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    L’Ue: “Sanzioni anti-Russia funzionano. Pronti a vararne altre, se necessario”

    Bruxelles – “Voglio ribadirlo: le sanzioni contro la Russia funzionano“. Il commissario per la Giustizia, e adesso anche commissario per la Concorrenza ad interim, lo scandisce sia nell’intervento di apertura che di chiusura del dibattito d’Aula al Parlamento europeo. Didier Reynders trova un emiciclo diviso, dove al fronte dei sempre contrari alla misure restrittive nei confronti di Mosca per l’aggressione dell’Ucraina si aggiungono che iniziano a essere stanchi delle ricadute economiche. A tutti però ricorda che “le sanzioni stanno avendo un forte impatto sull’economia russa”, e lo dicono i numeri. “Solo per quest’anno le stime parlano di una contrazione economica di 1,7 miliardi di rubli”. A questo si aggiungono i circa “300 miliardi di euro di asset congelati, due terzi dei quali in Europa”.La linea non si cambia. Perché è giusto così e perché funziona. Tanto che la presidenza spagnola di turno del Consiglio dell’Ue annuncia la disponibilità ad andare avanti. “L’attuale regime di sanzioni contro la Russia è il più vasto mai adottato dall’Ue”, premette Pascual Navarro Rios, segretario per gli Affari europei del governo di Madrid. Quindi l’affondo: “L’Ue è pronta ad accrescere la pressione ulteriormente, anche con altre sanzioni, quando e dove necessario“.Un’apertura che trova il plauso di Juan Fernando Lopez Aguilar. L’europarlamentare socialista chiede di spostare attenzione e azione dell’Unione europea “sul settore dei porti”, così da chiudere ogni strada alle merci per e dalla Russia. C’è chi invece invita alla riflessione. “Sulle sanzioni sarebbe magari il caso di fare meno filosofia e iniziare a pensare sul prezzo che le aziende italiane ed europee stanno pagando”, scandisce Paolo Borchia (Lega/Id), che invoca “un ragionamento in termini di efficacia e di ricadute sulla nostra economia”. Piè deciso l’alleato Harald Vilimsky, esponente dell’ultradestra di Fpo ed euroscettico del gruppo Id, lo stesso gruppo della Lega. “Le sanzioni non garantiscono stabilità dei prezzi? No. L’inflazione è una conseguenza delle sanzioni. Dobbiamo lavorare per portare le persone attorno al tavolo”.Ma trattare non è un’opzione, almeno non per i liberali. “Sento gli amici di Putin in quest’Aula parlare dei costi delle sanzioni e contro le sanzioni, senza dire che il costo di questa guerra anche maggiore”, tuona  Sophie in’t Veld (Re).
    Il commissario per la Giustizia e la presidenza spagnola del Consiglio nell’Aula del Parlamento insistono sulla necessità di procedere come fatto finora. Sovranisti ed euroscettici vogliono lo stop e chiedono trattative con Mosca

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    L’inconsistenza dell’Unione europea in Medio Oriente e quella difficoltà a condannare l’assedio di Gaza

    Bruxelles – Sono passati ormai sei giorni dall’attacco terroristico senza precedenti sferrato da Hamas a Israele la mattina di sabato 7 ottobre e le ostilità continuano a crescere. Sarebbero già 1.200 le vittime israeliane, oltre 1.400 i morti a Gaza, in cui secondo le stime delle Nazioni Unite i raid di ritorsione di Tel Aviv avrebbero già causato 339 mila sfollati. Da entrambe le parti, chi sta pagando il prezzo più alto è la popolazione civile. L’Unione europea si è immediatamente schierata a fianco dell’amico e partner israeliano, “l’unica democrazia del Medio oriente”, e contro la barbarie del gruppo terrorista islamico. Ma è difficile non rilevare diverse criticità nell’atteggiamento che Bruxelles ha assunto di fronte al riaccendersi del conflitto israelo-palestinese.Prima di tutto, come ha sottolineato il diplomatico francese ed ex segretario generale del Servizio europeo d’azione esterna (Eeas), Pierre Vimont, la diplomazia europea “negli ultimi anni sta progressivamente scomparendo dalla geopolitica della regione”. Il lungo elenco di richiami ad Israele a porre fine alla politica degli insediamenti illegali e di appelli alla de-escalation a entrambe le parti è rimasto inascoltato. “Oggi, l’Europa è troppo emarginata nella regione per sperare di far sentire la propria voce nel contesto dello scontro in corso”, prosegue Vimont nel suo editoriale per Carnegie Europe. E infatti per ora nessuna iniziativa è stata lanciata dai 27, la cui linea comune sul conflitto può essere riassunta con la frase “Israele ha il diritto di difendersi”.Pierre Vimont (Photo by NICHOLAS KAMM / AFP)Un principio sacrosanto, ma che d’altra parte palesa la mancanza di volontà e di autorità per mediare tra le parti. Se a questo si somma la confusione manifestatasi negli ultimi due giorni in seguito all’annuncio del commissario europeo, Olivér Várhelyi, di una sospensione totale di ogni assistenza Ue al popolo palestinese, senza distinzione tra Striscia di Gaza e Cisgiordania, seguita da una forte opposizione da parte di diversi Stati membri , “è una chiara indicazione delle profonde divisioni all’interno dell’Unione”, scrive ancora l’esperto diplomatico francese.Se la polemica sui fondi europei per la popolazione palestinese sembra essere rientrata – con non poco imbarazzo -, con la Commissione europea che ha smentito Várhelyi e ha annunciato una revisione dell’assistenza a causa del rischio che le risorse Ue possano direttamente o indirettamente armare Hamas, a Bruxelles non sembrano aver ancora trovato una formula comune per condannare le atrocità sui civili palestinesi che sta compiendo Tel Aviv a Gaza. L’Ue ha denunciato con sdegno e determinazione il massacro di “neonati, bambini, donne e uomini innocenti” da parte dei terroristi di Hamas, ma pochissimo ha detto contro l’assedio totale all’enclave palestinese ordinato dal governo Netanyahu.O meglio, la differenza sta nella coralità dell’appello: ci ha provato Borrell, che dopo la riunione d’urgenza con i 27 ministri degli Esteri a Muscat, in Oman, ha dichiarato che “Israele ha il diritto di difendersi, ma deve essere fatto in conformità con il diritto internazionale, il diritto umanitario e alcune decisioni sono contrarie al diritto internazionale”. Perché tagliare l’acqua, l’elettricità, il cibo, l’assistenza medica a una popolazione intera è una violazione del diritto internazionale. Anche il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha rilanciato su X (ex Twitter) un messaggio del Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, secondo cui “i beni di prima necessità devono raggiungere Gaza”.Charles Michel, Roberta Metsola, Ursula von der Leyen e l’ambasciatore israeliano a Bruxelles, Haim Regev, commemorano le vittime di Hamas (Photo by Kenzo TRIBOUILLARD / AFP)Ma la posizione presa dalle Nazioni Unite non sembra essere condivisa – quanto meno nei discorsi ufficiali – dalla presidente della Commissione europea. La stessa von der Leyen che un anno fa, davanti all’Eurocamera, dichiarava che “gli attacchi della Russia contro le infrastrutture civili sono crimini di guerra” e che “tagliare l’acqua, l’elettricità e il riscaldamento a uomini, donne e bambini sono atti di puro terrore”. A riascoltare queste parole, il silenzio di von der Leyen sull’assedio di Gaza è ancora più assordante. Lo stesso che ha portato Roberta Metsola, leader del Parlamento europeo, a indire un sacrosanto momento di raccoglimento per le vittime israeliane del terrorismo di Hamas, ma senza concedere alcun cenno alle vittime civili palestinesi.Legittimare la risposta massiva dell’esercito israeliano su una popolazione di 2 milioni e mezzo di persone, che dal 2007 vivono in una prigione a cielo aperto in una condizione di dipendenza pressoché totale dagli aiuti internazionali, potrà solamente alimentare un inasprimento delle tensioni in Medio Oriente. “Per il momento, qualsiasi mediazione – se ce n’è la possibilità – tra le parti in conflitto nella Striscia di Gaza proverrà dai Paesi della regione”, sostiene Pierre Vimont. Non da Bruxelles.
    Secondo l’ex segretario generale del Seae, Pierre Vimont, la diplomazia Ue è “progressivamente scomparsa dalla geopolitica della regione”. I 27 hanno condannato duramente il terrorismo di Hamas e difeso il diritto di Israele a difendersi, ma per ora non hanno profuso nessuno sforzo di mediazione. E non richiamare Tel Aviv sull’assedio a Gaza è un errore

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    I leader Ue omaggiano le vittime del terrorismo di Hamas. Metsola: “Questa è l’Europa, noi stiamo con Israele”

    Bruxelles – L’Eurocamera, il Consiglio europeo e la Commissione europea insieme per Israele. Davanti all’edificio Altiero Spinelli, al Parlamento europeo di Bruxelles, i leader delle tre istituzioni Ue si sono riuniti per un momento di raccoglimento per le oltre mille vittime degli attacchi terroristici perpetrati da Hamas da sabato 7 ottobre.Con Roberta Metsola, Charles Michel e Ursula von der Leyen anche l’ambasciatore israeliano presso l’Ue, Haim Regev, oltre a diversi commissari europei, i presidenti dei principali gruppi politici all’Eurocamera, tanti deputati, funzionari e cittadini. Centinaia di persone che hanno riempito l’intero piazzale dedicato a Simone Veil. “Sono orgogliosa di essere qui con così tanti di voi. La vostra presenza fuori dal Parlamento europeo è significativa, la nostra voce è importante. So quanto questo significhi per le persone in Israele colpite dal peggior attacco terroristico da generazioni”, ha dichiarato Metsola.Ribadita la dura la condanna all’estremismo di Hamas: “Dobbiamo essere chiari: questo è il terrorismo nella sua peggior forma”, ha tuonato Metsola, sottolineando che il gruppo islamista è “un’organizzazione terroristica” che “non rappresenta le legittime aspirazioni del popolo palestinese”, che non “offre soluzioni” ma solo “spargimenti di sangue”. Per la leader Ue il 7 ottobre passerà alla storia come il “giorno dell’infamia globale”, il giorno in cui ancora una volta il mondo “è stato testimone dell’assassinio di ebrei semplicemente perché erano ebrei”. Il giorno in cui – ha ricordato Metsola – “Hamas ha ucciso più di mille neonati, bambini, donne e uomini innocenti, ha aperto il fuoco su centinaia di giovani durante un evento musicale uccidendo indiscriminatamente anche cittadini dell’Ue, ha rapito ragazze e ragazzi, ha preso gli anziani sopravvissuti all’Olocausto e li ha trascinati fuori dalle loro case, facendoli sfilare per le strade come trofei”.Dal Parlamento europeo l’appello al rilascio immediato degli oltre 100 ostaggi ancora nelle mani di Hamas e la promessa che “l’Europa è pronta ad aiutare a mediare le risoluzioni”. Ma con un punto fermo: “Non esiste alcuna giustificazione per il terrorismo”. Prima di indire un minuto di silenzio, Metsola si è rivolta direttamente all’ambasciatore di Israele a Bruxelles: “Ambasciatore Haim Regev, grazie per essere qui oggi. Questa è l’Europa. E noi siamo con te”. Le parole di Metsola sono state accolte da un lungo applauso delle persone raccolte in piazza. Dopo il momento di silenzio, hanno risuonato gli inni di Israele e dell’Ue.Momento di raccoglimento per Israele al collegio dei Commissari UePoco prima della cerimonia sul piazzale del Parlamento europeo, a palazzo Berlaymont anche i commissari del gabinetto von der Leyen si sono riuniti in un momento di raccoglimento per le vittime in Israele. “Ci può essere solo una risposta: l’Europa sta con Israele, supportiamo pienamente il diritto di Israele a difendersi”, ha dichiarato la presidente della Commissione europea, prima di condannare duramente le azioni terroristiche di Hamas, l’unico “responsabile per le sue azioni”, che porteranno “maggiore sofferenza ai palestinesi innocenti”.Sulla polemica montata nei giorni scorsi sui fondi dell’Ue per la Palestina, von der Leyen ha assicurato che “il sostegno umanitario al popolo palestinese non è in discussione”, ma che al contempo “è importante rivedere attentamente la nostra assistenza finanziaria alla Palestina”. Tuttavia la leader dell’esecutivo comunitario è sicura: “I finanziamenti dell’Ue non sono mai andati e non andranno mai a Hamas o a qualsiasi entità terroristica”.
    Roberta Metsola, Charles Michel e Ursula von der Leyen insieme per commemorare gli oltre mille morti in Israele per mano dell’organizzazione terroristica. Per la presidente dell’Eurocamera il 7 ottobre passerà alla storia come “il giorno dell’infamia globale”. Nessun riferimento alle vittime civili palestinesi

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    Bruxelles annuncia una “revisione” dei fondi alla Palestina, c’è il rischio di finanziamenti indiretti ad Hamas. Ma salva gli aiuti umanitari

    Bruxelles – Dopo le dichiarazioni di pieno sostegno a Israele e al suo diritto a difendersi, la Commissione europea prende la prima iniziativa unilaterale nei confronti di Hamas. ma che potenzialmente potrebbe impattare su tutto il popolo palestinese: l’esecutivo comunitario avvierà una “revisione urgente dell’assistenza dell’Ue alla Palestina” che non colpirà però i versamenti a “tutti i palestinesi”, assicura l’alto rappresentante per la Politica estera Josep Borrell. Su cosa questo possa comportare, non sono d’accordo nemmeno a palazzo Berlaymont.La notizia è arrivata a metà pomeriggio attraverso un tweet condiviso dal commissario Ue per l’Allargamento e la politica di vicinato, Olivér Várhelyi: “Il livello di brutalità e terrore contro Israele e la sua popolazione è un punto di non ritorno. La Commissione europea rivedrà il suo intero portafoglio di sviluppo, pari a un valore di 691 milioni di euro“. È lo stesso Várhelyi che si prende la libertà di spiegare le dirette implicazioni: stop immediato ai pagamenti, tutti i progetti che tornano in cantiere a Bruxelles e le proposte di budget congelate e rinviate fino a nuovo ordine.Oliver Varhelyi, commissario Ue per l’AllargamentoMa l’annuncio del commissario ungherese ha smentito in parte quanto dichiarato in mattinata dai portavoce dell’esecutivo comunitario, Eric Mamer e Peter Stano, che avevano rimandato qualsiasi mossa del blocco Ue a domani, in occasione del Consiglio Affari Esteri straordinario convocato d’urgenza dall’Alto rappresentante, Josep Borrell. Apparentemente l’uscita di Várhelyi non è stata concordata in modo collegiale dal gabinetto von der Leyen: il commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, ha immediatamente corretto il tiro con un tweet, confermando invece che “gli aiuti umanitari alla Palestina continueranno per tutto il tempo necessario”. Anche diversi Stati membri si sono allarmati dopo l’annuncio di Varhelyi: Spagna, Belgio, Irlanda e Lussemburgo in primis hanno contestato la legittimità di una scelta che riguarda la gestione del budget europeo e di conseguenza i 27 Paesi Ue.Dopo oltre quattro ore di silenzio, è intervenuta la Commissione con un comunicato stampa che annunciava la “revisione” dell’assistenza, non la sua immediata sospensione. “Oltre alle salvaguardie esistenti, l’obiettivo di questa revisione è garantire che nessun finanziamento dell’Ue consenta indirettamente a un’organizzazione terroristica di effettuare attacchi contro Israele. Anche qui, l’esecutivo Ue ha cambiato radicalmente il proprio linguaggio: poche ore prima il portavoce capo della Commissione, Eric Mamer, aveva garantito che le risorse europee per la Palestina sono soggette a “severi controlli per assicurare che non ci siano finanziamenti diretti e indiretti” ad Hamas. Ma il commissario dal tweet facile ha svelato lo scenario in realtà più realistico, e cioè che l’Ue non può avere la certezza che i propri fondi non abbiano armato il gruppo terrorista palestinese.La Commissione europea ha specificato poi che “la presente revisione non riguarda l’assistenza umanitaria fornita nell’ambito delle operazioni europee di protezione civile e aiuto umanitario (Echo)”, confermando quanto dichiarato da Lenarčič. Alla luce dei dati pubblicati dall’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (Unrwa), che ieri ha contato 73.538 sfollati interni, a cui sta dando rifugio in 64 delle sue scuole all’interno di Gaza, gli aiuti umanitari sono di vitale importanza. L’Unrwa ha anche previsto un “verosimile incremento dei numeri alla luce dei pesanti bombardamenti e attacchi aerei anche sulle aree civili” da parte dell’aviazione israeliana. Oggi il governo israeliano ha ordinato “l’assedio totale” della Striscia e dichiara di aver riunito 100 mila soldati al confine con Gaza, pronti ad un incursione via terra per recuperare gli oltre 100 israeliani che sarebbero tenuti in ostaggio in territorio palestinese. Non solo, il ministro della Difesa Yoav Gallant ha dato indicazione di tagliare completamente i rifornimenti di acqua, elettricità, carburante e generi alimentari alla popolazione della Striscia, che vive una situazione di crisi umanitaria perenne.I finanziamenti europei alla Palestina: 1,1 miliardi di euro dal 2021 al 2024Nell’ultimo anno e mezzo i 27 avevano stanziato più di 300 milioni di euro per la popolazione palestinese, impegnandosi a fornire fino a 1,1 miliardi di euro di assistenza finanziaria dal 2021 al 2024. Nell’ultimo pacchetto – relativo al 2022– erano previsti 200 milioni per sostenere l’Autorità Palestinese nel pagamento degli stipendi e delle pensioni dei dipendenti pubblici, delle indennità sociali alle famiglie vulnerabili, dei ricoveri agli ospedali di Gerusalemme Est e dell’acquisto di vaccini Covid-19, un programma specifico di 36 milioni per il periodo 2021-2023 per migliorare le condizioni di vita a Gerusalemme Est, 30 milioni per lo sviluppo del settore privato nei territori palestinesi occupati. E ancora, lo scorso febbraio, 82 milioni di euro per sostenere il lavoro sul campo dell’Unrwa.La volontà della Commissione europea sarà discussa domani dai ministri Ue, al vertice che si terrà in formato inedito a Muscat, in Oman, dove già oggi Borrell ha discusso delle “tragiche conseguenze dell’attacco di Hamas” con i leader del Consiglio di cooperazione del Golfo. L’ambasciatore spagnolo, José Manuel Albares, ha chiesto di inserire la questione all’agenda dell’incontro, dopo aver espresso il proprio disaccordo in una telefonata con il commissario responsabile dello psicodramma di oggi pomeriggio.
    Il commissario Ue Várhelyi ha annunciato la sospensione immediata dell’intero portafoglio di sviluppo con la Palestina, per un valore di 691 milioni di euro, suscitando le critiche di diversi Paesi membri. In serata la precisazione dell’esecutivo Ue: la revisione non riguarda i fondi per l’assistenza umanitaria e non riguarda “tutti i palestinesi”

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    Il nodo dei ‘rifugiati climatici’ in aumento, un problema politico per l’Ue

    Bruxelles – Un fenomeno in aumento e che crescerà ancora. Un problema reale, naturale, sociale, economico e ancor più politico. Perché nel diritto comunitario manca ancora una definizione di ‘rifugiato climatico’, e riconoscerlo vorrebbe dire dover aprire confini e frontiere a masse di migranti crescenti. Ma i numeri parlano chiaro, e il centro studi e ricerche del Parlamento europeo li raccoglie e li aggiorna. Dal 2008 oltre 376 milioni di persone in tutto il mondo sono state costrette a lasciare la propria abitazione a causa di inondazioni, tempeste di vento, terremoti o siccità, con un record di 32,6 milioni solo nel 2022. Non è la prima volta che il centro studi e ricerche del Parlamento europeo si sofferma sulla questione dei rifugiati climatici. L’ultimo rapporto realizzato nel 2021 censiva 318 milioni di sfollati causa eventi meteorologici estremi dal 2008. In due anni soltanto, dunque, si contano 58 milioni di sfollati ulteriori in tutto il mondo. Ma a dirla tutta “dal 2020 si è registrato un aumento annuo del numero totale di sfollati a causa di catastrofi rispetto al decennio precedente in media del 41 per cento”. Si tratta, guardando i numeri, di una “tendenza al rialzo chiara in modo allarmante”. Tanto che nello scenario peggiore si stima che “1,2 miliardi di persone potrebbero essere sfollate entro il 2050 a causa di disastri naturali e altre minacce ecologiche”. Un invito ad agire. Con la transizione sostenibile e la sua traduzione in pratica, certo. Ma pure con politiche di prevenzione e mitigazione dei rischi. Perché, avvertono gli analisti di Bruxelles, “con il cambiamento climatico come catalizzatore trainante, il numero di rifugiati climatici continuerà ad aumentare”, come dimostra l’ultimo anno, quello in corso. Mettendo insieme i principali eventi di cronaca, emerge come “solo nel 2023 centinaia di migliaia di persone sono state colpite da pericoli naturali e gravi catastrofi meteorologiche in tutto il mondo”. Qualche esempio: a settembre la tempesta Daniel ha causato la morte di oltre 12mila persone in Libia e 40mila persone sono state costrette a lasciare le proprie case; nel corso dell’estate le temperature nella regione del Mediterraneo e negli Stati Uniti hanno raggiunto livelli record e le inondazioni in Emilia-Romagna hanno ucciso 14 persone e provocato 50mila sfollati.“Il cambiamento climatico continuerà ad avere un effetto enorme su molte popolazioni, soprattutto quelle delle zone costiere e pianeggianti”, avverte il documento di lavoro. Uomini, donne e bambini si metteranno in marcia, ancora di più di adesso, perché il crescente impatto del cambiamento climatico sta rendendo alcune aree sempre più inabitabili, rendendo difficile il ritorno. Ma qui c’è il nodo politico della questione. Perché già adesso gli Stati membri dell’Ue litigano sulla gestione dei flussi, insistono sulla necessità di fermare le partenze per ridurre gli sbarchi. Un approccio che sembra in contrapposizione a tendenze peggiorative, dal punto di vista climatico e le sue ricadute. Oggi il diritto prevede che la protezione internazionale possa e debba essere riconosciuta da chi scappa da guerre e persecuzioni. Il clima non è contemplato, neppure dalle convenzioni Onu. L’Unhcr, l’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, spinge per un cambio di rotta e magari anche un nuovo trattato.Il Green Deal europeo riconosce che i cambiamenti climatici sono una delle cause che alimentano i fenomeni migratori, ma si limita a spostare l’accento sull’investimento in sostenibilità nei Paesi terzi. L’Europa ha già preso coscienza del fenomeno, ma non ha il coraggio, ancora, di introdurre una definizione giuridica di ‘rifugiato climatico’. Farlo vorrebbe dire aprire porti e porte dell’Ue.
    Un’analisi del centro studi e ricerca del Parlamento europeo torna su un tema noto e sempre più una sfida per i Ventisette. Nello scenario 1,2 miliardi di persone sfollate entro il 2050 a causa di minacce ecologiche

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    Oltre il gas, Bruxelles guarda all’Algeria per l’idrogeno verde e le emissioni di metano

    Bruxelles – Non solo gas, ma per Bruxelles la partnership con l’Algeria passa anche per il metano e per l’idrogeno rinnovabile. Si è chiuso nel pomeriggio di oggi (5 ottobre) a Bruxelles il quinto Dialogo energetico tra Unione europea e Algeria, l’occasione per la Commissione europea di guardare oltre la cooperazione con il Paese africano.Rispetto allo scorso anno nel pieno della crisi energetica con la Russia, la riunione ad alto livello ha preso le mosse questa volta in un contesto molto diverso, dando l’occasione ai due partner per riflettere su come approfondire la partnership anche oltre il gas. Dopo la decisione di ridurre gradualmente le importazioni di gas dalla Russia con l’inizio della guerra in Ucraina, l’Algeria è diventata il secondo fornitore di gas all’Ue (prima della guerra era il terzo, dopo la Norvegia). “L’Algeria è stata e continua ad essere un importante e affidabile fornitore di energia per l’Ue. L’anno scorso è stato un partner fondamentale per la sicurezza delle nostre forniture di gas ed è il secondo più grande fornitore di gas per l’Unione europea”, ha ricordato Simson, precisando che oggi durante la riunione di alto livello si è “discusso dell’evoluzione della situazione del mercato del gas e dello scenario a breve e medio termine della domanda di gas in Europa”.In conferenza stampa al fianco del ministro algerino dell’Energia e delle Miniere, Mohamed Arkab, la commissaria estone ha poi puntualizzato che il focus delle discussioni non è stato solo il gas. Prende forma l’idea di dare vita a una partnership sull’idrogeno rinnovabile. “Abbiamo concordato oggi di lavorare a una partnership tra Ue e Algeria dedicata all’idrogeno per sviluppare produzione, consumo e commercio di idrogeno rinnovabile che sarà centrale per decarbonizzare i nostri sistemi energetici”, ha confermato Simson. E per raggiungere gli obiettivi il prossimo anno sarà decisivo per attuare queste ambizioni. “Per prima cosa, riuniremo insieme i portatori di interesse algerini e europei per mettere a punto una valutazione per questa partnership. Parallelamente, studieremo la fattibilità di un primo progetto su larga scala per la produzione di idrogeno rinnovabile e la possibile esportazione in Europa”, ha anticipato ancora Simson.Nella dichiarazione congiunta pubblicata al termine della riunione si legge che Simson e l’omologo algerino Arkab “hanno convenuto che esiste un eccellente potenziale per un partenariato fruttuoso e reciprocamente vantaggioso sull’idrogeno rinnovabile e si sono impegnati a intensificare la cooperazione in questo campo”. L’altra area di cooperazione a cui lavora la Commissione europea è quella della riduzione delle emissioni di metano in particolare nell’industria del petrolio e del gas e hanno concordato di lavorare insieme per promuovere il recupero e la commercializzazione del metano che altrimenti verrebbe disperso nell’atmosfera. “Ciò comporterà vantaggi reciproci in termini di mitigazione del cambiamento climatico, migliore redditività dell’industria del gas algerina e maggiore potenziale di fornitura aggiuntiva all’Unione europea”, si legge nella nota in comune.
    Si è chiuso a Bruxelles il quinto Dialogo energetico tra Unione europea e Algeria, l’occasione per la Commissione europea di guardare oltre la cooperazione sul gas con il Paese africano. Prossimo anno sarà decisivo per la partnership sull’idrogeno pulito

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    In Nagorno-Karabakh “pulizia etnica”, Parlamento Ue per la linea dura contro Azerbaijan

    Bruxelles – Con l’Azerbaijan, ma non con questo Azerbaijan. Il Parlamento europeo censura l’operato di Baku nella regione contesa del Nagorno-Karabakh, lo accusa di “pulizia etnica” e invia un forte segnale politico di rottura. Nella risoluzione che l’Aula approva a larghissima maggioranza (491 voti favorevoli, 9 contrari e 36 astensioni) si chiede a Commissione e Stati membri di rivedere completamente le relazioni bilaterali con il Paese del Caucaso. Stop alla concessione agevolata dei visti, sanzioni ai funzionati azeri, stop agli acquisti di gas. Una risposta ‘stile Russia’, dura, come quella adottata dall’Ue per rispondere alle manovre militare del Cremlino in Ucraina.Il voto di Strasburgo si inserisce sia nel conflitto russo-ucraino, sia ancora di più con la riunione della Comunità politica europea in corso a Granada, in Spagna, a cui né la Turchia né l’Azerbaijan hanno deciso di partecipare. La questione del conflitto del Nagorno-Karabakh doveva essere uno dei temi oggetto di confronto politico e diplomatico, ma l’Azerbaijan e il suo alleato storico turco hanno deciso di lasciare l’Armenia da sola a un tavolo privo di partecipanti.La censura per l’Azerbaijan e il suo presidente Ilham Aliyev è però di quelle difficili da digerire, visto che la risoluzione dell’Aula del Parlamento europeo, di fronte a “oltre 100 mila armeni che sono stati costretti a fuggire dall’enclave in seguito all’ultima offensiva”, decreta che “l’attuale situazione equivale a una pulizia etnica“.Per questa ragione il Parlamento invita l’Ue ad adottare “sanzioni mirate” contro i funzionari governativi di Baku, poiché “responsabili di molteplici violazioni del cessate il fuoco oltre a violazioni dei diritti umani nel Nagorno-Karabakh“. Ma soprattutto si invita ad una “una revisione globale delle relazioni” con il Paese del Caucaso. Perché, denunciano gli europarlamentari, sviluppare un partenariato strategico con l’Azerbaigian, “che viola gravemente” il diritto internazionale, gli impegni internazionali e “che ha una situazione allarmante in materia di diritti umani, è incompatibile con gli obiettivi della politica estera dell’Ue“. Per cui l’invito è quello di “sospendere qualsiasi negoziato sul rinnovo del partenariato con Baku e, se la situazione non dovesse migliorare, prendere in considerazione la possibilità di sospendere l’applicazione dell’accordo di facilitazione per l’ottenimento dei visti europei con l’Azerbaigian”.L’Eurocamera prende una posizione molto netta e dura. Non si mette in discussione la territorialità dell’area contesa, visto che nessuno Stato membro dell’Ue l’ha mai riconosciuto come extraclave armena. Si condannano l’attacco e l’uso sproporzionato della forza, anche dopo le operazioni militari vere e proprie. Per questo il Parlamento invita l’Ue anche a “ridurre la sua dipendenza dalle importazioni di gas azero” e considerare l’ipotesi di sganciarsi completamente dal fornitore azero. “In caso di aggressione militare o di attacchi ibridi significativi contro l’Armenia”, i deputati si dichiarano “a favore di una sospensione completa delle importazioni da parte dell’Ue di petrolio e gas azeri“.C’è una parte di Unione europea che dunque mostra i muscoli, ma non è chiaro quanto la risoluzione, non legislativa e dunque non vincolante, troverà seguito. Perché da una parte sconfessa l’operato della Commissione per sottrarre il club dei Ventisette dalla morsa di Gazprom e raddoppiare l’import di gas azero al 2027. In secondo luogo rischia di esporre l’Ue a nuovi shock energetici. Senza più gas russo e, eventualmente, in prospettiva, senza gas azero, risulta difficile capire come potrebbe l’Unione europea a soddisfare il proprio fabbisogno.E’ qui che lo strappo tra Ue e Azerbaijan si collega alla guerra in Ucraina. Baku era vista come elemento centrale o quantomeno portante di una strategia volta a indebolire la Russia. Lo scontro diplomatico non gioca a favore degli europei. Anche perché Ilham Aliyev fin qui non ha mai smesso di sostenere Vladimir Putin. L’Azerbaijan vende il suo gas agli europei e poi, con i soldi degli europei, acquista gas russo per rispondere ai fabbisogni interni e sopperire all’aumento delle vendite.fonte foto: https://agsc.az/Il voto di oggi serve come incentivo a chiudere ogni residuo legame con la Russia. Perché a dire il vero, il gas azero arricchisce comunque la Russia. Shah Deniz, il più grande giacimento di gas naturale dell’Azerbaijan, è gestito da Azerbaijan Gas Supply Company Limited (AGSC), consorzio di cui fa parte Lukoil.Il voto del Parlamento apre però un altro fronte, quello dei mai semplici rapporti con Ankara. Si vorrebbe operare sulla Turchia un convincimento a non incoraggiare ulteriormente l’Azerbaijan. Ma come sempre in questi casi i turchi potrebbero chiedere una contropartita. Il Parlamento dell’Ue, con un voto sia pur comprensibile, si espone a rischio geo-politici non indifferenti.
    L’Aula approva una risoluzione che va allo scontro con Baku. Si chiedono stop a visti agevolati e acquisti di gas, e sanzioni ai funzionati azeri. Una prova di forza che apre un nuova sfida geopolitica

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    Ucraina, i dubbi della Corte dei conti Ue sull’assistenza da 50 miliardi per la ricostruzione

    Bruxelles – C’era e c’è la necessità di sostenere l‘Ucraina, perché il Paese “ha continuato a subire enormi danni a causa della guerra di aggressione della Russia”, ma in questa corsa alla solidarietà e al sostegno probabilmente si è agito troppo in fretta col rischio di aver promesso qualcosa che difficilmente si potrà mantenere. Questo il giudizio della Corte dei conti europea nella valutazione dell’istituzione del Fondo per l’Ucraina da 50 miliardi di euro. I conti, in sostanza, non tornano.I revisori Ue di Lussemburgo ricordano che la valutazione rapida dei danni e dei bisogni dell’Ucraina condotta dalla Banca mondiale stima che il fabbisogno totale di ricostruzione sarà equivalente a 384 miliardi di euro nei prossimi 10 anni (2023-2033), di cui 142 miliardi di euro per il periodo 2023-2027. Inoltre, il 30 marzo 2023 il Fondo monetario internazionale “ha stimato che il deficit di finanziamento dello Stato fino al 2027 avrebbe raggiunto i 75,1 miliardi di euro e ha concordato con l’Ucraina un programma quadriennale di 14,4 miliardi di euro per sostenere la stabilità e la ripresa economica”. Ciò si traduce in un gap finanziario residuo di circa 60,7 miliardi di euro. E’ qui che si pongono i problemi. Non è chiaro se e come questo ‘buco’ di bilancio potrò essere colmato. Secondo la Commissione, il “fabbisogno di ripresa rapida” dell’Ucraina, pari a circa 50 miliardi di euro, porta il deficit di finanziamento totale a 110 miliardi di euro entro il 2027. Per la Corte dei conti dell’Ue, “a causa della situazione in rapida evoluzione in Ucraina, queste stime rappresentano una valutazione delle esigenze in un momento specifico , e sono soggetti a rivalutazione“.Con i 50 miliardi di euro previsti per lo strumento per l’Ucraina, l’Ue da sola coprirebbe il 45 per cento di questo deficit di finanziamento da 110 miliardi di euro entro il 2027. Ma mancano studi e documentazioni che l’esecutivo comunitario non ha prodotto. Ha assunto impegni e basta. Come spiega il rapporto della Corte dei conti dell’Ue, “in assenza di una valutazione d’impatto e di un documento analitico che presenti le prove alla base della proposta e le stime dei costi, non è stato possibile valutare se il contributo previsto di 50 miliardi di euro da parte dello strumento per l’Ucraina sia adeguato rispetto al Un deficit di finanziamento di 110 miliardi di euro, ovvero rispetto al fabbisogno complessivo di ricostruzione di 142 miliardi di euro per il periodo 2023-2027″. Ma non finisce qui. Perché fin qui il grosso degli aiuti sono militari. Nella proposta per un Fondo per l’Ucraina “non risulta inoltre chiaro se e in che modo altri strumenti dell’UE (aiuti umanitari, assistenza agli sfollati ucraini e assistenza militare) e/o altri donatori consentirebbero di coprire le restanti esigenze”. Inoltre, in questo suo esercizio, la Commissione ha affermato che il contributo dello strumento per l’Ucraina tiene conto della capacità di assorbimento del paese. Tuttavia, “la Commissione non ha fornito un calcolo della capacità di assorbimento del paese, né un’analisi di come tale capacità è stata valutata“.Nei confronti dell’Ucraina, dunque, si stanno riconoscendo troppe concessioni. La situazione in atto sembra aver lasciato campo aperto a canali troppo preferenziali. Da qui l’invito a considerare l’ipotesi di “limitare i finanziamenti eccezionali per un periodo determinato (ove concesso), al fine di rivalutare se la situazione in Ucraina lo giustifichi ancora”. C’è il sospetto che l’Ue si stia esponendo troppo. Tanto è vero che nel sostegno all’Ucraina, per ciò che riguarda i prestiti che Kiev dovrà rimborsare, si chiede anche di “integrare la garanzia del ‘margine di manovra’ con garanzie aggiuntive, quali accantonamenti, per coprire un default improvviso e inaspettato da parte dell’Ucraina”. In questo si esorta la Commissione a “rendere pubblica un’analisi del ‘margine di manovra’ nella prossima relazione annuale sulle passività potenziali
    L’Europa da sola potrebbe soddisfare solo il 45 per cento dei bisogni di Kiev, e la Commissione non ha prodotto valutazioni e documentazioni utili. L’invito alle correzioni del caso