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    Il Trump 2.0 scuote l’Ue. Entusiasmo dalle destre, per i progressisti è un “giorno buio”

    Bruxelles – Il vento di cambiamento con le elezioni americane è arrivato in Unione Europea ed è diventato bufera. Il secondo mandato Trump e la vittoria così netta sull’avversaria democratica Kamala Harris fanno discutere a Bruxelles, con reazioni agli antipodi dai vari gruppi politici e dai capi di stato e di governo dell’Ue.Scontata la gioia di Viktor Orban, che accoglie con grande calore la vittoria di un altro grande ‘uomo forte‘ oltreoceano. Su X, il primo ministro ungherese parla della “più grande rimonta nella storia politica degli Stati Uniti” e di una “vittoria necessaria per il mondo”.“Italia e Stati Uniti sono Nazioni ‘sorelle’, legate da un’alleanza incrollabile, valori comuni e una storica amicizia” commenta la Presidente del Consiglio dei ministri italiana, Giorgia Meloni, congratulandosi con Trump. Non solo ‘sorellanza’ ma anche legame strategico, che Meloni si augura “rafforzeremo ancora di più“.L’asse franco-tedesco si fa trovare compatto sul fronte del consolidamento delle relazioni. Così il Presidente francese Emmanuel Macron su X:Ho appena parlato con il cancelliere @OlafScholz.Lavoreremo per un’Europa più unita, più forte e più sovrana in questo nuovo contesto. Cooperando con gli Stati Uniti d’America e difendendo i nostri interessi e i nostri valori.@EmmanuelMacron – 9:15 AM · 6 nov 2024Se i leader cercano tutti di accaparrarsi la fetta più grande di relazioni privilegiate con Washington, l’Europarlamento si spacca in due. Da una parte, le destre europee che esultano e dall’altra parte la preoccupazione per il futuro dell’Occidente intero e la tenuta dell’Ue dai progressisti e dagli europeisti.Molto compiaciuti sono i Patrioti per l’Europa. L’elezione di Trump “contro tutto e contro tutti” riceve i complimenti di Paolo Borchia, capo delegazione della Lega al Parlamento europeo. Borchia aggiunge in una nota un monito all’Ue: “Ora serve che le istituzioni europee abbandonino l’atteggiamento ostile e i pregiudizi, per dialogare con Washington per trovare soluzioni alle sfide che accomunano l’Occidente”, riguardo a cui Lega e Patrioti sono aperti alla collaborazione con Trump.Dai ‘fratelli europei’ di Ecr, strettamente legati al “Grand Old Party”, arrivano i complimenti per l’”impressionante vittoria“, come la definisce il copresidente di Ecr Joachim Brudziński. Il conservatore ribadisce l’impegno del partito per “collaborare a un’agenda condivisa che promuova la stabilità, la sicurezza e la prosperità su entrambe le sponde dell’Atlantico“. L’altro copresidente del gruppo, Nicola Procaccini, aggiunge: “Questo nuovo capitolo offre un’opportunità unica per rafforzare i nostri ponti politici, portare avanti obiettivi condivisi e promuovere un futuro di prosperità“.Più cauto, anche rispetto alla leader Ursula von der Leyen, il capogruppo del Partito popolare europeo all’Eurocamera, Manfred Weber. Nell’inoltrare le proprie congratulazioni al tycoon, Weber sottolinea che “l‘Europa deve difendere i propri interessi con fermezza e forza, mantenendo al contempo una stretta cooperazione transatlantica”.‘Questo è un giorno buio’. Così iniziano i commenti social della presidente del gruppo S&d Iratxe García Pérez e della co-presidente dei Verdi/Ale Terry Reintke, che incarnando l’altra faccia della medaglia delle reazioni.“Conosciamo il progetto di Trump: autoritarismo, xenofobia e mancanza di opportunità“, scrive su X García Pérez. “Le forze democratiche e progressiste nell’Ue e negli Usa devono essere unite nella lotta per un futuro più giusto, sostenibile ed inclusivo”, aggiunge la leader dei social-democratici.Tra le preoccupazioni di Reintke non rientra solo difesa della democrazia, ma anche degli impegni europei in atto. “Come europei dobbiamo unirci per difendere la democrazia: Stato di diritto, diritti fondamentali, diritti sociali. Diritti delle donne. Solidarietà con l’Ucraina“, ricorda la copresidente dei Verdi.Dal gruppo S&d arriva anche la voce del capodelegazione Partito democratico Nicola Zingaretti. La vittoria di Trump, basata sulla rabbia e sull’indicazione di nemici, per Zingaretti pone una sfida all’Ue, che si deve impegnare a “lottare per un’Europa più forte, più vicina alle persone, che costruisca giustizia e susciti nuova speranza“.Dei rischi relativi all’Ucraina parla da S&d l’europarlamentare Elio Di Rupo: “Non possiamo escludere un disimpegno nei confronti dell’Ucraina. Tutti conosciamo Trump. Gli Stati Uniti sono al riparo, le conseguenze dell’Ucraina sono per noi europei, e Trump ha più margine di manovra.”Altro monito dal gruppo dei Verdi: “Con autocrati come Putin in Russia e Trump negli Stati Uniti al potere, l’Ue dovrà stare in piedi da sola in termini di sostegno all’Ucraina, all’azione per il clima e alla lotta per la democrazia“.L’incertezza che si prospetta dovrebbe spingere l’Ue ad allontanarsi dal ruolo di longa manus degli Usa, come osserva l’eurodeputato Sandro Gozi di Renew. Dice Gozi: “L’Europa deve avere il coraggio di prendere in mano il proprio destino, costruendo una vera potenza europea e una democrazia più forte“. Voce preoccupata anche quella della presidente del gruppo Valerie Hayer che dichiara: “E’ uno shock ma anche una realtà con cui dover fare i conti. Sappiamo che Trump non è né affidabile né prevedibile. Dobbiamo accelerare su difesa, competitività e innovazione“.Stoccata dal Movimento5Stelle Europa ai “finti progressisti liberisti e globalistici, che hanno ammainato la bandiera della pace per sposare ogni spinta guerrafondaia“. Nella nota dei 5Stelle si chiede una “riflessione nelle forze politiche europee”, che si devono avvicinare realmente alle persone “per togliere alle destre il consenso del voto popolare”. Non resistono a punzecchiare la destra italiana ed europea: “Quando Trump imporrà dazi sui prodotti Made in Italy vogliamo vedere i vari Meloni e Salvini esultare”.La prospettiva che nasce dai prossimi quattro anni di Trump 2.0 trova un’Unione Europea affaticata e debole sul piano internazionale, che non ha una voce univoca su nessuna questione e dovrà affrontare la lontananza (non solo geografica) statunitense. Dovrà essere ponderata la scelta degli impegni su cui l’Ue si vuole concentrare, con l’ombrello statunitense che potrebbe chiudersi più rapidamente del previsto e troppe priorità da gestire solo con le proprie finanze.

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    Elezioni in Usa: la presidenza Harris è la più auspicabile per l’Europa, ma senza l’illusione che l’”ombrello statunitense” sia ancora aperto

    Bruxelles – Le elezioni statunitensi sono alle porte e la decisione di Joe Biden di ritirarsi a favore di Kamala Harris ha aperto nuovamente la partita con Trump su chi sarà il 47esimo presidente degli Stati Uniti d’America. Per l’Europa, la presidenza Harris “segnerebbe la continuità delle relazioni transatlantiche“, ma è chiaro che non ci sarà, con nessuno dei due candidati, un ritorno alla politica pre-Trump.Questo il contenuto chiave dello studio di Ian Bond e Luigi Scazzieri per il Center for European Reform, che spiega quale sarebbe l’impatto della vittoria delle elezioni presidenziali statunitensi il 5 novembre della candidata democratica Kamala Harris.La vicepresidente Usa è un’avversaria temibile per il repubblicano Donald Trump, la cui vittoria contro Biden era stata quasi per scontata. Per l’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, “ci sarà sicuramente una gran differenza” in base a chi sarà il prossimo presidente Usa, e Harris attualmente sembra essere la migliore tra le due opzioni per l’Europa.Un’ipotetica vittoria di Donald Trump metterebbe in difficoltà le relazioni Usa-Ue e la sicurezza europea. L’approccio del repubblicano, soprattutto sull’Ucraina e sulla Nato, apre delle prospettive allarmanti per l’Europa.La sua contrarietà all’assistenza all’Ucraina, unita al supporto al presidente russo Vladimir Putin, preoccupano dall’altra parte dell’Atlantico, ma anche la posizione di Harris sul tema non è così netta.La candidata, per quanto fortemente critica nei confronti di Putin, riflette la grande differenza di percezione sull’Ucraina tra europei e Usa: per gli statunitensi non è una minaccia esistenziale l’eventuale vittoria russa. In sostanza, il sostegno dei democratici all’Ucraina è funzionale ad evitare un conflitto diretto con la Russia per la Nato, e quindi per gli Usa. Per altro, “anche se Harris fosse più incline ad essere più lungimirante di Biden”, se i repubblicani controllassero le camere al Congresso, lo spazio di manovra per ulteriore assistenza sarebbe comunque limitato.Il protezionismo trumpiano non piace (con proposte di tariffe del 60 per cento sulle importazioni dalla Cina e 10-20 dal resto del mondo), soprattutto la richiesta agli europei di allinearsi apertamente con l’approccio conflittuale con la Cina. Harris sembra più cauta e in linea con il suo predecessore, con tariffe mirate per competere con Pechino e sussidi ai produttori nazionali. Per l’Europa queste non sono buone notizie: i dazi americani sui prodotti cinesi in entrata obbligherebbero a proteggere il mercato europeo dalle esportazioni cinesi con altri dazi, i sussidi allontanerebbero gli investimenti dal vecchio continente. Stesso discorso sulla fornitura di tecnologia europea avanzata alla Cina, sul cui divieto nemmeno Harris ha intenzione di mollare la presa. I metodi saranno probabilmente meno bellicosi di Trump, ma per gli Usa il primato tecnologico, già vacillante, non può essere minato dalla Cina tramite informazioni acquisite dagli europei.Il più grande punto interrogativo per l’agenda di Harris riguarda il Medio Oriente. Mentre Trump ha una posizione lapalissiana, con sostegno incondizionato alla linea dura del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, quella di Harris ha dei contorni più sfumati.Fino ad oggi, l’obiettivo primario era quello di mantenere l’unità del partito democratico anche sul tema del conflitto a Gaza, considerando anche le critiche precedentemente ricevute da Biden sulle sue scelte politiche. La linea di Harris è moderata, non cambia il sostegno ad Israele ma si unisce la necessità di impegnarsi per alleviare le sofferenze dei palestinesi. Un impegno non di poco conto, che comporta fare pressioni su Israele e soprattutto sollevare le perplessità dei suoi stessi colleghi di partito.L’Europa, al contrario, sorride alla moderazione, dal momento che ci sarebbe un inedito avvicinamento per questi tempi tra la politica statunitense e quella europea. Nuovamente, i problemi europei non sono priorità statunitensi, per cui il rischio di espansione del conflitto in Libano non è una minaccia primaria per gli Usa e invece ha rischi fortemente impattanti sul vecchio continente, come la radicalizzazione violenta e movimenti di larga scala di rifugiati.Non di poco conto è la poca chiarezza della candidata democratica su come intenda gestire il problema del programma nucleare iraniano. Al contrario, Trump ha una posizione molto definita, avendo deciso per l’uscita  dall’accordo sul nucleare del 2015 durante la sua presidenza. L’espansione del programma nucleare iraniano è pericolosa vista la possibilità che avrebbe il paese mediorientale di produrre un ordigno nucleare in poco tempo, ma Harris non sembra avere le idee chiare (o almeno non aver comunicato nulla) su come cercherà il coinvolgimento dell’Iran sui negoziati riguardanti il programma. Ennesimo punto interrogativo sul Medio Oriente e sul futuro della politica americana.Harris e Trump propongono due visioni differenti della politica statunitense, con delle divergenze sostanziali, ma delle similitudini nella tutela degli interessi americani che in Europa dovrebbero far riflettere.L’elezione di Trump sarebbe deleteria per le relazioni transatlantiche, con qualche eccezione tra i leader europei, come il primo ministro ungherese Orban, che accoglierebbero un Trump-bis con entusiasmo. La vittoria di Harris permetterebbe agli europei di avere continuità con la presidenza Biden, tenendo conto però che gli Stati Uniti non hanno come priorità la questione ucraina e che l’America ha come priorità la protezione della propria produzione e sulla politica industriale.L’Europa con Harris vivrebbe solo un rallentamento al processo (forse irreversibile) di allontanamento dall”ombrello’ statunitense. Chiunque vinca il 5 novembre, sarà necessario per il vecchio continente pensare a come proseguire con gli Usa gradualmente più distanti e una concorrenza economica sempre più agguerrita nel panorama globale.Intanto oggi il Parlamento europeo ha eletto Brando Benifei (Pd/S&D) alla guida della Delegazione dell’Europarlamento per le relazioni con gli Stati Uniti. Secondo il parlamentare “in questo momento di incertezza geopolitica l’incarico comporta un impegno preciso: è fondamentale continuare a lavorare a una relazione transatlantica che sia basata sul rispetto reciproco e sulla cooperazione su temi fondamentali come la tecnologia, l’economia, la sicurezza internazionale e la transizione ambientale”. Secondo Benifei, “chiunque vincerà le elezioni presidenziali americane, questa relazione rimarrà fondamentale per trovare soluzioni adeguate a problemi comuni. L’Europa dovrà trovare una propria voce e maggiore coesione politica, necessari per essere un player globale come gli Usa”.

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    “Multilateralismo e cooperazione”, l’UE indirizza il dibattito di Davos

    Bruxelles – Cooperazione e multilateralismo. La risposta a crisi e tensioni è lavoro di squadra, a livello internazionale. Il World Economic Forum di Davos, quest’anno tenuto quasi in sordina per via dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente che continuano con maggiore intensità e ricadute sul dibattito politico, ha visto un’Unione europea ricoprire il ruolo di ‘pacere’ e mediatore in un contesto globale quanto mai incerto.Complice anche un calendario amico, che ha visto un avvicendamento sul podio a fasi alternate, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha potuto trovarsi nella situazione di provare a dettare una linea seguita e inseguita da chi ha parlato dopo di lei. “Questo è il momento di promuovere la collaborazione globale più che mai“, l’appello e l’invito della presidente dell’esecutivo comunitario, che offre sponde: “L’Europa è in una posizione unica per promuovere questa solidarietà e cooperazione globale”.Un intervento che poteva rischiare di andare perso tra le tante sessioni di lavoro di un summit organizzato su più livelli e in più momenti, tutti diversi. Ma l’intervento di von der Leyen è rimasto sospeso solo qualche ora. Perché il giorno successivo è stata il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, a rilanciare l’agenda dell’UE, avvertendo di come “le divisioni geopolitiche stanno ostacolando una risposta globale a sfide come il cambiamento climatico e l’intelligenza artificiale”, e che per tutto questo serve un “multilateralismo riformato, inclusivo e interconnesso”.In linea di principio gli appelli a un mondo globale e globalizzato che tale resti è condiviso anche dagli Stati Uniti dell’amministrazione Biden, con il segretario di Stato americano, Antony Blinken, anch’egli a Davos il giorno successivo alla presenza di von der Leyen, che è stato chiaro sulla necessità di “partenariati e cooperazione globali” per risolvere le nostre sfide più grandi. E’ questa però la visione di un governo uscente, atteso alla prova elettorale di fine anno, che potrebbe ridisegnare agende ed equilibri. L’UE teme un ritorno di Donald Trump alla Casa bianca, per le conseguenze di un simile scenario. Si teme, con Trump, l’esatto contrario di quanto sottolineato e sostenuto, da più parti, a Davos: divisioni al posto di cooperazione.Alle proposte di mediazione e di inter-relazione dell’UE risponde, il quarto giorno di lavori, il vice primo ministro e ministro degli affari esteri dell’Etiopia, Demeke Mekonnen Hassen. C’è per l’Europa, e non solo per il Vecchio continente, tutto il mondo africano interessato all’agenda di cooperazione. A patto che non sia trattato in modo marginale o neo-coloniale. Al contrario, “l‘Africa deve svolgere un ruolo centrale in tutto il mondo per il multilateralismo e nell’arena internazionale sul commercio, sugli investimenti e su altre attività economiche”. Le dinamiche delle relazioni bi-laterali e regionali sarà compito della politica, ma è chiaro, ha voluto sottolineare il direttore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), Ngozi Okonjo-Iweala, che “senza un libero flusso commerciale, non credo che potremo riprenderci” a livello economico. Avanti dunque con il libero scambio e le relazioni internazionali. Anche perché, ha messo in chiaro il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner, “dobbiamo evitare una corsa ai sussidi, non possiamo permettercelo”.L’Unione europea a Davos sembra toccato e centrato un punto fondamentale. Ha sicuramente dettato il dibattito organizzato su più giorni. Ora la vera sfida è fare di questa linea dettata a Davos l’agenda politica internazionale dei prossimi mesi.Per quanto riguarda l’UE, la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, non ha dubbi: l’Europa deve fare i propri compiti a casa. La responsabile dell’Eurotower è stata tra gli ultimi a intervenire, l’ultimo giorno del summit di Davos. Qui, parlando della prospettiva di un ritorno di Trump alla guida degli Stati Uniti, ha invitato a lavorare fin da ora. “La migliore difesa, se è così che vogliamo vederla, è l’attacco“. Quindi precisa. “Per attaccare bene bisogna essere forti in casa. Essere forti significa avere un mercato forte e profondo, avere un vero mercato unico“.Una delle risposte a un eventuale ritorno di Trump passa per l’integrazione a dodici stelle. Lindner lo ha detto chiaro e tondo. “Il nostro svantaggio competitivo rispetto agli Stati Uniti non sono i sussidi, ma la funzione del nostro mercato dei capitali privati“.