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    L’urgenza di superare il blocco della Russia ai porti del Mar Nero approda al Consiglio Europeo straordinario

    Bruxelles – Al prossimo vertice straordinario, per i Ventisette c’è un imperativo: superare il blocco della Russia nei porti del Mar Nero che impedisce l’esportazione di generi alimentari dall’Ucraina. Come emerge dalla bozza delle conclusioni del Consiglio Europeo del prossimo 30-31 maggio, i leader UE dovranno affrontare con particolare urgenza l’impatto del conflitto sulla sicurezza alimentare globale e sull’accessibilità dei prezzi. Tra le prime righe del capitolo dedicato alle catene di approvvigionamento internazionali, compare non solo la “ferma” condanna del Consiglio alla “distruzione e appropriazione illegale da parte della Russia della produzione agricola in Ucraina”, ma anche l’invito urgente a Mosca a mettere fine agli ostacoli all’export di materie prime e beni alimentari, “in particolare dal porto di Odessa”.
    Come spiegano fonti diplomatiche a Bruxelles, l’Italia è tra i Paesi membri maggiormente preoccupati per le potenziali ricadute di una crisi di sicurezza alimentare globale sui Paesi del Maghreb e del Medio Oriente che già sono toccati “sensibilmente” dall’aumento dei prezzi delle materie agricole. È per questo motivo che, riferiscono le stesse fonti, l’UE si impegnerà “in tutti i modi disponibili” per adottare misure alternative per facilitare le esportazioni dall’Ucraina, non volendo e non potendo intervenire contro il blocco dei porti nel Mar Nero senza provocare un’escalation militare con la Russia. Anche per sostenere il settore agricolo ucraino in vista della stagione 2022, la bozza di conclusioni invita gli Stati membri ad accelerare i lavori sui “corridoi di solidarietà” proposti dalla Commissione, agevolando il traporto via terra e offrendo almeno un punto di riferimento a livello nazionale. Allo stesso modo sarà vagliata la possibilità di coinvolgere anche il settore privato e costituire una piattaforma per il coordinamento.
    Sul piano del coordinamento, i leader UE chiederanno una risposta internazionale “efficace”, per garantire una risposta globale alla sicurezza alimentare. Questo passerà dalla Missione di resilienza agroalimentare (FARM), che punta a contenere i livelli dei prezzi e ridurre le conseguenze sulla produzione e sull’accesso e la fornitura di cereali, ma anche attraverso il sostegno al Gruppo di risposta alle crisi globali delle Nazioni Unite, l’imminente iniziativa del G7 che istituisce un’Alleanza globale per la sicurezza alimentare (GAFS). Andrà tenuta sotto controllo anche la carenza di fertilizzanti sul mercato mondiale, su cui il Consiglio inviterà a “compiere sforzi più concertati” con i partner internazionali, per promuovere un uso più efficiente anche delle alternative.

    Al vertice dei leader UE si cercheranno soluzioni per contrastare le conseguenze della guerra in Ucraina (in particolare a Odessa) sulla sicurezza alimentare. L’Italia è preoccupata soprattutto per i Paesi del Maghreb e del Medio Oriente, già toccati “sensibilmente” dall’aumento dei prezzi

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    Al vertice dei leader UE si discuterà della “prospettiva di pace” in Ucraina. Ma rimane incrollabile il sostegno a Kiev

    Bruxelles – Dopo tre mesi di guerra russa in Ucraina l’imperativo per l’UE deve essere la pace. A pochi giorni dal Consiglio Europeo straordinario (30-31 maggio) – con ancora un Coreper (Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio) sicuro e uno in forse prima di lunedì – si intensificano i lavori sulla bozza delle conclusioni del vertice dei leader dell’Unione. Per diversi Paesi membri UE, Italia in primissima fila, la priorità è non solo supportare Kiev, ma mettere nero su bianco che la pace è l’obiettivo da perseguire in Ucraina.
    Per precisazione, fino a oggi Bruxelles non è stata impegnata in qualcosa di diverso se non garantire una via d’uscita pacifica al conflitto in corso. Né tantomeno il Consiglio metterà in discussione il “fermo impegno ad aiutare l’Ucraina a esercitare il suo diritto intrinseco all’autodifesa contro l’aggressione russa e a costruire un futuro pacifico, democratico e prospero”, come si legge nella bozza delle conclusioni. Questo sono tutte pre-condizioni perché il presidente, Volodymyr Zelensky, possa sedersi al tavolo dei negoziati con Mosca. Ciò che riferiscono fonti diplomatiche a Bruxelles è che nel documento finale che verrà firmato dai 27 leader UE “ci deve essere almeno peace perspective“, un riferimento alla prospettiva di pace in Ucraina. E la forza con cui è stato pronunciato quel “ci deve essere” ha chiarito la necessità che tutti gli strumenti messi in campo dall’Unione a supporto di Kiev abbiano “come unico obiettivo” una via d’uscita pacifica della guerra. Almeno questo è quello su cui spingerà l’Italia di Mario Draghi, dopo una settimana di lavori sul piano tecnico. Nella prima stesura delle conclusioni il riferimento non c’è, ma la parte italiana l’ha “evocato più volte”, fanno sapere le stesse fonti.
    Se l’obiettivo in Ucraina è la pace, gli strumenti messi in campo dall’UE per raggiungerla non cambiano. Non solo l’aiuto a livello umanitario e per la raccolta di prove per “sostenere l’intenso lavoro del Procuratore della Corte penale internazionale per indagare sui crimini di guerra” dell’esercito russo, ma anche il “rafforzamento del sostegno militare attraverso l’European Peace Facility“, si legge nella bozza. Inoltre, rimane cruciale il supporto finanziario per far fronte a un”immediato bisogno di liquidità” di Kiev per il prossimo trimestre: il pacchetto complessivo accordato in sede G7 è di 15 miliardi di euro complessivi, di cui l’UE si caricherà dell’onere maggiore (9 miliardi in prestiti e sovvenzioni). E poi c’è il supporto politico, sia per quanto riguarda la domanda di adesione UE dell’Ucraina (così come di Georgia e Repubblica di Moldova) – anche se il Consiglio “tornerà sull’argomento nella riunione di giugno”, in attesa dei pareri formali della Commissione UE – sia sul fronte del contrasto della disinformazione, della destabilizzazione informatica e dell’elusione delle sanzioni.
    A proposito di pace e difesa, la guerra in Ucraina ha causato un “cambiamento importante” nell’ambiente strategico dell’UE in materia di sicurezza, mette in evidenza la bozza di conclusioni. I 27 leader dell’Unione vogliono attuare “con determinazione” la Bussola strategica 2030, rafforzando i partenariati strategici e aumentando la capacità di sicurezza e di difesa attraverso “maggiori e migliori investimenti, concentrandosi sulle carenze strategiche individuate”. Si fa riferimento al joint procurement (gli appalti comuni) proposto dalla Commissione, anche se su questo punto specifico l’Italia è sì favorevole, ma con il freno a mano tirato. Le fonti diplomatiche specificano che il governo auspica una razionalizzazione della spesa militare, ma non un’imposizione alla chiusura della collaborazione con partner terzi. In altre parole, spesa comune europea, ma dove possibile, e soprattutto vanno definiti meglio i parametri degli appalti comuni. La posizione non è fredda, ma “tiepida”, anche considerata la portata storica di una proposta che potrebbe condurre l’Unione verso una maggiore integrazione su una delle maggiori prerogative degli Stati membri: difesa ed esercito.

    Fonti diplomatiche a Bruxelles riportano che nelle conclusioni del Consiglio UE del 30-31 maggio “ci deve essere” il riferimento a chiare lettere alla risoluzione pacifica del conflitto in corso, su cui spinge l’Italia. Ma al momento non compare nella bozza del testo

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    La Finlandia sulla strada della NATO: “Non è vero che siamo neutrali. Ma serve una riflessione sui tempi dell’adesione”

    Bruxelles – Un processo che sembra apparentemente irreversibile. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, la Finlandia si sta spingendo sulla strada dell’adesione all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO), una decisione che sarebbe epocale, ancor più se accompagnata dall’allineamento anche della vicina Svezia, e che fino a due mesi fa non sembrava nemmeno lontanamente plausibile. Per la prima volta dal secondo dopoguerra a oggi Helsinki potrebbe abbandonare il tradizionale non allineamento militare, che emergerà con più certezza dal confronto tra le forze politiche attualmente in corso all’Eduskunta (il Parlamento monocamerale) sul rapporto strategico sulla sicurezza del Paese, presentato due settimane fa dall’esecutivo guidato da Sanna Marin.
    Un dibattito che si imposta su un cambiamento di percezione del pericolo russo e di priorità sulle questioni della difesa da parte dei cittadini finlandesi e sulle riflessioni sul breve e medio periodo da parte del mondo accademico. Come confermato a Eunews da Juha Jokela, direttore del programma di ricerca sull’Unione Europea al Finnish Institute of International Affairs, nel corso di un’intervista sul bivio presente per la storia del Paese e sugli scenari futuri di una possibile adesione della Finlandia – e della Svezia – sullo scacchiere geopolitico baltico ed europeo.
    Eunews: Dottor Jokela, che idea si è fatto della svolta finlandese sulla questione NATO?
    Jokela: “Prima di tutto bisogna puntualizzare che non è corretto parlare di neutralità della Finlandia, come leggo spesso sugli organi di informazione. Piuttosto possiamo dire che non siamo schierati militarmente, anche se ci siamo legati all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord con una cooperazione rafforzata e da decenni va avanti la politica di approfondimento dei rapporti con i partner. La Finlandia ha sempre concepito l’opzione di aderire alla NATO, se lo scenario internazionale di sicurezza fosse cambiato. E ora, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, vediamo chiaramente questa possibilità, ecco perché è possibile affrontare questo discorso a livello di dibattito pubblico nazionale”.
    E: A proposito, come viene percepita dalla popolazione questa possibile scelta?
    J: “Quello a cui stiamo assistendo è un vero cambiamento di posizione proprio a partire dalla popolazione finlandese, tra il prima e il dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Normalmente il supporto nei confronti della NATO si attestava attorno al 20 per cento dei cittadini, ma, secondo quanto emerge dai sondaggi, dopo due giorni dall’invasione russa è salito al 50 e ora è tra il 60 e il 70 per cento. La popolazione si sta interrogando ed esprimendo sulla questione, adesso è arrivato il momento della scelta della sfera politica, a livello governativo, parlamentare e presidenziale”.
    E: Proprio ora al Parlamento è in corso il dibattito tra le forze politiche. Cosa si aspetta ne possa emergere?
    J: “L’unica potenziale discussione non è tanto se aderire alla NATO, quanto piuttosto se questo processo si stia sviluppando troppo rapidamente. Dobbiamo considerare seriamente le conseguenze sul piano della sicurezza, i pro e i contro di questa scelta sugli affari esteri del Paese. Il dibattito in Parlamento è stato voluto dall’esecutivo stesso per avere l’appoggio del potere legislativo sulla scelta, il white paper del governo non offre nessun suggerimento sulla politica da adottare proprio perché chiede una riflessione aperta tra partiti e deputati. Penso che un accordo sull’opinione del Parlamento sia una questione di settimane, non di mesi, e poi sarà affidata la decisione finale al governo e al presidente”.
    Da sinistra: la prima ministra della Svezia, Magdalena Andersson, e della Finlandia, Sanna Marin (Stoccolma, 13 aprile 2022)
    E: In caso di richiesta di adesione alla NATO da parte della Finlandia, quanto è probabile che la Svezia faccia altrettanto?
    J: “È evidente che la tensione militare in atto, iniziata già nel 2014, ha cambiato gli scenari di sicurezza per tutta la penisola scandinava. In questo periodo si sono strette le relazioni bilaterali tra Svezia e Finlandia in materia di difesa, con una cooperazione intensa anche sulla questione NATO. Proprio per il forte legame che si è creato, i due Paesi hanno canali diplomatici diretti per evitare che un cambiamento improvviso di posizioni di un partner vada a destabilizzare l’altro. Basti solo ricordare che quando a inizio marzo il presidente della Finlandia, Sauli Niinistö, è stato ospite dell’omologo statunitense, Joe Biden, durante l’incontro c’è stata una telefonata anche con la prima ministra svedese, Magdalena Andersson. Questa relazione riflette l’importanza strategica della stabilità nel Baltico, che ha un impatto anche su quella della regione artica, e nonostante Finlandia e Svezia stiano pensando alle proprie questioni di sicurezza nazionale, la loro decisione avrà un impatto significativo sullo scacchiere di tutta l’Europa”.
    E: È preoccupato per una possibile reazione dura da parte della Russia? Cosa rischiano Finlandia ed Europa?
    J: “Da un certo punto di vista, Helsinki è preparata per una minaccia militare diretta, già vediamo movimenti di truppe russe lungo il confine con la Finlandia, lungo 1.340 chilometri. Ma siamo più preoccupati per l’area grigia di un conflitto che contempli minacce ibride, come gli attacchi informatici, o l’invio forzato di persone ai confini. Evidentemente, ci sono implicazioni dirette su una possibile escalation di tensione con la Russia, ma l’eventuale decisione di aderire alla NATO è uno strumento legittimo di cooperazione con gli alleati transatlantici contro l’approccio aggressivo della Russia. Perché se è vero che non siamo neutrali, ma solo militarmente non schierati e già radicati nell’Alleanza, non va nemmeno dimenticato che nel caso di aggressione esterna per noi non si applica l’articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico. Quello che afferma che un attacco contro un alleato è un attacco contro ogni componente dell’Alleanza”.

    Intervista a Juha Jokela, direttore del programma di ricerca sull’UE al Finnish Institute of International Affairs. “Stiamo assistendo a un cambiamento di posizione a partire dai cittadini. Ma la politica deve considerare seriamente le conseguenze sul piano della sicurezza del Paese”

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    La Commissione Europea apre alla confisca dei beni degli oligarchi russi implicati in attività criminali

    Bruxelles – Non solo il congelamento, si apre anche la strada della confisca dei beni degli oligarchi russi vicini al regime di Vladimir Putin. “Se vengono accertate attività criminali legate a quella persona colpita dalle nostre sanzioni, è possibile non solo operare con un congelamento degli asset, ma mettere in atto una confisca“, ha messo in chiaro il commissario europeo per la Giustizia, Didier Reynders, nel corso dell’evento EU IDEA organizzato in collaborazione con Eunews. “Se le autorità nazionali vanno in questa direzione, chiediamo agli Stati membri di mettere i soldi ricavati in un fondo fiduciario per l’Ucraina, in modo da restituire il denaro alle vittime”.
    La strada della confisca dei beni degli oligarchi russi colpiti dai cinque pacchetti di sanzioni UE e implicati in attività criminali potrebbe risolvere uno dei problemi indiretti per i 27 Paesi membri dell’Unione Europea: le spese per il mantenimento degli stessi beni sequestrati, che attualmente sono solo congelati. Tecnicamente non si può parlare né di sequestro (misura cautelare attuata nelle fasi di indagine su un reato) né di confisca (pena definitiva comminata con una sentenza di condanna) dei beni, perché per il momento non esistono azioni penali nei confronti degli oligarchi russi.

    Quello che viene utilizzato è invece uno strumento di tipo economico: i beni congelati non possono essere messi all’asta o assegnati ad associazioni, ma rimangono proprietà degli oligarchi sanzionati. In altre parole, non possono essere utilizzati, ma rappresentano un costo per le finanze dello Stato. In Italia, secondo quanto stabilito dal decreto legislativo 109, la custodia, amministrazione e gestione delle risorse economiche “oggetto di congelamento” spettano all’Agenzia del demanio, che deve pagare tutte le spese legate a un bene sottoposto a questo strumento economico. Per esempio, i costi di mantenimento di una villa o di uno yacht, con tutti gli annessi: l’Agenzia del demanio può utilizzare eventuali utili prodotti dal bene, ma in caso contrario attinge a un fondo apposito del bilancio statale. Quando il bene viene ‘scongelato’ e restituito, il proprietario deve risarcire lo Stato italiano per tutte le spese sostenute.
    La confisca dei beni degli oligarchi russi implicati in attività criminali potrebbe risolvere da una parte la questione delle ingenti spese sostenute dai Ventisette per il mantenimento dei congelamenti, mentre dall’altra potrebbe avere un impatto significativo sul sostegno dell’UE all’Ucraina con un fondo fiduciario apposito. A sostenere l’azione di indagine delle autorità nazionali per “esplorare i legami tra i beni appartenenti a persone elencate nel regime di sanzioni e possibili attività criminali” – come affermato dal commissario Reynders – interverrà la task force Freeze and Seize istituita a marzo dalla Commissione Europea: “L’unità operativa sta sostenendo gli Stati membri sulla necessità di garantire l’applicazione delle sanzioni dell’Unione contro gli individui e le società russe”, ha ricordato il commissario europeo per la Giustizia. Ora per Bruxelles è arrivato il momento di fare di più.

    Lo ha affermato il responsabile per la Giustizia, Didier Reynders, durante un evento organizzato in collaborazione con Eunews: “Dopo il congelamento, se si arriva alla confisca chiediamo ai Paesi membri di destinare i soldi ricavati a un fondo fiduciario per le vittime ucraine”

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    “UE e Stati Uniti alleati strategici”, la guerra in Ucraina rinsalda ancora di più l’alleanza transatlantica

    Bruxelles – “Unione europea e Stati Uniti sono alleati strategici, non solo di fronte alla guerra in corso in Ucraina”. Valdis Dombrovskis sembra offrire esternazioni già sentite, ma non sono banali. E’ un chiaro messaggio a Mosca, all’aggressore russo. Il commissario per il Commercio vuole fare sapere, una volta di più, che la Russia è isolata, e che la comunità internazionale è unita contro il Cremlino e i suoi giochi di guerra. Non a caso fa riferimento alla coalizione globale. “UE e mondo democratico occidentale devono continuare a lavorare assieme per mettere pressione” all’autocrate russo.
    L’occasione per gettare questo guanto di sfida è l’incontro bilaterale con la rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti, Katherine Tai. Anche quest’ultima vuole sottolineare la natura di alleati strategici. Inizia la conferenza stampa convocata per l’occasione sottolineando come tra le tante cose di cui andare fieri nei rapporti con l’altra sponda dell’Atlantico, c’è la risposta alle azioni belliche di Mosca. “Ciò di cui dobbiamo essere orgogliosi è il modo in cui Unione europea e Stati Uniti hanno lavorato insieme, il grado di rapidità di adozione delle sanzioni, la loro durezza”.
    UE e USA mai così uniti, anche questo è un risultato delle mosse del signore di Russia. Da Washington arriva un messaggio chiaro, che sintetizza l’esponente dell’amministrazione Biden. “La nostra partnership è davvero forte”, scandisce Tai. Che quindi aggiunge: “Continueremo a lavorare per un ordine economico che rifletta i nostri valori”. Che non sono quelli della Russia di Vladimir Putin.

    I responsabili per il Commercio di entrambe le parti, Valdis Dombrovskis e Katherine Tai, convocano una conferenza stampa utile per mandare un messaggio chiaro a Mosca. “La nostra partnership è davvero forte”

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    Ucraina, Papa riceve Orban in Vaticano: Grazie per accoglienza profughi

    Città del Vaticano – Quaranta minuti, tanto dura il faccia a faccia tra Papa Francesco e Viktor Orban in Vaticano. “Dio la benedica, benedica la sua famiglia e l’Ungheria”, lo accoglie il Pontefice, parlando in inglese. “Noi la aspettiamo”, la replica del premier. Quando le porte dello studio si riaprono, i volti sono distesi. Nello scambio dei doni, davanti al medaglione di San Martino, Papa Francesco ringrazia Orban per l’accoglienza assicurata dal Paese ai profughi ucraini. Il dono è ricorrente, mostra il santo Padre cedere parte del mantello a un bisognoso.
    Dall’inizio della guerra in Ucraina, l’Ungheria ha accolto quasi 626mila profughi di cui, fa sapere il portavoce del governo, finora hanno chiesto protezione umanitaria in 17mila, altri 100mila hanno richiesto permesso di soggiorno temporaneo mensile.
    Sono trascorsi sette mesi dal loro ultimo incontro, a Budapest. Una tappa di poche ore del Pontefice, per chiudere il 52esimo congresso eucaristico internazionale, il 12 settembre scorso. Questa è la prima visita ufficiale all’estero del capo del governo magiaro, dopo le elezioni del 3 aprile che lo hanno riconfermato alla guida del Paese per il quarto mandato consecutivo. E’ anche l’occasione in cui il premier invita Francesco ufficialmente in Ungheria.
    Oltre al medaglione, il Papa regala ad Orban i volumi dei documenti papali, il messaggio per la Pace di quest’anno, il Documento sulla Fratellanza Umana e il libro sulla Statio Orbis del 27 marzo 2020, a cura della Lev. Orban ricambia con due libri, di e su Bela Bartok, compositore ungherese ed esperto di musica, una raccolta di cd di musica lirica, un volume del 1750 con l’Ufficio delle Ore per la Settimana Santa, in inglese e latino. Nessun incontro con la Segreteria di Stato, come avviene di consueto. Tramite il portavoce Zoltan Kovacs, il primo ministro, a margine dell’incontro fa sapere di aver chiesto a Papa Francesco di “sostenere i nostri sforzi per la pace”.
    Oggi la Santa Sede e il Papa si uniscono all’appello dell’Onu per una tregua in vista della Pasqua che, secondo il calendario giuliano, si celebra il 24 aprile prossimo. “Nulla è impossibile a Dio” scrive il Vaticano. L’iniziativa è promossa dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, d’accordo con Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa Greco-Cattolica Ucraina. Anche Papa Francesco, nella Domenica delle Palme, aveva chiesto una tregua pasquale per arrivare alla pace. “La popolazione intrappolata in zone di guerra sia evacuata e sia presto ristabilita la pace”, è l’invocazione nel testo della Santa Sede, che si rivolge a chi ha la responsabilità delle Nazioni perché si ascolti “il grido di pace della gente”.

    Il premier ungherese invita il Papa e chiede a Francesco di sostenere gli sforzi per la pace

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    Michel: “Adesione Ucraina all’ordine del giorno da metà giugno”

    Bruxelles – Ribadisce che “presto o tardi colpiremo il petrolio e il gas russi“, ma soprattutto garantisce che la questione dell’adesione ucraina sarà all’ordine del giorno presto, da metà giugno, termine entro il quale la Commissione europea intende produrre il suo parere. Charles Michel viene incontro alle richieste di Volodymyr Zelenskyy. Il presidente del Consiglio europeo rassicura il presidente dell’Ucraina, dopo l’incontro di Kiev servito a riaffermare la vicinanza tra Bruxelles e Kiev. Non sarà facile, ma la rotta appare segnata. L’aggressione russa dell’Ucraina sta portando il blocco dei Ventisette laddove sembrava impossibile, e sulla scia di questo Michel si sente di lasciarsi andare a dichiarazioni che fin qui non rispecchiano le intenzioni politiche di tutti gli Stati membri, divise sui dossier più scottanti.
    “Ci sono diverse sensibilità attorno al tavolo, ma avverto un forte sostegno” all’ingresso dell’Ucraina nella famiglia a dodici stelle, scandisce Michel, che si impegna a tenere alto il dibattito. “E’ mia responsabilità decidere quanto mettere il punto all’ordine del giorno”, e questo avverrà non appena l’esecutivo comunitario avrà sciolte le riserve sulle risposte fornite dal governo di Kiev.
    Di fronte a Zelensky che chiede un sesto pacchetto di sanzioni con “embargo totale” delle risorse energetiche che gli europei continuano a comprare e pagare a Mosca, perché “altrimenti si tratterebbe di un pacchetto incompleto”, Michel rilancia con forza un dibattito tutto a dodici stelle che continuerà. La Commissione UE ragiona a strette sul greggio, ma il gas per ora è lasciato fuori. Lo sanno gli ucraini, lo sanno gli addetti ai lavori europei. Per questo la promessa di Michel non può andare oltre i tentennamenti che agitano gli Stati membri. Zelensky ha capito che serve pazienza. “Sembrava che la Germania non volesse introdurre un embargo al carbone, ora sembra che la Germania sia per quello al petrolio”.
    In attesa di sanzioni in fase di definizione e del dibattito sul futuro del Paese in ottica di adesione ucraina, per cui Zelensky dice di attendersi “il sostegno degli Stati membri e del presidente Michel”, il presidente ucraina torna a chiedere il sostegno economico. “Abbiamo bisogno di iniziare a ricostruire dopo che avremo vinto la guerra“. L’UE già lavora alla conferenza internazionale dei donatori. Inoltre c’è la difesa militare. Servono soldi per acquistare “le armi di cui abbiamo bisogno e che non abbiamo”. Tutte richieste su cui Michel ha dato rassicurazioni. “Faremo di tutto per sostenere l’Ucraina”, altra promessa solenna di Michel. Ora Kiev attende l’Europa alla prova dei fatti.

    Il presidente del Consiglio europeo rassicura Zelensky anche su sanzioni e sostegno economico. “Faremo di tutto per aiutare”

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    Vaticano-Ungheria, domani Orban da Papa Francesco: prima visita ufficiale all’estero dopo le elezioni

    Città del Vaticano – Sullo sfondo del conflitto in Ucraina e del dramma di milioni di profughi sfollati in Europa, domani alle 11 il premier ungherese Viktor Orban farà tappa in Vaticano. Incontrerà Papa Francesco per la seconda volta, anche se sarà la sua prima visita ufficiale alla Santa Sede.
    Ad annunciarlo è Zoltan Kovacs, portavoce del primo ministro, su Twitter, ricordando come questa sia la prima visita ufficiale all’estero di Orban dopo la vittoria delle elezioni lo scorso 3 aprile, il suo quarto mandato.
    Jorge Bergoglio e Orban si sono già incontrati a Budapest, dove il Papa ha trascorso qualche ora per chiudere il 52esimo congresso eucaristico internazionale il 12 settembre scorso, mentre si dirigeva in Slovacchia. Potrebbe far ritorno in Ungheria a settembre prossimo, in visita ufficiale, unendo la tappa al viaggio apostolico in Kazakhstan.
    Nel 2021, in molti hanno accostato il veloce incontro, a cinque, con il premier sovranista ungherese nel museo delle Belle Arti di Budapest con la visita ufficiale e i picchetti d’onore, fatta nel palazzo presidenziale di Bratislava per incontrare la presidente della Repubblica europeista Zuzana Caputova. Una differenza di forma e sostanza che non è passata inosservata.
    Con Orban e il Papa, nell’incontro erano presenti anche il presidente Janos Ader, il segretario di Stato della Santa Sede, Pietro Parolin, e il ministro degli Esteri vaticano, Paul Gallagher. Di migranti Bergoglio parlò soltanto nell’incontro privato con i vescovi del Paese: “Vogliamo che il fiume del Vangelo raggiunga la vita delle persone, facendo germogliare anche qui in Ungheria una società più fraterna e solidale, abbiamo bisogno che la Chiesa costruisca nuovi ponti di dialogo”. Chiese loro di mostrare sempre “il volto vero della Chiesa”: “È madre! Un volto accogliente verso tutti, anche verso chi proviene da fuori, un volto fraterno, aperto al dialogo”.  “Ho chiesto a Papa Francesco di non lasciare che l’Ungheria cristiana perisca”, aveva annunciato su Facebook il premier ungherese. La replica pubblica del Papa arrivò più tardi, in Slovacchia, durante l’incontro ecumenico nella nunziatura di Bratislava. Ritrovare le radici cristiane è importante, aveva ricordato ma chiedendosi: “Come possiamo auspicare un’Europa che ritrovi le proprie radici cristiane se siamo noi per primi sradicati dalla piena comunione?”. È difficile, aveva spiegato Francesco, “esigere un’Europa più fecondata dal Vangelo senza preoccuparsi del fatto che non siamo ancora pienamente uniti tra noi nel continente e senza avere cura gli uni degli altri. Calcoli di convenienza, ragioni storiche e legami politici non possono essere ostacoli irremovibili sul nostro cammino”. Parole che potranno tornargli utili nel nuovo faccia a faccia, questa volta privato, con il sovranista ungherese.

    Il Papa severo sulla posizione di Budapest circa i migranti. l premier ungherese è al suo quarto mandato, ha già incontrato il Pontefice il 12 settembre scorso