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    Zelensky all’Ue: “Avvio negoziati adesione quest’anno, il 2023”

    Bruxelles – Fare il possibile per permettere l’avvio dei negoziati di adesione dell’Ucraina all’Ue entro la fine dell’anno. Volodymir Zelensky, tra le richieste ai capi di Stato e di governo dei Ventisette e ai presidenti delle istituzioni comunitarie, presenta quelle relative al futuro politico del suo Paese. Il presidente ucraino ringrazia per quanto fatto finora, il riconoscimento dello status di candidato è un certamente un passo avanti anche più che gradito. Adesso però si vorrebbe evitare di attendere troppo a lungo. ” Vorremmo molto l’avvio di questi negoziati quest’anno, il 2023, per motivare noi stessi” ma soprattutto “per motivare il nostro esercito” impegnato a rispondere all’aggressione dell’armata russa.
    Zelensky è consapevole del procedimento e delle sue tappe, e sa che occorre innanzitutto attendere il risultato delle raccomandazioni che la Commissione europea dovrà produrre nei prossimi mesi. Ma, e lo ribadisce con forza nel corso della conferenza stampa con i presidenti di Consiglio e Commissione Ue, “vogliamo molto l’adesione”. Dal podio della sala stampa del Consiglio europeo ricorda la situazione di un Paese e di un popolo alla prese con una guerra che “sfortunatamente va avanti”. Tenuto conto questo, “c’è bisogno di sostegno psicologico”, e un’eventuale concessione dell’avvio negoziale servirebbe non poco.
    Zelensky trova dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, la massima disponibilità. “Sappiamo che la Commissione presenterà le sue valutazioni, e farò il massimo perché il Consiglio non scappi dalle sue responsabilità”. Un lavoro di convincimento sembra servire, dato che sull’accelerazione del procedimento dell’allargamento i 27 si mostrano con idee diverse. La Lituania vorrebbe che la Commissione li raccomandi per ottobre, “così che il Consiglio possa dare il via libera entro fine anno”. L’auspicio del presidente lituano Gitanas Nauseda è condivisa dal premier irlandese, mentre il lussemburghese Xavier Bettel invita al pragmatismo. “Non promettiamo ciò che non siamo certi di poter mantenere”.

    L’appello ai leader ai presidente delle istituzioni comunitarie. “Per motivare noi stessi e per motivare il nostro esercito”

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    Ucraina, i fighter jet animano il vertice dei leader Ue

    Bruxelles – Immigrazione, ripresa economica, ma soprattutto fighter jet. Gli aerei da guerra che l’Ucraina vorrebbe dopo la richiesta dei carroarmati sono il tema caldo della riunione dei capo di Stato e di governo dei Paesi Ue, chiamati a doversi confrontare sui modi di sostenere l’alleato ucraino. Se i Paesi piccoli spingono per “dare tutto ciò che serve per permettere la vittoria della guerra”, come sottolinea il primo ministro lettone Kristjan Karins, i grandi invece frenano o evitano di esprimersi in termini espliciti.
    “La Russia non deve vincere questa guerra”, sottolinea il presidente francese, Emmanuel Macron, convinto che occorre “continuare a sostenere militarmente” Kiev. L’inquilino dell’Eliseo sceglie la via della prudenza ma del ragionamento. “Serve definire i bisogni e le strategie”. Si dice sicuro che “queste sono settimane decisive” per prosieguo ma soprattutto destino del conflitto, ma sugli aerei da guerra non si sbilancia, preferendo dichiarazioni aperte ad ogni possibilità.
    Il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, si limita a ricordare che fin qui la Germania è stato e ed è il Paese membro dell’Unione europea che ha concesso il maggior sostegno militare e finanziario, lasciando intendere che per ora di fighter jet non è opportuno parlare. Anche perché ogni decisione in materia richiede passaggi parlamentari non scontati anche per via di una dottrina tutta germanica che sulle operazioni di guerra ha fin qui mantenuto posizioni conservative. Già la concessione di carrarmati rompe con il tradizionale non interventismo tedesco in conflitti aperti altrui.
    Servirà un confronto, che il primo ministro olandese, Mark Rutte, preferisce però “lasciare a porte chiuse, perché la questione è delicata”, dice entrando in Consiglio per i lavori del vertice dei leader. C’è la scelta in sé, ma c’è anche la questione di fondo delle implicazioni, che pure vanno considerate. L’Estonia, però, insiste. “Noi non abbiamo aerei da guerra” capaci di condurre operazioni d’aria. Ma, sottolinea Kaja Kallas, “se li avessimo, sosterremo l’Ucraina con tutti i nostri mezzi”.
    Gli unici mezzi presi in considerazione da Viktor Orban sono quelli non militari, marcando le distanze dal resto dei partner attorno al tavolo. “L’Ungheria continuerà a fornire sostegno umanitario e finanziario”, scandisce il primo ministri di Budapest. “Sosteniamo un cessate il fuoco immediato al fine di prevenire l’ulteriore perdita di vite umane. L’Ungheria appartiene al campo della pace”.
    I 27 si mostrano con idee diverse anche sull’altra questione che tocca da vicino il dossier ucraino, quello dell’avvio dei negoziati di adesione. La Lituania vorrebbe che la Commissione li raccomandi per ottobre, “così che il Consiglio possa dare il via libera entro fine anno”. L’auspicio del presidente lituano Gitanas Nauseda è condivisa dal premier irlandese, mentre il lussemburghese Xavier Bettel invita al pragmatismo. “Non promettiamo ciò che non siamo certi di poter mantenere”.

    I baltici premono per l’invio degli aerei da guerra, Francia e Germania non si sbilanciano. I Paesi Bassi: “Tema sensibile, discuterne a porte chiuse”

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    Arresti e condanne a morte, convocato l’ambasciatore iraniano presso l’Ue

    Bruxelles – Basta repressioni, basta arresti e condanne a morte. La situazione in Iran ha passato il limite, e l’Unione europea ha voluto ribadirlo una volta di più al governo di Teheran convocando l’ambasciatore delle repubblica islamica presso l’Ue. A nome dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, il segretario generale del Servizio per l’azione esterna (Seae), Stefano Sannino, ha invitato nei suoi uffici il massimo diplomatico iraniano a Bruxelles.
    Hossein Dehghani è stato convocato a seguito dell’esecuzione di Mohammad Mehdi Karami e Seyyed Mohammad Hosseini, del 7 gennaio scorso, dopo essere arrestati e condannati a morte in relazione alle proteste in corso in Iran. Proteste a cui il regime degli Ayatollah ha risposto e continua a rispondere con il pugno duro, tanto che per questo l’Ue ha già varato sanzioni a ottobre, per poi inasprirle il mese successivo.
    Sannino, a nome dell’Ue, ha ribadito l’appello alle autorità iraniane per uno stop immediato della pratica “condannabile” e per questo condannata di imporre ed eseguire condanne a morte nei confronti dei manifestanti. E’ stato inoltro rivolto l’invito ad “annullare senza indugio le recenti condanne a morte già pronunciate nel contesto delle proteste in corso e di garantire un giusto processo a tutti i detenuti”, fa sapere il Seae.
    E’ quest0 l’ultimo atto in ordine di tempo di una crisi diplomatica tra Bruxelles e Teheran che ha visto nella sospensione delle relazioni tra Parlamento europeo e parlamentari iraniani una prima dimostrazione del deterioramento dei rapporti.

    Richiamato dal segretario generale del Servizio per l’azione esterna, Stefano Sannino: “Basta condanne, e annullare tutte le decisioni prese”

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    Le transizioni dell’Ue sono una scommessa geopolitica

    Bruxelles – La trasformazione industriale dell’Europa dipende dal resto del mondo, in maniera sempre più rischiosa alla luce di turbolenze geopolitiche che stanno mettendo in discussione i rapporti con le potenze di cui l’Ue avrebbe bisogno. Russia e Cina, la scommessa dell’Unione europea passa per questi Paesi ricchi delle materie prime necessarie per le transizioni verde e sostenibile. Uno studio del Parlamento europeo, richiesto dalla commissione Industria, accende i riflettori su quella che è la parte più delicata dell’agenda di sostenibilità a dodici stelle. “La sfida della decarbonizzazione deve essere vinta in un contesto geopolitico in rapida evoluzione”. In questo scacchiere internazionale in trasformazione, “complessivamente, il principale Paese di dipendenza per le importazioni di gruppi merceologici, materie prime e componenti, necessari per la transizione verde e digitale è la Cina”. Con Pechino l’Ue ha conti che potrebbe pagare.
    Il documento sottolinea in particolare la ‘questione cinese’, e ricorda “le tensioni geopolitiche che circondano Taiwan, uno dei principali produttori di chip per computer, vitali per molte moderne tecnologie digitali e verdi”. In secondo luogo, ci sono “le preoccupazioni per il lavoro forzato nello Xinjiang, la provincia cinese che è il principale fornitore mondiale di pannelli solari e materie prime utilizzate per la loro produzione”. Per gli analisti “le considerazioni sulla resilienza delle catene di approvvigionamento nell’attuale contesto di tensioni geopolitiche sono fondamentali nella strategia dell’Ue per le materie prime essenziali”.
    L’Ue “dipende fortemente” dalla Cina “da tutte le materie prime utilizzate per la produzione di batterie, ad eccezione del litio”. Ha bisogno “sia per la produzione di magneti permanenti che per l’estrazione e la raffinazione di elementi delle terre rare (Ree) utilizzati nella loro produzione”. Ancora alla Cina ci si affida per le importazioni di batterie utilizzate per veicoli elettrici e accumulo di energia”.
    C’è poi la Russia. “Attualmente l‘Ue dipende dalla Russia per una quota significativa delle sue importazioni per tre materie prime critiche: platino, palladio e titanio”. Questi sono materiali “indispensabili per lo sviluppo della tecnologia dell’idrogeno”. Un’altra materia prima che merita attenzione è il titanio, poiché l’UE ha un “forte” deficit commerciale complessivo di questo elemento, necessario per le celle a combustibile. “La Russia è tra i primi tre produttori mondiali di titanio e l’UE importa il 17% del suo titanio da questo paese. Inoltre, l’UE importa dalla Russia il 15% del suo platino, necessario per gli elettrolizzatori”.
    Il conflitto russo-ucraino ha ridisegnato anche le relazioni dell’Ue con Mosca, e ora le materie prime critiche necessarie per tutta la strategia europea vanno ricercate altrove. Il mercato del nichel offre più sbocchi. Nel mondo i principali produttori della materia prima sono Indonesia, Filippine, Russia, Nuova Caledonia (Francia), Australia, Russia, Cina, Canada, Brasile, Cuba, Guatemala, Stati Uniti, Colombia. Mentre le più grandi riserve si trovano in Indonesia, Australia, Brasile, Russia, Filippine, Sudafrica. Mentre per ciò che riguarda il cobalto, i principali produttori sono Repubblica democratica del Congo, Russia, Cuba, Australia, Cina, Filippine, Marocco e Papua Nuova Guinea. Quelli con le maggiori riserve sono Repubblica democratica del Congo, Australia, Filippine, Russia, Canada, Madagascar e Cina.
    L’Ue deve avviare una nuova stagione di relazioni con questi Paesi, sottolinea lo studio di lavoro del Parlamento. Per garantirsi un accesso alle materie prime necessarie alla transizione verde, l’Ue deve sapersi muovere. Il commercio non è la via da seguire, poiché “offre un margine limitato per aumentare la diversità dei fornitori europei, perché le tariffe sulle materie prime critiche sono già basse”, e questo “limita l’efficacia di questi accordi di libero scambio nell’incentivare una diversificazione dell’offerta”. Gli strumenti di politica non commerciale, come l’assistenza allo sviluppo e la cooperazione internazionale, appaiono come opzioni più efficaci”. Ben venga dunque l’accordo con il Giappone per lo sviluppo dell’idrogeno. Ma soprattutto, serve una politica vera, finora mancante, per le materie prime indispensabili.
    “Il passaggio dai veicoli con motore a combustione interna ai veicoli elettrici richiederà grandi quantità di materiali aggiuntivi come cobalto e litio per le batterie, elementi di terre rare per i motori elettrici e alluminio e molibdeno per la scocca”. Questo il preo-memoria contenuto nel documento, a ricordare che prodotti contenenti materie prime critiche sono “necessarie” per le transizioni verde e digitale, ma l’Ue manca di una politica di approvvigionamento. “Lo stoccaggio strategico di prodotti contenenti materie prime critiche è una politica comune negli Stati Uniti, in Giappone, Corea del Sud e Svizzera. Da questi esempi si possono trarre i principi per lo stoccaggio europeo”.
    La Commissione europea si è messa al lavoro producendo una strategia per le materie prime critiche, consapevole della posta in gioco. “Dobbiamo evitare di ridiventare dipendenti, come abbiamo fatto con il petrolio e il gas”, ha ammesso il commissario per l’Industria, Thierry Breton. A oggi l’Ue soffre questa situazione, e con lei anche le sue ambizioni di trasformazione verde e digitale. L’idea di un fondo per la sovranità industriale si colloca in questo solco.

    Uno studio richiesto dalla commissione Industria del Parlamento europeo ricorda come per agenda verde e digitale l’Europa non abbia le materie prime critiche di cui ha bisogno. Servirà cooperazione a tutto campo

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    Migranti, Team Europe avvia due iniziative per gestire flussi nel Mediterraneo

    Bruxelles – Investire in Africa per eliminare le condizioni alla base delle partenze, e poi cooperazione nei rimpatri e nelle riammissioni. L’Unione europea lancia nuove iniziative mirate per la dimensione esterna dell’immigrazione. Due iniziative del Team Europe, l’insieme degli Stati membri dell’Ue e le sue istituzioni per rispondere in modo unitario alle sfide globali, inclusa quella dei flussi. “L’Africa nel 2050 conterà quasi tre miliardi di persone, e se non affrontiamo le problematiche economiche e legate al clima c’è il rischio di migrazioni di massa” verso l’Europa, sottolinea Antonio Tajani, ministro degli Esteri dell’Italia. Insieme a Francia e Spagna, l’Italia è al centro di questa iniziativa che l’esecutivo comunitario avvia oggi (12 dicembre).
    Mediterraneo centrale, quella che interessa da vicini l’Italia, e Mediterraneo occidentale. E’ qui che si intende intervenire con rinnovato slancio. “Stiamo lavorando intensamente perché il tema dell’immigrazione sia affrontato con una strategia di breve, medio e lungo termine”, continua il titolare della Farnesina.
    Per quanto riguarda la parte squisitamente migratoria dell’iniziativa,  si riuniscono dei Paesi africani ed europei di origine, transito e destinazione. Si vogliono creare nuove opportunità di coordinamento con i paesi partner, i partner internazionali e le pertinenti agenzie delle Nazioni Unite.
    Nel Mediterraneo centrale, più specificatamente, l’iniziativa  sosterrà l’attuazione di azioni operative per gestire la migrazione in cooperazione e coordinamento con Burkina Faso, Ciad, Egitto, Libia, Niger, Etiopia, Eritrea, Somalia, Sudan, Tunisia, Costa d’Avorio, Guinea e Nigeria. Per gli interventi lungo la rotta che invece interessa più da vicino la Spagna, quella del Mediterraneo centrale, i Paesi africani partner principali sono Algeria, Mauritania, Senegal, Marocco, Gambia, Ghana e Mali.
    Per quanto riguarda la migrazione regolare, si vuole puntare sull’ingresso di richiedenti asilo qualificati. “Stiamo lavorando per accelerare l’attuazione di questi partenariati su misura a partire da Marocco, Tunisia ed Egitto”, fa sapere la Commissione europea. “Una gestione efficace della migrazione può avvenire solo quando si stabiliscono solidi partenariati tra paesi di origine, transito e destinazione”, sostiene l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell. “Questo è ciò che fanno le due Iniziative Team Europa, offrendo una piattaforma strategica per coordinare meglio il nostro lavoro insieme ai partner africani”.
    Le iniziative insistono su ritorni, riammissioni, e cooperazione economica. “Dobbiamo agevolare estrazione e lavorazione della materie prime in Africa, in cooperazione” con autorità e aziende locali, insiste il ministro degli Esteri italiano. Che precisa: “Bisogna agire non con una nuova colonizzazione ma favorire la crescita del continente italiano”.

    L’alleanza Ue avvia partenariati con Paese africani per ritorni, rimpatri e cooperazione economica. Tajani: “Rischio migrazioni di massa, occorre risolvere i problemi di base”

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    McGuinness: “La Russia è entrata in recessione, e durerà a lungo”

    Bruxelles – Le sanzioni dell’Ue adottate per rispondere all’aggressione russa dell’Ucraina funzionano, tanto che “la Russia è entrata in recessione, che si prevede durerà per un lungo periodo di tempo“. E’ la commissaria europea per i Servizi finanziari, Mairead McGuinness, a tenere il punto su quanto fatto a livello Ue fin qui. Lo fa perché interrogata in materia da Jordan Bardella, europarlamentare francese di Rassemblement National. Di fronte alla Commissione che annuncia un nuovo pacchetto di misure restrittive, l’esponente lepeniano, chiede di fare il punto su quanto fatto finora. La preoccupazione è che alcune misure “siano controproducenti” per l’Ue, ammette l’eurodeputato, che vorrebbe una riflessione prima di procedere oltre.
    Dall’esecutivo comunitario arrivano le risposte richieste. “Secondo le ultime previsioni della Commissione – scrive McGuiness – la Russia subirà una grave recessione nel 2022, con la sua economia che si contrarrà del 5,1 per cento, seguita da un altro calo del 3,2 per cento nel 2023“. Questi numeri da soli aiutano a capire come le sanzioni Ue abbiano avuto un impatto, e non siano state del tutto inutili. Si indebolisce la fonte di finanziamento della guerra, che è l’obiettivo dei Ventisette. Ma c’è di più. “Le misure restrittive hanno causato gravi tensioni finanziarie, degradato la capacità industriale e tecnologica della Russia e concentrato la pressione sulle élite e sugli oligarchi russi“.
    A sentire McGuiness, dunque, il presidente russo Vladimir Putin e il suo ‘cerchio magico’ sono dunque sempre più sotto pressione, come tutto il sistema economico nazionale. La commissaria per i Servizi finanziaria sottolinea che, a seguito della decisione di disconnettere gli istituti di credito dal circuito internazionale Swift, adesso “il settore bancario russo è stato fortemente colpito e gran parte delle riserve della sua banca centrale sono state immobilizzate”.
    La Commissione dunque fornisce le prove che le sanzioni adottate fin qui funzionano, e lo faranno ancora di più. McGuinness precisa che ancora non si è a pieno regime. “Alcune misure adottate sono ancora soggette a periodi di introduzione graduale”, ricorda. Vuol dire che “questi effetti negativi si accumuleranno ulteriormente nel tempo”. Già adesso la Russia è stata trascinata in recessione, e quel poco di export rimasto vale sempre meno.  “Mentre i volumi delle esportazioni hanno già iniziato a diminuire rapidamente, i prezzi stagnanti e persino in calo hanno iniziato a tradursi in un calo complessivo dei valori delle esportazioni”. Andare avanti è dunque la cosa da fare. Oggi più che mai, alla luce di questi risultati, “l‘Ue coordina strettamente le sue sanzioni con i suoi partner internazionali, per ottenere il massimo impatto“.

    La commissaria per i Servizi finanziari risponde a un’interrogazione parlamentare e difende le sanzioni Ue. Funzionano, e l’obiettivo è “ottenere il massimo impatto”

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    Ucraina, via libera dell’Aula ai prestiti da 18 miliardi di cui Kiev ha bisogno per il 2023

    Bruxelles – Via libera dell’Aula del Parlamento europeo al sostegno finanziario da 18 miliardi di euro per l’Ucraina. Gli europarlamentari riuniti a Strasburgo per la sessione plenaria approvano a larghissima maggioranza (507 voti a favore, 38 contrari e 26 astensioni) la proposta messa sul tavolo dalla Commssione europea a inizio mese. I 18 miliardi di euro copriranno circa la metà dei 3-4 miliardi di euro di finanziamenti mensili di cui l’Ucraina ha bisogno per il l 2023.
    Secondo la proposta della Commissione, il denaro servirà a sostenere i servizi pubblici essenziali (gestione di ospedali e scuole, fornitura di alloggi per le persone trasferite) oltre ad aiutare nel ripristino delle infrastrutture critiche distrutte dalla Russia e garantire la stabilità macroeconomica del Paese. Il prestito, che sarà finanziato dall’UE sui mercati finanziari, sarà erogato in rate trimestrali.
    “L’Ucraina deve sapere che può contare sul sostegno europeo per tutto il tempo necessario”, commenta una soddisfatta Sandra Kalniete (Ppe), relatrice permanente per l’Ucraina alla commissione per il commercio internazionale. Con il voto di oggi “l’Ue è pronta a fornire un’assistenza finanziaria regolare e prevedibile per contribuire a coprire una parte consistente del fabbisogno finanziario immediato dell’Ucraina nel 2023”. Soddisfatta anche la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola. “Oggi abbiamo approvato a larga maggioranza e a velocità record un pacchetto di aiuti da 18 miliardi di euro per sopravvivere alla guerra e ripristinare le infrastrutture critiche”.
    Su questo pacchetto di aiuti la Corte dei conti europea ha comunque sollevato dubbi circa i modi in cui l’Ue ha deciso di agire, sottolineando i rischi legati al bilancio comune. Nel voto d’Aula spicca il ‘no’ espresso da Irene Tinagli, presidente della commissione Affari economici.

    ‘Sì’ a larghissima maggioranza. Soddisfatta la presidente dell’europarlamento, Roberta Metsola. Si copre circa la metà del fabbisogno ucraino per il prossimo anno

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    “Russia sponsor del terrorismo”. L’Aula del Parlamento Europeo all’attacco di Mosca

    Bruxelles – La Russia Stato sponsor del terrorismo. L’Aula del Parlamento europeo approva la risoluzione che intende isolare ancora di più  Vladimir Putin a livello internazionale. Un voto praticamente unanime, che riceve 494 voti favorevoli, 58 contrari e 44 astensioni. Tra gli astenuti la pattuglia del Movimento 5 Stelle, mentre tra le fila dei socialisti gli italiani del Pd si spaccano, con Bartolo, Cozzolono e Smeriglio che non seguono né la delegazione italiana né il gruppo parlamentare, votando contro.
    “In Ucraina è il momento di alzare i toni della pace. La risoluzione che verrà messa ai voti oggi al Parlamento europeo porta invece all’opposta direzione“, sostiene la delegazione pentastellata in Parlamento europeo, convinta che “bisogna mettere a tacere le armi e far prevalere le diplomazie”. Dello stesso avviso anche Francesca Donato, europarlamentare eletta con la Lega adesso indipendente. E’ tra i 58 ‘no’ finali, per una risoluzione che ritiene “assurda e controproducente”. Il Parlamento europeo, spiega, “ha perso un’occasione per favorire il clima di dialogo e una iniziativa di pace”.
    La censura politica dell’Aula di Strasburgo è per gli attacchi e “le atrocità intenzionali” sulla popolazione civile, la distruzione delle infrastrutture civili, e “altre gravi violazioni del diritto internazionale e umanitario”. Sono tutti “atti di terrore e crimini di guerra”, che per questo induce i due terzi dell’Aula a dichiarare la federazione russa di Putin “sponsor del terrorismo”. E’ questa la formula che elimina il nodo giuridico della questione, visto che a livello Ue non esiste un quadro che definisca uno Stato terrorista, come invece avviene negli Stati Uniti. Per questo una delle richieste a Commissione e Stati membri che arriva dal Parlamento è creare quella legislazione mancante per poter aggiungere il Paese euro-asiatica nella nell’elenco dei soggetti terroristici dell’Ue. Così facendo sarebbe possibile far scattare la tagliola di nuove sanzioni e nuove restrizioni.
    A proposito di ‘listing’, si invita il Consiglio dell’Ue ad aggiungere anche l’organizzazione paramilitare “Gruppo Wagner”, il 141esimo reggimento speciale motorizzato noto anche come “Kadyroviti”, insieme ad “altri gruppi armati, milizie e delegazioni finanziate dalla Russia”.
    La stessa risoluzione chiede anche di operare un ulteriore isolamento della Russia, chiedendo di fatto di lavorare per arrivare alla sospensione da organizzazioni e organismi internazionali come il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, una proposta peraltro già avanzata dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel.
    Il testo che dichiara la Russia Stato sponsor del terrorismo arriva dopo “l’escalation di atti di terrore del Cremlino contro il popolo ucraino”, ragion per cui, secondo gli europarlamentari, i Ventisette vengono esortati a “ultimare rapidamente il lavoro del Consiglio sul nono pacchetto di sanzioni contro Mosca”.
    Ma il nodo di fondo di questa iniziativa parlamentare è continuare con la guerra, e lo spiega molto bene Anna Fotyga, coordinatore dei Conservatori europei (Ecr) in commissione Affari esteri. “Non possiamo negoziare con i terroristi“, scandisce. L’azione di oggi manda un messaggio tanto forte quanto pericoloso.

    Di questo e di tanti altri temi di attualità nelle politiche europee si discuterà nel nono appuntamento annuale di Eunews How Can We Govern Europe?, in programma a Roma il 29 e 30 novembre negli spazi delle rappresentanze di Commissione e Parlamento europei, in piazza Venezia.

    Approvata la risoluzione che chiede anche di escludere il Paese dal consiglio di sicurezza dell’Onu. I 5 Stelle si astengono, il Pd si divide. Fotyga: “Non possiamo negoziare con Mosca”