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    L’Ungheria di Orbán ignora l’ultimatum di Bruxelles: il programma di visti agevolati per russi e bielorussi rimane in piedi

    Bruxelles – Budapest continua a fare spallucce sulla questione degli ingressi agevolati per cittadini russi e bielorussi, che sta preoccupando tanto Bruxelles quanto gli altri Stati membri. Il cosiddetto programma “Carta Nazionale”, tramite cui l’Ungheria permette ai residenti dei due Paesi di ottenere un permesso di soggiorno con procedure più spedite, rimane per il momento immutato. L’esecutivo comunitario aveva chiesto delle rassicurazioni da parte del governo di Viktor Orbán entro lunedì (19 agosto). Ma nessuno si è preoccupato di rispondere alle richieste fatte nero su bianco dalla Commissione europea, alzando così la temperatura dell’ennesimo braccio di ferro tra la cancelleria ungherese e l’Unione.Secondo lo schema al centro delle polemiche, che è entrato in vigore in concomitanza con l’inizio della presidenza di turno ungherese del Consiglio Ue (nei primi giorni di luglio) e modifica il quadro normativo relativo all’immigrazione, viene concesso ai cosiddetti “lavoratori ospiti” provenienti da otto Paesi terzi, tra cui Russia e Bielorussia, di soggiornare per due anni in Ungheria, con la possibilità di rinnovare il permesso per altri tre anni. Le nuove regole sui cosiddetti “visti rapidi” rendono il processo burocratico più spedito rispetto al rilascio di visti e permessi di lavoro regolari, e prevedono procedure agevolate anche per i ricongiungimenti familiari.Lo scorso primo agosto, la commissaria Ue agli Affai interni, Ylva Johansson, aveva inviato una lettera al suo omologo ungherese Sándor Pintér chiedendo chiarimenti su questo sistema che, di fatto, agevola l’ingresso sul territorio dell’Unione di cittadini provenienti da due Paesi terzi che Bruxelles considera ostili, permettendo loro di circolare liberamente nell’area Schengen. Il timore è che questa mossa possa aprire una falla nella sicurezza del blocco, fungendo da “cavallo di Troia” per spie e sabotatori al soldo del Cremlino che potrebbero addirittura ottenere la residenza permanente in uno Stato membro.E non si tratta di una preoccupazione della sola Commissione. Come riporta Euractiv, i titolari degli Esteri, degli Interni e della Giustizia di sei Paesi Ue (Danimarca, Estonia, Finlandia, Lettonia, Lituania e Svezia) più due extra-Ue (Islanda e Norvegia) si sono rivolti a Bruxelles lo scorso 15 agosto denunciando esplicitamente l’alleggerimento delle restrizioni legali sull’immigrazione decisa dal governo magiaro.Tecnicamente, il rilascio di visti e permessi di soggiorno è una competenza nazionale. Ma le cancellerie europee devono prestare attenzione “per non mettere a rischio l’integrità del nostro spazio comune senza controlli alle frontiere interne”, aveva sottolineato Johansson nella sua missiva, sottolineando che è compito dei governi “considerare debitamente le potenziali implicazioni per la sicurezza”. Un ragionamento ripreso anche dagli otto Stati che hanno sottoscritto la lettera alla Commissione. La stessa Johansson aveva caldeggiato “standard di controllo e vigilanza più elevati” per i cittadini russi che tentano di entrare nell’Unione, nella direzione diametralmente opposta rispetto a quella imboccata con il nuovo provvedimento adottato dall’Ungheria. Che, sostengono i critici, finisce per ledere sostanzialmente lo spirito di leale collaborazione tra gli Stati membri e per pregiudicare l’efficacia delle disposizioni del diritto comunitario, comprese tanto le regole interne a Schengen quanto le restrizioni sui cittadini di Paesi terzi.Allo scadere della deadline fissata dalla Commissione per ieri, non sarebbe giunta da Budapest alcuna risposta formale alle questioni sollevate da Johansson. L’unico commento da parte dell’esecutivo magiaro è arrivato per bocca del ministro degli Esteri, Peter Szijjártó, il quale ha dichiarato che “l’inclusione di cittadini russi e bielorussi nel programma National Card non comporta alcun rischio per la sicurezza dal punto di vista dell’area Schengen, poiché queste persone devono comunque sottoporsi a un controllo completo per entrare e soggiornare in Ungheria”. Szijjártó ha bollato come “bugie” le affermazioni degli omologhi europei, che sarebbero “accecati dalla loro adesione al campo della guerra”, cioè al sostegno politico e militare garantito all’Ucraina contro l’aggressione russa.Ora, la patata bollente finirà con ogni probabilità sul tavolo dei ministri degli Esteri e della Difesa dei Ventisette che si riuniranno in un Consiglio informale il 28 e 29 agosto prossimi. La riunione, che in gergo Ue si suole chiamare Gymnich (dal nome della località tedesca dove si tenne il primo incontro di questo tipo nel 1974), è un appuntamento fondamentale in vista della ripresa a pieno regime dei lavori del blocco dopo la pausa estiva. Tradizionalmente, viene ospitato dal Paese che detiene la presidenza di turno: in questo caso dovrebbe dunque tenersi a Budapest, ma data l’irritazione provocata dalle disinvolte “missioni diplomatiche” del premier ungherese in Ucraina, Russia, Cina e Stati Uniti lo scorso 22 luglio era stata presa la decisione di organizzare l’incontro a Bruxelles. Tra le opzioni a disposizione della Commissione per rimettere in riga l’esecutivo magiaro ci sarebbe, teoricamente, la sospensione dell’Ungheria dallo spazio Schengen, ma si tratterebbe di una mossa altamente conflittuale che rappresenterebbe un pericoloso precedente.

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    La Commissione Ue vuole chiarezza dall’Ungheria sul nuovo sistema di visti rapidi per russi e bielorussi

    Bruxelles – È passato appena un mese di presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea per l’Ungheria, e già Budapest ha creato non pochi problemi all’unità dell’Unione nei confronti della Russia. Perché dopo la “missione di pace” del premier ungherese, Viktor Orbán, a Mosca dall’autocrate russo, Vladimir Putin, ora Budapest preoccupa Bruxelles per il potenziale buco che può creare nell’area Schengen, da cui potrebbero penetrare spie russe e bielorusse.La commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson“Condivido le preoccupazioni espresse negli ultimi giorni in merito all’estensione del programma ‘Carta Nazionale’ ai cittadini di Russia e Bielorussia, entrato in vigore nei primissimi giorni della vostra presidenza”, è quanto messo nero su bianco dalla commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, in una lettera inviata ieri (primo agosto) al ministro degli Interni ungherese, Sándor Pintér, in cui ha voluto sottolineare come “l’estensione dell’elaborazione agevolata delle domande di permesso di soggiorno e di lavoro dei cittadini di Russia e Bielorussia potrebbe portare a un’elusione di fatto delle restrizioni imposte dall’Unione Europea”. Al centro della nuova contesa tra l’Ungheria di Orbán e la Commissione Ue c’è l’estensione ai cittadini di otto Paesi – prima era disponibile solo per quelli di Serbia e Ucraina – del programma ‘Carta Nazionale’, un sistema di visti rapidi per l’ingresso nel Paese e che consente di lavorare sul territorio nazionale ungherese per un massimo di due anni. Si tratta di un sistema più semplice rispetto al permesso di lavoro o al visto, e consente il ricongiungimento familiare.“Ci sono sempre più segnalazioni di sabotaggi e attacchi alle nostre infrastrutture critiche e altri atti ostili“, ricorda la commissaria Johansson a proposito della messa in campo di “ogni strumento disponibile per garantire la sicurezza dell’area Schengen”, tra cui la sospensione dell’accordo di facilitazione dei visti con la Russia nel settembre di due anni fa e “standard di controllo e vigilanza più elevati” per i cittadini russi in arrivo alle frontiere esterne dell’Unione. È pur sempre vero che gli Stati membri hanno la competenza per il rilascio di visti di lungo soggiorno e permessi di soggiorno, ma l’esecutivo Ue ricorda che i programmi nazionali “devono essere attentamente bilanciati per non mettere a rischio l’integrità del nostro spazio comune senza controlli alle frontiere interne e per considerare debitamente le potenziali implicazioni per la sicurezza“, senza dimenticare l’obbligo di “leale cooperazione” e di non pregiudicare “l’effetto utile delle disposizioni del diritto dell’Unione”, Schengen compreso. In questo quadro l’Ungheria (e tutti i Paesi membri Ue) devono garantire che “i cittadini russi che potrebbero rappresentare spionaggio o altre minacce alla sicurezza siano sottoposti al massimo livello di controllo“.Da sinistra: la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, e il ministro degli Interni ungherese, Sándor PintérÈ per queste ragioni che la commissaria Johansson chiede al ministro ungherese di rispondere alle domande allegate alla lettera “entro e non oltre il 19 agosto”, per fare chiarezza sul programma ‘Carta Nazionale’ e permettere all’esecutivo Ue di verificare se sia compatibile con il diritto dell’Unione o se metta a rischio il funzionamento complessivo dello spazio Schengen. “L’obbligo di valutare se gli individui che attraversano la frontiera esterna rappresentano una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica o le relazioni internazionali è un impegno fondamentale di tutti i membri Schengen” – conclude la titolare per gli Affari interni nel gabinetto von der Leyen – e per Russia e Bielorussia include anche “la piena e leale applicazione delle misure restrittive Ue sul divieto di ingresso o transito nei territori degli Stati membri da parte di alcuni dei suoi cittadini”. Come misura estrema la Commissione Ue potrebbe sospendere lo status Schengen di un Paese (membro Ue), ma si tratterebbe di un caso senza precedenti.

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    La decima legislatura Ue si apre con la condanna condivisa alle “palesi violazioni dei Trattati” di Orbán

    dall’inviato a Strasburgo – La prima risoluzione approvata a larghissima maggioranza dal Parlamento Ue nella decima legislatura è in linea di continuità con quella appena conclusasi, ma con una sfumatura nuova. Dalla destra conservatrice ai Verdi, passando per tutti i gruppi della maggioranza centrista (popolari, socialdemocratici e liberali), è “costante” il sostegno all’Ucraina invasa da quasi due anni e mezzo dalla Russia, ma anche la condanna condivisa alle “palesi violazioni dei Trattati e della politica estera comune dell’Ue” da parte del primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán, che tra il 5 e l’8 luglio si è recato in visita “in maniera non coordinata e inaspettata” in Russia e in Cina.La presidente del gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D), Iratxe García Pérez (17 luglio 2024)“La Russia ha intenzionalmente perpetrato atrocità sistematiche e su larga scala nei territori occupati e ha inoltre attaccato indiscriminatamente zone residenziali e infrastrutture civili, il cui esempio più recente è il bombardamento dell’ospedale pediatrico Okhmatdyt”, è quanto messo nero su bianco nella risoluzione firmata da tutti e cinque i gruppi parlamentari e approvata oggi (17 luglio) con 495 voti a favore, 137 contrari e 47 astenuti. La condanna ai “crimini di guerra e crimini contro l’umanità” compiuti dal regime di Vladimir Putin è il filo rosso che porta direttamente al j’accuse sulle “missioni di pace” del primo ministro ungherese: “All’indomani della cosiddetta missione di pace del primo ministro ungherese la Russia ha attaccato l’ospedale pediatrico Okhmatdyt a Kiev, il che ha dimostrato l’irrilevanza dei presunti sforzi di Orbán, che sono stati recepiti con scetticismo dalla leadership ucraina”.La risoluzione mette in chiaro il fatto che “il primo ministro ungherese non può pretendere di rappresentare l’Ue quando ne viola le posizioni comuni” e chiede che “a tale violazione seguano ripercussioni per l’Ungheria”, Paese membro che fino al 31 dicembre detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. “Nessuno deve negoziare con Putin al posto dell’Ucraina”, è l’attacco del polacco Andrzej Halicki (Ppe), a cui a fatto eco la presidente del gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D), Iratxe García Pérez, rincarando la dose contro il nuovo gruppo di estrema destra (terzo per numero di membri) al Parlamento Ue: “Siamo testimoni della connivenza dell’estrema destra anche in quest’Aula con il regime di Putin, il capo del gruppo dei falsi Patrioti [per l’Europa, ndr] lo ha incontrato per denigrare l’Ue, per proclamare che ha un piano di pace che nessuno conosce e per promuovere l’espansionismo russo”.Il presidente del gruppo dei Patrioti per l’Europa (PfE), Jordan Bardella (17 luglio 2024)Di “falsi patrioti” parla anche il tedesco Sergey Lagodinsky (Verdi/Ale), mentre la presidente del gruppo di Renew Europe, Valérie Hayer, ha denunciato la “missione di pace autoproclamata, utilizzando l’Ue senza alcun mandato”. Non si schiera a favore della risoluzione il gruppo della Sinistra perché, secondo il co-presidente Martin Schirdewan, “serve una trattativa ma l’Ue non ha preso alcuna iniziativa, l’invio di ulteriori armi non porterà alla fine della guerra“. La strenua difesa dell’operato di Orbán è arrivata dal presidente di Patrioti per l’Europa, Jordan Bardella, e da quello del gruppo ancora più a destra Europa delle Nazioni Sovrane, René Aust. Il primo ha concesso che quella della Russia è “una guerra di aggressione illegale e ingiustificata”, ma ha contrattaccato, sostenendo che “la condanna a Orbán mette a rischio l’unità europea, non si può accusare l’Ungheria per mantenere contatti di pace”. Il secondo ha chiesto “un cambio di strategia”, perché “il momento è maturo per le trattative di pace e sono grato a Orbán per essersi preso la responsabilità anche se c’è resistenza”.Il nodo della prima risoluzione al Parlamento UeSe la condanna a Orbán ha unito i cinque gruppi dai conservatori ai Verdi, lo stesso non si può dire su un punto particolarmente delicato della risoluzione, vale a dire il paragrafo 5. Più precisamente la specifica secondo cui il Parlamento Ue “sostiene fermamente l’eliminazione delle restrizioni all’uso dei sistemi di armi occidentali forniti all’Ucraina contro obiettivi militari sul territorio russo“. Su questo punto si è verificata una spaccatura nel voto, dove – per ragioni diverse – la quasi totalità degli eurodeputati del Partito Democratico ha votato contro il passaggio che sostiene l’uso delle armi occidentali per colpire obiettivi miliari in Russia (in quanto la formulazione potrebbe intendere anche, per assurdo, il ministero della Difesa di Mosca), come i Verdi Leoluca Orlando, Cristina Guarda e Benedetta Scuderi, ma soprattutto come gli 8 esponenti leghisti di Patrioti per l’Europa (che non da oggi hanno un’impostazione filo-russa) e gli 8 membri del Movimento 5 Stelle. A proposito del gruppo della Sinistra, Domenico Lucano e Ilaria Salis si sono astenuti sulla questione, così come tutti gli eurodeputati di Fratelli d’Italia.Bocciati tutti gli emendamenti, è rimasto il testo originale senza modifiche, sostenuto infine dalla totalità dei membri di Fratelli d’Italia, di Forza Italia e del Partito Democratico (fatta eccezione solo per Marco Tarquinio e Cecilia Strada, astenuti). Contrari, inevitabilmente, gli eurodeputati della Lega, ma anche quelli del Movimento 5 Stelle e i due eletti per Alleanza Verdi/Sinistra (il gruppo della Sinistra si è spaccato con un terzo a favore e un altro terzo astenuto), e soprattutto i tre Verdi italiani, gli unici a schierarsi contro la risoluzione spinta dal loro stesso gruppo per le implicazioni dei passaggi sull’invio delle armi e sulla spesa da parte degli Stati membri di “almeno lo 0,25 per cento del Pil annuo” per sostenere “militarmente” l’Ucraina.

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    Orbán, scheggia impazzita alla testa del Consiglio. In Cina il terzo viaggio tenuto segreto a Bruxelles

    Bruxelles – È iniziato solo da una settimana il semestre di presidenza ungherese del Consiglio dell’Unione Europea, ma Viktor Orbán ha già fatto capire che saranno sei mesi all’insegna dell’imprevedibilità e di una tensione sempre altissima con i leader Ue e con i vertici delle altre istituzioni dell’Unione. “Missione di pace 3.0. Pechino“, annuncia così il premier ungherese con un post su X il suo terzo viaggio nel giro di pochi giorni, anche questo “a sorpresa” e senza la minima consultazione con i presidenti di Commissione e Consiglio Europeo.Da sinistra: il primo ministro dell’Ungheria e presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea, Viktor Orbán, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, a Mosca il 5 luglio 2024 (credits: Alexander Nemenov / Afp)“La Cina è una potenza chiave nel creare le condizioni per la pace nella guerra tra Russia e Ucraina“, rivendica ancora il presidente di turno del Consiglio dell’Ue, che nella sua nuova (ma temporanea) veste istituzionale sta creando non poco scompiglio a Bruxelles. Perché fino al 31 dicembre Orbán non è solo il solito primo ministro più controverso al tavolo dei Ventisette, ma è anche al vertice dell’organo che rappresenta tutti i governi nazionali e che detiene (insieme al Parlamento Europeo) il potere legislativo. Ogni sua parola dovrà sempre essere misurata con il bilancino, per capire dove finisce il suo essere premier provocatore e dove inizia la sua sfida aperta all’unità dell’Unione nei rapporti con i Paesi terzi. Così come successo la scorsa settimana a Kiev e Mosca, oggi (8 luglio) a Pechino Orbán arriva senza un mandato dei capi di Stato e di governo dei Paesi membri o delle altre istituzioni Ue. Ma ciò che sta provocando forte irritazione a Bruxelles e nelle capitali è sia la scelta degli interlocutori – già a maggio aveva steso il tappeto rosso a Budapest per il leader cinese, Xi Jinping, e nell’ottobre 2023 a Pechino aveva stretto la mano dell’autocrate russo, Vladimir Putin – sia l’intenzione ormai piuttosto chiara di raggirare i partner interni all’Unione sfruttando l’esposizione istituzionale garantitagli da questi sei mesi alla guida del Consiglio dell’Ue.Da sinistra: il presidente della Cina, Xi Jinping, e il primo ministro dell’Ungheria e presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea, Viktor Orbán, a Budapest il 9 maggio 2024 (credits: Szilard Koszticsak / Pool / Afp)In attesa delle nuove reazioni da Bruxelles all’ennesimo viaggio tenuto nascosto ai partner Ue (la destinazione si è saputa solo ieri attraverso il monitoraggio della rotta del suo aereo di Stato), valgono le parole dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, in occasione della visita a Mosca di venerdì scorso (5 luglio): “Non comporta alcuna rappresentanza esterna dell’Unione, che spetta al presidente del Consiglio Europeo a livello di capo di Stato o di governo e all’alto rappresentante a livello ministeriale”. Eppure Orbán sembra sempre più una scheggia impazzita e dal Parlamento Europeo si alzano nuovamente voci di richiesta di attivazione della procedura secondo l’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea, ovvero il meccanismo che permette di sospendere i diritti di adesione all’Ue in caso di violazione “grave e persistente” dei principi fondanti dell’Unione da parte di un Paese membro. Al momento è “seriamente” in dubbio solo la tradizionale visita della Commissione Europea alla presidenza di turno, in programma a Budapest “subito dopo la pausa estiva”, ha spiegato il portavoce dell’esecutivo Ue, Eric Mamer.Da sinistra: la prima ministra dell’Italia, Giorgia Meloni, e il primo ministro e presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea, Viktor OrbánC’è poi da ricordare che oltre alla sua “missione di pace” – che a Bruxelles viene piuttosto definita “appeasement” verso Putin – questo fine settimana è stata causa di grossa tensione la partecipazione di Orbán al vertice informale dell’Organizzazione degli Stati Turchi sabato (6 luglio) a Şuşa, in Azerbaigian. “L’Ungheria non ha ricevuto alcun mandato dal Consiglio dell’Ue per portare avanti le relazioni”, ha dovuto precisare di nuovo l’alto rappresentante Ue a seguito delle polemiche legate al fatto che il premier ungherese era seduto allo stesso tavolo dei rappresentanti dell’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord. “L’Unione Europea respinge i tentativi dell’Organizzazione degli Stati turchi di legittimare l’entità secessionista turco-cipriota”, ha messo in chiaro Borrell a proposito della controversia diplomatica più che quarantennale sulla divisione dell’isola di Cipro, con la sola Turchia che riconosce l’indipendenza dei secessionisti del nord (i negoziati sono congelati dal 2017). La questione ha creato già una prima crepa nel fronte delle destre europee, alla vigilia della formazione ufficiale del gruppo Patrioti per l’Europa al Parlamento Ue: “Patriottismo significa difendere le nazioni europee, non sostenere le occupazioni illegali“, ha attaccato Orbán il co-presidente del gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr), Nicola Procaccini, eurodeputati di Fratelli d’Italia.

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    Slitta l’ok all’apertura dei negoziati di adesione all’Ue per l’Ucraina. L’Ungheria si mette ancora di traverso

    Bruxelles – Fumata nera al Comitato dei rappresentanti permanenti dei Paesi Ue sul via libera all’apertura dei negoziati di adesione per Ucraina e Moldova. Come confermano diverse fonti Ue, a bloccare il testo su Kiev è stata l’Ungheria di Viktor Orbán, chiedendo “ancora modifiche e aggiunte significative” per poter dare il via libera. L’obiettivo di Bruxelles resta tenere le prime conferenze intergovernative con i candidati all’ingresso nell’Unione entro fine giugno. E il punto tornerà “molto probabilmente” al Coreper già la prossima settimana.Dopo diverse ore di “ampio dibattito in merito ai quadri negoziali di Moldova e Ucraina”, fonti dell’Ue parlano di un “grande sostegno” per i quadri negoziali proposti dalla Commissione europea. Un sostegno maturato durante i colloqui tra gli ambasciatori: prima dell’incontro, “alcuni Stati membri avevano ancora una serie di riserve, che sono state quasi tutte sciolte per poter procedere rapidamente”. D’accordo per procedere sia per Kiev che per Chisinau, diversi governi hanno comunque sottolineato “l’importanza di procedere con i Paesi meritevoli dei Balcani occidentali” (Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia hanno già iniziato i negoziati di adesione). A quanto si apprende, è questa la posizione sostenuta oggi dall’Italia, “a favore dell’avanzamento del percorso europeo dell’Ucraina e della Moldova anche come finestra di opportunità per far procedere anche i Paesi dei Balcani occidentali”, che hanno “legittime aspettative da lungo tempo” verso l’adesione.Volodymir Zelensky e Viktor Orban a BruxellesCome conferma la fonte, sul quadro negoziale per la Moldova sarebbe filato tutto liscio, ma Budapest ha confermato un’altra volta il suo ostruzionismo verso l’adesione di Kiev al blocco, una saga che va avanti da quando – nel giugno 2022 – l’Ue aveva concesso lo status di Paese candidato all’Ucraina. L’Ungheria chiede risposte alle proprie preoccupazioni per quanto riguarda “i diritti delle minoranze nazionali” in Ucraina e vuole maggiori rassicurazioni sul “commercio, la lotta alla corruzione, l’agricoltura, il funzionamento del mercato unico, le relazioni di buon vicinato” con Kiev. Senza tutta questa serie di garanzie – alcune “già accolte” dalla Presidenza belga del Consiglio dell’Ue – Budapest non potrà dare il proprio sostegno al testo. Che è fondamentale per raggiungere l’unanimità necessaria a procedere.Il dossier tornerà ora in cantiere a livello tecnico, con la speranza di poterlo ripresentare sul tavolo degli ambasciatori Ue già la prossima settimana e ottenere il semaforo verde. La data segnata sul calendario di Bruxelles per l’approvazione definitiva dei quadri negoziali si avvicina: il 25 giugno, quando si riunirà il prossimo Consigli Affari Generali, responsabile per la decisione (all’unanimità) sul via libera alle conferenze intergovernative con i candidati all’ingresso nell’Ue.Come ammesso già al termine del vertice dei leader del 21 marzo dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, la speranza di Bruxelles è riuscire a chiudere la questione sotto la presidenza belga. Perché, dal primo luglio, alla guida semestrale del Consiglio dell’Ue siederà proprio Budapest, che avrà la facoltà di definire calendari e temi in agenda delle riunioni dei ministri nelle diverse composizioni del Consiglio. E dunque, avrebbe gioco facile a rimandare il più possibile l’adozione dei quadri negoziali per l’adesione di Kiev. Ma c’è anche un’altra ragione per procedere con urgenza: per l’Ue è più che mai importante inviare un chiaro messaggio di incoraggiamento ai due candidati nel più ampio contesto dell’aggressione russa all’Ucraina.

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    Orbán stende il tappeto rosso per “l’amico di lunga data” Xi Jinping. Cina e Ungheria firmano 16 accordi di cooperazione

    Bruxelles – Si conclude tra le sventolanti bandiere cinesi di Budapest il tour europeo di Xi Jinping. Dopo il trilaterale con Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen a Parigi e la visita in Serbia, il presidente della Cina è ospite oggi (9 maggio) dell’amico “di lunga data” ungherese. Per l’occasione del 75esimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Pechino e Budapest (e della festa dell’Europa, per uno strano scherzo del destino) il primo ministro Viktor Orbán e Xi firmeranno 16 accordi di cooperazione, che inaugurano una nuova fase dei rapporti tra il gigante asiatico e il suo più stretto alleato nell’Unione europea.Il premier cinese e la moglie, Peng Liyuan, sono stati ricevuti in mattinata dal presidente ungherese Tamas Sulyok nel palazzo presidenziale, per poi dirigersi – accompagnati lungo il percorso da centinaia di persone che sventolavano bandiere cinesi e ungheresi – alla volta del castello di Buda, dove hanno sfilato su un tappeto rosso mentre risuonavano gli inni nazionali. Alla cerimonia hanno partecipato numerosi funzionari dei due Paesi, tra cui il primo ministro Orbán.Bandiere cinesi e ungheresi davanti al Castello di Buda a Budapest (Photo by Attila KISBENEDEK / AFP)Gli accordi – annunciati nei giorni scorsi dal governo ungherese – riguardano un ampio ventaglio di settori: dalle infrastrutture ferroviarie e stradali, all’energia nucleare e all’automobile. Budapest attira da anni numerose aziende cinesi e grandi progetti di produzione di veicoli elettrici e batterie. Investimenti per decine di miliardi di euro, di cui l’opposizione ungherese ha denunciato l’opacità dei contratti, l’impatto ambientale delle fabbriche e la corruzione. Investimenti che arricchirebbero lo stretto “circolo di Orbán”.Secondo i dati dell’Observatory of Economic Complexity (Oec), nel 2022 il surplus commerciale della Cina con l’Ungheria è stato di quasi 8 miliardi di dollari: Budapest ha importato beni dalla Repubblica Popolare per un valore di 10,5 miliardi (il 6,88 per cento del totale delle importazioni, seconda solo alla Germania), mentre l’export verso la Cina si è fermato a 2,89 miliardi di dollari. Una forbice in costante aumento negli ultimi anni che – sommata alla serie di contratti miliardari che Orbán ha firmato con Pechino – è stata definita dall’Ispi “una trappola del debito” con la Cina.Ma il legame sempre più stretto con la Cina fa parte della politica perseguita da Orbán fin dal 2010, che guarda a Est e fa l’occhiolino a Mosca oltre che a Pechino. Sul conflitto in Ucraina, la posizione di Orbán è molto più vicina a quella della Cina rispetto a quella dell’Unione europea, come dimostrano i recenti scontri tra gli altri 26 e l’Ungheria sulle sanzioni al Cremlino e sul fondo per l’Ucraina. In un editoriale pubblicato sul quotidiano ungherese filogovernativo Magyar Nemzet prima del suo arrivo, Xi Ha elogiato i 75 anni di relazioni diplomatiche in cui “Cina e Ungheria sono rimaste buone amiche e hanno imparato l’una dall’altra”, proponendo “una maggiore fiducia politica reciproca” e la guida congiunta della “cooperazione regionale e il mantenimento della giusta direzione delle relazioni Cina-Europa” al fine di “unire le forze per affrontare le sfide globali”.Dichiarazioni zuccherine che ricalcano quelle di pochi giorni fa a Belgrado tra il presidente cinese e l’omologo serbo, Aleksandar Vučić. Anche in quell’occasione, i due leader hanno siglato un totale di 28 accordi e protocolli d’intesa dalle infrastrutture alla cultura, dallo sport alla tecnologia. Accordi che non possono non impensierire Bruxelles, non proprio in linea con la richiesta di una maggiore cooperazione per “evitare incomprensioni” che von der Leyen e Macron hanno rivolto a Xi nella prima tappa del suo tour europeo.

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    Via libera dall’Ungheria all’ingresso della Svezia nella Nato. L’Alleanza tocca quota 32 Paesi membri

    Bruxelles – E anche l’ultimo ostacolo di fronte alla strada della Svezia nella Nato è caduto. L’Assemblea Nazionale dell’Ungheria ha votato oggi (26 febbraio) a favore della ratifica del protocollo di adesione di Stoccolma all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord e fra pochi giorni il Paese scandinavo potrà diventare ufficialmente il 32esimo Paese membro dell’Alleanza Atlantica. “Oggi è una giornata storica”, ha esultato il primo ministro svedese, Ulf Kristersson: “Siamo pronti ad assumerci le nostre responsabilità per la sicurezza euro-atlantica”.

    Il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán (credits: Javier Soriano / Afp)Il via libera è arrivato con 188 voti a favore e 6 contrari, dopo che ormai era stato chiaro dalle parole del primo ministro, Viktor Orbán, in apertura della seduta parlamentare che i deputati del partito al potere Fidesz non avrebbero più creato problemi alla ratifica. I due premier si erano incontrati venerdì scorso (23 febbraio) a Budapest per discutere di cooperazione in materia di difesa e sicurezza, e dai negoziati era emerso che l’Ungheria potrà acquistare quattro nuovi aerei da combattimento Gripen di fabbricazione svedese, mentre Stoccolma non avrebbe più visto ostruzionismo da Budapest nel suo percorso verso l’adesione all’Alleanza Atlantica. “L’ingresso della Svezia nella Nato rafforzerà la sicurezza dell’Ungheria“, ha commentato oggi Orbán, definendo la visita di Kristersson nella capitale ungherese come un passo essenziale verso la costruzione di “un rapporto equo e rispettoso tra i due Paesi”.Il protocollo di adesione di Svezia (e Finlandia, 31esimo Paese membro dal 4 aprile 2023) era stato firmato il 5 luglio 2022 – dopo la svolta strategica storica la politica di sicurezza nazionale tradizionalmente legata al non-allineamento – e da allora per Stoccolma è stata una strada in salita. A oltre 19 mesi dal vertice di Vilnius, l’Ungheria era rimasto l’unico Paese membro a non aver approvato in modo formale l’ingresso di Stoccolma nell’Alleanza Atlantica, quando anche la Turchia ha messo fine al suo durissimo blocco. Un mese fa Orbán aveva fatto cadere formalmente il suo breve ostruzionismo, ma lo stesso non ha fatto il suo partito Fidesz, boicottando la sessione straordinaria di inizio mese. Trovatosi sotto pressione da parte degli altri membri – e messo con le spalle al muro dalla visita di Kristersson – il premier ungherese ha infine spinto i membri del suo partito a far crollare la resistenza. “Ora che tutti gli alleati hanno approvato, la Svezia diventerà il 32esimo alleato della Nato“, ha accolto il voto favorevole dell’Assemblea Nazionale di Budapest il segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg, sottolineando che “l’adesione della Svezia ci renderà tutti più forti e sicuri”. La cerimonia di ingresso del nuovo membro dell’Alleanza si potrebbe tenere al quartier generale della Nato già venerdì (primo marzo). I passi della Svezia per entrare nella NatoPer diventare membro della Nato, un Paese deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta, la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.

    Il segretario generale della Nato, Jens StoltenbergLa procedura di adesione inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri. A questo punto si aprono nel quartier generale a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale dell’Alleanza.Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della Nato invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.

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    Crolla la resistenza dell’Ungheria di Orbán alla ratifica del protocollo di adesione della Svezia alla Nato

    Bruxelles – Non è durato nemmeno 24 ore l’ostruzionismo aperto del premier ungherese, Viktor Orbán, alla ratifica del protocollo di adesione della Svezia alla Nato, dopo lo sblocco dello stallo con il voto favorevole della Grande Assemblea Nazionale Turca arrivato nella serata di ieri (23 gennaio). Rimasta l’unico Paese membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord a non aver approvato in modo formale l’ingresso di Stoccolma come 32esimo membro dell’Alleanza Atlantica, l’Ungheria ha subito le pressioni degli altri alleati della Nato – incluso il segretario generale Jens Stoltenberg – e già oggi (24 gennaio) il premier Orbán ha reso noto che “alla prima occasione possibile” arriverà il voto dell’Assemblea Nazionale di Budapest per la ratifica del protocollo di adesione di Stoccolma.

    Da sinistra: il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il primo ministro della Svezia, Ulf Kristersson (credits: Jonathan Nackstrand / Afp)“Ho ribadito che il governo ungherese sostiene l’adesione della Svezia alla Nato, ho anche sottolineato che continueremo a sollecitare l’Assemblea nazionale ungherese a votare a favore dell’adesione della Svezia”, ha scritto il leader ungherese su X a seguito della telefonata con il segretario generale della Nato. Lo stesso Stoltenberg ha “accolto con favore il chiaro sostegno” di Orbán e del governo ungherese, esortando la ratifica del protocollo di adesione della Svezia “non appena il Parlamento tornerà a riunirsi”. La fine delle velleità di Orbán di tenere in ostaggio l’ingresso del nuovo membro nell’Alleanza è arrivata con il secco rifiuto del governo di Stoccolma a partecipare a un incontro a Budapest per “negoziare l’adesione della Svezia alla Nato“, come recitava l’invito recapitato ieri dal primo ministro Orbán all’omologo svedese, Ulf Kristersson.Mentre nell’ultimo anno e mezzo l’attenzione era tutta rivolta ad Ankara e alle minacce esplicite del presidente Recep Tayyip Erdoǧan di bloccare il processo in caso di non rispetto delle condizioni richieste, a Budapest il dossier della ratifica del protocollo di adesione della Svezia alla Nato non è mai avanzato soprattutto per il contrasto diplomatico tra i due Paesi membri Ue. Proprio durante il semestre di presidenza svedese del Consiglio dell’Ue (tra gennaio e luglio 2023), il premier Kristersson è stato particolarmente duro nelle sue critiche all’erosione dello Stato di diritto determinato dal governo Orbán e tutt’ora è uno dei leader più intransigenti sui ricatti del premier ungherese al tavolo del Consiglio Europeo (in particolare sulle questioni dei fondi Ue e del sostegno all’Ucraina).I passi della Svezia per entrare nella NatoPer diventare membro della Nato, un Paese deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta, la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.

    La procedura di adesione inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri. A questo punto si aprono nel quartier generale a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale dell’Alleanza.Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della Nato invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.