Oslo a Bruxelles, e che potrebbero cambiare la travagliata storia dell’adesione della Norvegia al club europeo.Il Paese scandinavo ha chiesto per la prima volta di entrare nell’Ue nel 1967, avviando i negoziati di adesione. Tuttavia, il popolo norvegese ha respinto l’ingresso nei 27 con due referendum, il primo nel 1972 e il secondo nel 1994, dopo una seconda richiesta nel 1992. Da allora, la richiesta di Oslo è rimasta congelata ma non ritirata, e il paese maggior produttore di petrolio e gas d’Europa rimane strettamente ancorato all’Ue perché parte dello Spazio economico europeo (SEE) e dell’area Schengen. “Negli ultimi mesi”, di fronte alle nuove sfide, “ci siamo incontrati o abbiamo parlato quasi tutte le settimane“, ha dichiarato il premier e leader del partito laburista norvegese Støre ai cronisti in un punto stampa con von der Leyen.Jonas Gahr Støre e Ursula von der Leyen, 07/04/25In particolare, la necessità di rispondere in modo coordinato al terremoto provocato dall’imposizione dei dazi trumpiani – del 15 per cento alla Norvegia, del 20 per cento all’Ue -, rinsalda ulteriormente i legami tra Oslo e Bruxelles. “L’Ue è di gran lunga il nostro partner commerciale più importante, il 70 per cento delle nostre esportazioni è destinato al mercato interno. Faremo di tutto per contribuire all’integrità di questo mercato“, ha affermato Støre, assicurando che la Norvegia “seguirà chiaramente la risposta” che metterà in campo l’Unione europea.La presidente dell’esecutivo Ue ha sottolineato inoltre che, in materia di difesa, “la Norvegia potrà partecipare all’approvvigionamento congiunto” proposto con lo strumento Safe (il fondo Ue da 150 miliardi per prestiti agevolati agli Stati membri), e che “le industrie norvegesi saranno trattate come le industrie dell’Ue“. I due leader hanno poi valutato i progressi sull’attuazione della Green Alliance firmata nell’aprile 2023: “Stiamo trasformando le parole in realtà attraverso progetti concreti, dall’eolico offshore all’idrogeno e alla cattura e stoccaggio di carbonio”, ha insistito von der Leyen. Annunciando di essere d’accordo per “accelerare il coordinamento tra Norvegia, Stati membri e le nostre aziende per avviare e far funzionare ancora più progetti”.Nel lungo tira e molla tra il blocco europeo e Oslo, i fattori esterni hanno sempre giocato un ruolo rilevante per ravvivare il discorso su un’eventuale adesione. Ed ora, a cinque mesi dalle elezioni parlamentari, il dibattito potrebbe lentamente riaprirsi. Nel novembre scorso, a trent’anni dal secondo referendum che bocciò l’ingresso l’Ue, diversi sondaggi di opinione hanno mostrato un lento ma costante aumento della quota di persone favorevoli all’adesione. L’opposizione all’adesione sarebbe diminuita dal 70 per cento del 2016 fino al 46,7 per cento del 2024. Contemporaneamente, il sostegno a unirsi al blocco Ue è aumentato di circa 20 punti percentuali, fino al 35 per cento della popolazione norvegese.La guerra russa in Ucraina e le crescenti preoccupazioni per la sicurezza nazionale, le minacce di Trump alla Groenlandia e il rinnovato interesse per la regione artica, passando per il futuro del settore petrolifero nazionale, per l’agricoltura e la pesca, fino ai più recenti dazi. Tutte crisi che mettono in dubbio l’efficacia dellla sola partecipazione allo spazio economico europeo per proteggere la popolazione norvegese. Peraltro, essere parte del SEE impone alla Norvegia di adottare un grande numero di regolamenti decisi dall’Ue senza poter incidere in alcun modo sulla loro scrittura e approvazione.In un’intervista al Financial Times, la leader dell’opposizione al governo centro-laburista di Støre, Erna Solberg, ha dichiarato che i conservatori preferirebbero “avere voce in capitolo” piuttosto della situazione attuale di mero adeguamento alle norme europee. “Se si aprirà una finestra per presentare domanda, lo faremo. Credo che la Norvegia sarebbe un paese migliore se fossimo membri dell’Ue”, ha aggiunto. Il discorso sull’adesione ha fatto nuovamente capolino, e potrebbe divenire uno dei temi principali – e più divisivi – della campagna elettorale verso le elezioni dell’8 settembre.

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    La rincorsa dell’Ue a nuovi partner: von der Leyen scommette sull’Asia centrale e annuncia investimenti per 12 miliardi

    Bruxelles – Tre anni a cercare in tutti i modi di tagliare i ponti con la Russia, per poi ritrovarsi pugnalata alle spalle dall’alleato storico americano. Stretta tra nuove e vecchie grandi potenze che fanno la voce grossa, l’Ue si dimena e cerca di costruirsi nuove relazioni e commerci. La priorità non è più l’esportazione della democrazia, ma piuttosto la ricerca di partner commerciali e fornitori di energia e materie prime critiche di cui potersi fidare. Così, il primo vertice con i Paesi dell’Asia Centrale a Samarcanda all’indomani dei dazi trumpiani si tinge di significati geopolitici ed economici.“Nuove barriere globali insorgono, le potenze di tutto il mondo stanno ritagliandosi nuove sfere di influenza. Ma qui a Samarcanda, dimostriamo che c’è un altro modo”, ha affermato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel suo discorso ai leader delle ex repubbliche sovietiche di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan. Bruxelles e i cinque dell’Asia centrale hanno lanciato un nuovo partenariato strategico, e von der Leyen ha annunciato che la Commissione europea investirà 12 miliardi di euro nella regione.Dal consolidamento del corridoio di trasporto transcaspico al sostegno a nuovi progetti di estrazione mineraria, il pacchetto prevede investimenti per 3 miliardi nel settore dei trasporti, 2,5 miliardi per le materie prime critiche, 6,4 miliardi per l’energia pulita e 100 milioni per la connettività digitale. “I vostri paesi sono dotati di immense risorse – si è sfregata le mani von der Leyen -, il 40 per cento delle riserve mondiale di manganese, oltre a litio, grafite e altro ancora”. Materie su cui mettono gli occhi tutte le grandi potenze, perché “linfa vitale della futura economia globale”.Ursula von der Leyen, Antonio Costa e i leader di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan al vertice Ue-Asia CentraleNel lungo intervento, von der Leyen ha cercato di smarcare l’Ue da quei Paesi “interessati solo allo sfruttamento e all’estrazione”, mettendo sul piatto “un’offerta diversa“. Fatta di sviluppo delle industrie locali, di creazione di posti di lavoro e valore aggiunto locale. La leader Ue ha fatto l’esempio della miniera di rame di Almalyk, in Uzbekistan, dove aziende europee hanno contribuito all’estrazione e alla lavorazione in loco con investimenti per 1,6 miliardi di euro. “Insieme, potremmo costruire industrie locali lungo tutta la catena del valore delle materie prime. Dall’estrazione alla raffinazione. Dall’apertura di nuovi laboratori di ricerca alla formazione dei lavoratori locali”, ha proseguito von der Leyen. Tutto messo nero su bianco nella dichiarazione d’intenti congiunta sulle materie prime critiche approvata al vertice.C’è poi il capitolo relativo all’approvvigionamento energetico. La visione di von der Leyen è quella di un’Asia centrale “hub per l’energia pulita: eolica in Kazakistan, solare in Uzbekistan e Turkmenistan, idroelettrica in Tagikistan e Kirghizistan”. Metà degli investimenti totali previsti dal pacchetto Ue sono dedicati allo sviluppo di massicci progetti come come la diga di Rogun in Tagikistan, la “più alta del mondo”, e la diga di Kambarata in Kirghizistan.Con quest’approccio, l’Ue cerca di recuperare terreno sull’influenza storica della Russia ma soprattutto sulla Cina, che – come d’altronde già in Africa e in America Latina – ha silenziosamente imposto la sua supremazia commerciale. “La Russia ha da tempo dimostrato di non poter più essere un partner affidabile”, ha dichiarato von der Leyen in una breve conferenza stampa, ribadendo che “in passato, Cina e Russia estraevano qui materie prime che poi lavoravano nel loro Paese, senza alcun valore aggiunto a livello locale”.L’Unione europea è il secondo partner commerciale dei cinque dell’Asia Centrale, dietro solo a Pechino, ma il maggiore investitore (oltre il 40 per cento degli investimenti nella regione proviene dall’Ue). La penetrazione della Cina nei mercati di tutto il mondo non è solo poco mirata alla creazione di valore aggiunto locale, ma è anche svincolata dai posizionamenti strategici dei partner sullo scacchiere internazionale e dal rispetto di principi democratici e dei diritti umani nei loro Paesi.António Costa, il presidente dell’Uzbekistan Shavkat Mirziyoyev e Ursula von der LeyenIl rischio è che, in particolare quest’ultimo aspetto, venga meno anche nella strategia europea, ora che Bruxelles si sente improvvisamente sola e in pericolo. “I principi stabiliti nella Carta delle Nazioni Unite non sono solo parole sulla carta, ma rappresentano l’impegno condiviso delle nazioni per prevenire i conflitti, promuovere la pace e salvaguardare il benessere dei nostri cittadini”, ha ricordato nel suo discorso il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa. Nella dichiarazione congiunta approvata al termine del vertice, Ue e Asia Centrale hanno sottolineato “l’importanza di raggiungere al più presto una pace globale, giusta e duratura in Ucraina” e hanno concordato di “continuare a cooperare per prevenire l’elusione delle sanzioni” alla Russia.“Al centro delle relazioni” tra l’Ue e le cinque repubbliche ex-sovietiche rimangono anche “il rispetto della libertà di espressione e di associazione, un ambiente favorevole alla società civile e ai media indipendenti, la protezione dei difensori dei diritti umani, nonché il rispetto dei diritti delle donne, dei diritti dei bambini e dei diritti dei lavoratori”, si legge nel documento. Difficile non notare che in realtà in tutti e cinque i Paesi dell’Asia centrale le criticità da questi punti di vista rimangono molte, e pesanti. Criticità portate alla luce negli ultimi anni anche dal Parlamento europeo, in diverse occasioni.Nel gennaio 2022, l’Eurocamera approvò una risoluzione sulle proteste e le violenze in Kazakistan, ribadendo la forte preoccupazione per le violazioni dei diritti umani e “il diffuso ricorso alla tortura“. A più riprese si è espressa sul Kirghizistan, il cui governo ha imposto di recente una legge di stampo russo sui “rappresentati stranieri” ed una sulle “false informazioni”: lo scorso dicembre gli eurodeputati hanno sottolineato che il Paese dovrebbe attenersi agli standard democratici concordati nell’ambito dell’accordo di partenariato e cooperazione rafforzata con l’Ue. Stesso discorso per Turkmenistan e Tagikistan: nei confronti del primo, il Parlamento europeo ha finora bloccato l’accordo di partenariato a causa della situazione precaria dei diritti umani, mentre per il secondo ha adottato nel gennaio 2024 una risoluzione sulla repressione dello Stato contro i media indipendenti.Infine, nonostante decisi progressi sul fronte democratico, anche in Uzbekistan non è tutto rose e fiori: il presidente Shavkat Mirziyoyev, padrone di casa del vertice, ha rafforzato le relazioni con la Russia e ha firmato un accordo con Mosca sull’estensione della collaborazione tecnico-militare con l’impegno di procurarsi congiuntamente beni militari, equipaggiamento militare, ricerca e assistenza. L’Uzbekistan si è astenuto dal condannare l’invasione russa dell’Ucraina in sede Onu, adottando ufficialmente una posizione neutrale.

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    Serbia, von der Leyen e Costa non scaricano Vučić. Ma insistono su riforme e lotta alla corruzione

    Bruxelles – Travolto dalla rabbia dei cittadini in patria, l’autoritario presidente serbo Aleksandar Vučić trova sollievo a Bruxelles, dove i leader Ue Ursula von der Leyen e Antonio Costa hanno pensato che fosse il momento opportuno per ospitarlo per una cena che lo stesso Vučić ha definito “cordiale, concreta, aperta, responsabile e seria”. Una portavoce della Commissione europea aveva anticipato che le proteste in corso da oltre 4 mesi avrebbero “benissimo potuto essere oggetto di discussione”, ma il messaggio che trapela dall’incontro rischia di essere un altro: l’Ue, per ragioni strategiche ed economiche, sceglie di non scaricare Vučić voltando le spalle alle aspirazioni del popolo serbo di un taglio netto con il regime al potere da dodici anni.“Abbiamo discusso della necessità di avanzare nelle riforme relative all’Ue. Sono necessari progressi nella libertà dei media, nella lotta alla corruzione e nella riforma elettorale“, ha affermato il presidente del Consiglio europeo a margine della cena con il leader nazionalista serbo. Secondo Costa, “sono a portata di mano risultati tangibili in settori che possono apportare benefici diretti al popolo serbo. Il futuro della Serbia è nell’Ue“. Von der Leyen, con un post su X, ha sottolineato che il Paese – da undici anni candidato all’adesione all’Ue – deve portare avanti le riforme “in particolare per compiere passi decisivi verso la libertà dei media, la lotta alla corruzione e la riforma elettorale”.Manifestanti a Belgrado, 15/03/25 (Photo by Andrej ISAKOVIC / AFP)Secondo Srđan Cvijić, presidente dell’International Advisory Committee of the Belgrade Centre for Security Policy, la percezione pubblica in Serbia dell’incontro “è stata ampiamente negativa, poiché molti lo vedono come un segno del continuo sostegno dell’Unione Europea al governo sempre più autoritario di Vučić“. Contattato da Eunews, l’analista politico suggerisce però che “un’analisi più attenta rivela un cambiamento nel tono e nel trattamento riservato” al leader servo rispetto ad incontri precedenti.In particolare, von der Leyen si era recata in Serbia poco prima dell’inizio delle proteste, il 25 ottobre 2024, ed in una conferenza stampa congiunta con Vučić aveva lodato i progressi di Belgrado nello stato di diritto e nelle riforme democratiche. Dichiarazioni “in netto contrasto con la reale traiettoria politica del Paese”, che “hanno suscitato forti reazioni tra i cittadini serbi favorevoli all’integrazione europea“, sottolinea Cvijić. A confronto, il protocollo seguito ieri “è stato visibilmente più sobrio”. Nessun “caro Aleksandar”, nessuna conferenza stampa congiunta, solo una breve dichiarazione scritta in cui i leader Ue hanno evidenziato la necessità di maggiori sforzi su libertà dei media, lotta alla corruzione e riforma elettorale, piuttosto che soffermarsi sui progressi già acquisiti.Srđan Cvijić, presidente dell’International Advisory Committee of the Belgrade Centre for Security PolicyBen più elaborata è stata invece la ricostruzione dell’incontro offerta ai media da Vučić. A partire dalle accuse sull’utilizzo da parte delle forze dell’ordine di un’arma sonica a lungo raggio per disperdere i manifestanti durante l’imponente manifestazione dello scorso 15 marzo. Vučić ha assicurato ai leader europei che “non c’era nessun cannone sonoro, che siamo pronti a verificarlo in ogni modo, che forniremo anche una risposta alla Corte europea dei diritti dell’uomo”. Prima di specificare curiosamente che “il suo utilizzo non è vietato da nessuna parte in Europa” e che “negli Stati Uniti lo usano quasi ogni giorno”.In una nota pubblicata sul sito ufficiale del presidente serbo, si legge che Vučić avrebbe riaffermato l’impegno assoluto di Belgrado “nel percorso verso l’Ue, ancora di più di quanto non lo sia stata finora”. Non proprio quel che è emerso nell’ultimo rapporto Ue sull’Allargamento, pubblicato il 30 ottobre 2024 – il giorno prima dell’incidente alla stazione di Novi Sad che ha causato 15 vittime e scatenato le proteste in Serbia -: nel documento veniva evidenziato soprattutto il disallineamento rispetto alla politica estera comunitaria, i continui ammiccamenti verso Mosca e Pechino, ma anche l’avanzamento a rilento sulle riforme sullo Stato di diritto e sulla normalizzazione dei rapporti con il Kosovo. “Credo che entro la fine dell’anno il nostro obiettivo sia quello di aprire almeno due cluster per progredire rapidamente verso l’Ue”, ha affermato Vučić. La Serbia ha aperto 22 dei 35 capitoli negoziali del suo processo di adesione, con due chiusi solo provvisoriamente.“Presto avremo una decisione sulla formazione di un nuovo governo o su nuove elezioni”, avrebbe comunicato Vučić ai due leader Ue. A Belgrado è ancora insediato il governo del dimissionario Miloš Vučević, una delle teste saltate sotto la pressione delle proteste studentesche. Il premier aveva fatto un passo indietro lo scorso 28 gennaio, e sono dunque ampiamente scaduti i 30 giorni previsti dalla legge serba per incaricare un nuovo esecutivo o richiamare i cittadini alle urne.I leader avrebbero discusso inoltre di economia e investimenti, nonché dell’interesse dell’Unione europea “per le risorse minerarie e i progetti comuni con la Serbia”. Proprio ieri Bruxelles ha adottato il primo elenco di 47 progetti strategici per l’approvvigionamento di materie prime critiche nei Paesi membri. In Serbia, nella valle di Jadar, tiene banco da anni la vicenda della possibile costruzione del sito di estrazione di litio più grande d’Europa. L’Ue ci ha messo gli occhi da tempo, ed è uno dei motivi per cui Bruxelles è pronta a fare concessioni al regime serbo. Secondo Vučić, “nel giro di sette o otto giorni” Jadar sarà indicato come “progetto strategico dell’Ue in Paesi terzi”.Il presidente nazionalista si è detto in definitiva convinto che il colloquio “abbia significato molto per il futuro della Serbia”. Per l’Ue però – ne è sicuro Srđan Cvijić- Vučić è “un partner sempre più tossico e politicamente oneroso”.