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    Ungheria e Ucraina “litigano” per il gas russo, mentre l’UE cerca di mediare

    Bruxelles – E’ scontro aperto tra Ungheria e Ucraina sul gas russo, mentre la Commissione Europea cerca di fare da mediatore. La compagnia energetica ungherese MVM ha formalizzato lunedì 27 settembre un contratto di acquisto di quindici anni con la compagnia russa Gazprom per la fornitura di gas naturale, senza passare attraverso l’Ucraina. Le intenzioni del premier Viktor Orban erano già note dalla fine di agosto, e una volta concretizzate hanno spinto Kiev, che teme di perdere milioni di euro in pagamenti in quanto “Paese di transito”, a rivolgersi direttamente alla Commissione Europea, definendo quella dell’Ungheria una “decisione puramente politica ed economicamente irragionevole”.
    Mosca ha sempre trasportato il gas principalmente attraverso il territorio dell’Ucraina, solo da qualche anno – in particolare dopo le frizioni che hanno seguito l’annessione illegale della Crimea nel 2014 – ha iniziato a diversificare le esportazioni per limitare il peso strategico dell’Ucraina anche nell’UE. Il contratto siglato sarà in vigore dal primo ottobre e prevede la fornitura di 4,5 miliardi di metri cubi di gas in Ungheria ogni anno: 3,5 miliardi attraverso la Serbia e un miliardo attraverso l’Austria. Nessuna provocazione politica, ha assicurato ieri in conferenza stampa il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto, dichiarando che per l’Ungheria, la “sicurezza energetica è una questione di sicurezza, di sovranità ed economia più che una questione politica”.

    A Kiev non è bastato e il ministro dell’Energia ucraino, German Galushchenko, ha incontrato ieri la commissaria europea per l’Energia, Kadri Simson, per discutere anche di questo. “Un incontro costruttivo”, dice a Eunews un portavoce della Commissione. Costruttivo anche se l’UE non ha grande margine di manovra per il momento per intervenire. L’Esecutivo ha iniziato ad esaminare le conseguenze del contratto, ma dal momento che l’accordo non è stato firmato direttamente dalle autorità ungheresi, ma dalla compagnia energetica MVM, una prima valutazione del contratto spetta alle autorità ungheresi. Solo dopo le conclusioni, Bruxelles può chiedere di visionare il contratto in caso di un sospetto di minaccia all’approvvigionamento energetico dell’Unione europea o del territorio. “Il ministro Galushchenko ha sollevato la questione, presentandoci la posizione dell’Ucraina”, prosegue il portavoce, ma Bruxelles ha un ruolo solo in caso di mancata sicurezza dell’approvvigionamento.
    La commissaria Simson ha anche ribadito “la nota posizione della Commissione” secondo cui “consideriamo l’Ucraina un Paese di transito affidabile” per il trasporto di forniture energetiche. Secondo il portavoce, il bilaterale si è concentrato anche sulle riforme in corso in Ucraina sia nel mercato dell’elettricità che in quello del gas: si porta avanti il dialogo per la sincronizzazione con la rete elettrica europea, con l’adozione di una “tabella di marcia sulle fasi e i parametri di riferimento per essere soddisfatte fino al completamento”. Il commissario e il ministro si sono confrontati, infine, sui modi per promuovere la transizione verso l’energia pulita dell’Ucraina e sullo stato di avanzamento dei programmi per migliorare la sicurezza delle centrali nucleari. 

    Budapest firma un contratto di quindici anni con la russa Gazprom per la fornitura di gas senza passare per l’Ucraina. Kiev si rivolge a Bruxelles, che per ora alza le mani

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    Ungheria, l’ultima provocazione di Orbán: trattative aperte con la Russia per la produzione di Sputnik V

    Bruxelles – Non è la prima provocazione dell’Ungheria verso l’UE e non sarà l’ultima. Dopo aver somministrato il vaccino russo Sputnik V anche senza autorizzazione dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA), Budapest compie un ulteriore passo e apre le trattative con Mosca per ottenere la licenza per la produzione del vaccino russo direttamente sul territorio ungherese. Produzione che potrebbe iniziare dalla fine del 2022, dal momento che Russia e Ungheria sono “in trattative avanzate”, ha confermato ieri (24 agosto) il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto che ha ricevuto a Budapest l’omologo russo, Sergej Lavrov. A gennaio l’Ungheria è stata il primo Paese dell’Unione europea ad autorizzare l’uso del vaccino russo, poi seguita anche dalla Slovacchia.

    🇷🇺🇭🇺 In #Budapest, Russian Foreign Minister Sergey #Lavrov held talks with Hungarian Minister of Foreign Affairs and Trade Peter Szijjarto.#RussiaHungary pic.twitter.com/o35xNyEIAo
    — MFA Russia 🇷🇺 (@mfa_russia) August 24, 2021

    Budapest si è premurata di sottolineare che senza il vaccino russo “l’Ungheria non avrebbe avuto la campagna vaccinale di maggior successo in Unione europea”, ringraziando Mosca e il governo russo per l’assistenza. In realtà, come mostrano i dati del Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie (ECDC) in Ungheria il 64 per cento della popolazione è completamente vaccinata, al di sotto di molti Paesi europei, mentre la media dell’intera Unione Europea è ferma al 65 per cento. L’Ungheria non solo non è tra i migliori in quanto a progressi nella campagna di vaccinazione, ma soprattutto ha anche usufruito del portafoglio di vaccini pre-acquistato dalla Commissione UE per i suoi Stati membri. Ad ogni modo, l’intenzione è quella di costruire “una fabbrica di vaccini nella città di Debrecen e produrremo lo Sputnik V”, ha spiegato Szijjarto.
    L’incontro tra omologhi è anche l’occasione per discutere di forniture di gas russo per l’Ungheria, mentre Mosca è alle prese con la fine della costruzione del gasdotto Nord Stream 2 che trasporterà gas russo in Germania e in Europa. Secondo Reuters, il ministro ungherese ha espresso l’intenzione di firmare un nuovo accordo di fornitura di gas naturale di 15 anni con la compagnia russa Gazprom quest’anno, con il prezzo e la flessibilità da stabilire già nelle prossime settimane. “Spero di poter firmare il nuovo contratto di fornitura di 15 anni quest’autunno con buone condizioni”, ha detto Szijjarto. L’omologo russo Levrov ha fatto eco, ribadendo che la cooperazione tra Russia e Ungheria è a livelli mai raggiunti, mentre quella di Mosca e Bruxelles è forse ai minimi storici.

    La licenza per la produzione del vaccino russo nella città ungherese di Debrecen al centro dei colloqui tra il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto e l’omologo russo, Sergej Lavrov. Mosca e Budapest in trattative “avanzate”, la produzione potrebbe iniziare a fine 2022. Discusse anche le forniture di gas russo

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    Afghanistan, i corridoi umanitari UE restano un tabù: Austria, Slovenia e Ungheria vogliono frontiere chiuse ai profughi

    Bruxelles – L’Unione Europea si spacca e per l’ennesima volta dimostra di non essere in grado di trovare una linea comune sulla politica migratoria, anche quando si tratta di emergenze di portata storica. Si fanno sempre più insistenti le richieste di cittadini, di organizzazioni non governative e di deputati dei Paesi membri alle istituzioni europee di attivare corridoi umanitari per i profughi in arrivo dall’Afghanistan, a una settimana dalla presa di Kabul da parte dei talebani. Ma l’asse Lubiana-Vienna-Budapest fa muro contro quella che viene classificata come una riedizione della crisi migratoria di sei anni fa lungo la rotta balcanica.
    A sollevare le polemiche era stato ieri (22 agosto) il primo ministro sloveno, Janez Janša: “Non ripeteremo gli errori strategici del 2015, aiuteremo solo coloro che ci hanno supportato durante la missione NATO e i Paesi membri dell’UE che difendono i nostri confini esterni”. L’opposizione di Janša ha assunto particolare rilievo anche per il fatto che attualmente ricopre la carica di presidente di turno del Consiglio dell’UE (dal primo luglio fino a fine anno). “Non è compito dell’Unione o della Slovenia aiutare e pagare per tutti coloro che fuggono nel mondo“, ha rincarato la dose il premier sloveno, confermando di essersi completamente allineato alle posizioni del Gruppo di Visegrád (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) per quanto riguarda le questioni migratorie.
    A nemmeno ventiquattr’ore di distanza è arrivata la sponda austriaca e ungherese, con un copione molto simile a quello del presidente di turno del Consiglio dell’UE. “Gli eventi in Afghanistan sono drammatici, ma non dobbiamo ripetere gli errori del 2015. La gente che esce dal Paese deve essere aiutata dagli Stati vicini”, ha commentato su Twitter il cancelliere austriaco, Sebastian Kurz. Per Vienna la priorità dell’UE deve essere “proteggere le frontiere esterne e combattere la migrazione illegale e i trafficanti di esseri umani“, anche considerata la situazione interna del Paese: “L’Austria ha accolto 44mila afghani, abbiamo una delle più grandi comunità pro-capite al mondo”, ha aggiunto il cancelliere. “Ci sono ancora grossi problemi con l’integrazione e siamo quindi contrari all’arrivo di altri profughi”.
    Da Budapest il premier ungherese, Viktor Orbán, ha fatto sapere che “proteggeremo l’Ungheria dalla crisi dei migranti” e che “deve essere evitato che i profughi lascino la regione”. Oltre a ciò, sarà poi necessario sostenere il ruolo “fondamentale” della Turchia e dei Paesi dei Balcani occidentali, per “evitare l’ingresso dei migranti nell’Unione Europea”.

    Österreich hat mit der Aufnahme von 44.000 Afghanen sehr viel geleistet. Wir haben pro Kopf eine der größten afghanischen Communities der Welt nach Iran, Pakistan & Schweden. Bei der Integration gibt es noch große Probleme & wir sind daher gegen eine zusätzliche Aufnahme.
    — Sebastian Kurz (@sebastiankurz) August 22, 2021

    In vista della riunione straordinaria del G7 convocata dal premier britannico, Boris Johnson, per domani (24 agosto), sembrano andare in frantumi le speranze dell’Unione Europea di presentarsi compatta di fronte agli interlocutori internazionali sulla questione dell’accoglienza dei profughi. Nel corso dell’audizione alla commissione Affari esteri (AFET) del Parlamento Europeo di lunedì scorso (16 agosto), l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, aveva aperto alla possibilità di applicare per la prima volta la Direttiva europea sulla protezione temporanea del 2001. Prima di essere immediatamente sconfessato proprio da un portavoce dell’esecutivo comunitario.
    Due giorni più tardi (mercoledì 18 agosto), al termine del vertice straordinario con i 27 ministri UE, la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, aveva però ammesso che Bruxelles si sta preparando “a tutti gli scenari”. Durante il vertice si era parlato della “priorità immediata”, ovvero l’evacuazione del personale e dei cittadini comunitari e del personale locale che ha lavorato con gli Stati membri in Afghanistan (è notizia dell’ultim’ora l’imbarco di oltre 170 collaboratori UE all’aeroporto di Kabul grazie alle forze speciali francesi).
    Ma è anche stata considerata “l’instabilità che porterà probabilmente a un aumento della pressione migratoria”. In questo senso sarà necessario un sostegno ai Paesi vicini (Iran e Pakistan) e trovare una quadra a livello comunitario per i richiedenti asilo: “Allo stato attuale la situazione nel Paese non è sicura e non lo sarà per un po’ di tempo”, erano state le parole di apertura della commissaria Johansson. “Non possiamo costringere le persone a tornare in Afghanistan“.
    Reazioni da Bruxelles
    Le prese di posizione dei governi di Lubiana, Vienna e Budapest sono state accolte da durissime critiche a Bruxelles. Il presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, dai microfoni di Rainews24 ha risposto seccamente a Janša, ricordandogli che “non spetta all’attuale presidenza del Consiglio dire cosa farà l’Unione Europea“. Dal momento in cui “tutte le nostre istituzioni stanno lavorando per vedere quale solidarietà è necessaria per coloro che sono a rischio dal nuovo regime”, il presidente del Parlamento UE ha invitato il premier sloveno a “discutere con le istituzioni europee” per decidere insieme a riguardo. “Tutti i nostri Paesi si sentono coinvolti nella situazione in corso in Afghanistan“.

    It is not up to the Slovenian Presidency to say what the position of the EU is on the humanitarian crisis in Afghanistan.
    We invite PM Janša to discuss with the EU institutions what the next steps should be but it’s clear we need to show solidarity. https://t.co/sK15X3Q2fZ
    — David Sassoli (@EP_President) August 22, 2021

    Posizione ribadita anche dal commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni, che ha ricordato che il presidente di turno “coordina l’attività, non ha poteri decisionali di alcun tipo” a livello di politica estera europea (un incidente tra Lubiana e Bruxelles a riguardo si era già consumato a pochi giorni dall’avvio del semestre sloveno). Ma c’è di più: “L’Unione deve lavorare sull’accoglienza e sulle quote di immigrazione legale di rifugiati afghani e deve farlo anche togliendosi l’alibi della unanimità nelle decisioni“. Considerato il fatto che “so che l’unanimità non ci sarà mai”, il Consiglio dovrà agire “a maggioranza, se si vuole dare una mano ai rifugiati”.
    Dall’Italia, il presidente della commissione Esteri della Camera dei Deputati, Piero Fassino, ha fatto appello al presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, perché “richiami immediatamente il premier sloveno ad attenersi rigorosamente ed esclusivamente alle sue titolarità”. Ma dal Consiglio, per il momento, tutto tace e le uniche notizie che trapelano sono di una discussione con con il presidente turco, Recep Tayyp Erdogan. “Si tratta di una sfida comune per la Turchia e l’Unione Europea”, ha commentato Michel su Twitter.
    Tuttavia, Ankara ha più volte ribadito che non diventerà il “deposito dell’UE per i rifugiati” e nega di aver ricevuto richieste per la creazione di hub per la prima accoglienza dei richiedenti asilo afghani sul suo territorio. A causa delle sue divisioni interne, l’Unione Europea sta rischiando di rimanere sempre più isolata sullo scacchiere internazionale.

    Credo che l’#UnioneEuropea abbia il dovere di lavorare sull’accoglienza e su quote di immigrazione legale dei rifugiati #afghani e abbia il dovere di farlo anche togliendosi l’alibi dell’unanimità nelle decisioni.@PaoloGentiloni al #meeting21. pic.twitter.com/WlNUqWWEAB
    — Meeting Rimini (@MeetingRimini) August 23, 2021

    Trovi un ulteriore approfondimento nella newsletter BarBalcani, curata da Federico Baccini

    In vista del vertice straordinario del G7 di domani, i primi ministri Janša (presidente di turno del Consiglio dell’UE) e Orbán e il cancelliere Kurz si sono opposti all’accoglienza per chi fugge dal regime dei talebani: “Non ripeteremo gli errori del 2015”

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    Allargamento UE, la Serbia e quella pericolosa alleanza con Orbán: “Belgrado può contare sul sostegno dell’Ungheria”

    Bruxelles – Viktor Orbán non sta godendo di un momento di grande popolarità nell’Unione Europea, per usare un eufemismo. La legge anti-LGBT+ del premier ultra-conservatore ungherese è da settimane al centro di una bufera tra le istituzioni europee che coinvolge direttamente il rispetto dello Stato di diritto nel Paese. Ma, proprio nel giorno in cui è entrata in vigore quella legge “vergognosa” – come l’ha definita la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen – c’è un Paese che ha deciso di riceverlo con tutti gli onori del caso: la Serbia. In maniera quasi beffarda, proprio quella Serbia che sta negoziando con Bruxelles l’adesione all’Unione Europea e che è al centro della politica di allargamento dell’Unione nei Balcani occidentali.
    Questa mattina (giovedì 8 luglio) Orbán è arrivato a Belgrado con il ministro degli Esteri, Peter Szijjarto (che ha ricevuto l’Ordine della bandiera serba, un’onorificenza statale), e a altri componenti del governo ungherese. Dopo essere stato accolto all’aeroporto della capitale da Nikola Selaković, ministro degli Esteri serbo, il premier magiaro si è incontrato con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić. I due leader politici sono legati da stima reciproca e da un rapporto che ormai si è trasformato in amicizia e non sono rare le visite nei rispettivi Paesi. In particolare Vučić non ha mai nascosto la sua ammirazione per Orbán, preso a modello come uomo forte all’interno dell’UE: “È un veterano della politica europea”.
    Allo stesso tempo, il primo ministro ungherese guarda con interesse all’allargamento dell’Unione nei Balcani occidentali, come potenziale bacino di influenza e di possibili partner futuri a Bruxelles. Vanno in questa direzione le parole di supporto all’adesione della Serbia, pronunciate nel corso della conferenza stampa congiunta post-vertice: “La Serbia è un Paese chiave per la stabilità della regione balcanica, allo stesso modo della Polonia nell’Europa centrale“. Il riferimento all’Est Europa non è casuale. Polonia e Ungheria fanno entrambe parte del Gruppo di Visegrád (con Repubblica Ceca e Slovacchia) e stanno dando grossi grattacapi a Bruxelles: dalla minaccia prolungata di veto per il vincolo sullo Stato di diritto sull’approvazione del bilancio pluriennale UE 2021-2027 e del Recovery Fund, alla violazione dell’indipendenza del sistema giudiziario, fino alla questione del mancato rispetto dei diritti LGBT+.
    “Fino a quando non sarà integrata la Serbia nell’Unione Europea, i Balcani occidentali non lo saranno“, ha sottolineato con forza Orbán, che poi ha utilizzato i suoi consueti toni aggressivi nei confronti delle istituzioni europee: “La Serbia è un Paese chiave e questo l’UE lo deve capire“. Tanto che, secondo lui, “è più nel suo interesse avere con sé la Serbia, piuttosto che di Belgrado entrare nell’Unione”. Per questo motivo “Belgrado può contare sul nostro sostegno, come Budapest conta su di voi“, ha concluso a effetto l’ospite ungherese.

    Мађарска влада и премијер Виктор Орбан су прави пријатељи Србије. Мађарска ће увек моћи да рачуна на српско пријатељство.https://t.co/JuMfYiRKnP pic.twitter.com/oxPljPQBkl
    — Александар Вучић (@avucic) July 8, 2021

    Lusinghe che non hanno lasciato indifferente il presidente serbo: “Molti dicono di appoggiare il percorso della Serbia verso l’integrazione nell’Unione, ma sono pochi quelli che lo fanno apertamente e con coraggio, disposti anche a incassare critiche, come lo fate voi”. È così che si rinsalda “l’amicizia” tra ungheresi e serbi, almeno di alto vertice. Senza dimenticare l’aspetto commerciale, con l’Ungheria al quinto posto tra i partner commerciali della Serbia, delle infrastrutture (è in cantiere un progetto di linea ferroviaria veloce tra le due capitali) e la comunione di visioni: “Le nostre minoranze godono di pieni diritti senza alcun problema di convivenza interetnica”, ha rivendicato Vučić.
    Curiosamente, è passato invece sotto silenzio il tema dei diritti LGBT+. In Serbia si attende ancora l’approvazione della legge sull’istituto del partenariato, vale a dire il riconoscimento delle coppie dello stesso sesso. Non è equiparabile al matrimonio – riservato solo alle coppie eterosessuali – ma garantirà diritti sul fronte dell’eredità, delle assicurazioni e dell’acquisto di immobili. Come in Italia, invece, non permetterà le adozioni. Mentre in Ungheria ieri è stata punita con una multa di 700 euro la pubblicazione di un libro di fiabe della Rainbow Families Foundation che raffigurava al suo interno anche alcune famiglie arcobaleno. Sarebbe interessante conoscere l’opinione della premier serba, Ana Brnabić, omosessuale dichiarata che ogni anno sfila al Pride di Belgrado, sull’amicizia tra Serbia e Ungheria e sui rischi che il Paese corre nel seguire questo alleato sulla strada del mancato rispetto dei diritti dei cittadini.

    Trovi un ulteriore approfondimento nella newsletter BarBalcani, curata da Federico Baccini

    Proprio nel giorno dell’entrata in vigore della legge anti-LGBT+ al centro delle polemiche a Bruxelles, il premier ungherese è stato ospitato dal presidente Vučić: “Sono pochi quelli che ci appoggiano come fate voi”

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    ONU, Guterres a Bruxelles: “L’UE difenda i valori di tolleranza e razionalità”

    Bruxelles – Nazionalismi, populismi, razzismo, antisemitismo, odio generalizzato. Secondo Antonio Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, la civiltà globale si muove in una “sorta di era post-illuminista, di cui vediamo i rischi del moltiplicarsi di diverse forme di irrazionalità”. Lo sottolinea in un breve punto stampa alle telecamere di Bruxelles, al fianco della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen. Prenderà parte oggi (23 giugno) al collegio dei commissari, poi domani alla plenaria del Parlamento europeo e alla prima giornata di vertice dei capi di Stato e governo.
    L’obiettivo è lavorare congiuntamente all’ONU per uscire fuori dalla crisi sanitaria ed economica connessa e ripartire con un futuro più sostenibile, sotto diversi punti di vista. Costruire “una nuova agenda comune e globale in cui ci offriamo sempre volontari per assumere un ruolo di primo piano”, ha detto von der Leyen a nome dell’UE. Ma all’Europa Guterres riconosce il più importante contributo alla civiltà globale il fatto di aver diffuso i valori dell’Illuminismo, il primato della ragione e della tolleranza sull’irrazionalità e sull’odio generalizzato. E “questo è particolarmente importante quando vediamo i rischi di muoversi in una sorta di era post-illuminista e dove vediamo il moltiplicarsi di diverse forme di irrazionalità”, ha aggiunto. Contiamo sull’Unione europea per “essere in prima linea nella battaglia a sostegno di valori dell’illuminismo che sono stati, come ho detto, il contributo più importante dell’Europa alla civiltà globale”.
    Il tempismo delle parole di Guterres non passa inosservato. Poco prima che venissero pronunciate, la presidente della Commissione si è sentita in dovere di intervenire per esprimere il suo disappunto contro una contestata legge approvata in Ungheria che vieta di affrontare temi legati all’omosessualità e all’orientamento sessuale in contesti frequentati dai minori. Ieri, al Consiglio Affari Generali, 14 paesi membri dell’Unione Europea, tra cui anche l’Italia in extremis, hanno firmato una dichiarazione di condanna della nuova legge ungherese, definendola una “forma di discriminazione”. Oggi è il turno di von der Leyen, che usa toni duri nel definire il disegno di legge una violazione della “dignità umana, uguaglianza e rispetto dei diritti umani”.

    Il Segretario Generale delle Nazioni Unite nella capitale europea prenderà parte domani alla plenaria del Parlamento europeo e al vertice dei capi di Stato e governo. L’obiettivo: rinsaldare i legami e costruire una nuova agenda globale per la ripresa

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    L’Ungheria blocca l’accordo post-Cotonou: “No a nuove ondate migratorie”

    Bruxelles – L’Ungheria ha minacciato di non ratificare l’accordo siglato a dicembre 2020 tra l’Unione Europea e l’Organizzazione degli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP). Lo ha annunciato in conferenza stampa il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó: “Specialmente in questo momento (di crisi pandemica, ndr), non abbiamo bisogno di nuove ondate migratorie”.
    Secondo quanto dichiarato dal ministro, il governo magiaro sta rispondendo in questo modo alla scarsa considerazione rivolta alle sue proposte durante i negoziati. “I nostri suggerimenti sono stati tutti ignorati, per questo non metteremo la nostra firma sull’accordo“, ha detto Szijjártó lamentandosi della parte dell’accordo in cui si parla di vie legali per l’immigrazione dai 79 Paesi dell’Organizzazione e di ricongiungimenti familiari per gli immigrati residenti nell’UE.
    L’entrata in vigore del testo è necessaria per sostituire la Convenzione di Cotonou nel 2000, scaduta a febbraio 2020 ma prorogata in via transitoria fino al 30 novembre 2021. Oltre alla voce della mobilità e dell’immigrazione (dove sono previste nuove norme sui rimpatri), l’accordo post-Cotonou dà priorità anche alla sfera dei diritti umani, della democrazia e della governance, al capitolo pace e sicurezza, allo sviluppo umano e sociale, al campo della sostenibilità ambientale e del cambiamento climatico e allo sviluppo e alla crescita economica inclusiva e sostenibile.

    Il testo prevede alcune novità in tema di vie di immigrazione legali e di ricongiungimenti familiari, ma non trascura l’argomento rimpatri e immigrazione irregolare. Ma per Budapest non è il momento di discuterne