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    Il commissario Ue Reynders a Kiev nel giorno dell’attacco missilistico russo sulla capitale: “Siamo corsi nei rifugi”

    Bruxelles – Dopo qualche mese di ritorno a una pseudo-normalità, Kiev è di nuovo sotto assedio, con i bombardamenti che hanno scosso la città nelle prime ore della mattinata di oggi (lunedì 10 ottobre). Una decina di esplosioni si sono registrate a Kiev (ma anche a Leopoli, Mykolaiv e altre città principali del Paese), con l’obiettivo di distruggere infrastrutture critiche, ma anche abitazioni civili, università, uffici governativi ed edifici non militari. A testimoniare il livello di gravità della situazione dopo il bombardamento è stato il commissario europeo per la Giustizia, Didier Reynders, che proprio questa mattina si trovava a Kiev: “È suonato il primo allarme alle 6 del mattino, le prime esplosioni sono arrivate un po’ più tardi. Alle 8 i servizi di sicurezza ci hanno chiesto di scendere al terzo piano interrato dell’hotel, dove siamo corsi con gli ospiti e il personale dell’hotel”.
    Su Twitter è stato lo stesso commissario Reynders a far sapere di essere “al sicuro”, dopo essere stato “rapidamente trasferito nel rifugio dell’hotel” insieme al suo team: “Siamo in attesa di aggiornamenti“. Raggiunto al telefono da LesNews24, il titolare della Giustizia nel gabinetto von der Leyen ha testimoniato che “da quello che mi è stato detto dal personale, sono ormai tre mesi che non ci sono più fughe nei rifugi, perché non si è mai verificata nessuna esplosione dopo gli allarmi”. Tuttavia, “siamo di fronte a un attacco diretto, la situazione è peggiorata negli ultimi giorni soprattutto dopo l’attacco al ponte in Crimea” nella notte tra venerdì 7 e sabato 8 ottobre.
    Nonostante la nuova escalation di violenza russa, “dobbiamo continuare a sostenere gli ucraini attraverso tutti i canali che abbiamo utilizzato fin dall’inizio, siano essi militari, umanitari o finanziari, ma anche nel campo della corretta applicazione delle sanzioni e della ricerca dei responsabili dei crimini di guerra”, ha assicurato Reynders. Il commissario europeo si trova in Ucraina proprio per sostenere gli sforzi delle autorità nazionali nel ricercare prove durante le indagini sui criminali di guerra nel corso dell’invasione del Paese da parte dell’esercito russo.

    A series of explosions in downtown #Kyiv this morning. Thanks to the quick reaction of the security staff, my team and I were rapidly transferred to the hotel shelter. We are safe and waiting for updates. #UkraineRussianWar pic.twitter.com/QtWwCwCqr6
    — Didier Reynders (@dreynders) October 10, 2022

    Durissima la condanna da Bruxelles per il bombardamento russo a Kiev. “Bombe su quartieri, palazzi, giardini pubblici. Solidarietà con Kiev, sostegno all’Ucraina”, ha commentato in un tweet il commissario per l’Economia, Paolo Gentiloni. Si dice “profondamente scioccato” dagli attacchi contro i civili l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “Tali atti non hanno posto nel ventunesimo secolo, li condanno con la massima fermezza”. Per la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, “quello che sta accadendo ora a Kiev è nauseante”, ha attaccato su Twitter, con un affondo a Mosca: “Mostra al mondo, ancora una volta, il regime che abbiamo di fronte, un regime che prende di mira indiscriminatamente, un regime che fa piovere terrore e morte sui bambini”, con riferimento al cratere di un missile in corrispondenza di un parco giochi nella capitale ucraina.

    What is happening now in #Kyiv is sickening.
    It shows the world, again, the regime we are faced with: One that targets indiscriminately. One that rains terror & death down on children.
    This is criminal. They will be held to account. Ukraine will win. Europe will not look away. pic.twitter.com/0I594UlCMg
    — Roberta Metsola (@EP_President) October 10, 2022

    Il titolare della Giustizia nel gabinetto von der Leyen si trovava in Ucraina per sostenere le autorità nazionali nelle indagini sui crimini di guerra durante l’invasione dell’esercito del Cremlino: “La situazione è peggiorata negli ultimi giorni, soprattutto dopo l’attacco al ponte in Crimea”

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    Il Parlamento Ue ai leader: “Preparare risposta a eventuale attacco nucleare russo”

    dall’inviato a Strasburgo – Sostegno per la difesa dell’Ucraina, ancora di più. L’imperativo è “aumentare massicciamente l’assistenza militare, in particolare nelle aree richieste dal governo” di Volodymyr Zelenskyy ucraino. L’Aula del Parlamento europeo vuole dai Ventisette una risposta ancora più ferma e decisa, e nella risoluzione approvata a larghissima maggioranza (504 voti a favore, 26 contrari e 36 astensioni) si invita anche ad andare oltre l’ottavo pacchetto di sanzioni. Paesi UE e i partner internazionali sono invitati a “preparare una risposta rapida e decisiva nel caso in cui la Russia dovesse condurre un attacco nucleare” contro l’Ucraina.
    E’ forse questo il messaggio politico più forte del testo licenziato a Strasburgo, da dove arriva comunque la richiesta ad “adottare ulteriori severe sanzioni” quale risposta ai referendum indetti da Putin per annettere gli oblast di Donetsk, Kherson, Luhansk e Zaporizhzhia. Un modo per dimostrare unità di intenti con Commissione e Consiglio sull’ottavo pacchetto di misure sanzionatorie e magari inasprirlo ancora di più. Ma di fronte alle ” irresponsabili e pericolose”  minacce russe di ricorrere all’utilizzo di armi nucleari si avverte la necessità di lavorare già a contromisure adeguate, con l’auspicio di non dovervi mai ricorrere.
    In parallelo, continuare nell’assistenza militare. “E’ chiaro che la fine della guerra dipende esclusivamente da quante armi l’Occidente saprà dare all’Ucraina“, scandisce Siegfried Muresan, vice presidente del gruppo dei popolari (Ppe), che insiste lungo il solco tracciato ormai da mesi. L’impegno dell’Ue a rifornire quanto più possibile Kiev è stato assunto da mesi, e ora si intende andare avanti. C’è la sensazione che l’avanzata russa abbia perso di slancio, e che questo sia il momento di insistere. Mosse delicate ma obbligate dalla situazione. “Un attacco nucleare non dissuaderà l’Unione Europea dal fornire ulteriore assistenza all’autodifesa dell’Ucraina”, il messaggio che arriva da Strasburgo.

    La richiesta nella risoluzione approvata a larga maggioranza. Si invita anche a intensificare il rifornimento di armi all’Ucraina, e di essere pronti a nuove sanzioni

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    Le lobby belghe dei diamanti vincono la loro battaglia: niente bando sui preziosi russi

    Bruxelles – In extremis, con un colpo di coda quasi inatteso, l’Ue ha rinunciato a includere una misura da diversi miliardi di euro nell’ottavo pacchetto di misure restrittive contro Mosca. Il commercio di diamanti grezzi con la Russia non è entrato alla fine nell’ultima tornata di sanzioni di Bruxelles, con il gigante russo dell’estrazione Alrosa risparmiato dalla lista delle entità colpite. Un’ennesima concessione, nei fatti, alle lobby della lavorazione dei diamanti belghe, che nella città portuale di Anversa hanno sede e da dove hanno continuato a picconare la proposta della Commissione Europea.
    A spingere per l’esclusione di Alrosa dall’ottavo pacchetto di sanzioni è stata in particolare l’associazione di categoria Antwerp World Diamond Centre, che ha denunciato che un embargo totale ai diamanti grezzi dalla Russia potrebbe costare 10 mila posti di lavoro nella città fiamminga, centro dell’industria mondiale della lavorazione di questo prodotto. Se nelle precedenti tornate di sanzioni il governo belga è sempre riuscito a tutelare il comparto economico cruciale a livello nazionale, l’escalation della guerra in Ucraina ha reso sempre più insostenibile la posizione contraria di Bruxelles. Il commercio globale di diamanti grezzi della Russia è stimato dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti attorno ai 4,5 miliardi di euro nel 2021 (una delle prime dieci esportazioni non energetiche di Mosca, il 30 per cento in tutto il mondo) e la necessità di tagliare ogni ulteriore forma di finanziamento della macchina bellica del Cremlino ha fatto sì che la Commissione includesse anche il commercio dei diamanti grezzi nella proposta di ottavo pacchetto di sanzioni.
    Nel corso delle trattative al Coreper (il Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio), è passata invece la linea morbida del Belgio, che ha spinto per non sganciarsi dal gigante russo dell’estrazione di diamanti e facendo leva sul timore che una misura restrittiva contro Alrosa possa colpire più l’economia e l’occupazione europea rispetto a quelle di Mosca. La marcia indietro segna una sconfitta in particolare per Stati baltici e Polonia, che avevano appoggiato un embargo totale sui diamanti, per cedere poi solo su un divieto per quelli non-industriali, ma – come riportano fonti diplomatiche – gli altri Paesi membri non hanno levato voci contrarie alla posizione del Belgio. Questa mattina è arrivata l’approvazione politica dell’ottavo pacchetto da parte degli ambasciatori dei 27 Paesi membri e ora, dopo la traduzione nelle lingue dell’Unione e la conclusione della procedura scritta, si attende per domani (giovedì 6 ottobre) la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e l’entrata in vigore delle misure restrittive.

    Ribaltata in extremis la proposta della Commissione Ue. Il gigante estrattivo Alrosa (che garantisce enormi entrate economiche al Cremlino) è stata esclusa durante le discussioni degli ambasciatori dei Ventisette dalla lista delle entità colpita dalle misure restrittive europee

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    I referendum farsa nelle regioni occupate dell’Ucraina sono state un plebiscito (forzato) per l’annessione alla Russia

    Bruxelles – Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia. Si sono concluse ieri sera (martedì 27 settembre) le operazioni di voto nelle quattro province occupate dall’esercito russo in Ucraina e l’esito del referendum è stato un plebiscito: il 99 per cento dei votanti si è espressa a favore dell’annessione alla Russia. Questa è la versione di Mosca, ma il filtro è quello degli occupanti, in un Paese invaso da ormai più di cinque mesi. La realtà dei fatti è che quanto messo in piedi dal Cremlino nelle quattro regioni orientali e meridionali dell’Ucraina sono dei referendum farsa, organizzati in maniera illegale e a cui, dati alla mano, ha partecipato una quota quasi irrisoria di cittadini ucraini, senza contare le minacce armate dei soldati russi sulla popolazione al momento del voto.
    L’esito non era minimamente in discussione, ma ora si apre una fase nuova per la guerra in Ucraina. Perché l’autocrate russo, Vladimir Putin, utilizzerà il risultato di questi referendum illegali per dichiarare l’annessione delle quattro regioni dell’Ucraina occupata alla Russia: in altre parole – nella visione propagandistica del Cremlino – il conflitto si trasformerà da una “operazione speciale” offensiva a una guerra di difesa dei nuovi territori inglobati e, allo stesso tempo, la controffensiva dell’esercito ucraino sarà considerata un attacco alla sovranità russa. Non è la prima volta che Mosca ribalta a 360 gradi causa ed effetto degli eventi (basti ricordare le motivazioni dell’attacco armato a un Paese sovrano, ‘giustificate’ dalla legittima richiesta dell’Ucraina di aderire all’Unione Europea e alla Nato), ma questo momento rappresenta senza dubbio un punto di svolta per lo scenario bellico sul continente europeo. Anche perché nel frattempo sono iniziate le operazioni di arruolamento dei 300 mila riservisti russi, nonostante l’ondata di proteste e la fuga di decine di migliaia di persone dal Paese.
    Per la conferma basterà aspettare venerdì (30 settembre) quando, secondo quanto riportano le fonti d’intelligence britanniche, Putin terrà un discorso in entrambe le Camere del Parlamento (l’Assemblea Federale e la Duma di Stato), con la “realistica possibilità” che annunci formalmente l’annessione delle regioni occupate come “rivendicazione” dei successi della “operazione militare speciale”. In questo scenario, l’annessione dovrebbe avvenire già il giorno seguente, consentendo a Mosca la coscrizione forzata di civili ucraini per combattere contro il loro stesso Paese. Putin si sente forte del plebiscito dei risultati del referendum-farsa nelle quattro regioni che rappresentano circa il 15 per cento del territorio dell’Ucraina, ma sono impietosi i dati sul numero di cittadini che – in modo forzato e pilotato – hanno partecipato al voto. Nella regione di Zaporizhzhia hanno votato in totale in 39.367 su una popolazione complessiva di 1.666.515 persone, ovvero il 2,3 per cento. Nell’Oblast di Donetsk – solo parzialmente controllato dall’esercito russo – avrebbe votato il 97 per cento degli aventi diritto al voto, secondo quanto riporta l’agenzia di stampa statale Ria Novosti, ma non coincidono dati sulla popolazione: per il Cremlino sarebbero poco più di due milioni, ma al gennaio 2022 Kiev ne contava oltre quattro milioni. Tutto ciò accompagnato dai soldati russi che tra il 23 e il 27 settembre si recavano casa per casa per costringere i cittadini ucraini a votare e lo scrutinio effettuato con modalità del tutto illecite.
    Rimane alta l’attenzione anche a Bruxelles sulla situazione nell’est dell’Ucraina, con le condanne a pioggia per i “referendum illegali” di annessione alla Russia, sulla falsariga di quello in Crimea nel 2014. “L’Ue denuncia lo svolgimento di referendum illegali e il loro esito falsificato, si tratta di un’altra violazione della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina, in mezzo a sistematici abusi dei diritti umani”, è l’attacco dell’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica sicurezza, Josep Borrell: “Lodiamo il coraggio degli ucraini, che continuano a opporsi e a resistere all’invasione russa”. Senza troppi giri di parole la condanna del presidente del Consiglio Ue, Charles Michel: “Referendum fasulli, risultati fasulli. Non riconosciamo nessuno dei due”. Le istituzioni comunitarie si preparano a varare un nuovo pacchetto di misure restrittive contro i responsabili dei referendum farsa nelle regioni occupate dell’Ucraina e il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, avverte che la Commissione ritiene “certamente un’opzione” imporre sanzioni individuali anche ai cittadini europei che sostengono quest’azione illegale di Mosca: “Tutto dipenderà dal livello di partecipazione, la responsabilità di capire se vanno adottate misure caso per caso è degli Stati membri”.

    Sham referenda.
    Sham results.
    We recognize neither.
    — Charles Michel (@CharlesMichel) September 27, 2022

    Nelle operazioni di voto “illegali” e truccate dal Cremlino negli Oblast di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia, il “sì” avrebbe vinto con il 99 per cento: Putin potrebbe dichiarare il 30 settembre l’ampliamento del territorio nazionale. Dura condanna Ue: “Altra violazione della sovranità di Kiev”

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    Le previsioni dell’Ue sull’impatto delle sanzioni sulla Russia: “Il Pil crollerà dell’11 per cento, peggio della caduta dell’Urss”

    Bruxelles – Peggio della caduta dell’Unione Sovietica. Le sanzioni internazionali stanno colpendo la Russia con una violenza mai vista prima nella storia, dopo anni in cui Mosca affronta una recessione economica. La conferma arriva dal vicedirettore generale per l’Europa orientale e l’Asia centrale del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Luc Pierre Devigne, nel corso di un’audizione alla sessione congiunta della commissione Affari esteri (Afet) e della sottocommissione per la Sicurezza e la difesa (Sede) del Parlamento Ue. “Le nostre sanzioni funzionano, la Russia affronta una recessione dagli anni Novanta e ora ci aspettiamo un crollo del Pil nazionale dell’11 per cento, ancora maggiore rispetto a quello della caduta dell’Urss“.
    Nel corso dell’audizione parlamentare Devigne si è soffermato sulle motivazioni per cui è necessario un nuovo round di misure restrittive internazionali contro il Cremlino, ormai in difficoltà evidente sia sul fronte economico, sia su quello militare: “La Russia è sempre più isolata, partner importanti come Cina e India hanno dichiarato che questi non possono essere tempi di guerra e il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha annunciato che i territori strappati all’Ucraina non saranno riconosciuti”. Come già ha spiegato recentemente anche il premier italiano dimissionario, Mario Draghi, e ancor prima il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, “dobbiamo essere ancora più risoluti e continuare sulla strada delle sanzioni contro la Russia, che si stanno dimostrando efficaci”, ha ribadito con forza Devigne, precisando agli eurodeputati che “non posso rivelarne il contenuto per non mettere a repentaglio la loro efficacia e per non impattare sul costo di ciò che potrebbe essere sanzionato”.
    A determinare decisione di un nuovo round di misure restrittive (arrivate a sei pacchetti e un ultimo a luglio definito maintenance and alignement, aggiornamento e allineamento) è l’ulteriore escalation militare in Ucraina, con i referendum-farsa nelle autoproclamate Repubbliche filo-russe e la mobilitazione parziale dei riservisti dichiarata da Vladimir Putin, con annesse minacce nucleari all’Occidente. “Qualsiasi riferimento all’uso di armi nucleari o di azioni contro gli impianti nucleari in Ucraina pone la Russia ai margini della civiltà”, ha attaccato il vicedirettore generale del Seae. Minacce che in ogni caso “non indeboliranno la nostra decisione di continuare sulla strada delle sanzioni” e che, al contrario, stanno portando l’esecutivo comunitario a valutare la proposta di una nuova tranche di aiuti militari a Kiev attraverso lo strumento dell’European Peace Facility, rende noto Devigne.
    Il momento è cruciale per la guerra in Ucraina perché, “senza successi militari, Putin continua sulla strada dell’escalation, cercando di intimidire l’Ucraina e i Paesi che la supportano”. Le contraddizioni sono evidenti, considerato il fatto che si parla di circa 300 mila coscritti, “anche se il Cremlino riporta di aver perso solo seimila soldati e parte del decreto di mobilitazione è secretata”. La stessa mobilitazione “parziale” potrebbe essere un modo per “non far capire al popolo russo quanto la situazione sia grave”, ma nonostante questo è già iniziata l’ondata di proteste: “Più di duemila persone sono state arrestate, ma molte di più se ne vanno dal Paese”, ha ricordato Devigne, facendo riferimento alle “file chilometriche di auto ai confini e i voli aerei andati esauriti”. Mentre l’esercito ucraino continua nella propria avanzata nella controffensiva a est, “l’escalation di Putin dimostra che la Russia sta attraversando una crisi, o quantomeno un momento critico, visto che sono state anche rafforzate le sanzioni per chi si arrende o rifiuta di arruolarsi”, ha concluso il proprio intervento il vicepresidente del Seae.

    Il vicedirettore generale per l’Europa orientale e l’Asia centrale del Servizio europeo per l’azione esterna, Luc Pierre Devigne, ribadisce che “le misure restrittive funzionano”, perché colpiscono un Paese che “affronta una recessione dagli anni Novanta e ora viene abbandonato da Cina e India”

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    La prima mossa di Liz Truss: ammorbidire Bruxelles con la promessa di accordo sull’Irlanda del Nord entro aprile 2023

    Bruxelles – Dopo la tempesta, l’Unione Europea si aspetta un atteggiamento più distensivo da parte di Londra. La nuova prima ministra britannica, Liz Truss, da New York apre a un accordo con l’Ue per l’implementazione del protocollo sull’Irlanda del Nord, che potrebbe avere come data ultima il 10 aprile 2023, ovvero il 25esimo anniversario dalla firma dell’Accordo del Venerdì Santo, che nel 1998 aveva sancito la fine del conflitto nell’isola d’Irlanda. A favorire la distensione dei rapporti tra le due sponde della Manica è stato il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, preoccupato ancora una volta per un conflitto diplomatico tra Unione Europea e Regno Unito di cui al momento non si vede una via d’uscita.
    Da sinistra: la prima ministra del Regno Unito, Liz Truss, e la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen (New York, 21 settembre 2022)
    “Siamo impegnati a proteggere l’accordo del Venerdì Santo”, ha confermato l’inquilino della Casa Bianca rivolgendosi alla premier britannica in carica da due settimane. L’impegno diplomatico di Washington potrebbe aprire nuovi spiragli per un ammorbidimento delle posizioni della Commissione Europea, che a metà giugno ha scongelato una procedura d’infrazione contro il Regno Unito e ne ha attivate altre due per la decisione di Londra di tentare la strada della modifica unilaterale del protocollo sull’Irlanda del Nord. In qualità di capa negoziatrice delle relazioni post-Brexit nel precedente gabinetto Johnson, è stata proprio Truss la principale artefice della crisi tra Ue e Regno Unito e dopo la sua nomina a prima ministra sono iniziate a intensificarsi le voci di un’attivazione dell’articolo 16 del Protocollo, che sospenderebbe temporaneamente buona parte dei controlli mentre le due parti negoziano la sua applicazione.
    Ecco perché è cruciale l’impegno della premier Truss per arrivare a un accordo sostenibile con Bruxelles, che risponda alle preoccupazioni della Commissione sulla possibilità che Downing Street 10 voglia cancellare con un colpo di spugna tutti i controlli sulle merci trasportate tra la Gran Bretagna e l’Irlanda del Nord, mettendo di fatto fine all’integrità del Mercato Unico dell’Ue sull’isola d’Irlanda. Il nuovo calendario su cui si sta convergendo suggerisce che Truss sarebbe disposta ad adottare un approccio meno conflittuale a proposito delle relazioni post-Brexit e, a confermare l’intensificarsi del dialogo a New York a margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, è arrivato anche l’incontro tra la stessa Truss e la numero uno della Commissione, Ursula von der Leyen: nel condannare le recenti dichiarazioni di Vladimir Putin sulla guerra in Ucraina, la mobilitazione generale e la minaccia nucleare per difendere la Russia, le due leader hanno anche “discusso delle relazioni Ue-Regno Unito, tra cui l’energia, la sicurezza alimentare e il protocollo sull’Irlanda del Nord”, si legge nella dichiarazione congiunta.

    Good discussion with Prime Minister @trussliz on EU-UK relations and Russia’s invasion of Ukraine.
    We condemn Putin’s actions and agree that his calls to mobilise parts of the population are a sign of weakness.
    Russia’s invasion is failing. pic.twitter.com/b1Q3oZVmMn
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) September 21, 2022

    Al centro della contesa tra Bruxelles e Londra c’è in particolare la questione del periodo di grazia per il commercio nel Mare d’Irlanda, ovvero la durata della concessione temporanea ai controlli Ue sui certificati sanitari – e non – per il commercio dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord. Il tentativo di prorogare unilateralmente il periodo di grazia da parte del governo guidato da Boris Johnson aveva scatenato lo scontro diplomatico tra le due sponde della Manica, apparentemente risolto tra luglio e ottobre dello scorso anno: l’esecutivo comunitario aveva prima sospeso la procedura d’infrazione contro Londra, per cercare poi delle soluzioni di compromesso su tutti i settori più delicati, ma senza mai mettere in discussione l’integrità della parte dell’accordo di recesso tra Ue e Regno Unito siglato per garantire l’unità sull’isola d’Irlanda. La mossa unilaterale di Downing Street 10 di giugno ha però causato una dura risposta da parte della Commissione, con la riattivazione della procedura d’infrazione del marzo 2021.

    La neo-premier britannica si è confrontata con la leader della Commissione, Ursula von der Leyen, a New York. Anche il presidente statunitense, Joe Biden, in campo per un compromesso non oltre il 10 aprile, 25esimo anniversario dalla firma dell’Accordo del Venerdì Santo

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    Le province separatiste dell’Ucraina indicono referendum per farsi annettere dalla Russia. L’Ue: “Illegali, nulli e invalidi”

    Bruxelles – Ora la guerra di resistenza contro Mosca potrebbe assumere un nuovo significato per Kiev. Non più solo una controffensiva per riconquistare i territori sottratti dall’esercito russo dall’inizio dell’invasione lo scorso 24 febbraio, ma soprattutto un recupero delle province separatiste annesse alla Russia. Non si parla più esclusivamente della Crimea – da cui tutto è iniziato nel 2014 – perché la novità sono ora i referendum che saranno organizzati tra il 23 e il 27 settembre nelle autoproclamate Repubbliche separatiste filo-russe di Donetsk e Luhansk (nel sud-est dell’Ucraina) per l’annessione alla Russia. Si tratta proprio di quei territori che Putin aveva riconosciuto come entità indipendenti il 21 febbraio, pochi giorni prima di iniziare l’offensiva militare su larga scala che dura ormai da sette mesi.
    La sfida alle autorità di Kiev non si ferma qui. Perché nei prossimi giorni è attesa la stessa decisione sui referendum di annessione alla Russia da parte dei separatisti delle regioni di Kherson, Kharkiv e Zaporizhzhia, con implicazioni cruciali per il proseguo della guerra di Putin in Ucraina. Per comprenderne la portata basta considerare le parole del vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medvedev, che ha affermato che “i referendum nel Donbass sono di grande importanza non solo per la protezione sistemica dei residenti” delle Repubbliche separatiste  e “degli altri territori liberati”, ma anche “per il ripristino della giustizia storica”. Il fatto che questo voto “cambierebbe completamente il vettore dello sviluppo della Russia per decenni” non è solo una questione di proclami altisonanti, ma ha una conseguenza tangibile: “Dopo aver incorporato nuovi territori alla Russia, la trasformazione geopolitica nel mondo diventerà irreversibile”, ha aggiunto Medvedev, minacciando l’Ucraina e l’Occidente che “l’invasione del territorio della Russia è un crimine, la cui commissione consente l’uso di tutte le forze di autodifesa“.
    Dichiarazioni che arrivano non solo mentre la controffensiva dell’esercito ucraino sta obbligando la Russia a ritirarsi dall’Oblast di Kharkiv, ma anche in concomitanza della mobilitazione parziale dichiarata da Putin, con il richiamo alle armi dei militari della riserva, e degli emendamenti al Codice Penale russo per il rafforzamento delle pene in caso di “mobilitazione”, “legge marziale”, “tempo di guerra” e “conflitto armato” (la renitenza alla leva sarà punita con una pena fino a dieci anni di reclusione). Si aggiunge poi la minaccia di ricorrere a “ogni mezzo necessario per la difesa della Russia”, compresa l’arma nucleare. Tutti segnali che evidenzierebbero il livello di grave difficoltà dell’autocrate russo nel condurre una guerra che sta diventando sempre più un fallimento su quasi tutta la linea, come sostiene Kiev, ma anche Bruxelles: “Queste decisioni dimostrano la disperazione di Putin e la mancanza di volontà a cercare la pace, vuole solo continuare la sua guerra distruttiva”, ha sottolineato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, nel corso del punto quotidiano con la stampa europea.
    L’autocrate russo, Vladimir Putin, al momento della firma della dichiarazione di riconoscimento d’indipendenza delle autoproclamate Repubbliche separatiste di Luhansk e Donetsk (21 febbraio 2022)
    La condanna delle istituzioni comunitarie si estende anche ai referendum delle autoproclamate Repubbliche separatiste in Ucraina per l’annessione alla Russia. “L’Unione Europea condanna fermamente questi referendum illegali pianificati che vanno contro le autorità ucraine legalmente e democraticamente elette”, è la condanna dell’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “I risultati di tali azioni saranno nulli e non saranno riconosciuti dall’Ue e dai suoi Stati membri”. Il voto non può essere considerato “in nessun caso” una libera espressione della volontà popolare in queste regioni, per diverse ragioni: la fuga di una “parte significativa della popolazione” dopo l’invasione dell’esercito del Cremlino, la “costante minaccia e intimidazione militare russa”, la “sostituzione con la forza” di funzionari locali e la libertà di espressione “fortemente limitata”. Dal momento in cui Mosca intende modificare con la forza i confini dell’Ucraina, “in chiara violazione della Carta delle Nazioni Unite”, la Russia, la sua leadership politica e tutti i soggetti coinvolti nello svolgimento dei referendum di annessione “saranno ritenuti responsabili”, mentre a Bruxelles saranno prese in considerazione “ulteriori misure restrittive”, ha annunciato Borrell.

    The EU strongly condemns the illegal “referenda” in Luhansk, Kherson & Donetsk, which are in violation of Ukraine’s independence, sovereignty and territorial integrity, and in blatant breach of international law. Results of such actions will be null & void https://t.co/kqOwZYrXwG
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) September 20, 2022

    L’incognita balcanica
    Come se la situazione non fosse sufficientemente calda, dalla Bosnia ed Erzegovina arrivano dichiarazioni incendiarie del membro serbo della presidenza tripartita, Milorad Dodik, a proposito della guerra russa in Ucraina e del parallelismo con la Republika Srpska (una delle due entità in cui è diviso il Paese balcanico, a maggioranza serba). “A 15 milioni di russi in Ucraina le autorità hanno negato il diritto alla propria lingua, ecco perché l’operazione speciale della Russia è giustificata dalla necessità di proteggere il suo popolo“, ha ribadito in un’intervista all’agenzia di stampa russa Tass il suo non-allineamento alla posizione del resto dell’Europa. Nemmeno il presidente serbo, Aleksandar Vučić, che rivendica una posizione di neutralità tra Mosca e l’Occidente e in questo modo giustifica la sua contrarietà alle sanzioni contro la Russia, si è mai spinto a tanto. È proprio alla Serbia che Dodik guarda con speranza, illustrando le similitudini con il Donbass ucraino: “Qui è la stessa cosa, non possiamo condividere le stesse scuole e gli stessi libri di testo con i musulmani“, ha attaccato, con riferimento ai tentativi di secessionismo che sta portando avanti nella Republika Srpska. La volontà del leader serbo-bosniaco, a meno di due settimane dalle elezioni politiche nel Paese, è quella di incontrare personalmente Putin, per confrontarsi su “progetti energetici concreti e del comportamento dell’Occidente”, ha anticipato alla Tass.
    Il membro serbo della presidenza tripartita di Bosnia, Milorad Dodik
    È anche per il rischio di un’escalation della tensione e della destabilizzazione russa nella regione dei Balcani Occidentali che Bruxelles non può permettersi di allentare il rapporto anche con i Paesi più irrequieti. Non a caso l’alto rappresentante Borrell ha incontrato ieri (martedì 20 settembre) i sei leader balcanici per un pranzo informale a New York, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dopo aver ripreso la tradizione delle cene informali a Bruxelles nel maggio dello scorso anno. Come si legge in una nota del Seae, la discussione “si è concentrata sull’impatto globale e regionale della guerra illegale” della Russia in Ucraina, in particolare “sui prezzi dei prodotti alimentari e dell’energia e sulla stabilità e sicurezza in Europa e nel mondo”. Al pranzo erano presenti il premier montenegrino, Dritan Abazović, gli omologhi albanese, Edi Rama, e macedone, Dimitar Kovačevski, e i presidenti della Serbia, Aleksandar Vučić, del Kosovo, Vjosa Osmani, e della Bosnia ed Erzegovina, Šefik Džaferović (membro bosgnacco della presidenza tripartita). Proprio a sottolineare quanto l’Ue sia un partner irrinunciabile per i Balcani Occidentali, Borrell ha sottolineato il sostegno di Bruxelles per “rafforzare la sicurezza energetica e affrontare le minacce ibride“, comprese l’interferenza informatica e delle informazioni straniere, come ha dimostrato il recente caso di attacco hacker iraniano contro le istituzioni dell’Albania.

    We are living in difficult times. With the #WesternBalkans – our closest partners & future EU members – we will keep joining forces even more to respond to the challenges we all meet as consequences of Russia’s aggression against Ukraine.https://t.co/HTwZsoocJm pic.twitter.com/hffBv5eL9L
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) September 20, 2022

    Sull’esempio della Crimea nel 2014, le province occupate di Donetsk e Luhansk hanno indetto una consultazione popolare tra il 23 e il 27 settembre e presto potrebbe arrivare la stessa decisione a Kharkiv, Kherson e Zaporizhzhia. Intanto Putin annuncia la mobilitazione parziale alle armi

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    Uniti e decisi contro la guerra di Putin. Mario Draghi all’Onu rilancia il multilateralismo per uscire dalle crisi

    Bruxelles – Decisi e uniti contro la guerra di Putin in Ucraina. Contro l’insicurezza alimentare, la crisi energetica ed economica che ne sono scaturite. Ma anche contro le sfide del nostro tempo, dal cambiamento climatico alle disuguaglianze. Sono da poco passate le nove di sera quando il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ieri 20 settembre, inizia a pronunciare il suo discorso alle Nazioni unite, nella giornata di apertura della 77esima Assemblea Generale Onu che questa settimana raccoglie a New York i grandi del mondo. L’ultimo che lo vede premier dell’Italia, a cinque giorni dalla chiamata alle urne del 25 settembre.
    Il filo rosso che lega il discorso di Draghi è la parola insieme. E’ all’Onu, sede del multilateralismo per eccellenza, che il premier dimissionario ne rilancia l’importanza per affrontare le sfide del nostro tempo, dal cambiamento climatico, alla pandemia, senza dimenticare le diseguaglianze sociali. Tutte sfide del nostro tempo, aggravate dall’aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina di cui la responsabilità “è chiara e di una parte sola”, accusa il premier dimissionario. Se la responsabilità del conflitto è solo del presidente russo Vladmir Putin, è collettiva la necessità di “trovare risposte a questi problemi con urgenza, determinazione, efficacia”.
    Rivendica l’unità dimostrata dall’Unione europea e dei suoi alleati di fronte alla guerra che “è stata determinante per offrire all’Ucraina il sostegno di cui aveva bisogno, per imporre costi durissimi alla Russia”. E insieme agli alleati occidentali e i membri del G7 (Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito, Stati Uniti) abbiamo imposto sanzioni senza precedenti alla Russia, per indebolirne l’apparato militare e convincere il Presidente Putin a sedersi al tavolo dei negoziati”. All’Unione europea si rivolge anche con preoccupazione sulla situazione energetica e sul fatto che l’aumento del costo dell’energia “mette a rischio la ripresa economica, limita il potere d’acquisto delle famiglie, danneggia la capacità produttiva delle imprese”.
    L’Italia è tra i Paesi europei ad aver mobilitato più risorse per aiutare le imprese e i cittadini a fronteggiare i rincari, circa “il 3,5 per cento del nostro prodotto interno lordo“. Ma ora serve di più a livello europeo e da New York il premier torna a insistere sull’importanza di fissare un tetto al prezzo delle importazioni di gas, “anche per ridurre ulteriormente i finanziamenti che mandiamo alla Russia. L’Europa deve sostenere gli Stati membri mentre questi sostengono Kiev”. Il price-cap è una delle battaglie che Draghi ha fatto più sue a livello comunitario, prima chiedendo alla Commissione europea di fissare un tetto sulle importazioni di gas russo e poi un tetto generalizzato su tutte le importazioni di gas (dal momento che ora quello russo è appena il 9 per cento delle importazioni all’Europa).
    Proprio la guerra in Ucraina e le crisi che ne derivano, a detta di Draghi, hanno messo a dura prova la coesione della comunità internazionale. “Ma è proprio in questo contesto che è necessario ritrovare lo spirito di cooperazione che ci ha permesso negli scorsi anni di affrontare insieme altre sfide non meno dure”. Assicura a conclusione del suo intervento che anche nei prossimi anni, “l’Italia continuerà a essere protagonista della vita europea, vicina agli alleati della NATO, aperta all’ascolto e al dialogo, determinata a contribuire alla pace e alla sicurezza internazionale”. Come a voler dettare la linea al governo che ne farà le veci dopo il 25 settembre e a rassicurare gli altri che non ci sarà uno stravolgimento degli equilibri internazionali di cui l’Italia fa parte.

    L’intervento del presidente del Consiglio dimissionario all’Assemblea generale delle Nazioni Uniti, che assicura l’impegno dell’Italia sul multilateralismo internazionale ed europeo. Anche dopo il 25 settembre