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    Ucraina, dall’UE un miliardo di aiuti in prestiti agevolati a lungo termine

    Bruxelles – Rispondere alle necessità più urgenti, e garantire che lo Stato possa continuare a svolgere le sue funzioni più critiche. Permettere di andare avanti, funzionare come in tempi di normalità, nonostante la guerra. L’Unione europea concede all’Ucraina un sostegno finanziario da un miliardo di euro sotto forma di prestiti di lungo periodo altamente agevolati. I ministri dell’Economia e delle finanze riuniti a Bruxelles per il primo Ecofin a guida ceca trovano l’accordo per continuare a finanziare Kiev.
    La speciale forma di sostegno avrà una periodo disponibilità di un anno. L’intenzione è quella di erogare l’intero ammontare tutto e subito, in un’unica rata, con la possibilità comunque di procedere “eventualmente in più tranches”. L’accordo è stato in bilico, con gli Stati divisi sulla natura del sostegno. C’è chi voleva dare al patner ucraino garanzie, e quindi aiuti a fondo perduto, e chi invece pretendeva prestiti da rimborsare. Alla fine passa questa seconda linea, che consente all’UE di chiudere l’accordo per la soddisfazione della presidenza di turno.

    #ECOFIN | €1 billion to Ukraine 🇺🇦! After a sped-up adoption the EU will provide the war-stricken state with macro-financial assistance. Money will go to different areas. Czech presidency fulfils its promises and even more help will follow. #EU2022CZ pic.twitter.com/8RAJ6RqGvm
    — EU2022_CZ (@EU2022_CZ) July 12, 2022

    “Continuare con l’aiuto materiale e finanziario non è un’opzione, ma un nostro dovere“, scandisce Zbyněk Stanjura, ministro delle Finanze della Repubblica ceca e presidente di turno dell’Ecofin, che si dice “lieto” per il via libera ai prestiti agevolati per un miliardo di euro. “Ciò fornirà all’Ucraina i fondi necessari per coprire i bisogni urgenti e garantire il funzionamento delle infrastrutture critiche”.
    L’esborso avverrà “una volta concordato un protocollo d’intesa con le autorità ucraine”. Tale protocollo comprenderà una “maggiore trasparenza e rendicontazione sull’uso dei fondi” e definirà l’istituzione di obblighi di rendicontazione. Vista la situazione estremamente difficile che sta affrontando l’Ucraina, il bilancio dell’UE coprirà “eccezionalmente” i costi dei tassi di interesse derivanti, sotto forma di prestito, limitando così l’impatto sulla sostenibilità di bilancio del paese. In questo modo, l’UE fornirà ulteriore sgravio finanziario all’Ucraina e contribuirà a migliorare la sostenibilità del suo debito pubblico.

    Il via libera dal consiglio Ecofin. La soddisfazione della presidenza ceca. “Continuare con l’aiuto materiale e finanziario non è un’opzione, ma un nostro dovere”

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    I crimini di guerra in Ucraina “riportano alla mente” gli orrori della guerra in Bosnia: l’UE ricorda il massacro di Srebrenica

    Bruxelles – Le lancette della storia indietro di 27 anni, in Bosnia ed Erzegovina, mentre emergono giorno dopo giorno sempre più immagini e testimonianze degli orrori dell’esercito russo in Ucraina. Mai come quest’anno il ricordo del massacro di Srebrenica è un monito per quanto si sta ripetendo sul territorio europeo, oltre i confini orientali dell’UE. “Le uccisioni di massa e i crimini di guerra a cui assistiamo in Ucraina riportano alla mente la guerra nei Balcani Occidentali degli anni Novanta”, hanno sottolineato l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, nel ribadire che “è più che mai nostro dovere ricordare il genocidio di Srebrenica, come parte della nostra storia comune europea“.
    Nel luglio del 1995 furono 8.372 i civili bosniaci – tutti maschi, di etnia musulmana – massacrati dalle forze serbo-bosniache di Ratko Mladić nei pressi del comune di Srebrenica, nella Bosnia orientale. Sono passati 27 anni da quell’ennesima tragedia (la più grande per numero di vittime in pochi giorni) di un genocidio durato tre anni e mezzo, dall’aprile del 1992 agli accordi di Dayton del 14 dicembre 1995. Eppure “ancora oggi non possiamo dare la pace per scontata“, perché “l’aggressione ingiustificata e immotivata della Russia contro l’Ucraina ha riportato una guerra brutale nel nostro continente”. Mentre la stabilità dell’Europa e l’ordine internazionale sono “profondamente scossi”, l’UE non dimentica “la necessità di alzarci per difendere la pace, la dignità umana e i valori universali”, rimessi in discussione: “Non abbiamo dimenticato ciò che è accaduto a Srebrenica e la nostra responsabilità per non essere stati in grado di prevenire e fermare il genocidio”.

    Today, we remember the victims of the #Srebrenica genocideWe cannot take peace for granted. We must learn from the past and work daily for peace, human dignity, universal valuesWe take inspiration from the Mothers of Srebrenica in their pursuit of truth, justice, reconciliation pic.twitter.com/5DZoB9fzxq
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) July 11, 2022

    Allora “l’Europa ha fallito e noi dobbiamo affrontare la nostra vergogna”, ma quegli errori non possono essere commessi di nuovo. Né in Ucraina né ancora nella regione balcanica: “In Europa non c’è posto per la negazione del genocidio, il revisionismo e la glorificazione dei criminali di guerra“, hanno avvertito l’alto rappresnetante Borrell e il commissario Várhelyi, richiamandosi alle tensioni che da diversi mesi si stanno vivendo nella Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba del Paese): “Tutti i cittadini della Bosnia ed Erzegovina meritano una società in cui prevalgano il pluralismo, la giustizia e la dignità umana”. Lo aveva ricordato un mese fa durate la cerimonia del Premio Lux 2022 al Parlamento UE la regista di Quo Vadis, Aida? (proprio sul massacro di Srebrenica), Jasmila Žbanić: “Abbiamo bisogno del vostro supporto contro i nazionalismi appoggiati daPutin”. E quella dei membri del gabinetto guidato da Ursula von der Leyen sembra quasi una risposta al suo appello: “In questi tempi pericolosi” i leader bosnaici “devono passare dalle parole ai fatti”, scegliendo “verità, giustizia e cooperazione al posto di paura e odio per superare le tragiche eredità del passato e costruire un futuro più luminoso e prospero per le prossime generazioni”.
    Un impegno che coinvolge il cammino di adesione di Sarajevo all’UE (nonostante le difficoltà mostrate anche da parte di Bruxelles nel fornire una risposta credibile alle aspirazioni balcaniche). “L’Unione Europea è stata costruita come un progetto di pace comune e il futuro della Bosnia ed Erzegovina è all’interno dell’Unione“, hanno ribadito con forza Borrell e Várhelyi. Ma per realizzare questo obiettivo “è necessario che tutti i leader del Paese si impegnino a porre la pace, la riconciliazione, la comprensione reciproca e il dialogo in cima alla loro agenda e si impegnino nel programma di riforme” richiesto dalla comunità internazionale. Anche il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, ha collegato il massacro di Srebrenica – “uno dei momenti più bui della storia europea moderna” con il momento storico che il continente sta affrontando: “Questo tragico anniversario ci ricorda che dobbiamo continuare a lavorare insieme per la pace in Europa” e per far sì che “la Bosnia ed Erzegovina diventi parte dell’Unione Europea”.

    27 years since #Srebrenica genocide, one of the darkest moments in modern European history.
    Our hearts & thoughts are with the victims & their families. This tragic anniversary is also a reminder: we must keep working together for peace in Europe & for 🇧🇦 to become part of 🇪🇺 pic.twitter.com/nZ6iJs81k4
    — Charles Michel (@CharlesMichel) July 11, 2022

    Nel ribadire che l’assassinio di oltre 8 mila civili nel 1995 “è parte della nostra storia comune europea” e un fallimento per cui “dobbiamo affrontare la nostra vergogna”, l’alto rappresentante UE, Josep Borrell, avverte che “neanche oggi non possiamo dare la pace per scontata”

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    Il G7 si prepara per una guerra lunga in Ucraina: più sforzi su sicurezza alimentare, al vaglio il tetto ai prezzi dell’energia

    Bruxelles – Non viene meno il sostegno delle più grandi potenze mondiali all’Ucraina, che sarà sostenuta nella sua difesa dall’aggressione russa “per tutto il tempo necessario”, ma dal vertice dei leader del G7 emerge con chiarezza che bisogna prepararsi a una guerra lunga, che non finirà né in settimane, né in mesi. Per quanto riguarda la situazione sul campo e sul sostegno a Kiev, il Gruppo dei Sette – Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti – ha già messo in chiaro la sua posizione nella dichiarazione pubblicata ieri pomeriggio (lunedì 27 giugno), ma sono i commenti dei leader al termine del vertice che fanno capire in che direzione sta andando il conflitto. E di conseguenza anche il supporto dell’Unione Europea e delle potenze globali.
    “Nessuno pensa che la fine della guerra possa essere nelle prossime settimane o nei mesi a venire“, ha precisato il presidente francese, Emmanuel Macron, richiamandosi alle parole dell’omologo ucraino, Volodymyr Zelensky, secondo cui la guerra dovrebbe concludersi entro fine 2022: “Siamo a quattro mesi di guerra, la fine dell’anno è ancora lontana”, ha aggiunto Macron, ribadendo con forza che “c’è solo una certezza, che la Russia non può e non deve vincere“. Ecco perché il sostegno a Kiev e le sanzioni internazionali “resteranno con l’intensità necessaria durante i prossimi mesi”, in riferimento anche alla “atrocità dell’ennesimo crimine di guerra” dell’attacco contro il centro commerciale di Kremenchuk.
    Il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, che ha fatto gli onori di casa a Schloss Elmau (Baviera), ha sottolineato che “non siamo nella situazione di vedere una fine della guerra“, dal momento in cui “va avanti con la stessa brutalità” degli ultimi 124 giorni di invasione. Ecco perché, non appena il conflitto si sarà concluso – e con sempre la certezza che “la Russia non vincerà” – al vertice del G7 si è parlato di un “piano Marshall per l’Ucraina“, in linea con quanto proposto da Bruxelles. Anche da parte del primo ministro italiano, Mario Draghi, c’è “preoccupazione” per la continua avanzata dell’esercito russo nel Donbass nelle ultime due settimane: “Questo non significa che il nostro sostegno a Kiev verrà meno“, ha avvertito il premier Draghi, né che i sette leader indeboliranno la collaborazione sui temi più urgenti da affrontare su scala globale.
    Capitolo energia
    Le conclusioni del vertice del G7 sull’Ucraina hanno confermato che le maggiori potenze mondiali sono pronte a prendere nuove misure per “contenere l’aumento dei prezzi dell’energia”, tra cui la tanto attesa possibilità del ‘price cap’, il tetto “temporaneo” ai prezzi delle importazioni energetiche, sia del petrolio sia del gas. Per ora c’è l’intesa tra i leader del Gruppo dei Sette per incaricare ai ministri competenti in materia energetica di valutare “con urgenza” la fattibilità e l’efficacia di queste misure, ma il premier Draghi si augura di arrivarci già entro ottobre, anche considerata la disponibilità della Commissione Europea è ad “accelerare il processo” sulle proposte che riguardano il gas.
    Come specificano fonti europee, quanto emerge dal vertice G7 in merito al ‘price cap’ sul gas “è più generico”, considerate le maggiori “difficoltà a livello tecnico”, mentre quello sul petrolio è già “più definito”. Le conclusioni dei leader specificano che tra gli approcci da prendere in considerazione c’è “un eventuale divieto globale di tutti i servizi che consentono il trasporto di greggio e prodotti petroliferi russi via mare”, a meno che il petrolio non venga acquistato “a un prezzo pari o inferiore a quello da concordare in consultazione con i partner internazionali”. Il cancelliere tedesco Scholz ha definito “molto ambizioso” l’obiettivo del tetto ai prezzi sul petrolio, anche se è ancora necessario “molto lavoro a livello tecnico”.
    Lo sforzo di coordinamento internazionale del G7 deriva dalla necessità di “impedire alla Russia di trarre profitto dalla sua guerra di aggressione” in Ucraina, di cui le fonti energetiche rappresentano la voce di entrate maggiori. Ecco perché le conclusioni del vertice lodano la decisione di Bruxelles di “esplorare con i partner internazionali le modalità per contenere l’aumento dei prezzi dell’energia” per quanto riguarda tutte le fonti fossili, “compresa la possibilità di introdurre, se necessario, tetti temporanei ai prezzi delle importazioni” di petrolio e gas. La proposta della Commissione dovrebbe arrivare dopo l’estate – come è stato annunciato al Consiglio Europeo della scorsa settimana – per essere discusso al vertice dei leader UE di ottobre. “È importante che la discussione sia solida, su base razionale e non solo psicologica“, ha avvertito il premier Draghi.
    Nel considerare la crisi energetica, per il Gruppo dei Sette rimane cruciale anche non abbandonare i Paesi più vulnerabili, contrastando i tentativi della Russia di sfruttare la propria posizione di produttore di energia “per trarre profitto dalla sua aggressione”. Ecco perché dovranno essere presi in considerazione anche meccanismi di mitigazione per garantire che tutti i partner internazionali “mantengano l’accesso ai mercati energetici, compresi quelli russi”. Queste misure – restrittive e di mitigazione – non andranno però a compromettere gli obiettivi climatici, a partire dalla riduzione dai combustibili fossili e l’accelerazione della transizione verde “per raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050”. È in quest’ottica che va letto l’obiettivo di istituire entro la fine del 2022 “un club del Clima internazionale aperto e cooperativo“, che promuova l’azione “urgente, ambiziosa e inclusiva” verso l’attuazione dell’Accordo di Parigi.
    Capitolo sicurezza alimentare
    Altri 4,5 miliardi di dollari, per uno stanziamento di oltre 14 miliardi entro 2022 “per proteggere i più vulnerabili dalla fame e dalla malnutrizione”. È questo l’impegno dei leader del G7 a sostegno dell’Alleanza globale per la sicurezza alimentare, considerate le dimensioni drammatiche della fame nel mondo, dopo l’inizio dell’invasione russa in Ucraina. “Fino a 323 milioni di persone a livello globale diventeranno gravemente insicure dal punto di vista alimentare o saranno ad alto rischio, segnando un nuovo record”, come riportano i dati del Gruppo di risposta alla crisi Globale sull’alimentazione, l’energia e la finanza delle Nazioni Unite. Questa sfida “esistenziale” è determinata da “molteplici crisi intrecciate”, di cui l’ultima – la guerra russa contro l’Ucraina – ha causato “il blocco delle rotte di esportazione del grano ucraino, che sta drammaticamente aggravando la crisi della fame“.
    Ecco perché è stato ribadito “l’urgente invito” a Mosca a porre fine “senza condizioni” al blocco dei porti ucraini sul Mar Nero, ma anche alla distruzione delle principali infrastrutture portuali e di trasporto, dei silos e dei terminali per il grano e della “appropriazione illegale” di prodotti e attrezzature agricole in Ucraina. La Russia ha “un’enorme responsabilità” per l’aumento dei prezzi mondiali di cibo e fertilizzanti “a livelli senza precedenti”, a causa delle interruzioni della produzione agricola messe in atto sul territorio occupato, definite “un attacco geopolitico alla sicurezza alimentare globale”. I leader delle sette potenze metteranno in atto “intensi sforzi” non solo per la ripresa delle esportazioni agricole ucraine verso i mercati mondiali, ma anche per “sbloccare un corridoio marittimo sicuro attraverso il Mar Nero”, sostenendo le azioni promosse dalle Nazioni Unite. Ma nel frattempo si cercheranno “percorsi alternativi” a partire dall’iniziativa UE dei corridoi di solidarietà.
    Sono diverse le strategie che sono state messe nero su bianco nel vertice G7 focalizzato sulle conseguenze della guerra in Ucraina. Attraverso la collaborazione con agenzie e partner internazionali, si cercherà di identificare la provenienza delle importazioni di grano, con l’obiettivo di “individuare i prodotti ucraini sequestrati illegalmente dalla Russia“. I leader del G7 hanno poi deciso di “mantenere aperti i nostri mercati alimentari e agricoli”, con la richiesta ai partner internazionali di “evitare misure commerciali restrittive ingiustificate“, che vanno ad aumentare la volatilità del mercato e il rischio di insicurezza alimentare: “Ci opporremo a qualsiasi comportamento speculativo”. Sul breve termine, qualsiasi partner – pubblico o privato – “con grandi scorte alimentari” è stato invitato a rendere disponibili gli alimenti “senza distorcere i mercati, anche sostenendo la strategia di acquisto del Programma alimentare mondiale”, così come a “evitare un eccessivo accumulo di scorte, che può portare a ulteriori aumenti dei prezzi”.
    Rimane poi sostanziale il coordinamento con l’Unione Africana per progettare “un piano strategico di investimenti per accelerare lo sviluppo delle catene del valore essenziali” per il continente africano, ricordando che i pacchetti di sanzioni internazionali “non prendono di mira i prodotti alimentari e consentono il libero flusso di prodotti agricoli, anche dalla Russia”. Infine, secondo la proposta del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, i leader del G7 hanno trovato un’intesa per “aumentare in modo sostenibile la disponibilità di prodotti agricoli”, in particolare “nei Paesi più colpiti”, ma anche di “affrontare la carenza di fertilizzanti sostenendo un uso più efficiente e mirato, aumentando temporaneamente la produzione locale e globale”, è l’impegno delle sette maggiori potenze mondiali.

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    I leader del G7 si coordinano per sostenere l’Ucraina e per affrontare le crisi di insicurezza alimentare ed energetica

    Bruxelles – Unione Europea, Stati Uniti e G7, i leader delle maggiori economie mondiali scendono in campo a sostenere l’Ucraina e a cercare soluzioni coordinate alle crisi scatenate dall’invasione russa in Ucraina: alimentare ed energetica, in primis. “Continueremo a coordinare gli sforzi per soddisfare le urgenti esigenze” di Kiev “in termini di equipaggiamento militare e di difesa”, si legge nelle conclusioni del vertice dei leader G7 in Baviera, a Schloss Elmau. Il coordinamento riguarderà “la fornitura di materiale, l’addestramento e il supporto logistico, di intelligence ed economico per costruire le forze armate ucraine”, hanno messo in chiaro i leader di Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti, insieme alla presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, e del Consiglio, Charles Michel.
    Il vertice dei leader del G7 a Schloss Elmau, Baviera (27 giugno 2022)
    A livello internazionale c’è l’intenzione di “rimanere fermi nel nostro impegno verso le misure di sanzioni coordinate senza precedenti” in risposta all’invasione russa, “il cui impatto si aggraverà nel tempo”. Sul regime di Putin sarà intensificata la pressione economica e politica – ma anche “sui suoi sostenitori in Bielorussia” – per privare il Cremlino dei mezzi economici per continuare la guerra in Ucraina: “Continueremo a utilizzare in modo mirato le sanzioni coordinate per tutto il tempo necessario, agendo all’unisono in ogni fase”, hanno concordato i leader del G7. L’uso delle misure restrittive contro Mosca “è in difesa dell’ordine internazionale basato sulle regole”, che il Cremlino ha violato “in modo così eclatante”.
    Sul capitolo della sicurezza alimentare, le conclusioni sottolineano “l’unione e la determinazione” nel sostenere l’Ucraina “nella produzione e nell’esportazione di grano, olio e altri prodotti agricoli”, percuotendo allo stesso tempo “iniziative coordinate che stimolino la sicurezza alimentare globale e affrontino le cause dell’evoluzione della crisi alimentare mondiale”. I leader del G7 hanno intimato al Cremlino di cessare “senza condizioni” gli attacchi alle infrastrutture agricole e di trasporto dei cereali, oltre a “consentire il libero passaggio delle spedizioni dai porti ucraini nel Mar Nero”. L’aggressione armata russa – “caratterizzata da bombardamenti, blocchi e furti” – in questi mesi ha “gravemente impedito” a Kiev di esportare prodotti agricoli “e sta ostacolando la sua capacità di produzione”, con “forti aumenti dei prezzi e l’aumento dell’insicurezza alimentare globale per milioni di persone“. Una situazione che il presidente Michel, ha definito un “missile alimentare lanciato dalla Russia contro i più vulnerabili”, dopo il confronto con il presidente del Senegal e dell’Unione Africana, Macky Sall: “Sostengo personalmente il suo appello perché l’UA diventi membro del G20”, ha spiegato in un tweet, sottolineando la necessità di “ripetere con l’Africa ciò che abbiamo fatto con i vaccini”, ovvero “sostenere la produzione locale di fertilizzanti sostenibili per migliorare la produzione”.

    Food missile launched by Russia against most vulnerable.
    Let’s repeat with Africa what we did on vaccines.
    Support local manufacturing of sustainable fertilisers and other inputs to enhance production.
    I personally back call of @Macky_Sall for #AU to become member of @g20org pic.twitter.com/9O6AQ3Rcm6
    — Charles Michel (@CharlesMichel) June 27, 2022

    Ma è l’energia a occupare il nucleo centrale delle discussioni tra i leader del G7 sulle conseguenze dell’aggressione russa in Ucraina. In un incontro aperto anche ad Argentina, India, Indonesia, Senegal e Sudafrica, è stato concordato l’obiettivo di “esplorare le opzioni per decarbonizzare il mix energetico e accelerare la transizione dalla dipendenza dai combustibili fossili“. A questo si aggiunge la “rapida espansione” delle fonti energetiche pulite e rinnovabili e l’efficienza energetica: tutti sforzi che includono la “graduale riduzione del carbone e l’aumento della quota di energie rinnovabili nel mix energetico”. Alla base dell’accordo globale c’è la collaborazione “con particolare attenzione” alle riforme delle politiche energetiche per “accelerare la decarbonizzazione delle economie verso l’azzeramento delle emissioni“, garantendo allo stesso tempo “l’accesso universale a un’energia sostenibile e a prezzi accessibili e offrendo benefici socioeconomici e opportunità di sviluppo in linea con l’Agenda 2030”.
    Discussioni che riguardano da vicino l’Unione Europea e, per questo motivo, si è rafforzata l’intesa con il maggiore tra i partner, gli Stati Uniti del presidente Joe Biden. Nella dichiarazione congiunta firmata dalla presidente von der Leyen è stato messo nero su bianco che Bruxelles e Washington intensificheranno gli sforzi per “ridurre ulteriormente le entrate della Russia derivanti dall’energia nei prossimi mesi“, ma anche per “ridurre la dipendenza dell’UE dai combustibili fossili russi, diminuendo la domanda di gas naturale, cooperando sulle tecnologie di efficienza energetica e diversificando le forniture”. Una risposta coordinata che passa dalla task force Ue-Stati Uniti sulla sicurezza energetica europea (istituita lo scorso 25 marzo), per rispondere al “continuo utilizzo del gas naturale come arma politica ed economica“, che “ha esercitato pressioni sui mercati energetici, aumentato i prezzi per i consumatori e minacciato la sicurezza energetica globale”.

    Discussion with our G7 partners on climate and health.
    Climate change affects us all. So we must maintain our ambitious climate goals. This requires close, inclusive international coordination.
    Renewables will play a key role in ensuring both ambition and security of supply. pic.twitter.com/huxchi37a8
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) June 27, 2022

    Al centro del vertice G7 a Schloss Elmau (Baviera) il proseguo degli sforzi internazionali per rispondere alle conseguenze della guerra russa contro Kiev, che si stanno ripercuotendo in particolare sul continente europeo e africano: “Rimaniamo fermi nel nostro impegno”

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    Oliver Röpke (CESE): Fermiamo la guerra. Tuteliamo i lavoratori. Salviamo la democrazia

    L’urgenza della situazione in Ucraina, il dramma del popolo ucraino, il fatto che tenga testa, con coraggio e successo, a un nemico molto più potente – tutto questo ha scosso fin nelle fondamenta quello che, solo pochi mesi fa, era spesso considerato l’ordine naturale delle cose in Europa.
    La guerra stessa, che si svolge alle porte dell’Unione europea, ci ha ricordato che esiste un mondo al di là dei nostri confini. Le immagini e le notizie da cui siamo bersagliati quotidianamente ci rammentano la brutalità della guerra – un conflitto che è in corso sulla soglia di casa nostra -, compresa la recente scoperta di fosse comuni e di indizi di quelli che potrebbero essere veri e propri crimini di guerra. . Le forze armate e i razzi di Putin hanno colpito Kyiv e, anche dopo il parziale ritiro delle truppe russe e il contrattacco degli ucraini, l’offensiva prosegue con immutata violenza e i civili continuano a morire. Dopo aver rinunciato a un Blitzkrieg nei primi giorni di guerra e aver subito gravi perdite, Putin sembra essere passato alla strategia di un attacco mirato e più graduale, devastando ogni metro di terreno conquistato. Sfruttando l’enorme superiorità della Russia negli equipaggiamenti convenzionali, e in particolare nelle armi pesanti, Putin continua ad avanzare, costringendo migliaia di persone ad abbandonare le loro case e uccidendone molte altre. Gli indizi che siano stati effettivamente perpetrati dei crimini di guerra e l’altissimo numero di profughi suggeriscono che l’obiettivo della strategia è fare in modo che quasi nessun ucraino rimanga nelle retrovie per contestare l’annessione di fatto (anche con il rilascio di passaporti russi) dei territori ucraini occupati. Nell’UE le conseguenze economiche del conflitto stanno già colpendo duramente i più vulnerabili, e se la guerra perdura la situazione probabilmente non farà che peggiorare.
    Per fortuna la risposta, dopo un’iniziale esitazione, è stata unitaria e netta: un pacchetto di misure per sanzionare Putin e il suo regime, la solidarietà con i milioni di profughi in fuga dinanzi all’invasione russa e un chiaro sostegno al popolo ucraino. La direttiva sulla protezione temporanea è stata un elemento fondamentale di questa risposta. La priorità assoluta è assistere l’Ucraina e prestare aiuto e soccorso ai profughi ucraini e alle società che li accolgono. La società civile ha svolto e continuerà a svolgere un lavoro straordinario, dalla raccolta e l’invio di donazioni all’offerta di un tetto e di assistenza alle persone in fuga. Il gruppo Lavoratori del CESE, unitamente alla Confederazione europea dei sindacati (CES/ETUC), condanna l’aggressione russa ed esprime la sua solidarietà al popolo ucraino. Siamo in contatto permanente con i nostri omologhi ucraini per garantire che il maggior numero possibile di aiuti giunga là dove è più necessario. Ora è più importante che mai mantenere i nostri sforzi a questo stesso ritmo, evitando che la situazione si “normalizzi” e di rivolgere altrove la nostra attenzione. Un sostegno continuo con tutti i mezzi disponibili è l’unico modo per conseguire la pace, e l’Ucraina ha un gran bisogno delle risorse necessarie per fermare l’invasione: fintantoché Putin considererà probabile una vittoria militare, si siederà al tavolo dei negoziati solo per inscenare una finzione utile a serrare i ranghi del suo esercito.
    Dobbiamo inoltre ricordare che questa guerra è solo l’ultimo anello di una lunga catena, a partire dalla Cecenia fino alla Georgia e alla Crimea. Qualora ci fosse ancora bisogno che ci venisse ricordato, Putin ci fornisce continuamente la prova di come l’Ucraina sia solo un ulteriore tassello di una visione imperialista di più ampio respiro, secondo la quale intere regioni d’Europa dovrebbero piegarsi al suo regime autocratico o essere considerate degli aggressori. È da ingenui pensare che questa volta il presidente russo si potrà accontentare di quello che ha già ottenuto. Un altro aspetto di questo conflitto è la guerra che Putin sta combattendo contro il suo stesso popolo: mantenuto in stato di terrore, disinformato dalla propaganda, diviso dalla polarizzazione delle opinioni, in un paese in cui il dissenso equivale al tradimento e chi osa parlare chiaro e forte viene direttamente eliminato.
    Come è avvenuto per la pandemia di coronavirus, anche l’invasione dell’Ucraina ci ha colto impreparati: in questo caso, sono molti i paesi che non hanno provveduto a diversificare le loro forniture di energia rispetto alle importazioni di combustibili fossili dalla Russia. Questa dipendenza incauta e sconsiderata, dannosa sia per il clima che per la nostra sovranità, deve cessare. Sicuramente le conseguenze della guerra graveranno molto di più sugli ucraini, ma anche altri non ne rimarranno indenni: le sanzioni e la recessione colpiranno duramente i lavoratori più vulnerabili della Russia e dell’UE. L’impennata dei prezzi dell’energia, il tasso di inflazione galoppante, l’aumento dei costi dei prodotti di base… siamo solo all’inizio. Nel frattempo, su molti paesi che non possono più contare sulle esportazioni ucraine incombe una potenziale penuria di derrate alimentari e una crisi dovuta a carestia e fame.
    L’UE e i suoi Stati membri devono agire, salvaguardando il tenore di vita dei cittadini europei, garantendo che la speculazione sui prezzi dell’energia non spinga ancora di più le nostre famiglie verso la precarietà energetica e le nostre industrie verso il collasso, e anche sostenendo le società che accolgono milioni di profughi. Servono inoltre riforme a lungo termine in un mercato dell’energia che ha chiaramente mostrato di star funzionando male e come qualsiasi perturbazione abbia ripercussioni dirette sui lavoratori e sui cittadini in generale. Il peggioramento della situazione attuale degli europei dovrebbe anche servire loro da ammonimento, dato che i leader autocratici prosperano sul terreno delle disuguaglianze e della povertà. La democrazia è minacciata da autocrati come Putin, che considera l’Ucraina – e anche altri paesi – territorio russo, e si impadronisce delle risorse dei suoi vicini con il pretesto di voler tutelare determinate identità etniche.
    La democrazia è minacciata anche da alcuni leader politici nella stessa UE che vorrebbero costruire un modello simile e che traggono alimento dalla crescita delle disuguaglianze e della povertà. Il sostegno alla concessione all’Ucraina dello status di paese candidato è un segnale positivo forte: l’Europa non deve più essere un terreno di gioco delle superpotenze, ma deve invece formare un’Unione coesa e pacifica che si batte per la libertà e il benessere dei suoi cittadini. Tuttavia, lo status di paese candidato è solo la prima tappa di un lungo percorso, ed è anche un’opportunità per fissare standard dell’UE per il processo di ricostruzione postbellica dell’Ucraina. Tra questi standard europei figurano il rafforzamento dell’autonomia delle parti sociali e della democrazia sociale, il rispetto integrale dei diritti sociali e il recepimento nella legislazione nazionale di tutto il rimanente acquis comunitario, nonché la garanzia del pieno rispetto dello Stato di diritto.
    Sebbene all’Ucraina sia stato concesso lo status di paese candidato, va detto che l’UE non è ancora pronta per un nuovo e importante allargamento: le norme attuali non sono adeguate; è questo il chiaro messaggio emerso dalle raccomandazioni formulate durante la Conferenza sul futuro dell’Europa. L’Unione europea deve accelerare le sue riforme, semplificando e rendendo più democratici i suoi processi decisionali e modificando i suoi meccanismi affinché da un sistema concepito per pochi Stati membri si passi a un sistema in grado di tenere insieme i quasi 30 paesi che potrebbero costituire l’UE nel prossimo futuro.
    Il gruppo Lavoratori, per parte sua, continuerà a monitorare la situazione delle persone in fuga dall’Ucraina a causa della guerra, e in particolare l’assistenza che ricevono nei paesi di accoglienza e la loro integrazione nel mercato del lavoro dell’UE, per poter mettere in campo misure volte a scongiurare il lavoro precario e lo sfruttamento della manodopera. Continueremo inoltre ad essere a fianco dei sindacati nei loro sforzi per raccogliere e far pervenire gli aiuti ai lavoratori e ai sindacati ucraini.
    *Oliver Röpke, presidente del gruppo Lavoratori del Comitato economico e sociale europeo

    L’attacco ha scosso l’UE tutta intera e svelato, ancora una volta, l’autentico volto delle autocrazie. Continueremo ad essere a fianco dei sindacati nei loro sforzi per raccogliere e far pervenire gli aiuti ai lavoratori e ai sindacati ucraini

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    La Russia è la “principale minaccia diretta” della NATO. Ma per la prima volta si considera anche quella cinese

    Bruxelles – È tutto pronto per il Summit NATO di Madrid del 29-30 giugno e per il nuovo concetto strategico dell’Alleanza Atlantica. “Prenderemo molte decisioni importanti, a partire dalla svolta nel considerare il nuovo contesto della sicurezza globale”, ha anticipato in conferenza stampa il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO), Jens Stoltenberg, spiegando le decisioni su Russia, Cina, rafforzamento e allargamento dell’Alleanza.
    Il nuovo concetto strategico della NATO “risponderà a un’era di competizione strategica” in cui “la Russia è la più significativa e diretta minaccia” per la sicurezza degli alleati. L’accusa a Mosca è di aver “rifiutato il tentativo di dialogo portato avanti per anni e aver scelto piuttosto il confronto” con l’Alleanza: “Dobbiamo prenderne atto, non abbiamo avuto successo per colpa delle scelte del Cremlino”. Ma il segretario generale Stoltenberg ha sottolineato che “per la prima volta consideriamo anche la Cina“, a causa delle “sfide che Pechino porta ai nostri valori”. Non è un caso se Australia, Nuova Zelanda, Giappone e Corea del Sud “si uniranno alla nostra riunione come partner per la prima volta” a Madrid.
    Di fronte alla minaccia portata dalla Russia in Ucraina e ai Paesi del fianco orientale della NATO, “dobbiamo rafforzare la nostra capacità di difesa”, anche e soprattutto a partire dal “rafforzamento della spesa militare” dei singoli Paesi, oltre la soglia del 2 per cento del prodotto interno lordo. Una difesa che coinvolge anche gli alleati nella regione baltica, considerate le nuove tensioni con il Cremlino per la questione del divieto di transito sul territorio della Lituania per le merci russe sottoposte a sanzioni e dirette verso l’exclave di Kaliningrad. “Qualsiasi territorio dell’Alleanza deve essere difeso, deterrenza significa prevenire un conflitto, non provocarlo“, ha messo in chiaro Stoltenberg, facendo riferimento alle “oltre 400 mila truppe stanziate nell’Europa orientale, buona parte delle quali nel Baltico”. Per quanto riguarda l’Ucraina, invece, “ogni giorno sul campo si dimostra quanto è stato sostanziale il nostro supporto a livello di addestramento dell’esercito ucraino”, che riceverà “ulteriori forniture militari e di equipaggiamenti”, tra cui sistemi anti-droni.
    Altra questione cruciale sarà la candidatura di Svezia e Finlandia alla NATO. Anticipando l’incontro di domani (martedì 28 giugno) a Madrid con il presidente della Finlandia, Sauli Niinistö, la prima ministra svedese, Magdalena Andersson, e il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, Stoltenberg ha messo in guardia che “non posso fare promesse, ma servono progressi, perché sono candidature storiche che rafforzerebbero la NATO e la stabilità dell’area euro-atlantica”. Rispondendo alle domande sul blocco imposto dalla Turchia, il segretario generale ha ribadito diplomaticamente che “dobbiamo considerare le preoccupazioni di tutti gli alleati, ma stiamo lavorando duro perché i due Paesi scandinavi possano unirsi a noi il prima possibile”.

    Durante il Summit a Madrid sarà presentato il nuovo concetto strategico dell’Alleanza Atlantica, che considera il fallimento del dialogo degli ultimi anni con Mosca. Il segretario generale Stoltenberg: “Dobbiamo prendere atto del nuovo contesto di sicurezza globale”

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    Il vertice dell’UE aggiorna l’agenda per l’Ucraina: ulteriore sostegno militare, ricostruzione e attuazione delle sanzioni

    Bruxelles – Sostegno militare, che deve arrivare fin da subito dagli Stati membri. Sostegno alla ricostruzione, che deve partire dalla strategia della Commissione europea, fermezza sulle sanzioni. I leader dell’UE aggiornano l’agenda politica sull’Ucraina. Le conclusioni adottate dai Ventisette riuniti a Bruxelles non si limitano alla decisione storica di riconoscere lo status di Paese candidato, che avvia un percorso di lungo periodo in termini di riforme e rispetto delle condizioni richieste. C’è soprattutto un percorso per l’immediato, che parte da “ulteriore sostegno militare”.
    I capi di Stato e di governo ribadiscono una volta di più che il blocco a dodici stelle “resta fermamente impegnata a fornirlo” per aiutare l’Ucraina a esercitare “il suo diritto intrinseco all’autodifesa” contro l’aggressione russa e a difendere la propria integrità territoriale e sovranità. Per questo motivo i leader invitano i ministri responsabili a “lavorare rapidamente per un ulteriore aumento del sostegno militare”.
    Sempre nell’immediato, serve non avere indecisioni sul percorso sanzionatorio intrapreso fin qui quale risposta all’aggressione russa. Quindi “proseguiranno i lavori sulle sanzioni, anche per rafforzare l’attuazione e prevenire l’elusione”. In questa ottica i leader invitano “tutti i paesi ad allinearsi” con le sanzioni dell’UE, “in particolare i paesi candidati”, vale a dire Turchia (dal 1999), Macedonia del Nord (dal 2004), Montenegro (dal 2010), Serbia (dal 2012) e Albania (dal 2014), e ovviamente Ucraina e Moldova.

    PM Orbán: We say yes to peace, but say no to more sanctions. Besides the war in Ukraine, the main cause of economic problems are the sanctions. We need peace now, not more sanctions, as the only antidote to war inflation is peace.
    — Zoltan Kovacs (@zoltanspox) June 23, 2022

    L’Ungheria tiene però a precisare che oltre il sesto pacchetto di sanzioni Budapest non intende spingersi. “Sì alla pace, no a più sanzioni”, la posizione espressa da Viktor Orban ai partner. “Oltre alla guerra in Ucraina, la principale causa di problemi economici sono le sanzioni. Abbiamo bisogno di pace ora, non di più sanzioni, poiché l’unico antidoto all’inflazione di guerra è la pace”.
    I leader non sembrano intenzionati a discutere di nuove sanzioni, ma di rendere il più efficaci possibili quelle già concordate. Per questo “dovrebbero essere rapidamente finalizzati i lavori sulla decisione del Consiglio che aggiunge la violazione delle misure restrittive dell’Unione all’elenco dei reati dell’UE“. Questo per l’immediato futuro. Per quello prossimo serve un’Ucraina tutta nuova. Perciò il Consiglio invita “la Commissione a presentare rapidamente le sue proposte sul sostegno dell’UE alla ricostruzione dell’Ucraina, in consultazione con partner, organizzazioni ed esperti internazionali”.
    Non solo ulteriore sostegno militare, dunque. Difesa, determinazione, ricostruzione. Questi gli imperativi che i leader dell’UE si sono imposti per aiutare l’Ucraina.

    I leader danno istruzioni a ministri, commissari europei e Paesi candidati. Ma Budapest frena su nuove restrizioni: “Sì alla pace, no alle sanzioni”

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    Il premier croato Plenković indica all’UE la “cifra storica” del nuovo millennio: “Le nostre democrazie contro le autocrazie”

    Bruxelles – Democrazie contro autocrazie, “questa è la cifra storica del momento in cui viviamo”. Nel suo intervento alla mini-sessione plenaria del Parlamento UE a Bruxelles, il premier della Croazia, Andrej Plenković, è stato particolarmente chiaro nell’illustrare la posizione che l’Unione deve continuare a portare avanti nell’approccio alla guerra russa in Ucraina e sul piano della dimensione esterna: “Siamo all’apice degli standard globali di democrazia, dobbiamo prendere la leadership della difesa e della promozione dei valori fondamentali, soprattutto nei confronti dei nostri vicini”.
    Il primo ministro della Croazia, Andrej Plenković, alla plenaria del Parlamento UE a Bruxelles (22 giugno 2022)
    Considerando lo “stravolgimento dell’ordine internazionale” provocato dall’invasione russa dell’Ucraina, il premier croato ha iniziato la propria analisi dalle cause che l’hanno determinato. “Mosca ha rilevato e interpretato una serie di debolezze dell’Occidente nel contesto generale“, che vanno dall’abbandono dell’Afghanistan “nel modo non più decoroso possibile” alla Brexit, passando dalla svolta politica epocale in Germania e gli appuntamenti elettorali in Francia: “Su scala più grande, la Russia si è comportata nello stesso modo del 2008, quando dopo le Olimpiadi di Pechino ha invaso la Georgia”, in un parallelismo con l’aggressione militare dell’Ucraina iniziata dopo la cerimonia di chiusura delle Olimpiadi invernali di febbraio, sempre a Pechino.
    Ma nel 2022 “abbiamo assistito a un’enorme mobilitazione internazionale” a favore dell’Ucraina, che come ultimo stadio sta portando i Ventisette – e la Croazia “senza ambiguità” – a sostenere la richiesta di adesione di Kiev all’UE: “C’è una posizione comune sul riconoscimento, che sarà confermata al Consiglio di domani“, ha confermato il premier Plenković. Ma Zagabria è tra gli avanguardisti dell’allargamento dell’Unione: “Sosteniamo anche il conferimento dello status a Moldova e Georgia, perché la scelta di offrire la prospettiva europea è un’evoluzione politica cruciale per l’architettura del nostro continente“, o, in altre parole “una svolta enorme nel dibattito sull’Europa e nei confronti di Paesi che ancora non appartengono all’Unione”.
    E proprio su questo punto il premier della Croazia non ha nascosto che l’UE deve lavorare di più sul piano dell’allargamento ai Balcani Occidentali, in particolare nei confronti della Bosnia ed Erzegovina: “Siamo a favore del riconoscimento dello status di Paese candidato all’adesione anche per Sarajevo, non può essere l’ultima ruota del carro, sarebbe ingiustizia storica“, ha attaccato Plenković. Il tema è delicato e coinvolge direttamente i principi-cardine del processo di adesione all’UE (a cui la Bosnia non si è ancora pienamente allineata). Per questo motivo non sono attesi particolari passi in avanti al vertice UE-Balcani Occidentali in programma a Bruxelles appena prima dell’inizio del Consiglio, anche se la Slovenia – sostenuta da Zagabria – dovrebbe presentare una proposta per allineare Sarajevo a Kiev e Chișinău.
    La spinta in avanti di Zagabria deriva anche dal suo “approccio moderno alla sovranità“, come l’ha definito Plenković, ovvero una politica che mira a “raggiungere i nostri obiettivi nazionali, ma lavorando strettamente insieme ai partner e agli amici europei, superando le difficoltà attraverso la solidarietà comune che ci contraddistingue“. Un approccio che ha permesso a “un Paese che è stato riconosciuto a livello internazionale solo 30 anni fa” di continuare a promuovere “la nostra scelta europea”. È così che la Croazia è riuscita non solo ad aderire all’UE nel 2013, ma anche a “rispettare gli obiettivi economici e finanziari per diventare il 20esimo membro dell’Eurozona“. Dal primo gennaio del 2004 Zagabria riuscirà a realizzare “l’obiettivo di più profonda integrazione”, cioè l’adozione della moneta unica. “Ora attendiamo anche l’ingresso nell’area Schengen”, ha esortato Parlamento e Consiglio il premier croato.
    Nell’ottica della sovranità strategica dell’Unione Europea – un’altra forma di “approccio moderno alla sovranità”, per usare le parole di Plenković – la Croazia può rappresentare “un hub energetico da rafforzare, grazie alla nostra posizione geostrategica”. Zagabria sta potenziando un terminale di gas naturale liquefatto (GNL) “portandolo da 2,9 milioni a 6 milioni di metri cubi, con investimenti che serviranno non solo per la nostra economia, ma potenzialmente anche per Bosnia, Slovenia e Ungheria”. Inoltre, “l’oleodotto nell’Adriatico del Nord potrebbe rifornire anche le raffinerie in Serbia e in Slovacchia”, ha sottolineato il primo ministro croato. Gli investimenti in gasdotti, oleodotti e terminali GNL si iscrivono nella strategia di “diventare indipendenti dalle fonti fossili della Russia, garantendo la sicurezza di approvvigionamento energetico ai nostri cittadini e imprese attraverso reti energetiche europee“, per riprendere a una crisi da cui “nessuno rimarrà immune”, ha concluso il suo intervento il premier Plenković.

    Nel suo intervento alla sessione plenaria del Parlamento Europeo, il primo ministro della Croazia ha esortato l’Unione a “promuovere la leadership anche nella sfera esterna” e a riconoscere lo status di Paese candidato all’adesione a Ucraina, Moldova, Georgia e Bosnia ed Erzegovina