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    Bielorussia, da NATO sostegno a sanzioni di Washington e Bruxelles. Ma Lukashenko annuncia armi in arrivo da Mosca

    Bruxelles – È “incondizionato” l’appoggio del segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, a Stati Uniti e Unione Europea, nelle rispettive decisioni di imporre sanzioni contro il regime del presidente bielorusso, Alexander Lukashenko. Il “messaggio di unità” dei partner dell’Alleanza Atlantica è arrivato oggi (martedì primo giugno) al termine della riunione dei ministri degli Esteri, come ulteriore conferma della dura risposta dell’Occidente al dirottamento su Minsk del volo Ryanair di domenica 23 maggio e l’arresto del giornalista Roman Protasevich e la compagna Sofia Sapega.
    “È stato un atto che ha potenzialmente violato il diritto internazionale del volo e che è certamente contrario alla libertà di espressione”, ha commentato duramente Stoltenberg. Il segretario generale della NATO ha accolto con favore la prossima apertura di un’indagine indipendente da parte dell’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile (ICAO), ma ha anche intimato al presidente Lukashenko di “liberare immediatamente i due prigionieri“. Il dossier sulla Bielorussia era una delle “sfide comuni alla nostra sicurezza, che dobbiamo affrontare insieme” per “coordinarci contro le minacce globali”.
    Così si spiega il “chiaro messaggio di sostegno” alle sanzioni di Washington e Bruxelles. Durante il Consiglio Europeo della scorsa settimana, i leader UE avevano deciso non solo di imporre una no fly zone sulla Bielorussia e chiudere lo spazio aereo alla compagnia di bandiera Belavia, ma anche di aggiornare la lista nera di persone ed entità colpite dalle sanzioni europee (già il 10 maggio era stato annunciato un quarto pacchetto dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell). Dalla Casa Bianca è arrivata invece venerdì scorso (28 maggio) la comunicazione che a partire da giovedì 3 giugno saranno reintrodotte sanzioni contro nove imprese collegate al regime bielorusso e che saranno considerate nuove misure “in coordinamento con l’Unione Europea e gli altri alleati”.
    Intanto, sul fronte orientale, il presiedente bielorusso esce rinvigorito dall’incontro di venerdì a Sochi con l’omologo russo, Vladimir Putin. Oltre alla seconda tranche da 500 milioni di dollari del prestito di Mosca a Minsk (su un totale di 1,5 miliardi accordati il 14 settembre dello scorso anno), come confermato anche dal portavoce di Putin, Dmitri Peskov, Lukashenko sarebbe pronto a ricevere “armi moderne” dall’alleato. Citato dall’agenzia stampa russa Interfax, il presidente bielorusso si è rallegrato del fatto che non ci sia stata “nessuna discussione sul dispiegamento permanente di forze russe o l’apertura di basi sul nostro territorio”. Uno scenario che potrebbe verificarsi solo “se dovessero sorgere delle preoccupazioni o se dovessimo vedere un’intensificazione dell’attività della NATO, fino a un conflitto militare“. In quel caso, “le forze russe saranno schierate in Bielorussia”.
    Per quanto riguarda il caso dell’arresto del giornalista e della compagna, Lukashenko ha seccamente commentato che “le indagini saranno svolte in Bielorussia“. Lo avrebbe riferito anche al presidente Putin a Sochi. Sulla questione della possibile competenza di Mosca sul caso erano nate delle speculazioni nei giorni precedenti all’incontro, dal momento in cui Sapega, studentessa 23enne di un master all’Università Europea di Scienze Umanistiche di Vilnius, è una cittadina russa.

    Messaggio di “appoggio incondizionato” dal segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg: “Queste sono sfide comuni alla nostra sicurezza”. Minsk aspetta la seconda tranche di prestiti russi e sostegno militare in caso di “intensificazione delle attività” dell’Alleanza Atlantica

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    La Svizzera abbandona i negoziati per rinnovare le intese con l’Unione europea

    Bruxelles – In pratica sembra essere una questione di ciliegie: la Svizzera vorrebbe scegliere quali cogliere, invece si ritroverà lì a vederle cadere marce.
    Questo pomeriggio (26 maggio) il Consiglio Federale della Confederazione elvetica ha deciso di rompere le trattative con l’Unione europea che erano tese (da sette anni) a trovare un’intesa su un “Accordo istituzionale” che adeguasse “dinamicamente” gli accordi tra le due parti per l’accesso al Mercato Unico europeo, che attualmente sono invece cristallizzati in un centinaio di intese nate tra 50 e 20 anni fa, e che dunque stanno rapidamente invecchiando.
    Le ciliegie, dicevamo. Un noto detto britannico definisce come “cherry piking” il tentativo di fare un accordo nel quale si tenta di prendere solo le cose più convenienti per la propria parte. Di questo l’Unione europea accusa la Svizzera, che dopo sette anni di negoziati ha bloccato la trattativa su tre temi: gli aiuti di Stato, la libera circolazione delle persone, protezione dei salari. “I colloqui hanno consentito di migliorare la comprensione reciproca delle rispettive posizioni, che sono tuttavia rimaste distanti in termini di contenuto”, è scritto nella nota del Consiglio Federale nella quale si annuncia la rottura delle trattative, auspicando comunque una generica “ripresa del dialogo”.
    E qui vengono le ciliegie marce. La Commissione non ha potuto che “prendere atto” della decisione svizzera, ma un alta fonte brussellese coinvolta nel negoziato ha spiegato che già da oggi ci saranno forti problemi per la Confederazione, poiché le intese bilaterali sono appunto vecchie “e ci saranno problemi immediati, come ad esempio sui dispositivi medici, che fino ad oggi la Svizzera poteva esportare nell’Unione con un trattamento di assoluto favore, poiché bastava la certificazione loro per poterli mettere in commercio. Da oggi sono entrate in vigore le nuove regole sulla commercializzazione di questi prodotti nel Mercato Unico, e la Confederazione semplicemente non potrà più esportare verso i 27 con le vecchie norme. Altri problemi immediati – ha continuato la fonte – ci saranno nel settore agricolo, ed anche sul tema della protezione dei dati da oggi dovremo avre un occhio diverso”.
    Perché qui era un po’ il cuore della proposta dell’Unione: arrivare ad un allineamento “dinamico” delle regole, che permettesse agli accordi vecchi di decenni di procedere al passo con le nuove regole che nel tempo l’Unione si darà.
    Anche per la Svizzera, come fu per la Gran Bretagna c’è poi un problema sulla competenza della Corte di Giustizia UE a giudicare su questa materia, “ma per noi non è una scelta – sottolinea la fonte – la Corte europea è l’unica che può giudicare sulle norme europee, è un obbligo legale dal quale non possiamo prescindere”.
    Con questa decisione di Berna resta dunque ferma anche la collaborazione nella ricerca, anche perché dal 2013 la Svizzera non paga più le sue quote per la politica di coesione “e dunque nessuna collaborazione è possibile – spiega la fonte -. Nel Bilancio pluriennale dell’Unione avevamo previsito dei capitoli di spesa su questo, ma senza un Accordo istituzionale come pre-requisito tutto è bloccato”.
    Ora l’Unione rifletterà sul da farsi, ma certo, spiegano alla Commissione “se non si arriverà ad una nuova intesa la Svizzera non avrà nuovi accessi al Mercato interno UE, mentre nel frattempo i vecchi accordi si indeboliranno, perché noi evolviamo”.
    Du questa situazione sfavorevole alla Confederazione sembrano coscienti i Cantoni, che in una nota congiunta affermano di aver “sempre sostenuto la necessità di un accordo con l’UE come garanzia di una relazione duratura e stabile con il nostro vicino diretto e partner economico più importante”. Secondo i governi cantonali l’approccio bilaterale deve continuare ad essere perseguito anche se i negoziati sono falliti, e “le conseguenze di questo fallimento e le questioni in sospeso nelle relazioni con l’UE dovrebbero venir chiarite il più presto possibile”. Anche l’organizzazione Economiesuisse (che rappresenta più di 100.000 aziende) non è felice di questo stop: “Spetta ora al Consiglio federale stabilizzare il percorso bilaterale e minimizzare i danni”, si legge in una nota, nella quale sottoolinea che la via bilaterale “deve quindi rimanere l’obiettivo prioritario della politica economica estera elvetica. A tal fine, dopo il fallimento dell’accordo istituzionale, in una prima fase è necessario stabilizzare gli accordi esistenti e minimizzare i danni”.

    Berna non è soddisfatta delle proposte su aiuti di Stato, la libera circolazione delle persone, protezione dei salari. “Senza una nuova intesa la Confederazione non avrà nuovi accessi al Mercato interno UE, mentre nel frattempo i vecchi accordi si indeboliranno”

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    Bielorussia, volo Ryanair dirottato per arrestare giornalista. Sanzioni per “terrorismo di Stato” sul tavolo del Consiglio UE

    Bruxelles – Terrorismo di Stato, pirateria aerea, inasprimento delle sanzioni. Tornano a scaldarsi gli animi dei capi di Stato europei nei confronti del presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, dopo il dirottamento del volo Ryanair Atene-Vilnius di ieri (domenica 23 maggio) verso Minsk, per arrestare il giornalista e oppositore politico, Roman Protasevich. Sul tavolo del Consiglio UE – convocato per oggi e domani – si ripresenta il dossier Bielorussia. Potrebbero essere inasprite le sanzioni nei confronti del regime, considerato il continuo deterioramento della situazione nel Paese, tra proteste pacifiche represse con la violenza e giornalisti arrestati e condannati arbitrariamente.
    Il giornalista e oppositore bielorusso Roman Protasevich, ex-direttore del canale bielorusso di informazione Telegram, Nexta
    Il caso di Protasevich è l’ultimo in ordine cronologico e senza dubbio quello più appariscente a livello internazionale. Il volo FR4978 operato dalla compagnia aerea low cost irlandese è stato deviato dalla sua rotta verso la capitale della Lituania e scortato da un jet da combattimento bielorusso all’aeroporto di Minsk, a seguito di una comunicazione dei controllori del traffico aereo nazionale di una “possibile minaccia di bomba a bordo“. Una volta che l’aereo è stato fatto atterrare d’emergenza alle ore 12.25, due passeggeri sono stati arrestati: oltre all’ex-direttore di Nexta (canale bielorusso di informazione Telegram), inserito dal regime nell’elenco delle “persone coinvolte in attività terroristiche”, anche la compagna Sophia Sapega, studentessa russa 23enne di un master all’Università Europea di Scienze Umanistiche di Vilnius.
    Le istituzioni europee, attive a sostegno dell’opposizione bielorussa dall’inizio delle proteste nel Paese il 9 agosto dello scorso anno, hanno subito denunciato con forza l’accaduto. L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha sottolineato che “TUTTI i passeggeri devono essere in grado di continuare il loro viaggio immediatamente”, mentre il presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, ha preteso “spiegazioni immediate”. La leader dell’esecutivo UE, Ursula von der Leyen, è stata invece la prima a far trapelare quali saranno le prossime mosse di Bruxelles: dopo aver definito l’azione “oltraggiosa e illegale”, che “avrà delle conseguenze”, su Twitter ha riferito che “i responsabili del dirottamento devono essere sanzionati” e che il Consiglio Europeo “discuterà le azioni da intraprendere”.

    The outrageous and illegal behaviour of the regime in Belarus will have consequences.
    Those responsible for the #Ryanair hijacking must be sanctioned.
    Journalist Roman Protasevich must be released immediately.
    EUCO will discuss tomorrow action to take.
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) May 23, 2021

    La conferma è arrivata dal Consiglio Europeo. Il portavoce Barend Leyts ha riferito che oggi i leader europei discuteranno di “possibili sanzioni”, dopo i tre pacchetti già adottati dall’UE, mentre il presidente Charles Michel in una nota ha messo in chiaro che sarà affrontato “questo incidente senza precedenti”, che “non rimarrà senza conseguenze”. Una decisione che parte dalle reazioni molto dure nelle capitali europee (e non solo). Il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, ha definito il dirottamento e gli arresti un “atto di terrorismo di Stato”, mentre da Berlino all’Italia, passando per Parigi, Vilnius, Dublino e Londra, sono arrivati moniti a Minsk per il rilascio del giornalista e della compagna.
    L’accaduto è stato condannato “fermamente” anche da Washington: “Questo atto scioccante perpetrato dal regime di Lukashenko ha messo in pericolo la vita di oltre 120 passeggeri, compresi i cittadini statunitensi”, ha reso noto in un comunicato il segretario di Stato, Antony Blinken. “Stiamo coordinando da vicino la risposta con i nostri partner”, che riguarderà in primo luogo un’indagine da parte del Consiglio dell’Organizzazione per l’aviazione civile internazionale, ma anche la denuncia delle “continue molestie e la detenzione arbitraria di giornalisti”.
    Le reazioni in Italia
    Anche dall’Italia sono arrivate dure condanne per l’azione intrapresa ieri dal regime bielorusso. “È un atto violento che l’Europa unita non può accettare e che non può restare senza conseguenze”, ha denunciato su Twitter il sottosegretario per gli Affari Europei, Enzo Amendola. “Chiediamo l’immediato rilascio di tutti i passeggeri del volo Ryanair dirottato”, concludendo con #freebelarus. Lo stesso hashtag è stato utilizzato dal segretario del Partito Democratico, Enrico Letta, dopo aver ribadito che “dirottare un aereo è un atto terroristico e come tale va trattato”.
    Per il presidente della commissione Esteri della Camera dei Deputati, Piero Fassino, si tratta di un “atto di pirateria aerea, illegale, arrogante e in dispregio di ogni diritto”, ma anche “la conferma di quanto il regime di Lukashenko rappresenti un pericolo per la Bielorussia e la sicurezza internazionale”. L’eurodeputato del Movimento 5 Stelle e vicepresidente del Parlamento Europeo, Fabio Massimo Castaldo, si è unito al coro di denunce, chiedendo che Protasevich e gli altri passeggeri siano liberati “immediatamente”, oltre al fatto che “questa violenza non può rimanere impunita“.

    È inaccettabile che il volo Ryanair da Atene a Vilnius sia stato dirottato con la forza su Minsk: Roman #Protasevich e tutti gli altri passeggeri illegalmente detenuti dal regime di #Lukashenka devono essere immediatamente liberati, e questa violenza non può rimanere impunita!
    — Fabio Massimo Castaldo (@FMCastaldo) May 23, 2021

    L’aereo scortato all’aeroporto di Minsk da un jet da combattimento per “possibile minaccia di bomba a bordo”. In manette l’oppositore Protasevich e la compagna Sapega. Il vertice dei leader europei discuterà oggi della risposta dell’Unione

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    Conflitto Israele-Palestina, “proteggere i civili” è la priorità di Bruxelles. Domani riunione straordinaria dei ministri Esteri UE

    Bruxelles – A una settimana esatta dalla ripresa del conflitto tra Israele e Palestina, il quadro della situazione può essere tracciato da pochi – ma tragici – numeri: 197 palestinesi sono stati uccisi dai raid aerei israeliani su Gaza, tra cui almeno 58 bambini e 34 donne, e altri 1.235 feriti, mentre 10 israeliani hanno perso la vita a causa dei razzi lanciati da Hamas verso il sud del Paese (lo riportano rispettivamente il ministero della Salute palestinese e le Forze di Difesa israeliane). È la più grave escalation di violenza dal 2014 a oggi, che sta mettendo le diplomazie mondiali di fronte a grossi interrogativi sulle modalità di difesa di Israele e sul suo ininterrotto processo di occupazione abusiva dei territori palestinesi.
    Mentre il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sta cercando (al momento senza successo) di trovare una posizione comune per un cessate il fuoco “immediato”, come confermato dal segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, anche l’Unione Europea si sta muovendo per “agire come un attore politico e diplomatico unito“. Lo ha spiegato oggi (lunedì 17 maggio) Peter Stano, portavoce dell’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, commentando la convocazione d’urgenza dei ministri degli Affari esteri UE di domani. “La riunione straordinaria ci permetterà di capire come affrontare al meglio l’escalation di violenza a Gaza, in Israele e nei territori palestinesi occupati”, ha riferito alla stampa, ponendo l’accento sul fatto che “la nostra priorità è la de-escalation, proteggere i civili e trovare soluzioni sostenibili sul lungo periodo“.

    In view of the ongoing escalation between Israel and Palestine and the unacceptable number of civilian casualties, I am convening an extraordinary VTC of the EU Foreign Ministers on Tuesday. We will coordinate and discuss how the EU can best contribute to end the current violence
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) May 16, 2021

    Traspare cautela dalle parole di Stano che, pressato dai giornalisti, ha dato un colpo al cerchio e uno alla botte. Da una parte, “è sempre stata chiara” la posizione di Bruxelles sulle colonie israeliane e le relative espulsioni di cittadini palestinesi nei territori occupati: “Sono illegali e non in linea con la legge internazionale, perché impediscono il raggiungimento di una soluzione stabile nella regione“. Ma allo stesso tempo, “non dobbiamo dimenticare che Hamas ha iniziato a lanciare razzi indiscriminatamente su Israele, con l’obiettivo di colpire civili”, e questo per Bruxelles è “un atto terroristico inaccettabile”. In questo senso si definisce il “diritto di Israele di difendersi”, anche se l’UE ribadisce che la risposta “deve essere proporzionata e non deve violare le leggi internazionali”.
    A questo proposito va ricordata la polemica con il governo di Benjamin Netanyahu sull’abbattimento dell’edificio al-Jala in pieno centro a Gaza (lo scorso sabato 15 maggio), dove avevano sede al-Jazeera e diverse agenzie internazionali di informazione, tra cui Associated Press. “L’attacco israeliano è estremamente preoccupante, perché la sicurezza dei giornalisti è essenziale, specialmente in aree di conflitto“, ha commentato il portavoce della Commissione UE. “I media devono poter lavorare in uno scenario sicuro e riportare cosa sta accadendo in modo libero e indipendente”. Ma, aldilà degli operatori dell’informazione, il vero punto focale è la protezione dei civili: “Ogni vita persa è una tragedia e stiamo lavorando con i partner per fermare questa escalation”. L’obiettivo è ambizioso: “Dobbiamo cercare di risolvere il problema alla radice, ovvero puntare alla soluzione sostenibile e duratura dei due Stati indipendenti“. Serviranno ancora ventiquattro ore per capire se e come i Paesi membri UE riusciranno a spingere in questa direzione in modo unito.

    Non si ferma il lancio di razzi di Hamas verso il sud del Paese e i raid israeliani su Gaza, mentre si aggrava il bilancio delle vittime. I Ventisette convocati d’urgenza dall’alto rappresentante Borrell per rispondere all’escalation di violenza “come un attore politico e diplomatico unito”

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    Bielorussia, Consiglio Affari Esteri lavora al nuovo pacchetto di sanzioni UE contro regime Lukashenko

    Bruxelles – Non sono bastati tre pacchetti di sanzioni contro il regime del presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, per mettere fine alla repressione nel Paese. Nel corso del Consiglio Affari Esteri di oggi (lunedì 10 maggio), i ministri UE hanno deciso di iniziare a lavorare su un quarto ciclo di sanzioni, che dovrebbe essere in arrivo “nelle prossime settimane”.
    È quanto anticipato in conferenza stampa dall’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “Non si ferma in Bielorussia la repressione e l’opera di intimidazione da parte del regime contro i suoi cittadini“, che dal 9 agosto dello scorso anno, il giorno delle contestate elezioni presidenziali, stanno dando vita a proteste pacifiche. “Nel nuovo pacchetto prenderemo in considerazione tutto quello che sta succedendo nel Paese”, ha aggiunto l’alto rappresentante UE, incluso il fatto che “ora è stata presa di mira anche la comunità polacca“.

    Lo ha annunciato l’alto rappresentante Borrell al termine del vertice con i ministri dei Paesi membri: “Non si ferma la repressione nel Paese, ora è stata presa di mira anche la comunità polacca”

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    Elezioni in Albania, socialisti verso la vittoria. Critiche dall’UE per “l’interferenza al voto” dal Kosovo

    Bruxelles – Se la tradizione delle urne in Italia dice che dopo il voto tutti hanno vinto e nessuno ha perso, nei Paesi dei Balcani occidentali vale invece un altro uso: non c’è elezione che non sia accompagnata da polemiche su interferenze esterne. Meglio ancora, che non coinvolga in qualche modo i due vicini più problematici della regione: Serbia e Kosovo. In questo modo si può leggere anche la tornata elettorale per il rinnovo del Parlamento albanese che si è svolta ieri (domenica 25 aprile).
    Il premier dell’Albania, Edi Rama, e la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen (2020)
    Scrutinato più di un terzo delle schede elettorali, il Partito Socialista del primo ministro in carica, Edi Rama, si sta proiettando vincitore con il 49,3 per cento dei voti: risultato che gli consentirebbe di guidare il Paese per la terza legislatura consecutiva (dal 2013). Il diretto avversario, il Partito Democratico di Lulzim Basha, si fermerebbe al 38,8 per cento delle preferenze: una crescita di 10 punti percentuali rispetto alle elezioni di quattro anni fa, ma non ancora sufficiente per scalzare i socialisti dal governo. La Commissione elettorale centrale albanese ha però fatto sapere che per completare il processo di conteggio delle schede ci potrebbero volere “anche 48 ore” (a partire dalla chiusura dei seggi alle ore 19 di ieri) e ha invitato a “mantenere la calma” fino a quando i risultati non saranno ufficiali.
    La vigilia delle elezioni è stata caratterizzata da tensioni in tutto il Paese e da episodi di violenza nella città di Elbasan, alimentati da un clima politico particolarmente teso negli ultimi anni. Nel febbraio del 2019 l’opposizione albanese aveva deciso di abbandonare il Parlamento in segno di protesta per le accuse di corruzione del Partito Socialista al governo e i sospetti di compravendita di voti alle elezioni del 2017. Il risultato è stato un aumento delle divisioni interne su temi-chiave per lo sviluppo del Paese e le prospettive europee, come la riforma elettorale, l’emigrazione, la lotta alla corruzione e alle interferenze nei media e le politiche di occupazione.
    Parlando alla nazione dopo la chiusura delle urne, il presidente della Repubblica, Ilir Meta, ha annunciato che “è l’Albania ad aver vinto in questo processo storico”, richiamando “la straordinaria responsabilità” degli scrutatori per “concluderlo in modo dignitoso”. Il presidente della Repubblica ha poi rassicurato i concittadini che “il risultato non sarà distorto né influenzato da nessuno“. Un riferimento al tema che nella giornata di ieri ha sollevato polemiche non solo nella regione, ma anche a Bruxelles.
    “L’interferenza” kosovara
    A infuocare la domenica elettorale albanese è stata la partecipazione al voto del neo-premier del Kosovo, Albin Kurti. Il leader del partito della sinistra nazionalista Vetëvendosje (Autodeterminazione), vincitore delle elezioni del 14 febbraio scorso, si è potuto recare alle urne nel Paese “straniero” in virtù della sua appartenenza etnica albanese, che gli ha anche permesso di presentare tre candidati del suo partito Vetëvendosje in Albania.
    Il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti
    Accompagnato dal candidato nella regione di Tirana, Boiken Abazi, il premier kosovaro ha invitato “tutti i cittadini albanesi” a “rispettare la nostra patria, facendo la scelta migliore secondo i propri principi e valori“. Parlando alla stampa, Kurti ha definito l’appuntamento di ieri “un giorno di democrazia” non solo per i cittadini della Repubblica di Albania, ma anche per i quasi due milioni di “albanesi della diaspora”, i gruppi etnici che vivono soprattutto in Kosovo e Macedonia del Nord, ma anche negli altri Paesi della penisola o nel resto del mondo. Da più di un mese il leader nazionalista kosovaro li ha invitati a recarsi alle urne in Albania (dal momento in cui la legge elettorale non contempla il voto ai cittadini che risiedono all’estero), per “realizzare un cambiamento” contro i partiti tradizionali, socialisti del premier Rama in primis.
    Da Bruxelles, una critica feroce è arrivata dalla relatrice sul Kosovo per il Parlamento Europeo, Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/ALE): “È una cosa inaccettabile“, ha tuonato. L’eurodeputata tedesca ha commentato su Twitter di non riuscire a capacitarsi della decisione: “Da una parte, tutti in Kosovo si lamentano dell’ingerenza della Serbia e del presidente Aleksandar Vučić, mentre dall’altra parte il premier kosovaro va a votare in un Paese vicino”.

    I cannot understand what this is all about. On one hand everyone in Kosovo complains about interference from Serbia or from President @avucic himself but on the other hand here does the PM of #Kosovo even vote in a neighbouring state. Not acceptable. At least not for me. https://t.co/J3ndibX1qq
    — Viola von Cramon (@ViolavonCramon) April 25, 2021

    Ed è stato proprio il presidente serbo Vučić a rincarare la dose, dopo essere arrivato ieri nella capitale belga per partecipare a una due-giorni di incontri con i vertici delle istituzioni europee (in programma ieri e oggi). “Nonostante per la nostra Costituzione Pristina faccia parte della Serbia, immaginate se fossi andato io a votare in una qualche località in Kosovo”, ha dichiarato alla stampa: “Sarebbe stato uno scandalo a livello mondiale”. Secondo il presidente serbo, “quello lanciato da Kurti è uno dei suoi tanti messaggi nazionalisti“, che spaziano “dall’unificazione del Kosovo con l’Albania alla richiesta di risarcimenti di guerra alla Serbia”.
    Coinvolti in un complesso dialogo mediato dall’Unione Europea – che recentemente ha coinvolto anche la distribuzione di vaccini anti-COVID – i leader di Serbia e Kosovo saranno entrambi ospiti a Bruxelles nel corso di questa settimana. Vučić completerà oggi il tour de force con Commissione (la presidente, Ursula von der Leyen, l’alto rappresentate UE, Josep Borrell, il commissario per l’Allargamento, Olivér Várhelyi, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák), Consiglio (il presidente Charles Michel) e il Parlamento Europeo (il relatore sulla Serbia, Vladimír Bilčík). Per mercoledì (28 aprile) è previsto invece l’arrivo del premier Kurti, che discuterà con i rappresentanti dell’UE del nuovo approccio kosovaro al dialogo con la controparte. In attesa della ripresa dei colloqui di alto livello, fermi all’incontro del 7 settembre dello scorso anno: questa settimana avrebbe potuto rappresentare l’occasione della svolta, ma per la tensione in aumento negli ultimi mesi, rischia di essere invece l’ennesima occasione persa.

    Il partito del primo ministro Rama virtualmente primo, ma la commissione elettorale avverte che “potrebbero volerci 48 ore” per lo scrutinio. Scoppia la polemica sul coinvolgimento del premier kosovaro Kurti, che ha sfruttato la carta etnica (albanese) per recarsi alle urne

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    Brexit, più vicina la libera circolazione dati UE-Regno Unito. Ma sono necessari “ulteriori chiarimenti”

    Bruxelles – Dopo il via libera della Commissione Europea alla libera circolazione di dati e informazioni personali dei cittadini UE verso il Regno Unito anche nell’era post-Brexit, il Comitato europeo per la protezione dei dati (EDPB) ha adottato le sue opinioni sulle condizioni di adeguatezza degli standard britannici in materia di tutela della privacy.
    Con il parere 14/2021 e 15/2021, il Comitato ha riconosciuto un “allineamento generale tra l’UE e il Regno Unito” per quanto riguarda il livello di protezione dei dati Allo stesso tempo, è stata rilevata la necessità di un maggiore controllo sulle prossime valutazioni e di “ulteriori chiarimenti” sulle pratiche di intercettazione di massa del Regno Unito e sull’uso di strumenti di elaborazione automatizzata.
    Nelle sue raccomandazioni, l’EDPB ha invitato la Commissione UE a “integrare la propria analisi” con un meccanismo per informare le autorità competenti degli Stati membri “interessati dal trattamento o divulgazione da parte delle autorità del Regno Unito”.
    Inoltre, nonostante il “livello adeguato di protezione dei dati” attualmente riscontrabile Oltremanica, la Commissione Europea non dovrebbe rinunciare a “svolgere il proprio ruolo di monitoraggio” nelle future relazioni con Londra. Nelle opinioni dell’EDPB viene spiegato che, se la controparte non dovesse mantenere “il livello sostanzialmente equivalente”, l’esecutivo UE dovrebbe considerare di “modificare la decisione di adeguatezza per introdurre garanzie specifiche” o anche di “sospendere la decisione di adeguatezza”.

    Adottato il parere del Comitato europeo per la protezione dei dati (EDPB), che ha riconosciuto un “allineamento generale” tra Bruxelles e Londra in materia di privacy. Chiesto un approfondimento sulle pratiche di intercettazione di massa e sull’uso di strumenti di elaborazione automatizzata.

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    Navalny, l’UE “profondamente preoccupata” dalle condizioni di salute: “Autorità russe responsabili”

    Bruxelles – Alexei Navalny sta morendo. Richiamato da queste quattro parole pronunciate sabato sera (17 aprile) dal portavoce dell’attivista russo, l’Occidente è tornato a mobilitarsi. Da Bruxelles a Washington, passando per Roma, Berlino e Parigi, è largo il fronte che in queste ore sta esprimendo apprensione per lo stato di salute dell’oppositore del presidente russo, Vladimir Putin, in carcere da tre mesi dopo aver subito un tentativo di avvelenamento nell’agosto dello scorso anno.
    “L’Unione Europea è profondamente preoccupata” per gli ultimi aggiornamenti sulle condizioni del leader dell’opposizione russa, a cui deve essere garantito “l’accesso immediato ai professionisti medici di cui si fida”. L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha espresso in una nota l’appello di Bruxelles per il “rilascio immediato e incondizionato” dell’uomo, dal momento in cui “consideriamo la sua condanna politicamente motivata e in contrasto con gli obblighi della Russia in materia di diritti umani”. Destinatarie dell’invito di Borrell a intervenire sono le “autorità responsabili della sicurezza e della salute dell’onorevole Navalny“.
    L’alto rappresentante UE ha richiamato anche le parole di condanna della commissaria per i Diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, e ha attaccato il Cremlino sul fatto che “il caso Navalny non è un incidente isolato“. L’evento sarebbe piuttosto il caso più eclatante di “un modello negativo di contrazione dello spazio per l’opposizione, la società civile e le voci indipendenti nella Federazione Russa”.

    Deeply concerned by Alexei @navalny’s deteriorating health. Russian authorities must grant him immediate access to medical professionals he trusts. We hold them to account for ensuring his safety & health.
    EU continues to call for Mr Navalny’s immediate & unconditional release. https://t.co/iwFV31Sdgi
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) April 18, 2021

    Il dossier Navalny sarà oggi sul tavolo dei ministri degli Esteri europei a Bruxelles. A margine della riunione, lo stesso Borrell ha ricordato che la sua richiesta di liberazione (avanzata nel corso della sua visita a Mosca di inizio febbraio) “non è stata ascoltata e ora la situazione è peggiorata”.
    Le reazioni internazionali
    A proposito dello stato di salute di Navalny e delle cause all’origine – una situazione “totalmente ingiusta, totalmente inappropriata”, come l’ha definita il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden – da diverse capitali europee si sono levate voci di protesta. La Farnesina “auspica che gli venga garantito accesso immediato alle cure mediche di cui ha bisogno”, mentre il sottosegretario agli Affari europei, Enzo Amendola, ha avvertito che “non c’è più tempo” e “Italia e Unione Europea, unite nella difesa dei diritti, non resteranno spettatrici“. Intanto, il segretario del Partito Democratico, Enrico Letta, ha lanciato su Twitter l’hashtag #FreeNavalnyNow, per aumentare la mobilitazione degli utenti dei social media a supporto del leader dell’opposizione russa.

    #FreeNavalnyNow https://t.co/I4c8CUYjNv
    — Enrico Letta (@EnricoLetta) April 18, 2021

    Da Parigi si punta il dito contro il presidente Putin, che avrebbe “una responsabilità enorme” in tutta la vicenda, ha  commentato il ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian. Il suo omologo tedesco, Heiko Maas, ha chiesto che il diritto di Navalny all’accesso all’assistenza medica sia “garantito senza indugio”. Dura la minaccia del consigliere per la Sicurezza nazionale USA, Jake Sullivan: “Abbiamo comunicato al governo russo che quello che accade a Navalny in prigione è loro responsabilità e che la comunità internazionale ne chiederà conto“, ha dichiarato alla CNN. “Nel caso Navalny morisse, stiamo esaminando diverse misure che potremmo imporre” ai danni di Mosca, ha aggiunto Sullivan.
    Il servizio penitenziario federale russo (FSIN) ha fatto sapere che il detenuto sarà trasferito nel reparto ospedaliero della colonia penale IK-3, nell’oblast (regione) di Vladimir. Il servizio penitenziario ha comunque sottolineato che le condizioni di Navalny sono “soddisfacenti”, dal momento in cui “viene visitato ogni giorno da un medico generico”, e che “con il consenso del paziente, gli è stata prescritta una terapia vitaminica”. Ma proprio a seguito della notizia del trasferimento, dallo staff del leader dell’opposizione è stato lanciato un nuovo allarme: “Si tratta della stessa colonia di tortura, solo con un grande ospedale, dove vengono trasferiti i malati gravi“, ha scritto su Twitter Ivan Zhdanov, direttore del Fondo Anti-Corruzione. Questo andrebbe inteso come un peggioramento delle condizioni di Navalny, “al punto che persino la struttura stessa lo ammette”.

    L’alto rappresentante Borrell chiede il “rilascio immediato e incondizionato” dell’oppositore del presidente Putin, mentre da Roma a Washington aumenta la pressione sul Cremlino. Oggi il dossier sul tavolo dei ministri degli Esteri europei