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    Gas e petrolio russi, il Consiglio affari esteri ufficialmente non parlerà di embargo

    Bruxelles – Gas e petrolio russi, il Consiglio affari esteri ufficialmente non parlerà di embargo ai principali prodotti energetici di cui l’Unione europea è fortemente dipendente. In occasione della riunione dei 27 ministri degli Esteri di lunedì (11 aprile) il tema “non sarà sul tavolo”, fanno sapere fonti UE, nonostante il voto dell’Europarlamento che solleva il tema e nonostante la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, abbia espressamente detto proprio in Aula che dopo le misure contro il carbone al centro del quinto pacchetto di sanzioni contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina è ora tempo di iniziare a ragionare sul petrolio.
    Eppure l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, nell’agenda dei lavori che pure prevede la questione ucraina tra i temi di confronto, ha deciso di non inserire la discussione di una stretta sugli acquisti di gas e petrolio. Una scelta per certi versi a sorpresa, che però non sorprende del tutto. Tra i Ventisette c’è chi dipende in maniera molto più forte di altri dalle risorse fornite da Mosca e dalle sue controllate. E’ soprattutto il quadrante orientale – Ungheria, Repubblica ceca, Slovacchia, Bulgaria – ad essere più esposto, e quindi colpita, da un eventuale stop agli acquisti. “Su gas e petrolio servirà comunque l’unanimità, tra Paesi che hanno dipendenze energetiche diverse“, riconoscono le stesse fonti, che non nascondono la complessità delle decisioni da prendere e la delicatezza del tema. “Ci sono difficoltà tecniche e politiche” sull’argomento. Dunque, meglio non parlarne, per evitare spaccature e tensioni che possano offrire l’immagine di un’Europa fin qui unita e decisa nella risposta all’invasione della Russia.
    Si gioca la carta delle tempistiche per giustificare la scelta di tenere fuori sul tavolo le questioni di gas e petrolio. “E’ stato appena approvato un quinto pacchetto di sanzioni, molto sostanzioso”. Troppo presto, in sostanza, per iniziare a ragionare su un sesto set di misure restrittive”. Però il senso di necessità di intervento è avvertito, come l’irritazione per chi ancora punta i piedi. “E’ un fatto che i Paesi che pagano per petrolio e gas russo danno forza economica a Putin“, si ragiona a denti stretti tra gli addetti ai lavori.
    Sarebbe nell’interesse di Borrell e dell’Unione un’accelerazione sull’argomento, ma certo è che bisogna tenere conto della fattibilità della cosa. Le ripercussioni economiche potrebbero essere di forte entità, specie tra i membri del club a dodici stelle che maggiormente hanno bisogno dell’energia russa per il proprio sistema produttivo. Ad ogni modo “trattandosi di un dibattito politico, non escludiamo che qualcuno possa sollevare il tema” durante i lavori di lunedì.
    Se il Consiglio affari esteri ufficialmente non parlerà di embargo al petrolio e al gas di Russia, emerge l’eventualità che il punto sarà discusso in via informale. A ben vedere questa potrebbe essere la soluzione migliore per evitare imbarazzi in caso di divergenze di vedute, su un tema ufficialmente non all’ordine del giorno e per cui, proprio per questo, non sono attese conclusioni. La parola ai ministri. A Bruxelles comunque ribadiscono: “Non se ne parlerà”. Non ufficialmente, almeno.

    Nell’agenda dei lavori non risulta il punto. “Non sarà sul tavolo”, confermano fonti. Possibile un dibattito su richiesta, a questo punto informale, su un argomento divisivo

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    I morti di Bucha davanti al Consiglio UE, gli ucraini chiedono l’embargo sul gas

    Bruxelles – “Come ci si sente a finanziare un genocidio?” La domanda, che è un vero e proprio atto d’accusa per l’Unione europea, è quella rivolta da manifestanti ucraini che hanno portato i morti di Bucha di fronte alla sede del Consiglio dell’UE a Bruxelles. Persone stese a terra a riproporre le scene del massacro nella città dell’Ucraina settentrionale, diventate il simbolo dell’aggressione russa anche sulla scia della cassa di risonanza mediatica. Mentre le persone giacciono esanimi a terra, dal megafono il grido di aiuto che è anche un grido di critica nei confronti di chi non è considerato veramente vicino al popolo ucraino.

    “Embargo al gas russo”, la richiesta urlata a tutti gli addetti ai lavori. Vengono chiamati in causa i rappresentanti permanenti degli Stati membri, responsabili del lavoro a livello tecnico, ancora lontani dal mettere a punto vere sanzioni energetiche. L’UE ha messo sul tavolo restrizioni su carbone e petrolio, ma a detta degli ucraini che si sono ritrovati all’ingresso del Consiglio, non basta. Perché è dal gas che Mosca trae il maggiore profitto, i maggiori ricavi, e i proventi della vendita di gas al Vecchio continente sono utilizzati per finanziare la guerra in corso. “La vostra indecisione sta uccidendo gli ucraini”. Questa la denuncia dei morti di Bucha portati alle porte dell’istituzione comunitaria dove gli Stati hanno il compito, non semplice, di decisioni non scontate.

    Il senso di frustrazione del popolo ucraino appare comunque slegato da un’Europa che fin qui ha comunque agito con azioni senza precedenti, anche in coordinamento con i partner dell’Occidente, pronti a mettere sotto accusa il presidente russo Putin. L’azione dell’UE fin qui è stata ragionata, e basata sullo sviluppo della situazione e la sua evoluzione. Si discute un quinto pacchetto di sanzioni, e si è deciso di attivare lo Strumento europeo per la pace, che consente la fornitura di armi di difesa. Difficile dire che l’UE non abbia fatto nulla, ma per gli ucraini non è stato fatto abbastanza.

    Manifestazione davanti alla sede comunitaria rappresentativa degli Stati membri, accusati di non fare abbastanza contro Putin. “Come ci si sente a finanziare un genocidio?”

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    Putin firma il decreto per il pagamento in rubli del gas, ma per i Paesi UE non cambierà molto

    Bruxelles – Dopo aver a più riprese minacciato di farlo, il presidente russo Vladimir Putin ha firmato oggi (31 marzo) infine il decreto per cambiare le regole sui pagamenti delle forniture di gas ai “Paesi ostili” alla Russia (ovvero tutti i Paesi occidentali) che di fatto non li obbliga a pagare direttamente in rubli il gas, ma obbliga la banca di stato Gazprombank a convertire in rubli tutti i pagamenti effettuati in euro e in dollari a partire da domani. E’ una cosa sostanzialmente diversa, anche se i Paesi occidentali saranno obbligati ad aprire dei conti in Gazprombank per consentire la conversione dei pagamenti in rubli ma dal punto di vista dei pagamenti per gli europei non cambierà molto.
    I dettagli di questa operazione sono stati forniti questo pomeriggio dal ​​portavoce del Cremlino Dmitry Peskov che ha riferito ai giornalisti. In sostanza, dal primo aprile i Paesi che comprano il gas dalla Russia dovranno avere un doppio conto aperto presso Gazprombank: dovranno trasferire il pagamento con la propria moneta sul primo conto, chiamato “K”, ma sarà poi Gazprombank a convertire i pagamenti in valuta straniera in rubli e trasferirli sul secondo conto. “Per quelli che ricevono gas russo e che pagano per le forniture non ci saranno cambiamenti”, ha precisato Peskov, il portavoce del Cremlino, mettendo in chiaro dunque che in questo modo non ci sarà neppure una violazione dei contratti in essere per le forniture di gas, che prevedono espressamente il pagamento in euro o dollari. Ha aggiunto che Putin e il cancelliere tedesco Olaf Scholz avevano discusso in dettaglio il sistema ieri, la stessa conversazione che poi ha avuto con il premier italiano Mario Draghi.
    Si tratta comunque di una misura eccezionale, una risposta di Mosca alla sfilza di sanzioni varate dall’UE nelle scorse settimane dopo l’invasione dell’Ucraina iniziata lo scorso 24 febbraio. Putin è ricorso infine all’arma più potente che ha contro i governi dell’Occidente che impongono sanzioni alle sue banche, alle società e ai suoi uomini, per frenarne la furia: li ricatta con le proprie esportazioni di energia, minacciando in questo modo di ridurre le forniture di cui l’UE è dipendente per circa un quarto del proprio mix energetico. Chi più e chi meno, i governi europei importano da Mosca complessivamente circa il 40 per cento del proprio gas.
    Il capo del Cremlino parlava da qualche giorno della possibilità di rendere obbligatoria la conversione dei pagamenti per il gas – fatti in euro o in dollari, come previsto dai contratti – in rubli, attraverso il coinvolgimento della banca statale Gazprombank, con cui si effettuano anche adesso i trasferimenti di soldi per il gas. I Paesi del G7, compresa l’Unione Europea, hanno subito respinto questa possibilità, appellandosi principalmente al fatto che i contratti in essere con la compagnia energetica russa Gazprom prevedono espressamente il pagamento delle forniture di gas in euro o in dollari. I “contratti devono essere rispettati e i contratti dicono in modo esplicito che il pagamento del gas deve essere in euro o in dollari”, hanno ribadito solo ieri i portavoce del Berlaymont.
    Difficile se non impossibile pensare che si possano modificare i termini di contratti a lungo termine già in essere e secondo molti osservatori l’annuncio, come la decisione presa oggi, è più che altro il tentativo di Putin di salvare l’economia russa e rivalutare il rublo, colpito dalle sanzioni occidentali per la guerra in Ucraina. Una tesi che si avvalora dal fatto che il decreto varato dal Cremlino, come riporta l’agenzia stampa russa Tass, prevede anche la possibilità che alcuni pagamenti di gas da parte degli acquirenti stranieri possano non essere effettuati in rubli, ma per questi casi sarà necessario un’autorizzazione che verrà emessa dalla Commissione governativa russa per il controllo degli investimenti stranieri. In altre parole significa che è la stessa Mosca che può decidere quando non applicare i termini di questo decreto. Anche un modo per lasciare aperto il canale delle forniture all’Europa, perché se è vero che l’UE oggi non può rinunciare al gas russo, è anche vero che per Mosca è il suo principale acquirente e dunque tagliare le forniture completamente potrebbe generare ulteriori perdite all’economia russa.
    Il cancelliere tedesco Scholz ha ribadito nel pomeriggio che i pagamenti per il gas russo verranno effettuati secondo i contratti esistenti. “È così, rimarrà così, e l’ho chiarito ieri nella mia conversazione con il presidente Putin”, ha detto su Twitter.

    Die Zahlung russischer #Gaslieferungen findet entsprechend der bestehenden Verträge in Euro und Dollar statt. Das ist so, das wird auch so bleiben, und das habe ich gestern in meinem Gespräch mit Präsident Putin auch deutlich gemacht.
    — Bundeskanzler Olaf Scholz (@Bundeskanzler) March 31, 2022

    Nel frattempo Berlino, come anche la Francia, si prepara a un piano di emergenza per limitare al minimo il ricorso al gas in arrivo da Mosca. A Bruxelles si parla di nuove sanzioni e come da settimane a questa parte sul tavolo ci sono anche i limiti sulle esportazioni di energia russa, compreso il gas, su cui i governi sono molto divisi. Per far cambiare idea ai contrari e prendere posizione agli indecisi, molto dipenderà anche da quanto Mosca si spingerà oltre sui pagamenti del gas in rubli.

    Firmato dal Cremlino il decreto per convertire in rubli i pagamenti in euro o dollari dei Paesi “ostili alla Russia”, in risposta alla raffica di sanzioni europee per l’aggressione in Ucraina. I Paesi occidentali dovranno avere dei conti in Gazprombank, ma sarà la banca statale di Mosca a prendersi carico della conversione

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    Migranti, Papa il 2-3 aprile a Malta: al Sud dell’Europa per chi cerca rifugio

    Roma – Pellegrino al Sud dell’Europa, al centro del Mediterraneo, per “incontrare gli abitanti di un Paese oggi ancora più impegnato nell’accoglienza di tanti fratelli e sorelle in cerca di rifugio”. Papa Francesco inquadra il suo prossimo viaggio all’estero, il 36esimo del suo Pontificato, a Malta (2-3 aprile). Asilo ed Europa al centro, senza perdere le “orme dell’Apostolo Paolo”, accolto durante un naufragio mentre era diretto a Roma. Alle sorgenti di una comunità cristiana dalla storia millenaria.
    Il motto del viaggio è, appunto, ‘Ci trattarono con rara umanità’. Un tema affrontato anche nell’ultima visita all’estero a Cipro e in Grecia (2-6 dicembre 2021), quando il Papa ha fatto tappa nell’isola di Lesbo, per la seconda volta. A Mitilene il Pontefice ha incontrato i migranti nel Reception and Identification Centre, che ha sostituito il campo di Moria, dopo il grande incendio del 2020. E se da Moria è rientrato a Roma, nel 2016, con 12 rifugiati siriani nel suo stesso aereo, a Cipro ha raggiunto un accordo per il ricollocamento di 50 migranti a spese del Vaticano.
    Fitto il programma di sabato e domenica che, in due giorni,  prevede un incontro con il presidente della Repubblica, George Vella, il primo ministro, Roberto Abela, le autorità e il corpo diplomatico. Ma anche una visita nell’isola di Gozo, che raggiungerà in catamarano dal Porto Grande di La Valletta, per pregare nel Santuario di ‘Ta’ Pinu’ e non mancherà il tradizionale incontro privato con i membri della Compagnia di Gesù. In programma la visita della grotta di San Paolo nella basilica di Rabat, costruita nel luogo del naufragio, dove incontrerà un gruppo di malati e assistiti dalla Caritas.
    Prima di ripartire, il Papa visiterà il Centro per migranti ‘Giovanni XXIII Peace Lab’ ad Hal Far, l’ex aeroporto, dove incontrerà 200 profughi e ascolterà le testimonianze di due di loro. Qui, prevedibilmente, Francesco inchioderà ancora l’Europa alle sue responsabilità. Nell’intervista rilasciata il mese scorso a ‘Che tempo che fa’ Bergoglio ha parlato della gestione dell’accoglienza dei migranti da parte dei paesi membri come “criminale”. Da anni gli accordi con alcuni Paesi al di fuori dell’Unione bloccano i migranti e impediscono con la forza di fare richiesta d’asilo in Ue. Sotto accusa c’è soprattutto la Libia e i suoi campi che più volte il Papa ha definito “veri e propri lager”.

    Asilo ed Europa al centro dei suoi messaggi, senza perdere le “orme dell’Apostolo Paolo”, accolto durante un naufragio mentre era diretto a Roma

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    Draghi: “Superare rapidamente la dipendenza energetica dalla Russia”. Gentiloni: “Non sarà facile”

    Bruxelles – L’obiettivo è quello di tutti, comune: liberarsi dal fornitore energetico russo. I ventisette Stati membri dell’UE vanno nella stessa direzione, e l’Italia è decisa a correre, con Bruxelles che però frena. Perché bisogna fare i conti con la realtà. Così mentre l’esecutivo tricolore si mostra possibilista, quello comunitario è più realista. “Siamo impegnati per diversificare le nostre fonti di approvvigionamento energetico, così da superare in tempi molto rapidi la nostra dipendenza dalla Russia“, scandisce il presidente del Consiglio, Mario Draghi, in occasione dell’intervento del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, alla Camera dei deputati.
    L’intervento di Draghi mostra la volontà di scrollarsi di dosso un partner divenuto improvvisamente troppo scomodo e inaffidabile, e l’intenzione concreta di lavorare con l’Ucraina ad un futuro a minore trazione russa. Ma all’inquilino di palazzo Chigi sembra rispondere il commissario per l’Economia. A Oxford, dove negli stessi momenti tiene un discorso sulle implicazioni della guerra voluta da Putin, Paolo Gentiloni non fa mistero della portata del cambiamento di rotta. “La nuova strategia dell’UE per ridurre la nostra dipendenza dall’energia russa è chiaramente ambiziosa. Raggiungere i nostri obiettivi non sarà facile, ma la nostra analisi mostra che si può fare”.
    Si sente di aggiungere qualcosa, Gentiloni, che occorre tenere a mente. Un’ipotesi. “Se avremo successo, avremo affrontato una fonte chiave di vulnerabilità”. Se. Segno che la volontà di smarcarsi da Mosca deve fare i conti con l’effettiva riuscita del compito. “L’UE non sarà ricattata”, assicura il commissario italiano del team von der Leyen, che ricorda gli impegni profusi e rilanciati con forza con tutti i soggetti internazionali destinati a diventare un’alternativa a Gazprom. Uniti, Norvegia, Algeria, Qatar, Egitto, Corea, Giappone, Nigeria, Turchia, Israele: le alternative non mancano, quello che manca adesso sono accordi commerciali veri per forniture reali. Servirà tempo. Perché del 90 per cento di importazioni di gas di cui l’UE ha bisogno, “circa la metà è russa”.
    In maniera diversa la sensazione è che l’UE ce la possa fare. Anche perché, e questo Draghi lo rivendica con orgoglio, “davanti alla Russia che ci voleva divisi, ci siamo mostrati uniti, come Unione Europea e come Alleanza Atlantica”. Ma sul fronte energetico l’unità, da sola, non basta. Serviranno anche le riforme, e anche in questo senso Gentiloni, premier dei giorni andati, sembra rispondere a quello dei giorni presenti. “Data l’attuale situazione dobbiamo fare di più e più velocemente” su fronte di convenienza, sicurezza dell’approvvigionamento ed energia pulita, che sono “i nostri tre obiettivi” come Unione. Vuol dire accelerare riforme e investimenti per le fonti alternative e rinnovabili. Un compito che spetta ai Paesi, e che non è scontato. E’ qui che servono tempi molto rapidi, e Gentiloni lo mette in chiaro una volta di più.

    Il presidente del Consiglio assicura il partner ucraino circa le intenzioni di cambi di rotta, il commissario per l’Economia smorza gli entusiasmi, e invita a fare riforme e investimenti che servono

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    Ucraina, Di Maio: “Al lavoro a stretto contatto col Parlamento UE”

    Bruxelles – Rinsaldare il rapporto tra governo italiano e Parlamento europeo su tutti i principali dossier di stretta attualità, a cominciare da quello ucraino e dal suo aspetto umanitario. Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, coglie l’occasione della riunione dei 27 capi diplomatici a Bruxelles per incontrare la presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, e intavolare un dialogo di lavoro per l’immediato futuro. “Continueremo a lavorare insieme e a stretto contatto“, assicura il titolare della Farnesina, che vede “grande impegno” ma soprattutto “una grande sensibilità del Parlamento europeo e della presidenza del Parlamento europeo” sulla questione ucraina. Di Maio riconosce “l’importanza delle posizioni espresse anche sull’ingresso del Paese nell’UE“, e ha voluto “ringraziare a nome del governo” di Roma gli sforzi profusi in tal senso sin qui.
    Ne chiede anche qualcuno in più, consapevole della natura di Metsola, proveniente da un Paese da sempre in prima linea nella questione migratoria. Con la maltese Di Maio rilancia la necessità di un vero patto europeo sull’immigrazione, che sappia superare le regole che scaricano tutto il fardello dei richiedenti asilo agli Stati membri di primo ingresso. Chiede garanzie sul lavoro del Parlamento in tal senso, così da mettere pressione all’Europa degli Stati sempre divisi su punto. Occorre modificare e superare le logiche del regolamento di Dublino: è questo uno dei principali messaggi del titolare della Farnesina.
    Nella giornata di lavori e incontri istituzionali l’Italia si prodiga a tutto campo per gestire la questione della guerra e dei suoi sfollati. Ai ministri degli Esteri ha espresso l’invito a “prendere l’iniziativa per tregue umanitarie localizzate in Ucraina“, da avviare in attesa di un accordo di pace vero e proprio. Serve “un tavolo permanente” con Croce Rossa e Alto commissariato per i rifugiati (UNHCR) per evacuare la popolazione civile e darle sostegno.
    Serve dunque un’UE che agisca come attore di sostegno umanitario, ma non solo. C’è anche la questione energetica sul tavolo. Non a caso l’Unione dell’energia è un altro tema discusso con Metsola. Aumentare gli accordi con altri partner, e spingere sulla transizione sostenibile: tutti temi che già vedono Roma e Bruxelles vicine. Un’intesa che rende dunque possibile e auspicabile quel lavoro a stretto contatto che si intende portare avanti.

    Il ministro degli Esteri vede la presidente dell’Eurocamera. Conflitto e sua gestione il motivo di confronto e alleanza, con l’energia sul tavolo. Priorità all’aspetto umanitario. L’idea di “tregue umanitarie localizzate” nel Paese

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    Stop a investimenti nell’energia, beni di lusso e WTO: l’UE vara il quarto pacchetto di sanzioni anti-russe

    Bruxelles – Energia, beni di lusso, trattamento di favore in sede commerciale internazionale. L’UE approva il quarto pacchetto di sanzioni contro la Russia, quale nuova misura per cercare di mettere pressione su Mosca e indurre il Cremlino a porre fine alla guerra in Ucraina. Il nuovo pacchetto di misure colpisce diversi settori, a partire da quello dell’industria delle difesa. Qui è stato concordato il divieto totale di qualsiasi transazione con alcune imprese statali russe, al fine di indebolire il complesso militare-industriale del Cremlino.
    Altra misura di non poco conto il divieto di importazione dell’UE su quei prodotti siderurgici attualmente soggetti alle misure di salvaguardia dell’UE. Questa sanzione, da sola, pesa per circa 3,3 miliardi di euro di mancate entrate per mancato export russo. C’è poi il divieto di ampia portata di nuovi investimenti nel settore energetico russo, con limitate eccezioni per l’energia nucleare civile e il trasporto di determinati prodotti energetici nell’UE. La caratteristica principale di questa misura sta nella parola “nuovi”. Gli investimenti e gli accordi in essere potranno continuare, ma da questo momento in poi nessun nuovo contratto con gli operatori russi, compresi Rosneft e Gazprom-Neft, sussidiaria di Gazprom. Sono vietate tutte le attività ‘upstream’, vale a dire prospezione e produzione petrolifera e di gas.

    Al fine di colpire oligarchi ed élite di Russia, l’UE ha optato in questo nuovo pacchetto di misure restrittive per un divieto europeo all’esportazione di beni di lusso. Sono considerate 20 categorie, come cavalli, caviale, vino e alcolici, tabacco, pelle e cuoio, vestiti e scarpe, tappetti, gioielli e pietre preziose, cristalli, elettronica per uso domestico e riproduzione audio-visiva, orologi, strumenti musicali, equipaggiamento sportivo, auto. “Vogliamo colpire lo stile di vita di un segmento delle persone ricche invece delle persone ordinarie”, confidano fonti UE. Quindi vietata l’esportazione di auto dal costo superiore ai 55mila euro, giusto a titolo di esempio.
    Inoltre, l’elenco delle persone ed entità sanzionate è stato ulteriormente esteso per includere altri 11 oligarchi ed élite imprenditoriali legate al Cremlino, nonché società attive nelle aree militari e di difesa, che sostengono materialmente l’invasione e offrono supporto logistico. Per questi 11 oligarchi scatterà congelamento dei beni e divieto di viaggio. Diversa la situazione per quanti sono in possesso di un passaporto UE. Qui spetterà agli Stati membri stabilire come comportarsi.
    Come annunciato, partono moratorie in sede di WTO. Nel quarto pacchetto di sanzioni l’UE, insieme ad altri membri dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), ha deciso oggi di negare ai prodotti e servizi russi il trattamento della nazione più favorita nei mercati dell’UE.

    Il solo divieto di import di prodotti siderurgici vale 3,3 miliardi di euro, tutti soldi sottratti alle casse di Mosca. Fermato ogni accordo industriale militare

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    “Le sanzioni sono efficaci”, i leader UE lavorano a nuove misure anti-Russia

    Bruxelles – La strategia anti-russa sembra funzionare, tanto che i leader dell’UE lavorano a nuove sanzioni. Il vertice informale del Consiglio europeo in programma domani e venerdì (10 e 11 marzo) servirà a confermare quello che a Bruxelles come nelle altri capitali si continua a ripetere: “Non siamo in guerra contro la Russia”, e non si intende impegnarsi in un conflitto aperto. Anche perché, confidano addetti ai lavori, “fin qui le sanzioni sono efficaci“. Il rublo ha perso valore, le compagnie private in Russia stanno comportandosi di conseguenza.
    Per questo motivo gli ambasciatori hanno messo a punto un nuovo set sanzionatorio che prevede l’aggiunta di nuove 160 persone nella lista nera dell’UE, una moratoria a livello di Organizzazione mondiale del commercio (WTO), e pure una stretta su criptovalute, a cui si guarda con crescente attenzione. Ma c’è anche la questione della banche. Si ragiona alla possibilità di escludere dal circuito internazionale di pagamenti SWIFT gli istituti fin qui risparmiati. Inoltre i leader sono chiamati a dare il beneplacito al divieto di vendita e scambio di materiali sensibili per il settore marittimo.
    Non a caso “parte della discussione dei leader si concentrerà sulle sanzioni”, anticipano fonti qualificate. La strategia non cambia, si vuole indebolire Mosca senza sparare un colpo. “Continuiamo a credere che le nostre sanzioni siano efficaci”.
    Sul fronte energetico non sono attesi grandi passi, almeno non per il momento. I leader, confidano, “credono  che si possano rivedere i criteri esistenti per finanziare le fonti energetiche critiche”. Tradotto: nonostante le voci su creazione di titoli di debito comune, “non avverrà per il momento”. Anche perché la questione prettamente energetica sarà oggetto del vertice formale dei Ventisette in programma il 24 e 25 marzo, quando si entrerà più nel merito delle misure per calmierare i listini energetici per famiglie e imprese sulla scia di quanto già proposto dal team von der Leyen.

    Al vertice informale di Versailles si continuerà con la linea adottata finora per rispondere all’invasione dell’Ucraina. Su energia si torna a parlare a fine mese