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    L’Ucraina ha ratificato la Convenzione di Istanbul contro la violenza di genere. L’UE: “Passo sul cammino europeo”

    Bruxelles – L’Ucraina intraprende passi sempre più decisi per avvicinarsi all’Unione Europea, formali e sostanziali. Con la decisione presa dalla Verchovna Rada (il Parlamento nazionale), l’Ucraina è diventata il 36esimo Paese a ratificare la Convenzione di Istanbul contro la violenza di genere. Ne ha dato notizia il profilo ufficiale dell’Assemblea su Twitter: “È una decisione storica!”

    Historical decision! #IstanbulConvention ratified!The Verkhovna Rada of #Ukraine ratified The @coe Convention on preventing and combating violence against women and domestic violence (Reg. № 0157). pic.twitter.com/52BAtMqjbD
    — Verkhovna Rada of Ukraine – Ukrainian Parliament (@ua_parliament) June 20, 2022

    Quella ratificata oggi (lunedì 20 giugno) dall’Ucraina è la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, trattato internazionale aperto alla firma dei membri del Consiglio a Istanbul l’11 maggio del 2011. Proprio la Turchia – primo Paese a ratificarla – è stata l’unica che ha revocato la propria partecipazione alla Convenzione (con un decreto firmato dal presidente, Recep Tayyip Erdoğan, nel 2021), mentre dei 27 Stati membri dell’Unione Europea, sono sei quelli che l’hanno sottoscritta ma non ratificata: Bulgaria, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria. Con 259 deputati a favore, 8 contrari, 47 astenuti e 28 schede bianche, la Verchovna Rada ha sancito che, a 11 anni dalla firma, per l’Ucraina è invece arrivato il momento di far entrare in vigore la Convenzione di Istanbul sul proprio territorio nazionale.
    (la mappa è aggiornata al 10 maggio 2022, prima della ratifica dell’Ucraina. Fonte: Consiglio d’Europa)
    “È un evento storico che ci porterà ancora più velocemente nell’Unione Europea, ringrazio i colleghi per essere rimasti fedeli ai valori europei, perché i diritti umani sono fondamentali”, ha commentato su Twitter il vicepresidente dell’Assemblea nazionale, Oleksandr Korniyenko. Parole confermate dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che, felicitandosi per la ratifica della Convenzione di Istanbul, ha riconosciuto il “continuo rafforzamento in Ucraina dei diritti umani, dell’uguaglianza di genere e della lotta contro la violenza contro le donne e la violenza domestica, nonostante le continue aggressioni della Russia”. Uno sforzo che rappresenta “un altro passo fondamentale” per il percorso del Paese verso l’Unione. Venerdì scorso (17 giugno) la Commissione ha adottato il proprio parere formale in merito alla richiesta di adesione di Kiev all’UE, raccomandando al Consiglio di garantire lo status di Paese candidato.
    “Poiché le donne e le ragazze sono particolarmente vulnerabili durante il conflitto, accolgo con grande favore l’approvazione da parte del Parlamento ucraino della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica”, ha dichiarato la segretaria generale del Consiglio d’Europa, Marija Pejčinović Burić, in una nota. Congratulandosi con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e con i membri della Verchovna Rada per “aver dimostrato, ancora una volta, leadership e coraggio, e per aver dato seguito alle nostre precedenti discussioni su questo tema”, la segretaria generale Pejčinović Burić ha sottolineato che quello intrapreso da Kiev è “un enorme passo avanti nella protezione delle donne e delle ragazze da ogni forma di violenza, sia in Ucraina sia all’estero”.

    My statement @coe on Ukrainian Parliament’s approval of the Istanbul Convention ⁦@CoE_endVAW⁩ / Ma déclaration @coe_fr sur l’approbation par le Parlement ukrainien de la Convention d’Istanbul @CoE_endVAW ⁦@UKRinCoE⁩ https://t.co/P6FqztqGSr
    — Marija Pejčinović Burić (@MarijaPBuric) June 20, 2022

    Con la ratifica della Verchovna Rada (Parlamento nazionale), il Paese è diventato il 36esimo a ratificare la Convenzione del Consiglio d’Europa del 2011. Congratulazioni dall’alto rappresentante Borrell, mentre Kiev esulta per “un evento storico che ci porterà nell’Unione più velocemente”

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    L’UE cerca una risposta coordinata alla crisi alimentare globale: “Usare fame come arma è crimine contro umanità”

    Bruxelles – “Un crimine contro l’umanità”. Non usa giri di parole l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, parlando dell’utilizzo da parte del Cremlino della “fame globale come arma” politica e bellica per vincere la guerra in Ucraina. A margine di un Consiglio Affari Esteri che ha avuto come punto centrale in agenda la questione dell’insicurezza alimentare determinata dall’aggressione militare russa contro Kiev, l’alto rappresentante Borrell ha avvertito Mosca che “sarà ritenuta responsabile” di tale crimine: “Non è immaginabile che milioni di tonnellate di grano rimangano bloccate, mentre nel resto del mondo le persone muoiono di fame”.
    Ma i Ventisette non rimangono a guardare e durante il Consiglio Affari Esteri hanno delineato una strategia in quattro azioni per contrastare l’insicurezza alimentare globale, una sfida “senza precedenti” che rappresenta una delle molteplici conseguenze “disastrose” dell’invasione militare russa dell’Ucraina: una guerra che parte dal blocco del grano nei porti del Mar Nero e arriva in tutto il mondo, in particolare nelle regioni più a rischio di carestie e crisi alimentari. La risposta coordinata a livello Team Europe partirà dal fornire “solidarietà attraverso gli aiuti di emergenza e il sostegno all’accessibilità economica” per i Paesi più vulnerabili e sarà accompagnata dalla promozione della “produzione sostenibile, la resilienza e la trasformazione del sistema alimentare” in loco. Di cruciale importanza è anche la facilitazione degli scambi commerciali, “aiutando l’Ucraina a esportare prodotti agricoli attraverso diverse rotte e sostenendo il commercio globale”, oltre al “multilateralismo efficace” a sostegno del Gruppo di risposta alle crisi delle Nazioni Unite, “per coordinare gli sforzi globali”.
    A livello UE si tenta così di percorrere una strada “reattiva, responsabile e affidabile” a sostegno dei partner colpiti dalla drastica riduzione di esportazioni di grano e cereali dall’Ucraina. La risposta della squadra europea contrasta un’insicurezza alimentare la cui responsabilità è tutta del Cremlino: “Le truppe russe bombardano e occupano i terreni coltivabili dell’Ucraina, distruggendo aziende agricole, strutture di stoccaggio e di lavorazione degli alimenti, attrezzature e infrastrutture di trasporto”, si legge nelle conclusioni del Consiglio. I 27 ministri UE hanno ricordato che “non ci sono sanzioni sulle esportazioni russe di prodotti alimentari“, dal momento in cui le misure restrittive sono state “specificamente concepite” per non colpire i prodotti alimentari e agricoli: “Non vietano l’importazione, il trasporto, il pagamento o la fornitura di sementi” da parte di Paesi terzi, “ma si limitano a colpire le persone e le entità sanzionate”, è la precisazione contenuta nel documento.
    Al netto delle preoccupazioni e degli attacchi frontali contro il Cremlino, l’alto rappresentante UE Borrell si è detto “sicuro” che “alla fine le Nazioni Unite riusciranno a trovare un accordo per sbloccare il grano in Ucraina“. Mentre ai governi dell’Unione Africana è stata inviata “una lettera per spiegare nel dettaglio cosa è permesso fare e cosa no secondo il regime di sanzioni internazionali”, il rischio di “una grande carestia nel mondo, soprattutto nel continente africano” è stato sottolineato con preoccupazione anche dalla ministra degli Esteri francese e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Catherine Colonna: “Esortiamo la Russia a smettere di giocare con la fame del mondo e a cessare il blocco dei porti ucraini”, ha affermato a margine del Consiglio.

    Al Consiglio Affari Esteri i Ventisette hanno delineato una strategia in quattro azioni per contrastare il rischio di carestie nei Paesi più vulnerabili. L’alto rappresentante Borrell attacca il Cremlino: “Milioni di tonnellate di grano non rimangano bloccate, mentre le persone muoiono”

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    Ucraina e Rule of Law: come cambiano gli equilibri nell’Unione

    L’invasione russa in Ucraina supera i cento giorni e le priorità europee cambiano di conseguenza. L’Unione sembra infatti aver premuto il tasto pausa su vari punti della sua agenda politica, al fine di concentrare tutte le sue forze nella ricerca di una risposta coordinata e unitaria a sostegno del popolo ucraino.
    La tutela della Rule of Law nell’Unione europea
    Sono sotto gli occhi tutti, da diversi anni, le dinamiche regressive che caratterizzano le politiche di alcuni Stati membri dell’Unione circa la protezione dello Stato di Diritto. L’Ungheria, in particolare, ha già da tempo introdotto una serie di misure volte all’instaurazione di un regime illiberale, concretizzatesi attraverso la repressione, su larga scala, della libertà di stampa, delle prerogative delle opposizioni e dei diritti delle minoranze. La Polonia, al contempo, ha posto in essere numerose riforme che minacciano l’indipendenza del potere giudiziario – e, di conseguenza, il principio della separazione dei poteri. Quest’ultimo, ideato espressamente per proteggere i cittadini dal rischio di arbitrarietà del potere esecutivo, costituisce uno dei capisaldi della Rule of Law su cui l’Unione si fonda. In questo contesto, inoltre, si sono spesso inserite riforme legislative ed iniziative politiche volte a ledere i diritti di persone appartenenti a minoranze, talvolta mettendo in discussione la loro stessa esistenza. Basti pensare, ad esempio, alle cosiddette “LGBT-free zones” dichiarate da numerose municipalità polacche.
    Parallelamente, sono oramai noti a tutti l’insufficienza e i limiti degli strumenti posti a disposizione delle istituzioni UE per far fronte a queste dinamiche. Le numerose procedure di infrazione attivate nei confronti di Ungheria e Polonia – nonché le conseguenti pronunce della Corte di Giustizia – sembrano infatti aver esaurito tutto il loro potenziale. E ciò non stupisce affatto, in quanto esse rappresentano uno strumento ideato per le violazioni tecnico-giuridiche, e non per rispondere a problematiche politiche di carattere sistemico. Il meccanismo di cui all’articolo 7 TUE (che, in breve, permetterebbe al Consiglio di imporre sanzioni politiche ad uno Stato membro in caso di violazioni costanti e persistenti dello Stato di Diritto) è stato attivato sia nei confronti della Polonia che dell’Ungheria, nel 2017 e nel 2018 rispettivamente. La concreta imposizione delle sanzioni, tuttavia, continua a rimanere bloccata dal requisito dell’unanimità.
    Infine, uno strumento nuovo e ulteriore è rappresentato dal Regolamento 2020/1092 (c.d. “Meccanismo di condizionalità”), il quale consente all’Unione di sospendere l’erogazione di fondi derivanti dal proprio bilancio ad un Paese che ponga in essere violazioni della Rule of Law idonee a compromettere la sana gestione finanziaria del bilancio UE. Tale meccanismo, peraltro recentemente attivato nei confronti dell’Ungheria, costituisce sicuramente un nuovo asset a disposizione dell’Unione; le sue potenzialità, tuttavia, sembrano limitate difronte al processo di regressione sistemica che caratterizza i due Stati membri.
    Lo scoppio della guerra in Ucraina: cambio di passo?
    Al di là dell’inefficienza degli strumenti europei posti a tutela dello Stato di Diritto, una cosa, almeno fino ad ora, è sempre stata chiara: la posizione delle istituzioni UE. Il Parlamento europeo, in questo contesto, è intervenuto nel dibattito adottando numerose Risoluzioni, con le quali ha espressamente e costantemente condannato le dinamiche regressive che caratterizzano Polonia e Ungheria. La Commissione, al contempo, ha (quasi) sempre mantenuto una posizione analoga, spesso anche ricorrendo all’utilizzo di strumenti atipici. Peraltro, è proprio questa istituzione ad aver recentemente attivato il meccanismo di cui al Regolamento 2020/2092 contro l’Ungheria, nonostante le reticenze iniziali.
    Ciononostante, questo paradigma appare oggi decisamente cambiato. La drammatica invasione russa dell’Ucraina, come accennato, ha influenzato notevolmente l’agenda politica dell’Unione e dei suoi Stati membri. Tra i vari temi che tale situazione ha (legittimamente) sollevato, vi è quello relativo all’accoglienza di rifugiati ucraini nel territorio di tutti gli Stati membri UE. Nonostante l’impegno congiunto dei 27, tale accoglienza – in un’ottica quantitativa – non ha riguardato tutti allo stesso modo. Alcuni Paesi, soprattutto a causa della loro posizione geografica, sono stati chiamati ad uno sforzo decisamente maggiore. Tra questi figurano, in particolare, Polonia e Ungheria. Stando ai dati più recenti, infatti, si stima che la prima stia accogliendo oltre 2,7 milioni di cittadini ucraini in fuga, contro i 454 mila della seconda.
    Un tale (s)bilanciamento, come ci si aspettava, è tutt’altro che privo di effetti sugli equilibri interni all’Unione europea, la quale rappresenta un’entità soggetta a geometrie politiche idonee a mutare continuamente. Tale mutevolezza è dovuta anche e soprattutto alla “struttura ibrida” dell’Unione, spesso caratterizzata da procedure e regole di voto altamente complesse, le quali richiedono una continua interazione tra attori puramente sovranazionali (quali il Parlamento e la Commissione) e governi degli Stati membri.
    In ogni caso, l’emblema di questo cambio di passo è rappresentato dall’approvazione, avvenuta lo scorso 1° giugno, del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) presentato dalla Polonia nell’ambito del programma Next Generation EU. La non ancora avvenuta approvazione del piano polacco, fino a pochi giorni fa, è sempre stata ricollegata ai numerosi dubbi relativi al rispetto dei valori UE da parte del Paese. L’attivismo polacco nell’ambito dell’accoglienza europea di rifugiati ucraini, tuttavia, sembra aver ribaltato questo paradigma, inducendo la Commissione a chiudere un occhio (o forse due!) sul rispetto dei valori sui quali l’Unione europea si fonda. Il non aver (ancora?) riservato lo stesso trattamento all’Ungheria, probabilmente, sembra legato a tre fattori principali: a) il numero più modesto di rifugiati ucraini accolti; b) le violazioni, decisamente più gravi e diffuse, della Rule of Law; c) il rischio, per la Commissione, di entrare in contraddizione con la propria azione, vista la recente attivazione del “meccanismo di condizionalità” contro l’Ungheria.
    Risulta spontaneo chiedersi, in conclusione, quale sarà l’impatto futuro di queste dinamiche. È vero, da un lato, che ciascun Stato membro dispone di un potere di veto – e che, di conseguenza, alcune concessioni si rendono necessarie al fine di superare eventuali blocchi decisionali; è altrettanto vera, dall’altro, la consapevolezza per cui l’Ucraina non sta semplicemente difendendo sé stessa. Essa sta difendendo, come è spesso stato correttamente sottolineato, tutti i valori sui quali l’Europa unita si fonda – dallo Stato di Diritto all’autodeterminazione dei popoli. Fino a che punto, dunque, siamo disposti a chiudere un occhio sul rispetto di questi valori da parte di Stati che sono già membri dell’Unione europea?

    Questo contributo è stato pubblicato nell’ambito di “Parliamo di Europa”, un progetto lanciato da
    Eunews per dare spazio, senza pregiudizi, a tutti i suoi lettori e non necessariamente riflette la
    linea editoriale della testata.

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    Ucraina e Moldova “meritano lo status di Paesi candidati all’adesione UE”. Per la Georgia serve un’attenta valutazione

    Bruxelles – Giacca gialla e camicia azzurra, i colori della bandiera ucraina. Che il 17 giugno rappresenti una data decisiva per il processo di allargamento dell’Unione Europea lo si capisce già dall’abbigliamento scelto dalla presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, per presentare i pareri formali dell’esecutivo comunitario sul conferimento dello status di Paese candidato di adesione all’UE: Ucraina e Repubblica di Moldova subito, Georgia dopo “un’attenta valutazione”. A soli cento giorni dal via libera degli ambasciatori dei Ventisette, il gabinetto von der Leyen ha affidato al Consiglio il compito di decidere (all’unanimità) come e secondo quali tappe dovrà procedere il processo che in prospettiva potrebbe portare nell’Unione tre nuovi membri. A Kiev e Chișinău dovrebbe essere garantito subito lo status di Paese candidato, mentre Tbilisi dovrà lavorare su una serie di priorità, ma con il riconoscimento della prospettiva europea.
    Il collegio dei commissari riunito il 17 giugno 2022 per deliberare i pareri formali sulle richieste di adesione UE di Ucraina, Moldova e Georgia
    “Abbiamo certificato in modo accurato i meriti di ciascun Paese che ha fatto richiesta, secondo i criteri politici, economici e di capacità di assumersi gli obblighi derivanti dall’adesione, come previsto dall’acquis comunitario”, ha esordito la presidente von der Leyen in conferenza stampa. Tutte le attenzioni sono per l’Ucraina, per cui la Commissione raccomanda la prospettiva di diventare membro dell’UE e di concedere lo status di candidato all’adesione, “a condizione che vengano compiute riforme importanti in una serie di settori”, tra cui quello giudiziario, sulla lotta alla corruzione, sulla legislazione anti-oligarchi e su quella per la tutela delle minoranze. In ogni caso, “il popolo ucraino ha dimostrato chiaramente l’aspirazione e la determinazione ad aderire ai valori e standard europei, anche prima della guerra“, ha sottolineato la leader dell’esecutivo comunitario, mettendo in risalto i punti di forza: stabilità delle istituzioni, Stato di diritto, funzionamento della pubblica amministrazione, decentralizzazione, stabilità macroeconomica e finanziaria, sistema elettorale libero ed equo. “Sì, gli ucraini meritano la prospettiva europea e di essere accolti come candidati, ora devono avere il futuro nelle proprie mani”, è stato il “chiaro messaggio” di von der Leyen.
    Il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen (17 giugno 2022)
    Come per l’Ucraina, la Commissione raccomanda al Consiglio di riconoscere alla Moldova la prospettiva di diventare membro dell’Unione e lo status di candidato all’adesione UE, sempre secondo i “meriti che devono accompagnare questo processo” soprattutto sul piano delle riforme economiche fondamentali. Nonostante le difficoltà interne per il separatismo della Transnistria, Chișinău “dispone di solide basi” su democrazia e Stato di diritto e ha registrato “progressi nel rafforzamento del settore finanziario e del contesto imprenditoriale”, che garantiscono un “sostanziale avvicinamento” alle condizioni richieste dall’ingresso nel Mercato Unico.
    Leggermente diversa è la situazione della Georgia, che ha sì “le stesse aspirazioni” di Ucraina e Moldova e “buone basi per la stabilità”, ma “sono necessarie ulteriori riforme su una lista di priorità che abbiamo evidenziato“, ha spiegato il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi: “Fine della polarizzazione politica, riforme giudiziarie, progressi sulla lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata, indipendenza dei media e sicurezza dei giornalisti”. Come ha sottolineato la presidente von der Leyen, “la porta è totalmente aperta e le tempistiche dipendono dalla Georgia“, ma per il momento la Commissione raccomanda al Consiglio di garantire solo la prospettiva di diventare membro dell’UE, fino a quando non saranno soddisfatte tutte le priorità.
    Le tappe del processo di adesione UE
    Le tre richieste per ottenere lo status di Paese candidato all’adesione UE erano arrivate tutte nel corso della prima settimana di guerra della Russia in Ucraina, tra lunedì (28 febbraio) e giovedì (3 marzo): la prima era stata l’Ucraina, seguita a ruota da Georgia e Moldova. Gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) avevano concordato quattro giorni più tardi di invitare la Commissione Europea a presentare un parere su ciascuna delle domande di adesione, da inviare poi ai leader UE. L’8 aprile a Kiev von der Leyen aveva consegnato al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, il questionario per il processo di elaborazione del parere dell’esecutivo comunitario sulla richiesta di adesione, così come aveva fatto tre giorni più tardi il commissario Várhelyi per Georgia e Moldova. “Tutti i questionari sono stati compilati autonomamente, noi abbiamo dato supporto tecnico per non perdere tempo“, ha spiegato lo stesso commissario europeo, ricordando che “abbiamo usato anche i nostri dati, senza chiedere cose che già sapevamo”.
    Ricevuta la proposta formale di candidatura all’adesione, per diventare un Paese membro dell’UE (Ucraina, Georgia e Moldova, in questo caso), è necessario superare l’esame dei criteri di Copenaghen, ovvero le basilari condizioni democratiche, economiche e politiche (istituzioni stabili, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani, economia di mercato, capacità di mantenere l’impegno). Ottenuto il parere positivo della Commissione, si può arrivare o alla firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione – un accordo bilaterale tra UE e Paese richiedente, utilizzato in particolare per i Balcani Occidentali, a cui viene offerta la prospettiva di adesione – o direttamente il conferimento dello status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio UE di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.
    Oltre alle candidature di Moldova, Georgia e Ucraina, il processo di allargamento UE coinvolge già i sei Paesi dei Balcani Occidentali – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – e la Turchia, i cui negoziati sono però cristallizzati dalla politica del presidente Erdoğan. Serbia e Montenegro stanno portando avanti i negoziati di adesione rispettivamente dal 2014 e dal 2012, mentre il pacchetto Albania-Macedonia del Nord è bloccato dal 2018 prima per il veto di Francia-Paesi Bassi-Danimarca ai danni di Tirana e poi per quello attuale della Bulgaria contro Skopje (dalla fine del 2020). La Bosnia ed Erzegovina ha fatto domanda di adesione nel 2016, mentre il Kosovo ha solo firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione.
    La situazione dello stallo del processo di allargamento nella regione sarà al centro delle discussioni del prossimo vertice UE-Balcani Occidentali, in programma a Bruxelles giovedì prossimo (23 giugno), ma nella sede della Commissione non si respira un clima positivo: “Non sono a conoscenza di quadri negoziali tra Macedonia del Nord e Bulgaria, ma solo di un blocco di cui non sono per niente soddisfatto”, ha commentato seccamente il commissario Várhelyi. Per quanto riguarda il processo della Bosnia ed Erzegovina – che sarebbe sorpassata da destra da Ucraina e Moldova – “stiamo aspettando che il Paese soddisfi le 14 priorità già presentate nella nostra opinione al Consiglio“, perché “se le rinegoziassimo, mineremmo la credibilità del processo di allargamento“, ha puntualizzato il titolare della Politica di allargamento dell’esecutivo comunitario.

    È quanto emerge dai pareri formali della Commissione UE sulle richieste di Kiev e Chișinău, che passeranno al tavolo del Consiglio Europeo. A Tbilisi dovrebbe essere garantita la prospettiva di diventare Paese membri, ma serviranno forti riforme politiche, economiche e sociali

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    Nessun negoziato di pace con la Russia finché Kiev non sarà pronta. Draghi, Macron e Scholz non tradiscono l’Ucraina

    Bruxelles – Serviva una risposta chiara a Kiev sui dubbi che nelle ultime settimane si sono sollevati rispetto agli umori di alcune capitali dell’Unione Europea per il prolungarsi della guerra in Ucraina. “Qualsiasi soluzione diplomatica non può prescindere dalla volontà di Kiev e da quello che ritiene accettabile per il suo popolo, soltanto così possiamo costruire una pace giusta e duratura”. Non potevano essere più chiari il premier italiano, Mario Draghi, il presidente francese, Emmanuel Macron, e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, durante il loro viaggio di oggi (giovedì 16 giugno) nella capitale dell’Ucraina, accompagnati anche dal presidente romeno, Klaus Ioannis.
    Nel corso della conferenza stampa congiunta con il leader ucraino, Volodymyr Zelensky, i leader europei hanno dissolto le preoccupazioni maggiori dell’opinione pubblica del Paese invaso dall’esercito russo: negoziati di pace, invio di armamenti, conferimento dello status di Paese candidato all’adesione UE. “Le modalità della pace non saranno decise che dall’Ucraina e dai suoi rappresentanti, non negozieremo mai con la Russia alle spalle di Kiev“, ha sottolineato con forza il presidente Macron, che però ha voluto precisare che “non siamo in guerra contro il popolo russo come collettività” e che gli sforzi diplomatici con Mosca – in particolare di Parigi e Berlino – sono sempre avvenuti “dopo aver informato il presidente Zelensky“. Senza dimenticare che “noi portiamo le nostre esigenze come forze europee, ma non per negoziare al posto dell’Ucraina”.

    À Kiev, solidaires du peuple ukrainien.https://t.co/H2W95AxTTw
    — Emmanuel Macron (@EmmanuelMacron) June 16, 2022

    Allargando lo sguardo, si è rasserenato anche il cielo dell’integrazione dell’Ucraina nell’UE. In attesa del parere formale della Commissione Europea – atteso per domani – i leader europei si sono recati a Kiev con “un messaggio chiaro, l’Ucraina appartiene alla famiglia europea“, ha annunciato il cancelliere Scholz. Questo significa che anche da Parigi e Berlino sarà dato il via libera allo status di Paese candidato, così come “anche per la Repubblica di Moldova“. La guerra russa “cambierà la storia dell’Europa”, gli ha fatto il presidente francese, che ha confermato la volontà da parte di tutti e quattro i Paesi rappresentati nel viaggio a Kiev di “costruire l’unanimità dei Ventisette“. Dichiarazioni che spazzano via le temute divisioni emerse dal Consiglio del mese scorso, quando il premier Draghi aveva lamentato di essere l’unico leader tra i Big 3 a sostenere la candidatura di Kiev. Dal canto suo, il presidente Zelensky ha ribadito ai quattro leader che il suo governo è “pronto a lavorare per fare dell’Ucraina un membro a pieno titolo” dell’Unione.
    Il cancelliere Scholz ha inoltre confermato che la Germania è impegnata nel sostegno militare all’Ucraina “per tutto il tempo che sarà necessario”. Parole confermate anche dal presidente francese Macron: “Fino al ritorno della pace in un’Ucraina libera e indipendente, il nostro impegno rimarrà costante”, attraverso “sostegno umanitario, economico e militare per consentire ai soldati ucraini di fare la differenza sul campo contro gli attacchi dell’esercito russo”. Per il premier Draghi la questione va oltre e riguarda anche “le atrocità commesse a Bucha e Irpin, che condanniamo senza esitazioni“, anche e soprattutto dopo la visita nelle città distrutte dalla guerra russa. Per questo motivo Macron, Scholz e Draghi sono stati chiari che i tre maggiori Paesi dell’Unione Europea sono allineati per sostenere le indagini internazionali sui crimini di guerra commessi dall’esercito di Mosca.
    Un’ultima questione urgente per Macron Scholz e Draghi è quella delle esportazioni di grano dall’Ucraina, bloccate dall’esercito e dalla marina del Cremlino nel Mar Nero. “Ci sono due settimane per sminare i porti e occorre creare corridoi sicuri con la massima urgenza per il trasporto del grano”, nello sforzo di evitare “una catastrofe che si avvicina inesorabilmente”, è stato il tetro avvertimento del premier Draghi, che ha parlato di “scadenze sempre più urgenti” in vista di consegne che a questo punto non potranno arrivare “prima della fine di settembre”.

    Nel viaggio nella capitale ucraina, i tre leader europei (insieme al presidente della Romania, Klaus Iohannis) hanno ribadito il sostegno al Paese invaso dall’esercito russo anche a livello di armamenti e sul conferimento dello status di candidato all’adesione UE

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    Il Comitato Economico e Sociale Europeo si schiera con l’Ucraina: status di candidato UE e supporto per ricostruzione

    Bruxelles – Dalla società civile si alza una voce chiara a supporto di Kiev, a una settimana esatta da un vertice dei leader UE che sarà decisivo per le prospettive di integrazione europea del Paese invaso dall’esercito russo. Con la risoluzione adottata oggi (giovedì 16 giugno), il Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE) ha messo nero su bianco le proposte concrete per fornire solidarietà all’Ucraina sul breve periodo e per guidare la ricostruzione una volta che la guerra sarà terminata. La relazione è stata co-firmata dai presidenti dei tre gruppi di lavoro del CESE: Stefano Mallia (datori di lavoro), Oliver Röpke (lavoratori) e Séamus Boland (società civile).
    “La nostra reazione è stata immediata, ma ora serve una chiara prospettiva europea, perché il nostro futuro è fortemente connesso”, ha commentato la presidente del CESE, Christa Schweng, nel corso di un colloquio con alcune testate europee, tra cui Eunews. “L’Unione Europea deve svolgere un ruolo cruciale nella ricostruzione dell’Ucraina, noi siamo determinati in questo”, a partire dal conferimento dello status di Paese candidato all’adesione UE: “Sarebbe un segnale politico, per mostrare quanto è chiara la prospettiva europea”. Come si legge nel testo della risoluzione, il 27 leader UE dovrebbero garantire all’Ucraina lo status di candidato al prossimo Consiglio del 23-24 giugno, senza che questo “vada a scapito del processo di adesione in corso dei Balcani Occidentali”. Per l’Ucraina, il Comitato Economico e Sociale Europeo vede “con favore” un sistema di “passi di integrazione graduali, basati sul rispetto dell’acquis comunitario”. In ogni caso, il conferimento dello status di candidato deve essere “incondizionato”.

    We believe that, at some point, the future of the EU🇪🇺and the future of #Ukraine🇺🇦 will become our common future.
    Therefore, we call on the @EUCouncil to give Ukraine a candidate status at its meeting next week.
    #EESCPlenary pic.twitter.com/35pQdWPjfl
    — EESC President Christa Schweng (@EESC_President) June 16, 2022

    Rimane centrale, sul breve e sul medio termine, il sostegno alle organizzazioni della società civile e alle ONG, che “possono essere genuinamente incluse nella programmazione e nel monitoraggio dell’assistenza umanitaria europea e nazionale”. Il CESE è focalizzato sulle implicazioni pratiche del supporto dei Ventisette, come ha sottolineato ai giornalisti il presidente del gruppo di lavoro sulla società civile Boland: “Grazie alle azioni portate avanti sul campo dai membri che rappresentiamo, siamo nella migliore posizione per ricordare che serve lavorare sulla ricostruzione delle comunità, delle famiglie e del tessuto sociale spezzato“. Ma questa attenzione si dovrà riflettere anche nel momento della ricostruzione, che “non dovrà dimenticare le richieste delle ONG, sottoposte a enormi pressioni”.
    A proposito di ricostruzione, l’assistenza finanziaria europea e internazionale deve “prevenire la totale distruzione dell’economia ucraina” e si dovrà rivolgere in particolare a sostegno delle piccole e medie imprese, degli agricoltori e dei lavoratori. Come sottolineato dai presidenti del gruppo datori di lavoro e dei lavoratori, “gli sforzi di ricostruzione dovranno essere guidati dall’innovazione“, con un’attenzione particolare per la transizione verde e digitale, che “sostituirà le infrastrutture post-sovietiche ormai distrutte e renderà più veloce il processo di adesione”, ha puntualizzato Mallia. Sarà però altrettanto decisivo il rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto, “per superare le difficoltà sulla partecipazione democratica e sulla corruzione che vedevamo prima della guerra“, ha ricordato Röpke. In ogni caso, come ribadito durante il punto con la stampa dai presidenti dei tre gruppi di lavoro del CESE e dalla numero uno Schweng, “nei fatti l’Ucraina è già trattata come un Paese membro, ora serve la formalità che deriva dal merito, non dalla carità dell’Unione”.

    Adottata la risoluzione co-firmata dai presidenti dei tre gruppi di lavoro del CESE (datori di lavoro, lavoratori e società civile) sulle proposte concrete per la solidarietà a Kiev. La presidente, Christa Schweng: “C’è una chiara prospettiva europea, il futuro è fortemente connesso”

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    L’Ucraina si unisce ai programmi Euratom e Horizon Europe. Dall’European Innovation Council 20 milioni per le start-up

    Bruxelles – Il supporto e l’integrazione dell’Ucraina nell’Unione Europea passano anche dalla sfera tecnologica. A partire da oggi (giovedì 9 giugno) i programmi di ricerca e formazione Horizon Europe ed Euratom sono aperti anche all’Ucraina invasa dalla Russia, e a ricercatori, innovatori, università, imprese e PMI ucraine saranno garantite le stesse opportunità di collaborare con i colleghi dell’UE per lavorare su obiettivi comuni in ambito tecnologico e digitale. A questo si aggiunge uno sforzo ulteriore, ovvero un sostegno da 20 milioni di euro complessivi alle start-up ucraine fornito dall’European Innovation Council nell’ambito deep tech (innovazioni tecnologiche basate su sostanziali sfide scientifiche e ingegneristiche).
    La commissaria europea per l’Innovazione, la ricerca, la cultura, l’istruzione e la gioventù, Mariya Gabriel, e la vicepremier ucraina per l’Integrazione europea ed euro-atlantica, Olha Stefanishyna (9 giugno 2022)
    Lo hanno annunciato questa mattina in una conferenza stampa congiunta la commissaria europea per l’Innovazione e la ricerca, Mariya Gabriel, e la vicepremier ucraina per l’Integrazione europea ed euro-atlantica, Olha Stefanishyna. L’accordo sull’associazione dell’Ucraina ai programmi di ricerca Horizon Europe ed Euratom era stato firmato il 12 ottobre dello scorso anno, in occasione del vertice UE-Ucraina a Kiev. In otto mesi è successo l’impensabile, con il Paese che sta affrontando l’aggressione militare russa ininterrottamente dal 24 febbraio: ecco perché, “considerato il nostro impegno a offrire strumenti tangibili di sostegno alla comunità della ricerca e dell’innovazione, l’Ucraina parteciperà ai programmi di ricerca Horizon Europe ed Euratom senza dover contribuire finanziariamente per gli anni 2021 e 2022“, ha specificato la commissaria Gabriel.
    Per quanto riguarda il sostegno finanziario dall’European Innovation Council, i 20 milioni di euro complessivi saranno destinati ad almeno 200 start-up del settore deep tech (per un massimo di 60 mila euro ciascuna), oltre a servizi di consulenza aziendale per rafforzare la capacità delle imprenditrici e degli imprenditori ucraini di interagire con l’ecosistema europeo dell’innovazione e di entrare in nuovi mercati. L’invito a presentare le proposte sarà pubblicato il 23 giugno, con scadenza il 7 settembre. “Non siete soli, vogliamo mobilitare tutte le risorse disponibili anche per preservare la comunità dell’innovazione ucraina“, ha commentato la commissaria Gabriel, anticipando anche che “quando la situazione lo permetterà, aiuteremo gli innovatori che sono fuggiti dalla guerra a tornare nel proprio Paese”.
    Come ricordato dalla vicepremier Stefanishyna, “più del 70 per cento delle start-up è rimasta in Ucraina nonostante l’escalation della guerra, ecco perché siamo sicuri che in tempo di pace aumenterà lo sviluppo del nostro tessuto sociale”. Né il governo di Kiev né i Ventisette possono sapere “in che condizioni troveremo il Paese nel giorno della nostra vittoria, ma sarà comunque innovativo e pieno di persone con alte competenze, non possiamo lasciarle sole”. Mentre Kiev viene sempre più integrata da Bruxelles, la Russia da mesi è stata tagliata fuori da tutte le collaborazioni con l’UE, sia da Horizon Europe ed Euratom, sia dai programmi Erasmus+ e dalle borse di studio Marie Curie e del Consiglio Europeo della Ricerca.

    Lo hanno annunciato in una conferenza stampa congiunta la commissaria per l’innovazione e la ricerca, Mariya Gabriel, e la vicepremier ucraina, Olha Stefanishyna. Esonero per Kiev sul contributo finanziario 2021/2022, mentre si cerca di supportare il tessuto tecnologico nazionale

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    Alta tensione al Consiglio di Sicurezza ONU. Michel attacca Mosca sul grano, l’ambasciatore russo esce dalla sala

    Bruxelles – “Può lasciare la sala, forse è più facile non ascoltare la verità, signor ambasciatore”. È uno scambio tesissimo quello tra il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e l’ambasciatore russo presso le Nazioni Unite, Vasily Nebenzya, durante la riunione di ieri sera (lunedì 6 giugno) del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sulla questione dell’invasione dell’Ucraina. Dopo un lungo intervento in cui l’ambasciatore Nebenzya ha negato qualsiasi responsabilità russa nel conflitto in corso – definendo sempre l’Ucraina come “il regime di Kiev” – il presidente del Consiglio UE lo ha attaccato su diversi fronti, dalle violenze sessuali e i crimini di guerra al blocco dei porti nel Mar Nero e il ricatto mondiale sul fronte alimentare. A metà del discorso, lo stesso ambasciatore russo presso l’ONU si è alzato per andarsene dalla stanza, incalzato dal biasimo di Michel.

    You may leave the room, maybe it’s easier not to listen to the truth, dear Ambassador #Nebenzia @RussiaUN@UN #SecurityCouncil #UNSC pic.twitter.com/aeb1OF4y6T
    — Charles Michel (@eucopresident) June 6, 2022

    L’episodio si è verificato mentre il leader del Consiglio Europeo spiegava l’approccio dei Ventisette alla questione della sicurezza alimentare e delle criticità del blocco delle esportazioni di grano e cereali dall’Ucraina: “Signor ambasciatore, siamo seri, il Cremlino sta usando le forniture alimentari come missili invisibili contro i Paesi in via di sviluppo, le drammatiche conseguenze della guerra russa si stanno riversando in tutto il mondo”. Tenendo fisso lo sguardo sull’ambasciatore Nebenzya, Michel ha ricordato che “la guerra sta facendo aumentare i prezzi dei prodotti alimentari, spingendo le persone nella povertà e destabilizzando intere regioni” e che “la Russia, solo la Russia, è l’unica responsabile di questa crisi alimentare”, nonostante la “campagna di menzogne e disinformazione”. Al contrario, da Bruxelles non sono mai arrivate sanzioni sul settore agricolo in Russia, “zero”, così come le misure restrittive sul settore dei trasporti “non vanno oltre i confini dell’UE”.
    Il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, alla sede delle Nazioni Unite a New York (6 giugno 2022)
    È a questo punto che l’ambasciatore russo presso l’ONU si è alzato per andarsene, anticipato dal presidente Michel: “Forse è più facile non ascoltare la verità“. I fatti, “come ho visto con i miei occhi qualche settimana fa a Odessa“, sono “milioni di tonnellate di grano e cereali rimasti bloccati a causa delle navi da guerra russe nel Mar Nero e dell’attacco alle infrastrutture di trasporto”, sono “i carri armati, le bombe e le mine russe che impediscono all’Ucraina di piantare e raccogliere”, sono “i furti nei depositi di grano nei territori occupati”. Cioè che l’ambasciatore Nebenzya non ha voluto sentire è anche che le sanzioni internazionali “non impediscono alle navi battenti bandiera russa di trasportare grano, cibo o fertilizzanti nei Paesi in via di sviluppo”, così come il fatto che i Ventisette stanno facendo “tutto il possibile per aiutare le esportazioni agricole dell’Ucraina” – con i corridoi di solidarietà e con la ricerca di soluzioni per riaprire rotte marittime nel Mar Nero – in collaborazione con l’Unione Africana, il G7 e il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres.
    Ma è tutto il contesto dell’invasione russa in Ucraina a essere nel mirino del presidente del Consiglio UE: “Il Cremlino può vietare e perseguire l’uso della parola ‘guerra’, ma questo non cambia la straziante realtà” di “migliaia di donne, bambini e uomini ucraini morti, atrocità, stupri, innumerevoli città bombardate fino a ridurle in macerie”. Questa è una “guerra barbara” condotta da un membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ha sottolineato con forza Michel. È centrale la questione del conflitto che esce dal campo di battaglia ed entra nelle case dei civili, considerato in particolare l’uso della violenza sessuale come arma di guerra: “È un crimine di guerra, contro l’umanità, una tattica di tortura, terrore e repressione che deve essere perseguita senza impunità”, non ha usato mezzi termini il presidente del Consiglio UE. Anche per questo motivo, in collaborazione con UN Women, giovedì (9 giugno) sarà ospitata a Bruxelles la seconda conferenza Women in conflicts: “Daremo slancio e intensificheremo i nostri sforzi collettivi per affrontare seriamente questo problema critico”, ha concluso Michel il suo intervento. Con la sedia dell’ambasciatore russo ancora vuota.

    A metà dell’intervento del presidente del Consiglio Europeo, l’ambasciatore Vasily Nebenzya se n’è andato in polemica dalla riunione. “Può lasciare la stanza, forse è più facile non ascoltare la verità” a proposito di sicurezza alimentare e crimini di guerra del Cremlino in Ucraina