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    UE: “Pronti ad impegnarci con i talebani, ma il dialogo dipende da loro”

    Bruxelles – Con i talebani bisognerà avere a che fare, ma la qualità e la quantità del dialogo dipenderà da come i nuovi leader dell’Afghanistan affronteranno alcuni temi cruciali.
    Così un alto funzionario dell’Unione europea spiega le future relazioni che potranno svilupparsi con la nuova amministrazione del Paese asiatico: “Dovremo avere relazioni con i talebani, perché rappresentano una forza che è nel futuro dell’Afghanistan, che sarà centrale nel nuovo governo”. Però per l’UE il dialogo, la sua qualità, sarà strettamente legata alle scelte che i talebani faranno nei prossimi giorni, quando si installeranno al potere. “Noi vogliamo che scelgano di continuare nella scia di aperture degli ultimi 20 anni, nei riguardi delle donne, del rispetto dei diritti umani, della possibilità di lasciare il Paese per chi lo vorrà”, spiega la fonte. Se la strada sarà questa allora “potremo sviluppare dei rapporti, altrimenti potrebbe essere molto difficile, sta a loro decidere”.
    L’Unione vuole avere un ruolo “di aiuto – spiega il funzionario -, vogliamo svolgere un’azione di assistenza umanitaria, ma i nostri operatori devono poter essere liberi di agire”.
    A Bruxelles si aspetta dunque di vedere che governo si formerà, che programma avrà e ci sarà molta attenzione in particolare sui diritti delle donne, “sulla loro possibilità di accedere all’istruzione”. Insomma, la qualità del rapporto con l’Unione “dipende da loro, dai talebani”.

    “Con loro dovremo avere delle relazioni perché saranno al centro del nuovo governo. Ma dobbiamo capire come vogliono affrontare alcuni temi di diritti civili, come quelli delle donne”

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    Stati Uniti e Israele fuori dalla lista di Paesi a cui garantire viaggi “non essenziali” in UE

    Bruxelles – Poco più di due mesi. E’ il tempo che gli Stati Uniti hanno trascorso nella lista “bianca” dell’UE dei Paesi a cui eliminare le restrizioni ai viaggi anche non essenziali in Europa.
    Quando ormai la stagione turistica è agli sgoccioli, gli ambasciatori europei riuniti al COREPER (sede delle rappresentanze permanente dei Paesi Ue) hanno raccomandato agli Stati membri di vietare l’ingresso nei Paesi europei per ragioni “non essenziali” a persone che arrivano dagli USA, facendo marcia indietro rispetto a quanto stabilito lo scorso 18 giugno. Gli ambasciatori dell’UE hanno aggiornato oggi (30 agosto) la lista dei Paesi a cui rimuovere le restrizioni ai viaggi in Europa anche per ragioni non essenziali.

    #COVID19 | @EUCouncil updated the list of countries & entities for which travel restrictions should be lifted. Removed from the list: 🇮🇱🇲🇪🇲🇰🇽🇰🇱🇧🇺🇲
    The criteria cover epidemiological situation & overall response, as well as reliability of available data.https://t.co/tBMwUMshXe
    — EU2021SI (@EU2021SI) August 30, 2021

    Insieme agli Stati Uniti, vengono rimossi dall’elenco dei Paesi a cui garantire l’ingresso anche per motivi “non essenziali” Israele, Kosovo, Libano, Montenegro e Macedonia del Nord. Ufficialmente, a pesare sulla rimozione di questi Paesi è il peggioramento della loro situazione epidemiologica, dovuta alla diffusione della variante Delta del Coronavirus. Secondo le regole del Consiglio, per essere nella lista – che viene controllata e aggiornata ogni 14 giorni – un Paese deve registrare meno di 75 casi di COVID-19 al giorno ogni 100 mila abitanti registrati negli ultimi 14 giorni, mentre gli Stati Uniti – ci chiariscono fonti dell’UE – ne contano circa 500 al giorno.
    I viaggi non essenziali sono stati vietati nell’UE dopo lo scoppio della pandemia di Coronavirus per evitare ulteriori contagi, ma la lista viene costantemente aggiornata. Nonostante a giugno l’Unione Europea avesse raccomandato ai governi di garantire i viaggi non essenziali dagli Stati Uniti per il miglioramento della condizione epidemiologica, ma anche per rivitalizzare il settore turistico europeo, gli Stati Uniti non hanno mai fatto altrettanto nei confronti dei Paesi europei, mantenendo complicati i viaggi negli Stati Uniti.
    Il Consiglio chiarisce che non c’è alcun legame tra la decisione di rimuovere gli Stati Uniti e la mancata reciprocità verso l’UE, nonostante Bruxelles abbia continuato a lavorare sul fronte diplomatico per convincere Washington a fare altrettanto. Rispondendo a una domanda al briefing con la stampa, un portavoce della Commissione europea ha confermato che l’esecutivo “segue molto da vicino la questione dei viaggi dei cittadini europei verso gli Stati Uniti e viceversa”. La questione della mancata reciprocità è stata uno degli argomenti affrontati dalla commissaria agli Affari interni dell’UE, Ylva Johansson, nel suo incontro di oggi (30 agosto) con il segretario di Stato alla Sicurezza, Alejandro Mayorkas.
    La lista aggiornata dal Consiglio è solo una raccomandazione nei confronti dei governi nazionali, che decidono in autonomia sulle loro frontiere. Attualmente nella “lista bianca” figurano: Albania, Armenia, Australia, Azerbaigian, Bosnia ed Erzegovina, Brunei Darussalam, Canada, Giappone, Giordania, Nuova Zelanda, Qatar, Repubblica di Moldova, Arabia Saudita, Serbia, Singapore, Corea del Sud, Ucraina, Cina (previa conferma di reciprocità).

    Il Consiglio dell’UE aggiorna la lista dei Paesi terzi per i cui residenti si possono a rimuovere gradualmente le restrizioni di viaggio e toglie USA, Israele, Kosovo, Libano, Montenegro e Macedonia del Nord. A pesare il peggioramento delle condizioni epidemiologiche con la risalita delle infezioni dovute alla variante Delta

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    Afghanistan, ultime ore degli europei a Kabul. Da Roma a Berlino, chiusi in fretta i ponti aerei

    Bruxelles – Mantenere aperto e al sicuro il passaggio all’aeroporto di Kabul per portare a termine le operazioni di evacuazione, di civili e contingente militare. E’ stata questa una delle principali priorità dei leader europei nella notte tra giovedì 26 e venerdì 27 agosto, dopo essersi impegnati a portare avanti le operazioni di evacuazione della capitale afghana nonostante ma anche soprattutto a causa dell’attentato terroristico che ieri ha scosso l’aeroporto di Kabul. Facendo concludere vent’anni di presenza occidentale sul territorio afghano nel peggiore dei modi possibili.
    L’attentato è stato rivendicato ieri (26 agosto) dalla divisione afghana dell’ISIS, lo Stato islamico, e ha causato la morte di almeno 13 marines statunitensi e una settantina di civili afghani. La scadenza per il ritiro da Kabul era comunque fissato al 31 agosto su volere di Joe Biden, presidente statunitense, e i Paesi europei avevano evacuato gran parte dei propri cittadini, dei civili afghani che hanno collaborato con le truppe occidentali e la forze NATO ma anche coloro ritenuti vulnerabili al punto da portarli nel Continente.
    Avevano messo in conto che le prossime 24/36 ore sarebbero state decisive per portare a termine le operazioni con largo anticipo rispetto alla data del 31 agosto, per dare modo anche al contingente militare di andare via in sicurezza. Come prevedibile, la minaccia di nuovi attentati terroristici ai danni dell’aeroporto – unica via di fuga attraverso un “canale” occidentale (per ora) – ha ulteriormente accelerato la situazione. Uno dopo l’altro, tra ieri e questa mattina, i Paesi europei e la stessa Unione europea stanno mettendo fine alle operazioni con il sostegno della NATO, dando priorità a evacuare il maggior numero di persone in sicurezza il più rapidamente possibile.
    Ultimo C-130 da Kabul per l’Italia con a bordo il console Tommaso Claudi (in foto il terzo da sinistra)
    Si chiude oggi il ponte aereo italiano con l’Afghanistan, con la partenza dell’ultimo volo da Kabul. “Tutti gli italiani che volevano essere evacuati sono stati evacuati dall’Afghanistan assieme a circa 4.900 cittadini afghani”, ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, a margine dei colloqui a Roma con l’omologo russo Sergej Lavrov. Ha confermato che “nelle prossime ore partirà da Kabul l’ultimo aereo C-130 dall’aeroporto di Kabul con a bordo il console italiano Tommaso Claudi e l’ambasciatore Stefano Pontecorvo che coordina per conto della Nato le operazioni allo scalo afghano e tutti i militari che hanno contribuito alle operazioni di evacuazione”.
    Già concluse le operazioni per la Spagna: “Questa mattina (27 agosto) è atterrato a Dubai l’ultimo volo di evacuazione spagnolo con il personale e i collaboratori rimasti in Afghanistan fino all’ultimo minuto per rendere possibile questa missione di rimpatrio”, ha fatto sapere il premier spagnolo Pedro Sanchez. Da Madrid arriva la promessa di non volere lasciare solo il popolo afghano, quello rimasto lì. “Rimaniamo impegnati a difendere i diritti umani e la libertà nel Paese, cercando modi per aiutare a evacuare il maggior numero di persone che hanno collaborato con la Spagna e la comunità internazionale”, ha aggiunto.
    Promessa simile arriva dalla cancelliera tedesca Angela Merkel. Berlino promette assistenza anche oltre 31 agosto, anche se la Germania ha concluso già ieri le operazioni militari di evacuazione. “Non dimenticheremo coloro che non hanno potuto essere portati in salvo attraverso il ponte aereo [militare]”, ha detto Merkel. “Continueremo gli sforzi in modo che possano andarsene”. Berlino stima in 5.347 le persone evacuate dal 16 agosto, compresi più di 4.000 cittadini afgani mentre il ministro tedesco degli Esteri, Heiko Maas, conferma che Berlino sta lavorando per trovare altre vie, che non siano il ponte aereo, per evacuare “quelli in Afghanistan per i quali abbiamo una sorta di responsabilità”.
    Oltremanica, il premier britannico Boris Johnson ha fatto sapere ieri che le operazioni guidate da Londra per portare via circa 15mila persone (per lo più afgani, ma anche britannici e alcuni altri occidentali) erano agli sgoccioli. Secondo il Guardian, il premier conservatore ha confermato che la “grande maggioranza” degli afgani che hanno collaborato con Londra è stata ora portata in salvo nel Regno Unito, ma ha anche sottolineato che questa è solo la “prima fase” del processo, e che se dovesse esserci bisogno di lasciare l’Afghanistan dopo il 31 agosto, allora bisognerà trovare il modo di farlo.
    La Francia aveva programmato la fine delle evacuazioni da Kabul questa sera, dopo aver già evacuato dall’Afghanistan oltre 2mila afghani e un centinaio di francesi da quando l’operazione ha preso il via la scorsa settimana. Il governo dei Paesi Bassi ha anticipato a ieri sera il rimpatrio di tutti i cittadini olandesi presenti in Afghanistan, dopo aver evacuato già 1.200 persone, ma centinaia di cittadini olandesi e afgani che hanno lavorato per le forze armate olandesi stanno ancora aspettando di lasciare il Paese. Anche la Polonia ha chiuso ieri la sua missione di evacuazione da Kabul, dopo aver trasportato più di 1.300 persone, ha detto il viceministro degli Esteri Marcin Przydacz, sottolineando che la missione “organizzata per i polacchi e per i collaboratori dalla Polonia” si è conclusa “per motivi di sicurezza”.
    Conclusa ieri anche la missione del Belgio, della Danimarca e dell’Ungheria, dopo aver trasportato in aereo circa 540 persone tra cittadini ungheresi, afgani e le loro famiglie che in precedenza avevano lavorato per le forze ungheresi. Mentre in Svezia sono arrivate nella mattina di oggi le parole del ministro del ministro degli Esteri svedese, Ann Linde, secondo cui “in tutto circa 1.100 persone sono state evacuate dal ministero degli Esteri. Tutto il personale dell’ambasciata impiegato a livello locale e le loro famiglie sono state evacuate”, ha detto.
    Le operazioni dell’Unione Europea
    Accanto al lavoro che singolarmente stanno svolgendo i Paesi europei per chiudere in sicurezza il ponte aereo, c’è quello che sta facendo l’Unione Europea per portare a casa lo staff che è rimasto ancora su territorio e chi ha collaborato con la delegazione europea negli anni. Secondo Peter Stano, portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna che fa capo a Josep Borrell, la maggior parte dello staff europeo è stato tutto evacuato da Kabul, tranne una piccolissima quantità di persone che è rimasta lì per aiutare con gli sforzi di evacuazione in corso.
    Per ragioni di sicurezza, parlando con la stampa Stano non ha rivelato quante siano le persone ancora a Kabul. Quanto invece al personale locale che ha lavorato per la delegazione dell’UE a Kabul, sono circa 400 le persone – compresi i membri della famiglia – che Bruxelles è riuscita portare via da lì, anche se restano ancora alcune persone che è nell’interesse di Bruxelles far fuggire. La promessa nelle parole di Stano è che l’UE “rimarrà lì per tutto il tempo necessario”, fino a quando ce ne sarà bisogno. Oggi, alla luce delle violenze di ieri, arriva la conferma che il team dell’UE è ancora a lavoro per fornire il supporto necessario in questa operazione. “Non stiamo lasciando indietro il nostro personale nazionale afgano in Afghanistan , con l’aiuto dell’UE continuano a raggiungere un rifugio sicuro in Europa”, si legge in un tweet dell’account del meccanismo europeo di protezione civile e aiuto umanitario.

    We are not leaving our national Afghan staff behind in #Afghanistan, with help of the EU they continue to reach safe haven in Europe. Our EU team is working hard to provide them with the necessary support on this journey.
    📷 @FcoSerrato pic.twitter.com/v0xy0K7sWG
    — EU Civil Protection and Humanitarian Aid 🇪🇺 (@eu_echo) August 27, 2021

    Da più parti, come è evidente, è arrivata la promessa di continuare a fornire assistenza a chi, pur avendone pieno diritto, non è riuscito a salire su un volo per la salvezza. Il problema è capire come. Un dibattito su come organizzare un piano di assistenza umanitaria per chi non è riuscito a salire su quei voli – e che non contempli solo la gestione di emergenza migratoria che l’Europa si aspetta – dovrebbe arrivare proprio in sede europea, incapace finora di trovare un comune punto di vista sulla politica estera e di difesa. La presidenza di Slovenia, di turno alla guida dell’UE, ha convocato per la prossima settimana un Consiglio straordinario dei ministri responsabili per gli Affari Interni che avrà luogo il 31 agosto, nel giorno fissato per evacuare Kabul ma che presumibilmente troverà una Kabul ormai vuota dalla presenza occidentale.

    Da molti leader europei la promessa di fornire assistenza ai cittadini afghani che non riusciranno a imbarcarsi sugli ultimi voli prima della scadenza del 31 agosto, ma senza una vera proposta su come farlo. Settimana prossima previsto un Consiglio Affari interni straordinario per affrontare insieme l’emergenza

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    Afghanistan, esplosioni fuori all’aeroporto di Kabul. UE: “Instabilità non porti a recrudescenza terrorismo”

    Bruxelles – Ultime ore di concitazione degli Occidentali in Afghanistan. Mentre a Kabul stavano proseguendo le operazioni per evacuare quanti più civili stranieri e afghani possibile, nel pomeriggio di oggi (26 agosto) è arrivata la notizia di una forte esplosione fuori dall’aeroporto internazionale di Kabul, molto probabilmente un attentato terroristico suicida, nel punto in cui si stanno svolgendo le operazioni di imbarco sui voli militari per l’evacuazione.
    Il pentagono ha confermato poco fa sui canali social che ci sono morti e feriti, anche se per ora è difficile quantificarne il numero. L’esplosione è “stata il risultato di un complesso attacco che ha provocato un numero di vittime civili e statunitensi. Possiamo anche confermare almeno un’altra esplosione presso o vicino al Baron Hotel, a breve distanza da Abbey Gate”, il gate dell’aeroporto in cui si stanno organizzando le evacuazioni. Già nella mattinata di oggi, Stati Uniti e Regno Unito hanno invitato tutti i cittadini a stare lontani dall’aeroporto, visto l’alto rischio di un possibile attentato terroristico da parte della divisione afghana dello Stato Islamico (ISIS), che però per il momento non è stato ancora rivendicato. L’appello è caduto nel vuoto, vista l’urgenza di lasciare quanto prima la capitale afghana.
    A Bruxelles si guarda con apprensione alle operazioni che stanno coinvolgendo anche molti Paesi europei, oltre che la delegazione di Bruxelles che stava ultimando le operazioni di evacuazione. Preoccupazione “per le notizie sull’esplosione a Kabul”, scrive il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, sottolineando che “garantire un passaggio sicuro per l’aeroporto rimane vitale. Dobbiamo garantire che l’attuale instabilità non possa dar luogo a una recrudescenza del terrorismo”.

    Very concerned about news of #Kabul explosion and closely monitoring situation.
    My thoughts go out to the victims and their families.
    Securing safe passage to the airport remains vital.
    We need to ensure the current instability cannot give rise to a resurgence of terrorism.
    — Charles Michel (@eucopresident) August 26, 2021

    “Un attacco atroce e spietato. Siamo vicini alle famiglie delle vittime e ai feriti”, aggiunge il presidente dell’Europarlamento David Sassoli. “Indispensabile garantire la sicurezza dell’aeroporto di Kabul. I Paesi UE trovino la forza per portare in salvo i cittadini europei e coloro che si sentono minacciati”.”Giorni drammatici”, preannuncia il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni.
    Arrivata anche dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, la “ferma condanna” dei “vili e inumani attacchi all’aeroporto di Kabul”. La presidente dell’esecutivo comunitario ha chiesto di “fare tutto il possibile per garantire la sicurezza delle persone all’aeroporto” e ha rivolto un appello alla comunità internazionale: “Deve collaborare strettamente per evitare una recrudescenza del terrorismo in Afghanistan e oltre”.
    “Siamo rattristati nell’apprendere la notizia di esplosioni mortali a Kabul”, scrive su Twitter la presidenza di turno slovena del Consiglio dell’UE. “Sulla situazione in Afghanistan stiamo già facilitando uno scambio di opinioni tra gli Stati membri, con l’obiettivo di garantire una risposta comune europea“. La priorità dei Ventisette “resta l’evacuazione”.

    Saddened to hear the news of deadly explosions in #Kabul. Our thoughts are with the victims’ families.
    On #Afghanistan situation we are already facilitating an exchange of views between Member States with an aim to ensure a common EU response. Evacuation remains the priority. pic.twitter.com/Z0CJRFNKes
    — EU2021SI (@EU2021SI) August 26, 2021

    Mancano cinque giorni alla scadenza per tutte le evacuazioni straniere dall’Afghanistan, cercando di portare con sé quanti più cittadini e personale afghano che ha collaborato con le forze Occidentali in questi venti anni di presenza sul territorio. Cinque giorni alla scadenza confermata dal presidente statunitense Joe Biden all’ultimo vertice straordinario G7, nonostante le pressioni degli alleati per estenderla oltre il 31 agosto.
    Cinque giorni di tempo, ma le prossime 24/36 saranno le ultime (e decisive) ore a Kabul per la gran parte dei Paesi europei, decisi a evacuare la capitale afghana e porre fine alle operazioni entro il fine settimana. Il minimo per dare il tempo necessario anche al contingente militare di lasciare il Paese in sicurezza dopo aver evacuato tutti quelli che hanno avuto la fortuna di essere sulla “lista bianca”. Per gli altri, chi lo sa: diversi Paesi membri hanno espresso l’intenzione di mantenere aperti i canali per continuare a portare in Europa chi non riuscirà a farlo entro la scadenza. I due presunti attentati di queste ore non faranno che far precipitare gli eventi e accelerare le operazioni, ma di contro potrebbe rendere più difficile il rientro.
    Articolo in aggiornamento

    Ultime ore concitate degli Occidentali a Kabul: il pentagono conferma che l’attacco – probabilmente un attentato terroristico suicida – ha provocato vittime e feriti tra le truppe statunitensi. Sassoli: “Attacco atroce e spietato. L’UE continui a portare in salvo i civili”

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    Nord Stream 2, arriva la sentenza tedesca: al controverso gasdotto si applicano le regole antitrust dell’UE

    Bruxelles – La Russia dovrà applicare le regole europee antitrust al gasdotto Nord Stream 2, dividendone la gestione tra i proprietari del gasdotto e fornitori del gas che vi scorre per garantire una concorrenza leale. A stabilirlo, mercoledì 25 agosto è stata l’Alta Corte Regionale di Düsseldorf, in Germania, respingendo il ricorso presentato dalla principale società che si occupa della costruzione Nord Stream 2 AG contro il regolatore di rete tedesco (BNA -Bundesnetzagentur) che ha rifiutato di concederle un’esenzione dalle regole di concorrenza dell’Unione Europea.
    Questo significa che al controverso gasdotto destinato a collegare la Russia alla Germania attraverso il mar Baltico devono applicarsi le regole di diritto comunitario, inscritte nella direttiva UE sul mercato del gas. Nulla di nuovo, perché già la Commissione europea aveva chiarito che pur essendo un progetto “soggetto al diritto nazionale” tedesco, si inscrive nel quadro di diritto europeo di cui deve rispettare la conformità. L’unica competenza che spetta a Bruxelles sul futuro gasdotto è controllare il rispetto da parte degli Stati membri, e quindi in questo caso della Germania, della direttiva Ue sul mercato interno del gas.
    Il gasdotto Nord Stream 2 collegherà la Germania alla Russia
    La sentenza può essere impugnata dalla Nord Stream 2 AG, anche se potrebbe significare, come suggerisce Reuters, un ritardo nel completamento della rete e anche un aumento dei costi. Il controverso gasdotto guidato dalla compagnia energetica russa Gazprom, raddoppierà il volume di gas naturale trasportato dalla Russia alla Germania attraverso il mar Baltico. Replicando, nei fatti, il percorso del gasdotto gemello Nord Stream che è già in attività. Si parla di circa 55 miliardi di metri cubi all’anno di gas verso la Germania a capacità massima, raddoppiati a 110.
    Dopo varie tensioni tra Unione Europea e Stati Uniti – dovuta ai timori statunitensi di una maggiore influenza di Mosca sul vecchio Continente – a fine luglio Berlino e Washington hanno raggiunto un accordo di massima per ultimare i lavori del progetto, ormai quasi completo, promettendo sanzioni alla Russia in caso di pressioni sull’Ucraina, come l’annessione illegale della penisola di Crimea nel 2014. Il progetto vale almeno undici miliardi di dollari, e ha incontrato la resistenza non solo oltreoceano ma anche in Europa.
    La cancelliera Angela Merkel ha sposato la causa, impegnandosi a portarla a termine. Da quando a fine agosto di un anno fa l’oppositore russo Alexei Navalny è stato avvelenato sono però aumentate di molto le pressioni su Merkel per abbandonare il progetto. Pressioni che sono aumentate ancora con l’ulteriore incrinarsi dei rapporti di Bruxelles con Mosca, con i Paesi dell’Europa centrale e orientale che temono l’ulteriore dipendenza energetica dei Ventisette dal gas russo. Diversi Paesi europei, tra cui l’Italia, si sono opposti al progetto perché temono l’ulteriore influenza geopolitica di Putin attraverso il gas naturale.

    Proprietari del gasdotto e fornitori del gas che vi scorre devono essere diversi per garantire una concorrenza leale, in linea con la direttiva europea sul mercato del gas. A stabilirlo è l’alta corte di Düsseldorf respingendo il ricorso della società Nord Stream 2 AG contro il regolatore di rete tedesco che ha rifiutato di concederle un’esenzione dalle regole di Bruxelles. La sentenza può essere impugnata ma rischia di rallentare il completamento del progetto

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    Afghanistan, al vertice straordinario del G7 l’UE chiederà l’estensione della scadenza del 31 agosto per l’evacuazione

    Bruxelles – La parola è d’ordine è “evacuazione”. Evacuazione del personale e dei cittadini afghani che hanno collaborato per vent’anni con le forze statunitensi, europee e della NATO, da completarsi quanto più possibile entro una settimana esatta a partire da oggi. Sarà questo il tema centrale del vertice straordinario dei leader del Gruppo dei Sette, che inizierà fra poche ore (15.30 italiane) in forma virtuale.
    Ma fa già discutere e preoccupare la scadenza fissata dal regime dei talebani per il ritiro delle truppe occidentali dal Paese. Dopo Francia, Germania e Regno Unito, anche l’Unione Europea chiederà al vertice del G7 di estendere la data oltre il 31 agosto, per portare a termine tutte le operazioni di evacuazione all’aeroporto internazionale di Kabul. Per il momento rimane contrario il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, anche considerate le minacce talebane di ritorsioni se dal primo settembre saranno ancora presenti contingenti militari stranieri in Afghanistan, come confermato ieri (23 agosto) da un portavoce ai microfoni di Sky News.
    A Bruxelles la questione crea particolare apprensione ed è probabile che durante il vertice del G7 i due rappresentanti dell’Unione – il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen – insisteranno su una linea comune di rafforzamento dell’impegno per mettere in sicurezza tutti i membri dello staff ancora sul territorio afghano. Funzionari UE hanno riferito che la priorità per l’Unione è che le operazioni di evacuazione e l’assistenza umanitaria possano continuare, anche se si dovesse andare oltre la data del 31 agosto.
    Circa 400 persone tra staff locale della delegazione UE e rispettive famiglie sono già state evacuate (il portavoce della Commissione, Eric Mamer, ha annunciato che tutto il personale afghano che ha collaborato con le delegazioni UE è in salvo), ma gli stessi funzionari non hanno voluto riportare quante ne rimangano ancora da imbarcare verso l’Europa.
    Sul tavolo ci sarà poi il tema di se e come affrontare le future discussioni politiche con il regime dei talebani. Sempre secondo le fonti europee, si dovrebbe impostare un dialogo su tre pilastri: rispetto dei diritti umani dei gruppi vulnerabili e delle donne, lotta alla corruzione interna e impegno a non fare di nuovo del Paese “terreno fertile” per terroristi e traffici illeciti. Su questo aspetto Bruxelles non nega che “Cina e Russia sono parte della questione“, dal momento in cui tutti gli attori internazionali hanno interessi per un Afghanistan stabile, “magari con obiettivi diversi”.

    At today’s @G7 Leaders call, I will announce an increase in the humanitarian support for Afghans, in and around the country, from #EU budget from over €50m to over €200m.
    This humanitarian aid will come on top of Member States’ contributions to help the people of Afghanistan.
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) August 24, 2021

    Un’altra priorità per l’Unione riguarda gli aiuti umanitari per i cittadini afghani “dentro e intorno al Paese”, come anticipato dalla presidente von der Leyen su Twitter. “Alla riunione del G7 annuncerò un aumento del sostegno dal bilancio dell’UE“, da 50 a oltre 200 milioni di euro. A questo sostegno comunitario si aggiungeranno i contributi dei singoli Stati membri UE.
    Qui si apre l’ultima questione, che interessa da molto vicino le istituzioni europee e che negli ultimi giorni ha già sollevato polemiche all’interno dell’Unione. Si tratta della gestione dei flussi migratori dall’Afghanistan che si intensificheranno con l’inizio del governo talebano. Non è un caso se la presidente della Commissione ha fatto riferimento ad aiuti “intorno al Paese”. Come riferiscono i funzionari UE, il primo obiettivo sarà quello di sostenere i programmi umanitari nei Paesi confinanti (in particolare Iran e Pakistan), per renderli “soluzioni più credibili” agli occhi degli afghani rispetto al “consegnarsi nelle mani di trafficanti”.
    Prima di discutere sulla possibilità di una ridistribuzione dei profughi tra Paesi membri UE (“la situazione è ancora troppo fluida per tracciare le dimensioni dei flussi”, riferiscono le fonti di Bruxelles), si guarda alla Turchia. Il presidente Recep Tayyp Erdogan ha già riferito che la capacità di ricezione del Paese “è limitata”, dal momento in cui è già ospitato un “gran numero” di migranti. Mentre il presidente del Consiglio UE Michel “rimane in contatto con Erdogan per discutere dei limiti di accoglienza di Ankara”, questo pomeriggio i leader del G7 proveranno a tracciare alternative percorribili.

    Per Bruxelles le priorità rimangono la messa in sicurezza di staff locale e delegazione europea anche oltre la scadenza fissata dai talebani, aiuti umanitari alla popolazione civile “dentro e intorno al Paese” e la gestione dei flussi migratori

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    Afghanistan, i corridoi umanitari UE restano un tabù: Austria, Slovenia e Ungheria vogliono frontiere chiuse ai profughi

    Bruxelles – L’Unione Europea si spacca e per l’ennesima volta dimostra di non essere in grado di trovare una linea comune sulla politica migratoria, anche quando si tratta di emergenze di portata storica. Si fanno sempre più insistenti le richieste di cittadini, di organizzazioni non governative e di deputati dei Paesi membri alle istituzioni europee di attivare corridoi umanitari per i profughi in arrivo dall’Afghanistan, a una settimana dalla presa di Kabul da parte dei talebani. Ma l’asse Lubiana-Vienna-Budapest fa muro contro quella che viene classificata come una riedizione della crisi migratoria di sei anni fa lungo la rotta balcanica.
    A sollevare le polemiche era stato ieri (22 agosto) il primo ministro sloveno, Janez Janša: “Non ripeteremo gli errori strategici del 2015, aiuteremo solo coloro che ci hanno supportato durante la missione NATO e i Paesi membri dell’UE che difendono i nostri confini esterni”. L’opposizione di Janša ha assunto particolare rilievo anche per il fatto che attualmente ricopre la carica di presidente di turno del Consiglio dell’UE (dal primo luglio fino a fine anno). “Non è compito dell’Unione o della Slovenia aiutare e pagare per tutti coloro che fuggono nel mondo“, ha rincarato la dose il premier sloveno, confermando di essersi completamente allineato alle posizioni del Gruppo di Visegrád (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) per quanto riguarda le questioni migratorie.
    A nemmeno ventiquattr’ore di distanza è arrivata la sponda austriaca e ungherese, con un copione molto simile a quello del presidente di turno del Consiglio dell’UE. “Gli eventi in Afghanistan sono drammatici, ma non dobbiamo ripetere gli errori del 2015. La gente che esce dal Paese deve essere aiutata dagli Stati vicini”, ha commentato su Twitter il cancelliere austriaco, Sebastian Kurz. Per Vienna la priorità dell’UE deve essere “proteggere le frontiere esterne e combattere la migrazione illegale e i trafficanti di esseri umani“, anche considerata la situazione interna del Paese: “L’Austria ha accolto 44mila afghani, abbiamo una delle più grandi comunità pro-capite al mondo”, ha aggiunto il cancelliere. “Ci sono ancora grossi problemi con l’integrazione e siamo quindi contrari all’arrivo di altri profughi”.
    Da Budapest il premier ungherese, Viktor Orbán, ha fatto sapere che “proteggeremo l’Ungheria dalla crisi dei migranti” e che “deve essere evitato che i profughi lascino la regione”. Oltre a ciò, sarà poi necessario sostenere il ruolo “fondamentale” della Turchia e dei Paesi dei Balcani occidentali, per “evitare l’ingresso dei migranti nell’Unione Europea”.

    Österreich hat mit der Aufnahme von 44.000 Afghanen sehr viel geleistet. Wir haben pro Kopf eine der größten afghanischen Communities der Welt nach Iran, Pakistan & Schweden. Bei der Integration gibt es noch große Probleme & wir sind daher gegen eine zusätzliche Aufnahme.
    — Sebastian Kurz (@sebastiankurz) August 22, 2021

    In vista della riunione straordinaria del G7 convocata dal premier britannico, Boris Johnson, per domani (24 agosto), sembrano andare in frantumi le speranze dell’Unione Europea di presentarsi compatta di fronte agli interlocutori internazionali sulla questione dell’accoglienza dei profughi. Nel corso dell’audizione alla commissione Affari esteri (AFET) del Parlamento Europeo di lunedì scorso (16 agosto), l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, aveva aperto alla possibilità di applicare per la prima volta la Direttiva europea sulla protezione temporanea del 2001. Prima di essere immediatamente sconfessato proprio da un portavoce dell’esecutivo comunitario.
    Due giorni più tardi (mercoledì 18 agosto), al termine del vertice straordinario con i 27 ministri UE, la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, aveva però ammesso che Bruxelles si sta preparando “a tutti gli scenari”. Durante il vertice si era parlato della “priorità immediata”, ovvero l’evacuazione del personale e dei cittadini comunitari e del personale locale che ha lavorato con gli Stati membri in Afghanistan (è notizia dell’ultim’ora l’imbarco di oltre 170 collaboratori UE all’aeroporto di Kabul grazie alle forze speciali francesi).
    Ma è anche stata considerata “l’instabilità che porterà probabilmente a un aumento della pressione migratoria”. In questo senso sarà necessario un sostegno ai Paesi vicini (Iran e Pakistan) e trovare una quadra a livello comunitario per i richiedenti asilo: “Allo stato attuale la situazione nel Paese non è sicura e non lo sarà per un po’ di tempo”, erano state le parole di apertura della commissaria Johansson. “Non possiamo costringere le persone a tornare in Afghanistan“.
    Reazioni da Bruxelles
    Le prese di posizione dei governi di Lubiana, Vienna e Budapest sono state accolte da durissime critiche a Bruxelles. Il presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, dai microfoni di Rainews24 ha risposto seccamente a Janša, ricordandogli che “non spetta all’attuale presidenza del Consiglio dire cosa farà l’Unione Europea“. Dal momento in cui “tutte le nostre istituzioni stanno lavorando per vedere quale solidarietà è necessaria per coloro che sono a rischio dal nuovo regime”, il presidente del Parlamento UE ha invitato il premier sloveno a “discutere con le istituzioni europee” per decidere insieme a riguardo. “Tutti i nostri Paesi si sentono coinvolti nella situazione in corso in Afghanistan“.

    It is not up to the Slovenian Presidency to say what the position of the EU is on the humanitarian crisis in Afghanistan.
    We invite PM Janša to discuss with the EU institutions what the next steps should be but it’s clear we need to show solidarity. https://t.co/sK15X3Q2fZ
    — David Sassoli (@EP_President) August 22, 2021

    Posizione ribadita anche dal commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni, che ha ricordato che il presidente di turno “coordina l’attività, non ha poteri decisionali di alcun tipo” a livello di politica estera europea (un incidente tra Lubiana e Bruxelles a riguardo si era già consumato a pochi giorni dall’avvio del semestre sloveno). Ma c’è di più: “L’Unione deve lavorare sull’accoglienza e sulle quote di immigrazione legale di rifugiati afghani e deve farlo anche togliendosi l’alibi della unanimità nelle decisioni“. Considerato il fatto che “so che l’unanimità non ci sarà mai”, il Consiglio dovrà agire “a maggioranza, se si vuole dare una mano ai rifugiati”.
    Dall’Italia, il presidente della commissione Esteri della Camera dei Deputati, Piero Fassino, ha fatto appello al presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, perché “richiami immediatamente il premier sloveno ad attenersi rigorosamente ed esclusivamente alle sue titolarità”. Ma dal Consiglio, per il momento, tutto tace e le uniche notizie che trapelano sono di una discussione con con il presidente turco, Recep Tayyp Erdogan. “Si tratta di una sfida comune per la Turchia e l’Unione Europea”, ha commentato Michel su Twitter.
    Tuttavia, Ankara ha più volte ribadito che non diventerà il “deposito dell’UE per i rifugiati” e nega di aver ricevuto richieste per la creazione di hub per la prima accoglienza dei richiedenti asilo afghani sul suo territorio. A causa delle sue divisioni interne, l’Unione Europea sta rischiando di rimanere sempre più isolata sullo scacchiere internazionale.

    Credo che l’#UnioneEuropea abbia il dovere di lavorare sull’accoglienza e su quote di immigrazione legale dei rifugiati #afghani e abbia il dovere di farlo anche togliendosi l’alibi dell’unanimità nelle decisioni.@PaoloGentiloni al #meeting21. pic.twitter.com/WlNUqWWEAB
    — Meeting Rimini (@MeetingRimini) August 23, 2021

    Trovi un ulteriore approfondimento nella newsletter BarBalcani, curata da Federico Baccini

    In vista del vertice straordinario del G7 di domani, i primi ministri Janša (presidente di turno del Consiglio dell’UE) e Orbán e il cancelliere Kurz si sono opposti all’accoglienza per chi fugge dal regime dei talebani: “Non ripeteremo gli errori del 2015”

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    Bielorussia, tutti contro Lukashenko: UE e Stati Uniti tengono alta l’attenzione su repressioni interne e flussi migratori

    Bruxelles – Prosegue su due binari, quello della repressione dell’opposizione interna e quello della facilitazione del flussi migratori, la strategia del presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, per rafforzare la sua posizione nel Paese e sullo scacchiere internazionale. Nonostante le sanzioni economiche imposte a Minsk dall’Unione Europea e le condanne internazionali per la violenze nei confronti di attivisti e giornalisti indipendenti, l’ultimo dittatore d’Europa cerca di non mollare la presa, giocandosi le ultime carte per mettere a tacere le voci critiche.
    Da mesi si sta stringendo sempre più il cappio al collo dei media, come dimostrato anche dallo scandalo internazionale del dirottamento dell’aereo Ryanair Atene-Vilnius su Minsk per arrestare il giornalista Roman Protasevich, e la compagna, Sofia Sapega. Ieri (mercoledì 28 luglio) un tribunale della Bielorussia ha dichiarato “estremista” Belsat TV, televisione indipendente con sede in Polonia, dopo la minaccia del ministero dell’Interno di multare e incarcerare chiunque condivida informazioni provenienti da questo canale d’informazione.
    L’ingiunzione del Tribunale, che ha bloccato il sito web Belsat e tutti i suoi account social in Bielorussia, è l’ultimo atto di un’intensa azione di repressione dei media e della società civile: lo stesso Lukashenko ha affermato di voler “ripulire” il Paese da attivisti e media indipendenti, che a suo avviso hanno l’unico obiettivo di sovvertire l’ordine pubblico. Il vicedirettore della testata, Aleksy Dzikawicki, ha annunciato che il canale continuerà il suo lavoro in ogni caso: “Continueremo a portare informazioni indipendenti in bielorusso e senza censura”. Con un affondo al regime: “Chi detiene il potere in Bielorussia chiama ‘estremisti’ tutti coloro che si oppongono alla violenza e al terrore imposto dopo le elezioni truccate, cioè la stragrande maggioranza dei propri cittadini”.
    La situazione tragica del giornalismo bielorusso è stata recentemente descritta alla commissione Affari esteri (AFET) del Parlamento Europeo da Stanislav Ivashkevich, reporter di Belsat TV, ma risale già a cinque mesi fa la condanna a due anni di carcere per due colleghe della stessa emittente, Katsiaryna Andreyeva e Darya Chultsova, per aver ripreso la manifestazione in memoria dell’attivista Raman Bandarenka nel novembre dello scorso anno. Senza dimenticare il blocco di Tut.by, uno dei più importanti siti di informazione bielorussi, e l’arresto dei giornalisti della redazione lo scorso 18 maggio.
    Da Bruxelles è arrivata la ferma condanna della decisione del tribunale bielorusso: “È un altro esempio della repressione della libertà di espressione e di informazione sotto il regime di Lukashenko, che mira a mettere a tacere tutte le voci indipendenti”, ha accusato la portavoce della Commissione UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Nabila Massrali. Da Washington invece è arrivata la reazione della leader dell’opposizione bielorussa e presidente legittima riconosciuta dall’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya: “I giornalisti sanno che stanno facendo la cosa giusta e stanno combattendo per la libertà del nostro Paese”.

    Belarus: EU deplores recent court decision declaring Belsat TV channel “extremist”. Another example of the crackdown on freedom of expression and freedom of information under the Lukashenko regime, aiming to silence all independent voices.
    — Nabila Massrali (@NabilaEUspox) July 28, 2021

    La dichiarazione di Tsikhanouskaya è arrivata durante il suo viaggio negli Stati Uniti, che l’ha portata a incontrare il presidente democratico, Joe Biden, il segretario di Stato, Antony Blinken, e il consigliere per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan. L’obiettivo è quello di raccogliere sostegno per un’azione più decisa contro il presidente Lukashenko, oltre a quello attuato – le sanzioni economiche – e promesso – il pacchetto di investimenti da 3 miliardi di euro per il futuro democratico del Paese – dall’Unione Europea. La leader dell’opposizione bielorussa ha esortato Washington a imporre misure restrittive alle aziende petrolifere, di potassio, dell’acciaio e del legno legate al regime. “Lukashenko capisce solo il linguaggio della forza. Ecco perché le sanzioni devono essere estremamente dure”.
    Il presidente Biden ha ribadito il suo sostegno alla società civile in Bielorussia nel corso del colloquio di ieri con Tsikhanouskaya alla Casa Bianca, definendosi “onorato” dell’incontro con la leader dell’opposizione: “Gli Stati Uniti sono al fianco del popolo bielorusso nella sua ricerca della democrazia e dei diritti umani universali”, ha fatto sapere via Twitter. Da parte sua, Tsikhanouskaya ha ringraziato Biden per il “potente segno di solidarietà con milioni di impavidi bielorussi” che stanno combattendo “pacificamente per la libertà”. Il Paese dell’Est Europa in questo momento “è in prima linea nella battaglia tra democrazia e autocrazia”, ha aggiunto su Twitter: “Il mondo è con noi, la Bielorussia sarà una storia di successo”.

    I was honored to meet with @Tsihanouskaya at the White House this morning. The United States stands with the people of Belarus in their quest for democracy and universal human rights. pic.twitter.com/SdR6w4IBNZ
    — President Biden (@POTUS) July 28, 2021

    Ma intanto a Bruxelles c’è apprensione anche su un altro fronte, quello del ricatto di Lukashenko all’Unione attraverso l’apertura della rotta bielorussa alle persone migranti verso la Lituania. La Commissione UE ha attivato il meccanismo europeo di protezione civile per aiutate il Paese membro ad affrontare un flusso che dall’inizio dell’anno conta oltre 2.100 migranti e richiedenti asilo, quasi tre volte in più di tutto lo scorso anno. I Paesi di provenienza sono soprattutto africani (Repubblica del Congo, Gambia, Guinea, Mali e Senegal) e mediorientali (Iraq, Iran e Siria).
    Non a caso l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, si è messo in contatto con il ministro degli Esteri iracheno, Fuad Hussein. “Ho avuto una buona conversazione su come affrontare l’aumento del numero di cittadini iracheni che attraversano irregolarmente la Bielorussia verso la Lituania”, ha fatto sapere su Twitter. “Questo è motivo di preoccupazione per l’intera UE. Contiamo sul sostegno dell’Iraq“. In aggiunta, la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, ha comunicato che sarà in visita in Lituania il primo e il 2 agosto, per ribadire l’opposizione del gabinetto von der Leyen “all’ondata di aggressione” di Minsk.
    Durante il punto quotidiano con la stampa il portavoce per gli Affari interni, la migrazione e la sicurezza interna, Adalbert Jahnz, ha confermato il supporto dell’esecutivo UE alla Lituania, negando qualsiasi tentativo di pushback alla frontiera con la Bielorussia (respingimenti illegali di persone con diritto alla protezione internazionale ai confini dell’Unione Europea). “Dalla composizione dei gruppi di migranti arrivati è evidente che non si tratta di aventi il diritto di richiedere l’asilo e perciò diventa centrale il tema del rimpatrio di queste persone“. Desta però particolare perplessità tra i giornalisti a Bruxelles la decisione del governo lituano – non ostacolato nemmeno a parole dall’esecutivo comunitario – di costruire un muro lungo i 678,8 chilometri di confine tra la Lituania e la Bielorussia, per una spesa pari a circa 48 milioni di euro.

    Good conversation w/ Iraqi Foreign Minister @Fuad_Hussein1 yesterday on how to tackle increased number of Iraqi citizens irregularly crossing from Belarus into Lithuania.
    This is an issue of concern not only for one Member State but for the entire EU. We count on Iraq’s support.
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) July 28, 2021

    Mentre il sito di informazione indipendente Belsat è stato dichiarato “estremista” da Minsk, la leader dell’opposizione Tsikhanouskaya ha incontrato il presidente Biden a Washington. Bruxelles preoccupata per l’aumento dei migranti iracheni verso la Lituania