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    Gli eurodeputati del Pd manifestano a sostegno delle donne iraniane con il taglio di una ciocca di capelli

    Bruxelles – Gli eurodeputati del Partito Democratico prendono una posizione netta e con un gesto simbolico ma tangibile a sostegno delle donne iraniane, dopo quasi un mese di proteste contro il regime teocratico provocate dall’omicidio di Mahsa Amini, 22enne morta lo scorso 16 settembre in carcere a Teheran dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa per non aver indossato correttamente l’hijab.
    Il taglio delle ciocche di capelli dei sei eurodeputati del Partito Democratico in solidarietà con le proteste delle donne iraniane (13 ottobre 2022)
    “Donna, vita, libertà”, hanno intonato Alessandra Moretti, Camilla Laureti, Elisabetta Gualmini, Patrizia Toia, Pietro Bartolo, Giuliano Pisapia e Pierfrancesco Majorino di fronte alla sede del Parlamento Europeo a Bruxelles oggi (giovedì 13 ottobre), in concomitanza con la manifestazione indetta a Roma dal segretario del Pd, Enrico Letta, davanti all’ambasciata iraniana. Dopo aver spiegato di voler “manifestare la solidarietà, fratellanza e sorellanza alle donne e al popolo iraniano per la loro libertà”, i sette eurodeputati si sono tagliati una ciocca di capelli ciascuno, emulando uno dei gesti più estremi mostrati dalle manifestanti durante le proteste di piazza a Teheran e in altre decine di città in Iran, oltre ai falò di hijab. Le ciocche sono state poi raccolte in una busta, che sarà spedita all’ambasciata iraniana a Bruxelles.
    I sette eurodeputati del Pd sono stati anche tra i firmatari dell’interrogazione parlamentare della settimana scorso all’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, sull’attivazione dei canali diplomatici europei per liberare la travel blogger romana Alessia Piperno – insieme ad altri otto cittadini Ue – arrestata lo scorso 28 settembre a Teheran e di cui si hanno pochissime notizie, se non che è detenuta nel carcere di Evin nella capitale iraniana. Piperno non sarebbe stata l’obiettivo della retata della polizia, ma si sarebbe trovata nello stesso ostello frequentato da alcuni “sobillatori” – come li definiscono le autorità della Repubblica Islamica – delle proteste delle donne iraniane contro il regime teocratico.
    A proposito delle manifestazioni nel Paese mediorientale, la dura repressione da parte della polizia – che lancia lacrimogeni e spara ad altezza uomo durante le manifestazioni – ha già causato la morte di 201 persone (di cui 23 bambini), denuncia l’organizzazione non-governativa Iran Human Rights. Ecco perché la Commissione Europea è sempre più decisa a imporre nuove sanzioni all’Iran, per far pagare il prezzo economico dell’uso della violenza sistematica contro le donne e i giovani manifestanti pacifici. Secondo quanto riportano fonti Ue a Bloomberg, il pacchetto di misure restrittive dovrebbe coinvolgere 15 tra persone ed entità iraniane legate alla morte di Amini e potrebbe essere adottato già la prossima settimana, se sarà raggiunto un accordo unanime tra i Ventisette. “Credo che sia giunto il momento di sanzionare i responsabili della repressione contro le donne iraniane, la scioccante violenza inflitta non può rimanere senza risposta”, ha attaccato la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, nel suo intervento di ieri (mercoledì 12 ottobre) alla Conferenza degli ambasciatori.

    Sette membri della delegazione del Partito Democratico hanno mostrato solidarietà verso le rivendicazioni del popolo in Iran contro il regime teocratico, condividendo il gesto che sta animando le proteste di piazza nel Paese da quasi un mese dopo la morte di Mahsa Amini

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    Usa e Russia un vertice “distante”. Sulla crisi ucraina Biden e Putin restano divisi ma il dialogo è aperto

    Roma – Nessun passo in avanti tra Joe Biden e Vladimir Putin anche se il dialogo resta aperto. Il presidente americano conferma le minacce di sanzioni durissime in caso di superamento dei confini dell’Ucraina. Il presidente della federazione Russa insiste nella richiesta di tenere lontana Kiev dalla NATO.
    Due ore davanti agli schermi ai due leader sono bastate per sciogliere il gelo ma non per trovare soluzioni alla tensione salita in Europa orientale con le truppe del Cremlino concentrate a migliaia ai confini con il Paese “cuscinetto”. Come era accaduto alla vigilia Biden ha poi avuto un secondo colloquio con gli alleati europei Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna e giovedì parlerà con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
    “Nessuna concessione, il Presidente è stato diretto e chiaro” ha detto Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale al termine del vertice, ribadendo “serie conseguenze” se la Russia deciderà di muoversi oltre confine. Il rafforzamento delle sanzioni era definito in precedenza e prevede una stretta economica pesante, dall’esclusione delle banche russe dai circuiti del sistema finanziario internazionale, alle limitazioni nel settore energetico, oltre che una serie di restrizioni alla libera circolazione di manager e oligarchi.
    Da Mosca Putin ha replicato che “i soldati russi sono sul loro territorio e non stanno minacciando nessuno”, al contrario “è la NATO che sta facendo pericolosi tentativi di conquistare il territorio ucraino e sta aumentando il suo potenziale militare ai nostri confini”. L’accusa lanciata al governo di Kiev e di voler smantellare gli accordi di Minsk con le continue provocazioni adottate verso la comunità russofona del Donbass, nel sud-est della repubblica ucraina.
    Le posizioni restano dunque distanti e solo una timida apertura, “una buona discussione” secondo la fonte del Cremlino, si è registrata sulla questione iraniana, che fa sperare positivamente nel riavvio del negoziato del trattato sul nucleare annunciato la scorsa settimana.
    Nonostante le minacce, condivise dagli alleati europei, la Casa Bianca punta all’azione diplomatica e il recupero degli accordi di Minsk. “I due presidenti – si legge nella nota diffusa da Washington – hanno incaricato i loro team di approfondire e gli Usa lo faranno in stretto coordinamento con gli alleati e partner”.
    Da Bruxelles prima del vertice, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, aveva assicurato il sostegno dell’UE che nei confronti della Russia “risponderà in modo appropriato in caso di una nuova aggressione, di violazioni del diritto internazionale e di qualsiasi altra azione dolosa intrapresa contro di noi o i nostri vicini, inclusa l’Ucraina”.

    I due leader non cambiano posizione con gli Stati Uniti che minacciano sanzioni dure in caso di invasione e il Cremlino che chiede assicurazioni sulla necessità di allontanare i suoi confini dalla NATO. Dopo il vertice nuovo colloquio del presidente americano con gli alleati europei

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    Riprendono a Vienna i negoziati sul nucleare iraniano. Ma Teheran non vuole trattare direttamente con gli USA

    Roma – Dopo cinque mesi di interruzione sono ripresi a Vienna i negoziati per riattivare l’accordo internazionale sul programma nucleare dell’Iran. Lo ha annunciato oggi il portavoce della delegazione dell’Unione europea Alain Georges Matton. La ripresa dei lavori della commissione è stata confermata anche dall’agenzia di stampa di Stato iraniana Irna.

    In Vienna, #JCPOA Joint Commission, chaired on behalf of EU High Representatives @JosepBorrellF by @eu_eeas Deputy Secretary General @enriquemora_ , just started. pic.twitter.com/kXtCbQtnEn
    — Alain Georges MATTON 🇪🇺 (@AlainMatton) November 29, 2021

    Un portavoce del governo di Teheran ha riferito che il Paese è “fermamente determinato” a ottenere un buon esito dei negoziati in vista di una revoca delle sanzioni internazionali.
    L’accordo sul nucleare era stato raggiunto nel 2015 con la mediazione dell’UE e dell’ex  rappresentante per la politica estera Federica Mogherini e quando a guidare gli Stati Unti era Barack Obama. Intesa abbandonata dalla presidenza Trump e ora segnata da nuove aperture da parte di Joe Biden. L’accordo era stato sottoscritto da gruppo 5+1, composto da Russia, Cina, Francia, Regno Unito, Germania e Stati Uniti.
    In questa prima fase la delegazione USA guidata dall’inviato speciale per l’Iran, Robert Malley, parteciperà ai colloqui in forma indiretta, con i diplomatici degli altri Paesi che faranno da intermediari.
    Teheran ha sempre rivendicato il diritto a sviluppare un programma nucleare con sole finalità civili, che l’accordo internazionale dovrebbe permettere di monitorare.
    Tuttavia gli ostacoli per un nuovo accordo sono diversi. Da una parte ci sono le forti pressioni di Israele nei confronti dei Paesi occidentali che fin dal 2015 ha contestato l’intesa. Sul fronte opposto l’Iran ha irrigidito la sua posizione, denunciando la controparte statunitense di aver disatteso gli accordi con l’uscita unilaterale nel 2018 e un inasprimento delle sanzioni, motivo che ha portato al rifiuto di Teheran a trattare direttamente con Washington.

    Un portavoce del governo ha dichiarato che il Paese è “fermamente determinato” a un buon esito ma denuncia l’uscita unilaterale degli USA dagli accordi del 2015. Le trattative con l’inviato speciale di Biden saranno mediate dal gruppo dei 5

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    Iran, Borrell attacca la presidenza slovena del Consiglio: “Il premier Janša non ci rappresenta in politica estera”

    Bruxelles – È un gancio destro in pieno volto quello sferrato da Josep Borrell, alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza: “Il primo ministro sloveno, Janez Janša, non rappresenta l’Unione Europea in politica estera“. Una dichiarazione durissima che, a nemmeno due settimane dall’inizio del semestre sloveno di presidenza del Consiglio dell’UE, approfondisce il distacco tra Bruxelles e Lubiana e alimenta le polemiche sulla figura del nuovo presidente di turno.
    La reazione del capo diplomatico dell’Unione è arrivata a seguito di alcune esternazioni del primo ministro sloveno sull’Iran. In un discorso di sabato scorso (10 luglio) al Free Iran World Summit, evento annuale organizzato dal Consiglio nazionale della resistenza iraniana, Janša aveva esplicitato la necessità di avviare un’inchiesta internazionale sulle esecuzioni dei prigionieri politici iraniani nel 1988 (almeno duemila secondo Amnesty International): “Per quasi 33 anni il mondo ha dimenticato le vittime del massacro, è ora che questo cambi“.
    Il polverone diplomatico che si è alzato da Teheran nel corso del fine settimana ha coinvolto Janša non tanto in qualità di capo del gabinetto sloveno, ma soprattutto per la carica che riveste per i prossimi sei mesi all’interno dell’istituzione comunitaria. Il controverso nuovo presidente di turno del Consiglio dell’UE ha ricordato quanto sia facile scatenare confusione tra i messaggi inviati a Paesi terzi e come i diversi livelli di leadership spesso non rendono chiaro chi stia parlando a nome del proprio governo o per l’intera Unione.
    A dimostrazione di questa problematica, Borrell ha confermato di aver ricevuto una telefonata dal ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, che voleva essere messo al corrente “se le dichiarazioni del primo ministro sloveno rappresentano la posizione ufficiale dell’Unione Europea”. L’alto rappresentante UE ha parlato proprio di “una certa confusione“, legata al fatto che la Slovenia è attualmente il Paese membro che detiene la presidenza di turno del Consiglio. Il ministro iraniano è stato rassicurato sul fatto che, anche in questo frangente, “la posizione di un primo ministro non rappresenta la posizione dell’Unione Europea” e che solo il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, può rappresentare i Ventisette a livello di capi di Stato e di governo.
    In merito alla complessa situazione iraniana, Borrell ha affermato che l’Unione ha “una posizione equilibrata“, fatta di un mix di “pressioni politiche, quando necessario” e di “cooperazione, quando possibile”. In questo contesto si inserisce l’impegno dell’Unione Europea – attraverso la figura dell’alto rappresentante – per quanto riguarda l’accordo sul nucleare iraniano (il Piano di azione congiunto globale, JCPOA). Allo stesso tempo, “la politica estera rimane una competenza degli Stati membri, che possono avere l’opinione che ritengono adatta per ogni questione internazionale“, ha precisato Borrell alla stampa di Bruxelles. “Se mi chiedete se la posizione di Janša rappresenta quella dell’Unione Europea, devo ribadire che di certo non è così”.

    L’alto rappresentante UE reagisce alle polemiche nate dopo la richiesta del primo ministro di Lubiana di avviare un’inchiesta internazionale sull’esecuzione di prigionieri politici nel 1988. “Ogni Paese membro ha le proprie opinioni, ma la nostra è una posizione equilibrata”