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    Protezione temporanea e 500 milioni di euro dal bilancio UE a sostegno dei 2 milioni di rifugiati dall’Ucraina

    Bruxelles – Due milioni di rifugiati in 12 giorni. La “crisi più velocemente in crescita sul suolo europeo dalla Seconda Guerra mondiale”, come ha evidenziato l’agenzia ONU per i Rifugiati: ogni giorno che passa diventa sempre più urgente la gestione dei rifugiati in fuga dalla guerra in Ucraina verso l’UE. Di qui il supporto messo a disposizione dalla Commissione Europea per aiutare chi cerca rifugio sul territorio comunitario, ma anche i Paesi membri che stanno affrontando “uno sforzo pari a quello di tutto il 2015 e il 2016 messi insieme”, ha sottolineato la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, nel corso della conferenza stampa di presentazione del nuovo pacchetto.
    L’assistenza alla gestione delle frontiere e per la protezione di chi lascia l’Ucraina si concretizzerà attraverso due canali principali: un sostegno umanitario da 500 milioni di euro dal bilancio comune dell’UE e l’applicazione della Direttiva europea sulla protezione temporanea, proposta dall’esecutivo comunitario (e approvata all’unanimità dai 27 ministri degli Interni) una settimana fa. “È un pacchetto che si indirizzerà a tutte le persone, a prescindere dalla provenienza e dal colore della pelle“, ha messo in chiaro il vicepresidente Margaritis Schinas, rispondendo alle domande sulle possibili discriminazioni verso i rifugiati da parte dei Paesi di frontiera nell’accogliere o meno chi si presenta ai confini UE dall’Ucraina (e basate sulle posizioni del Gruppo di Visegrád e dell’Austria in Consiglio).
    È la direttiva che stabilisce uno status di protezione di gruppo in “situazioni di crisi derivanti da un afflusso massiccio di persone in fuga da una situazione di grande pericolo” a rappresentare il cuore del sostegno umanitario dell’UE (qui tutti i dettagli). “Oggi i rifugiati arrivati nell’UE dall’Ucraina sono 2 milioni, ma Putin non si fermerà e dobbiamo essere pronti ad accoglierne di più“, ha avvertito la commissaria Johansson. L’attivazione del meccanismo scatterà per tutte le persone ucraine o con un permesso di soggiorno rilasciato da Kiev, “afghani e bielorussi compresi”, ma “non è previsto per studenti o turisti da altri Paesi, o con permessi di soggiorno di breve termine“. La direttiva permetterà di velocizzare le attività di controllo di confine “di fronte a una catastrofe umanitaria”, ha ricordato Johansson, grazie anche al supporto delle agenzie dell’Unione (49 agenti Frontex alle frontiere UE-Ucraina e Moldova-Ucraina e 162 in Romania). Centrale in questo approccio è la solidarietà tra gli Stati membri attraverso una piattaforma di solidarietà, che permetterà ai Paesi membri di scambiarsi informazioni sulla capacità di accoglienza in coordinamento con la Commissione.
    Dei 500 milioni di euro dal bilancio dell’UE, 85 saranno destinati come aiuti umanitari diretti (acqua, assistenza sanitaria, alloggi) per l’Ucraina e 5 per la Repubblica di Moldova. Attraverso l‘attivazione del meccanismo di protezione civile dell’UE verranno inviati veicoli, kit medici, tende, coperte e sacchi a pelo, anche a Romania, Polonia e Slovacchia. Nella risposta dell’UE è prevista anche l’adozione della proposta legislativa Azione di coesione per i rifugiati in Europa (CARE), che aiuterà a finanziare con i fondi di coesione dell’UE investimenti in istruzione, occupazione, alloggi, servizi sanitari e di assistenza all’infanzia per i rifugiati in arrivo dall’Ucraina. I fondi per gli affari interni per il 2021-27 porteranno anche “significative risorse aggiuntive” agli Stati membri, per “garantire strutture di accoglienza adeguate e procedure di asilo efficaci“, con la proposta di prolungare il periodo di attuazione dei fondi 2014-2020 “per liberare circa 420 milioni di euro supplementari”.

    La “crisi più velocemente in crescita sul suolo europeo dalla Seconda Guerra mondiale” impone una risposta rapida per l’accoglienza dei profughi “a prescindere dal colore della pelle”. Ma è escluso chi ha un permesso di soggiorno di breve termine

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    Da Coca-Cola a Pirelli, Nestlé e Ferragamo: i colossi globali che ancora non si sono ritirati dalla Russia

    Bruxelles – Una sorta di boycott Russia, ma questa volta organizzato dalle multinazionali, non dai consumatori. Quella scatenata da  Mosca contro Kiev (che ha il sostegno dell’Occidente) è una guerra che si combatte ormai su tutti i fronti: militare, politico, finanziario ed economico. Oltre all’unità e alla velocità delle sanzioni delle potenze occidentali, ciò che Vladimir Putin difficilmente si poteva aspettare era il boicottaggio su larga scala da parte delle aziende di tutto il mondo contro il mercato e la produzione in Russia. Una ricerca della Yale School of Management ha individuato 250 colossi globali che hanno annunciato il proprio ritiro dalla Russia in segno di protesta contro l’invasione dell’Ucraina e come conseguenza delle misure restrittive messe in campo dall’Unione Europea.
    L’argomento rimane delicato, soprattutto quando c’entrano i soldi: “Altre aziende hanno continuato a operare in Russia imperterrite“, si legge nello studio, complice anche la percentuale di fatturato o produzione che viene realizzata sul territorio russo. Giorno dopo giorno si allunga la lista delle imprese multinazionali che boicottano il Cremlino, ma a oggi (martedì 8 marzo) è possibile identificarne 35 che hanno “un’esposizione particolarmente significativa ai mercati russi”. Non è da escludere che nei prossimi giorni, sull’onda del contraccolpo dell’opinione pubblica, diverse di queste aziende ancora reticenti decidano di seguire l’esempio di chi ha già ritirato o sospeso i propri affari in Russia.

    È soprattutto il settore dell’alimentazione che sta cercando di non esporsi eccessivamente contro Mosca. Coca-Cola, come la principale concorrente Pepsi (che fattura 3,4 miliardi di dollari l’anno in Russia), rischiano di accusare pesantemente il colpo da un eventuale ritiro da questo mercato. Così come Nestlé (1,7 miliardi annuali), Starbucks (130 punti vendita) e McDonald’s (tra Russia e Ucraina balla quasi un 10 per cento del fatturato globale). Ne risentirebbero pesantemente anche i colossi del settore alberghiero, su tutti Marriott (10 strutture in Russia), Hilton (29) e Accor (55). Rimane in attesa anche la casa di moda italiana Salvatore Ferragamo, che vede arrivare dalla Russia l’uno per cento dei propri ricavi (circa 10 milioni di dollari), così come i maggiori operatori nel settore degli pneumatici (Pirelli e Bridgeston, a differenza di quanto deciso da Michelin) e dell’industria del tabacco.
    Ma la questione della perdita di fatturato o di produzione è una scusante fino a un certo punto, considerato il fatto che le 250 aziende che si sono già ritirate dalla Russia hanno dovuto rinunciare a una fetta di mercato difficilmente sostituibile nel breve periodo. L’elenco comprende ogni settore economico e vede una serie di misure che vanno dallo stop delle vendite, delle operazioni commerciali, dei voli sul territorio russo al taglio delle connessioni, delle prenotazioni e delle spedizioni, fino alla chiusura dei punti vendita e degli uffici. Nell’ambito tecnologico ci sono Apple (chiusi i negozi), Alphabet, Microsoft, Netflix, Nintendo, Panasonic e TikTok (operazioni sospese), Meta e Amazon (inserzionisti e venditori russi disattivati), eBay, Ericsson, Nokia e Samsung (stop alle spedizioni), Intel e Sandvik (sospesa la vendita di tecnologie sensibili), Spotify, Twitter e YouTube (che eliminano la propaganda di regime sulle piattaforme).
    Di primo piano, per la questione energetica, sono le decisioni prese da compagnie attive in questo settore. Eni ha deciso di cedere la propria quota del gasdotto Blue Stream con Gazprom, ExxonMobil uscirà dalle joint venture con la russa Rosneft, così come BP (che cederà le sue quote), e Shell ha annunciato oggi che si ritirerà da ogni coinvolgimento in idrocarburi russi e chiuderà tutte le stazioni di rifornimento nel Paese. Sul fronte bancario/finanziario vanno ricordati il taglio dei servizi e dell’accesso ai mercati di capitali da parte di American Express, Asian Infrastructure Investment Bank, Bank of China, BlackRock, Credit Suisse, HSBC, London Stock Exchange, JP Morgan, Mastercard, Nasdaq, PayPal, mentre, su quello della consulenza e assicurazioni, hanno abbandonato la Russia Accenture, Allianz, Generali Assicurazioni, Deloitte, KPMG, McKinsey.
    Nella moda hanno fatto un passo indietro Chanel, H&M, Hermes, Levi Strauss, Mango, Moncler, Nike, Prada e Puma, ed è stata intensa anche la reazione del settore dei motori: hanno fermato le spedizioni e le vendite Stellantis, Aston Martin, Bentley, Ford, General Motors, Harley Davidson, Honda, Jaguar, Mazda, Mercedes-Benz, Nissan, Renault, Rolls Royce, Subaru, Toyota, Volkswagen e Volvo. A mettere sotto pressione il mercato russo saranno soprattutto i colossi della logistica a livello globale, FedEx e Maersk su tutti, ma anche grandi aziende come Ikea, Lego, Danone e Swatch. Tra le prime ad attivarsi già a poche ore dall’invasione dell’Ucraina erano state le federazioni sportive: a oggi sono stati annullati eventi in territorio russo o sono state sospese le squadre russe da Formula 1, calcio a livello UEFA e FIFA, tennis maschile e femminile, rugby, ciclismo, pattinaggio su ghiaccio, hockey, pugilato, atletica e sollevamento pesi, mentre il Comitato Olimpico Internazionale ha impedito a tutti gli atleti russi la partecipazione alle competizioni. A livello di spettacoli ed entertainment, Live Nation ha sospeso tutti i concerti in Russia, Disney, Paramount, Sony e Warner Media hanno messo in pausa ogni nuova uscita di film, e la Federazione Internazionale Felina ha messo al bando i gatti russi da tutte le competizioni internazionali.

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    Benassi: “Adesione UE un processo, non automatismo. Con Ucraina avanti con accordo di associazione”

    Bruxelles – L’Ucraina nell’UE è uno scenario possibile, che l’Italia sostiene, ma che deve avvenire secondo le regole e le modalità previste. Niente scorciatoie, niente corsie preferenziali e non per ragioni di chiusure pre-concettuali, ma per il bene della credibilità di tutti. Pietro Benassi cerca di fare ordine su un tema oggetto di dichiarazioni e ragionamenti forse troppo poco cauti o slegati dall’impianto normativo esistente. Ai deputati delle commissioni Affari esteri e Politiche dell’Unione europea della Camera, il rappresentante permanente d’Italia presso l’UE ricorda che un conto è l‘adesione all’UE, e un altro è il riconoscimento dello status di Paese candidato. Si comincia col chiedere tale status, per poi diventare membro al termine di un processo di riforme.
    “L’aspirazione dell’Ucraina a far parte della famiglia europea è legittima e la sosteniamo, ma si tratta di un processo e non di un automatismo“, dice l’ambasciatore in modo da essere il più chiaro possibile. Non si può parlare di adesione, perché questa è il punto di arrivo di un percorso che richiede anni. “Nel frattempo la piena attuazione dell’accordo di associazione resta lo strumento principale per rafforzare il legame tra Unione europea e Ucraina”.
    Respinge con forza le critiche di chi fa notare che la risposta dell’UE, di fronte al dramma della guerra e alla richiesta di aiuto del popolo ucraino, è stata di chiusura. Alla richiesta di Kiev “hanno fatto seguito quelle di Georgia e Moldova, e c’è stata una rapida risposta politica della presidenza francese all’attivazione della richiesta di adesione, e col consenso di tutti e 27″ gli Stati membri, come vuole la procedura che porta all’allargamento dell’UE.
    Nella Camera dei deputati c’è il timore che questo messaggio possa essere letto nella maniera sbagliata tra i Paesi dei Balcani occidentali. Montenegro, Serbia, Kosovo, Macedonia del nord, Albania, aspettano ancora progressi sostanziali, dopo anni di attesa. Va evitato che si pensi che esistano candidati di serie A e candidati di serie B. Anche per questo, pur volendo, risulta difficile concedere a Kiev cose mai concesse ai balcanici. Ad ogni modo, la linea italiana “è chiara”, spiega Benassi: “Riteniamo che i Balcani occidentali possano e debbano essere assorbiti nell’Unione europea in modo serio”.

    Il rappresentante permanente italiano in audizione alla Camera spiega che ci sono regole e procedure chiare per l’ingresso. “Risposta politica molto rapida”

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    Inizia il cammino: gli ambasciatori UE incaricano la Commissione di formulare un parere sulla domanda di adesione di Ucraina, Georgia e Moldova

    Bruxelles – Si è messo in moto nelle istituzioni europee il processo di adesione all’UE di Ucraina, Georgia e Repubblica di Moldova. Gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) hanno concordato di invitare la Commissione Europea a presentare un parere su ciascuna delle domande di adesione presentate da Ucraina, Georgia e Moldova, che sarà poi trasmesso al Consiglio dell’UE.
    L’avvio della procedura scritta servirà per “convalidare i progetti di lettere che chiedono il parere della Commissione Europea“, spiega la presidenza di turno francese del Consiglio dell’UE. Le tre richieste per ottenere lo status di Paese candidato all’adesione sono arrivate tutte nel corso della scorsa settimana, tra lunedì (28 febbraio) e giovedì (3 marzo): la prima era stata l’Ucraina – che ha ricevuto l’endorsement del Parlamento UE riunito in sessione plenaria – seguita a ruota tre giorni più tardi da Georgia e Moldova. Oltre a Kiev, in cerca di un sostegno anche politico da parte dell’Unione contro l’invasione russa, le domande formali di Tbilisi e Chișinău si possono leggere come una tutela dalle minacce alla propria indipendenza portate dal disegno del “nuovo mondo” di Putin e come una volontà dei Paesi vicini alla Russia di disegnare il futuro assetto geopolitico sempre più legato a Bruxelles.
    La scorsa settimana il portavoce della Commissione Europea, Eric Mamer, aveva già precisato che “la richiesta di adesione dell’Ucraina, della Georgia e della Moldova mostrano che c’è un desiderio genuino e un successo dell’UE come progetto di pace e prosperità“, mentre la portavoce responsabile per la Politica di vicinato e l’allargamento, Ana Pisonero, aveva ricordato a tutti che “le richieste di unirsi sono sempre ben accette, ma prevedono comunque un lungo processo”. Tutti e tre i Paesi condividono la base di partenza di un Accordo di associazione entrato pienamente in vigore tra il 2016 (Georgia e Moldova) e il 2018 (Ucraina) che sta permettendo di allinearsi alle norme e standard europei in ambito politico, economico e sociale, anche se l’intesa non ha mai avuto come obiettivo o come clausola l’adesione UE dei tre Paesi.
    Ricevuta la proposta formale di candidatura all’adesione e richiesto il parere della Commissione dal Coreper, per diventare un Paese membro dell’UE (Ucraina, Georgia e Moldova, in questo caso), è necessario superare l’esame dei criteri di Copenaghen, ovvero le basilari condizioni democratiche, economiche e politiche (istituzioni stabili, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani, economia di mercato, capacità di mantenere l’impegno). Dopodiché si arriva alla firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione, un accordo bilaterale tra UE e Paese richiedente, e a questo punto si può presentare la vera e propria domanda di adesione all’Unione: se accettata, viene conferito lo status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio UE di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.
    Oltre alle candidature di Moldova, Georgia e Ucraina, il processo di allargamento UE coinvolge già i sei Paesi dei Balcani Occidentali – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – e la Turchia, i cui negoziati sono però cristallizzati dalla politica del presidente Erdoğan. Serbia e Montenegro stanno portando avanti i negoziati di adesione rispettivamente dal 2014 e dal 2012, mentre il pacchetto Albania-Macedonia del Nord è bloccato dal 2018 prima per il veto di Francia-Paesi Bassi-Danimarca ai danni di Tirana e poi per quello attuale della Bulgaria contro Skopje (dalla fine del 2020). La Bosnia ed Erzegovina ha fatto domanda di adesione nel 2016, mentre il Kosovo ha solo firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione.

    L’avvio della procedura da parte dell’esecutivo comunitario servirà per convalidare i progetti di lettere che ne richiedono il parere. Sarà poi il Consiglio dell’UE a doversi esprimere sulle richieste di Kiev, Tbilisi e Chișinău

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    L’Unione Europea chiede alla Cina di premere sulla Russia per mettere fine all’aggressione dell’Ucraina

    Bruxelles – Il sonno del gigante cinese inizia a essere sempre più disturbato. Negli 11 giorni di invasione russa dell’Ucraina, Pechino è il vero jolly che ancora nessuno è riuscito a giocarsi per indirizzare in un verso o nell’altro la guerra voluta da Vladimir Putin. Né Mosca, per avere quel supporto necessario per affrontare le sanzioni e il boicottaggio delle aziende di quasi tutto il mondo, né le potenze occidentali per isolare definitivamente il Cremlino e metterlo in ginocchio. Oggi però l’UE ha fatto un passo in avanti e ha chiesto apertamente alla Cina di fare pressione sulla Russia per mettere fine all’aggressione in Ucraina.
    “L’alto rappresentante Josep Borrell è in contatto con la controparte cinese perché prema per fermare questo attacco senza precedenti contro l’integrità territoriale di uno Stato”, ha spiegato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), Peter Stano, nel corso del punto quotidiano con la stampa. “L’UE sta chiedendo alla Cina di usare la propria influenza per raggiungere un cessate il fuoco e porre fine ai bombardamenti brutali della Russia”, ha aggiunto Stano, sottolineando che la potenza orientale “ha il potenziale per raggiungere Mosca grazie alle sue relazioni bilaterali“. Il portavoce del SEAE ha fatto notare che “la Cina non era tra i cinque Paesi che si sono opposti alla risoluzione votata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite” e “questa è una ragione per aumentare il nostro impegno per fare in modo che diventi partner della comunità internazionale che spinge per la fine della guerra in Ucraina”.
    Per l’appunto, la Cina è stata tra i 35 Paesi che si sono astenuti al voto di mercoledì scorso (2 marzo) sulla risoluzione di condanna all’aggressione dell’Ucraina, insieme a India ed Emirati Arabi Uniti. Una dimostrazione che – a differenza di quanto previsto dal Cremlino – gli alleati di Putin iniziano a scarseggiare e non hanno interessi a sostenerlo esplicitamente. Solo un mese fa Xi Jinping e Vladimir Putin avevano condannato l’espansionismo verso Est della NATO e si erano promessi “amicizia senza limiti”. Ma la guerra di Putin – che non sembra più essere ‘lampo’ come prospettato dall’autocrate russo e che ha evocato anche lo spettro dell’arma nucleare – sta diventando un ostacolo per il presidente cinese. Da un turbamento dell’economia globale e da un nuovo periodo di recessione, Pechino non ha molto da guadagnarci. È per questo motivo che la Cina potrebbe lasciarsi convincere dall’UE a esporsi maggiormente e prendere un’iniziativa diplomatica per risolvere la crisi scatenata dalla Russia.
    Questo significherebbe però mettere parzialmente in discussione l’alleanza con la Russia e, soprattutto, non trarre tutti i benefici che potrebbero derivare da un indebolimento dell’Occidente impegnato in Ucraina. Se l’esercito di Putin si dovesse impantanare in Ucraina e le potenze occidentali impegnarsi ancora più a lungo a sostegno di Kiev, senza alcuno sforzo la Cina di Xi Jinping potrebbe godere di un parziale cambio di rotta in politica estera da parte degli Stati Uniti (sempre più distratti dal Pacifico) e di un’Europa che non può ripartire con slancio dopo due anni di crisi scatenata dalla pandemia COVID-19. Ma anche di una Russia impoverita e isolata a livello internazionale, che diventerebbe facilmente un satellite di Pechino, unico interlocutore in materia di politica estera, economica ed energetica. Il tempo delle scelte sta però svegliando la potenza cinese, che rischia di trovarsi ora davanti a un bivio da cui difficilmente si può tornare indietro.

    Pechino “ha il potenziale per raggiungere Mosca grazie alle sue relazioni bilaterali”, ha spiegato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), Peter Stano. Bruxelles vuole che Xi Jinping “usi tutta la sua influenza”

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    La Russia tagliata dal programma di ricerca UE nello stesso giorno dell’attacco alla centrale nucleare di Zaporizhzhia

    Bruxelles – L’isolamento internazionale della Russia si intensifica e taglia fuori Mosca ormai su tutti i fronti, dallo sport all’industria, dall’economia alla finanza, fino alla ricerca e l’innovazione. Nello stesso giorno dell’attacco russo alla centrale nucleare di Zaporizhzhia (nel sud-est dell’Ucraina) che ha scatenato un incendio negli edifici secondari della struttura, l’UE ha deciso di sospendere la cooperazione con entità della Russia nell’ambito della ricerca e dell’innovazione sia del programma Horizon Europe sia del precedente Horizon 2020.
    “Ho chiesto ai miei servizi di sospendere qualsiasi pagamento agli enti russi nell’ambito dei contratti esistenti“, ha annunciato la commissaria europea per l’Innovazione e la ricerca, Mariya Gabriel. Inoltre, è stata decisa la “sospensione della preparazione dell’accordo di sovvenzione per quattro progetti del programma Horizon Europe che coinvolgono cinque organizzazioni di ricerca russe”, ha aggiunto la commissaria, specificando che “la firma di qualsiasi nuovo contratto sarà sospesa fino a nuovo avviso“. Durissimo il commento della vicepresidente della Commissione UE per il Digitale, Margrethe Vestager: “La cooperazione nella ricerca dell’UE si basa sul rispetto delle libertà e dei diritti che sono alla base dell’eccellenza e dell’innovazione” e “l’atroce aggressione militare della Russia contro l’Ucraina è un attacco contro questi stessi valori”.
    In quest’ottica è stato però rafforzato il sostegno a scienziati e ricercatori ucraini “che hanno dimostrato eccellenza e leadership nell’innovazione in molti campi”. La commissaria Gabriel ha spiegato che “siamo fortemente impegnati a garantire una continua e proficua partecipazione dell’Ucraina e delle entità ucraine”, da quando Kiev ha firmato l’accordo associazione per il programma UE sulla ricerca e l’innovazione Horizon Europe e per la Comunità europea dell’energia atomica (Euratom) nell’ottobre 2021. L’accordo di associazione entrerà in vigore quando l’Ucraina notificherà alla Commissione Europea il completamento del processo di ratifica. “Nel frattempo abbiamo adottato misure amministrative per garantire che i beneficiari ucraini possano ricevere finanziamenti dai programmi dell’UE”, ha ricordato la commissaria Gabriel: “Questa cooperazione nella scienza, nella ricerca e nell’innovazione rafforza l’alleanza tra l’UE e l’Ucraina per realizzare le priorità comuni”.
    Nel frattempo, il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, ha tenuto una conversazione telefonica con la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, sull’attacco alla centrale di Zaporizhzhia: “L’ho informata sul terrorismo nucleare dell’aggressore russo”, si legge in un tweet del presidente ucraino. “Prevenire è il nostro compito comune”, ha sottolineato Zelensky, aggiungendo che “all’ordine del giorno c’è stata anche la questione dell’adesione dell’Ucraina all’UE“.

    Talked to President of the European Commission @vonderleyen. Informed about the aggressor’s nuclear terrorism. Preventing it is our common task. Discussed strengthening sanctions against Russia. The issue of 🇺🇦’s membership in the #EU was also on the agenda. #StopRussia
    — Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) March 4, 2022

    Bruxelles ha sospeso qualsiasi pagamento a enti di ricerca russi nell’ambito dei contratti esistenti e la firma di nuovi contratti “fino a nuovo avviso”. Parallelamente è stato rafforzato il sostegno a scienziati e ricercatori ucraini

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    La tragedia dell’Ucraina e le responsabilità dell’Occidente e dell’Europa

    Conosco abbastanza bene l’Ucraina per aver avuto per anni rapporti di lavoro e di collaborazione con gruppi siderurgici locali, e per essere stato nominato dal Governo Berlusconi, nel 2005, presidente del Comitato di collaborazione economica Italia-Ucraina.
    Conosco bene il Donbass, la parte più orientale del Paese, dove si concentra la maggior parte dell’industria dell’acciaio. Mi sono recato più volte in quella zona, in fabbriche del gruppo industriale con il quale intrattenevamo i rapporti più stretti, tanto da stabilire con esso una vera e propria joint venture, l’Industrial Union of Donbass. Tale gruppo industriale, ormai da tempo passato totalmente in mani russe, aveva e ha stabilimenti a Alchevsk e Dniprovskyi.
    Sono stato più volte a Mariupol e a Odessa, i porti più importanti, da dove caricavamo navi di prodotti di acciaio destinati all’esportazione.
    Ho molto amato Kiev, città dove avevamo uffici e in cui mi sono recato più volte per incontri e riunioni, e che mi è sempre apparsa una bellissima e storica capitale.
    Ho smesso di frequentare l’Ucraina dal 2014 e cioè da quando le milizie filorusse, appoggiate dagli “uomini verdi senza mostrine”, mercenari al soldo di Mosca, hanno iniziato una guerra separatista durata fino ad oggi, distruggendo quasi completamente Donetsk, la capitale del Donbass, e provocando decine di migliaia di morti.
    Quei viaggi e quelle frequentazioni mi avevano fatto capire la complessità e per certi versi la tragicità del contesto ucraino, diviso tra una parte del Paese, quella più grande centrale e occidentale, decisamente a favore di legami sempre più stretti con l’Unione Europea, e la parte orientale russofona tradizionalmente legata alla Russia e alla sua influenza.
    La tragicità stava e sta nel fatto che la maggior parte della popolazione e la maggior parte dei governi che si sono succeduti a Kiev dopo la caduta dell’Unione Sovietica hanno rimproverato gli europei di scarsa empatia e di disinteresse nei confronti della giovane nazione ucraina, alle prese con le pressioni e l’influenza russa e desiderosa di affrancarsi da queste grazie al legame sempre più forte con l’Occidente. Ma contemporaneamente vi è una minoranza della popolazione (che nell’est del paese è una maggioranza) che parla russo, che non ne vuol sapere dell’Occidente, che ha ottenuto di farsi stampare sul passaporto ucraino la dizione ‘Russian Citizen’.
    L’Europa ha balbettato dinanzi a questa situazione. Preoccupata di non disturbare più di tanto l’orso russo, fornitore principale di gas di molte nazioni europee come Austria, Germania, Olanda e Italia, e forse impegnata da promesse fatte ai russi dopo la caduta del muro di Berlino, ma mai ufficializzate, di non espansione della Nato a Est, non ha mai affrontato con chiarezza la questione ucraina, riempiendo di buone parole e forse anche qui di qualche promessa non ufficiale la giovane nazione, ma alla fine lasciandola sempre nel limbo tra Occidente e Oriente.
    L’ambiguità ha riguardato anche il rapporto con la Russia, grande partner economico, ma anche ingombrante attore sulla scena internazionale, specie negli ultimi anni in cui Mosca ha provato a rilanciare un suo ruolo e un suo espansionismo.
    Tale ambiguità europea ha favorito la convinzione a Mosca che si potessero fare dei colpi di mano senza colpo ferire e senza gravi conseguenze, come la conquista della Crimea e l’appoggio ai separatisti del Donbass.
    Il delirio solitario di Putin, avvolto nella narrazione di una grande madre Russia ossessionata da problemi di sicurezza e bisognosa di confermare protezioni all’intorno mediante stati cuscinetto atti ad allontanare il più possibile i missili nucleari della Nato da Mosca, ha generato mostri; in particolare ha generato l’aggressione premeditata all’Ucraina, alla sua integrità territoriale, alla sua capacità/libertà di avere delle forze armate e di autodeterminarsi, e la minaccia, rivolta all’Occidente, di usare l’arma nucleare per ritorsione alle sanzioni economiche.
    La tragedia è sotto gli occhi di tutti: una guerra che nelle intenzioni dell’aggressore doveva durare due giorni e che invece si protrae da più di una settimana, vittime civili che ormai hanno raggiunto numeri importanti anche per l’inizio dei bombardamenti sulle città, Kiev circondata dalle truppe russe, che però incontrano una feroce resistenza da parte delle forze armate ucraine, che sembrano discretamente armate e ben preparate a contenere un’invasione, e di una popolazione civile che non vuole arrendersi.
    Una guerra nel cuore dell’Europa con il rischio di un’escalation drammatica dagli esiti imprevedibili.
    L’Europa sembra finalmente aver ritrovato una sua unità di intenti: sanzioni mai così dure nei confronti della Russia, aiuti militari probabilmente tardivi, un crescendo di prese di posizione al fianco dell’Ucraina che probabilmente non serviranno a salvare il Paese.
    Una giovane nazione diventata tale a pieno titolo proprio in questa guerra, dove giovani e anziani non arretrano e vogliono combattere per la libertà della Patria fino alla fine; dove un presidente su cui si è sempre ironizzato per il suo mestiere precedente, il comico, all’offerta americana di una sua evacuazione protetta e finalizzata a creare un governo in esilio, magari in Polonia, ha risposto ‘no grazie il mio posto è qui, è qui che si fa la storia dell’Ucraina libera, fino in fondo fino alla fine’.
    Truppe speciali russe lo stanno cercando e braccando per farlo fuori ma lui, in maglietta militare e tuta mimetica, riesce ancora a parlare con il mondo chiedendo aiuto e incitando il popolo ucraino alla resistenza.
    Putin nel suo delirio ha affermato pubblicamente, come spesso fanno molti russi in colloqui privati, che l’Ucraina è un paese che non esiste e che non ha diritto di esistere. La risposta è venuta dal popolo ucraino e dalla sua resistenza sul terreno. Il solco di odio verso i russi da parte della popolazione ucraina generato da questa follia resterà indelebile per secoli, a prescindere da come vada a finire la guerra.
    Una tragedia immane, un cambio epocale della storia del mondo i cui effetti ancora non comprendiamo completamente, la necessità di una riflessione radicale sul nostro futuro di europei.
    Comodo vivere come abbiamo fatto per decenni sotto la protezione dell’ombrello Usa; comodo non avere giovani e figli impegnati in azioni e interventi militari dove si rischia la vita; comodo, e anche un po’ stupido, pensare che la libertà e la democrazia di cui godiamo siano per sempre.
    La tragedia ucraina ci dice che quel mondo è finito e che non basta fare manifestazioni con le bandiere della pace per scongiurare la guerra.
    I dittatori alla Putin valutano continuamente i rapporti di forza e spingono la baionetta fino a dove questa può affondare in un terreno morbido e senza contrasti.
    In questi ultimi trent’anni non siamo riusciti come occidentali a declinare il vecchio motto: o l’avversario lo abbracci e lo porti dalla tua parte o lo contrasti duramente con tutte le tue forze. Ambiguità, debolezze, mezze misure non servono a niente e le conseguenze purtroppo sono sotto gli occhi di tutti.

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    L’UE allestisce un hub umanitario in Romania per coordinare l’aiuto all’Ucraina, mentre continua l’avanzata russa

    Bruxelles – Arrivati all’ottavo giorno di invasione russa dell’Ucraina, la situazione nel Paese continua a peggiorare. Nella notte tra mercoledì (2 marzo) e giovedì (3 marzo) l’esercito di Mosca ha conquistato nel sud la città di Kherson, il primo grosso centro abitato dall’inizio dell’attacco, ma soprattutto in posizione strategica per l’avanzata verso i porti di Odessa e Mariupol, dove ora si aspettano le offensive da terra e da mare. I bombardamenti delle principali città ucraine, capitale Kiev compresa, continuano senza sosta, con un aggravamento della situazione sul fronte umanitario in Ucraina e alle frontiere dell’UE: secondo quanto riportato da Filippo Grandi, alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, il numero di profughi ha raggiunto il milione.
    È proprio questa una delle preoccupazioni più urgenti per l’Unione Europea – in parallelo con il sostegno totale all’Ucraina e le sanzioni alla Russia – e lo sta dimostrando con una serie di misure degli ultimi giorni. Oggi il Consiglio Affari Interni dovrebbe prendere con tutta probabilità la decisione di attivare la Direttiva europea sulla protezione temporanea, accogliendo la proposta della Commissione UE per garantire a tutte le persone in fuga dall’Ucraina lo status di rifugiati con una modalità accelerata (c’è solo il nodo, imbarazzante, dell’accoglienza ai cittadini di Paesi terzi). A questo si aggiunge la decisione di “allestire un hub di protezione umanitaria in Romania, in collaborazione con il governo”, ha annunciato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nel corso di una conferenza stampa con il presidente rumeno, Klaus Iohannis. “Proteggere le persone in fuga dalle bombe di Putin non è solo un atto di compassione in tempo di guerra, ma è un dovere morale”, ha sottolineato con forza la leader dell’esecutivo UE, ringraziando la Romania per aver finora dato accoglienza a più di 150 mila rifugiati dall’Ucraina.

    Mentre si inaspriscono in tutto il mondo le sanzioni contro Mosca a partire dal coordinamento tra UE, Stati Uniti e Gran Bretagna – il procuratore generale della Corte penale internazionale dell’Aja, Karim Khan, ha accolto la richiesta di 39 Paesi di aprire un’indagine per crimini di guerra nei confronti dell’establishment russo per l’occupazione dell’Ucraina. Il focus principale saranno le violenze sui civili e coprirà gli otto anni che vanno dall’occupazione della Crimea alla guerra civile nel Donbass, fino all’invasione del territorio ucraino.
    Nel pomeriggio si attende il secondo round dei negoziati di pace tra le delegazioni ucraina e russa (su cui le aspettative sono quasi nulle), ma il mondo ha già preso una netta posizione contro la Russia. Ieri sera è stata votata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la risoluzione che condanna l’aggressione dell’Ucraina con una maggioranza schiacciante: 141 voti a favore – tra cui anche la Serbia, tradizionale alleato di Mosca – 35 astenuti e solo 4 contrari (oltre alla Russia, anche Bielorussia, Eritra, Siria e Corea del Nord). Tra gli astenuti anche Cina e India, un segnale che, a differenza di quanto previsto dal Cremlino, gli alleati di Putin iniziano a scarseggiare e non hanno interessi a sostenerlo esplicitamente.

    Il numero di profughi dall’Ucraina ha raggiunto il milioni e l’Unione si prepara a dare assistenza a tutti quelli che stanno arrivando alle sue frontiere: “Proteggere le persone in fuga dalle bombe di Putin è un dovere morale”