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    Il Global Gateway dell’Ue implementato con 4 miliardi di euro mobilitati da Commissione e Banca Europea per Investimenti

    Bruxelles – Un’intesa decisiva per iniziare a sbloccare tutto il potenziale del Global Gateway, la strategia dell’Ue per le infrastrutture sostenibili a livello globale. La Commissione Europea e la Banca Europea per gli Investimenti (Bei) hanno firmato oggi (28 febbraio) una serie di accordi da 4 miliardi di euro complessivi per sostenere le imprese dei Paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico fino al 2027. “L’accordo di oggi è un’altra pietra miliare nel progresso della priorità strategica del Global Gateway”, ha confermato la commissaria per i Partenariati internazionali, Jutta Urpilainen, presentando la mobilitazione di finanziamenti pubblici e privati “in settori chiave come la digitalizzazione, il clima e l’energia, i trasporti e la salute” nei Paesi partner in tutto il mondo.
    “La mobilitazione del settore privato è fondamentale per lo sviluppo sostenibile dei Paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico”, ha aggiunto la commissaria parlando degli accordi siglati dall’esecutivo comunitario e dalla Bei. Nello specifico i 4 miliardi si compongono di un accordo di garanzia fino a 3,5 miliardi di euro in prestiti e di un contributo del Fondo fiduciario da 500 milioni di euro. Un esempio delle possibilità di investimento attraverso l’accordo di garanzia è il Green African Agricultural Value Chain Facility, che fornisce finanziamenti agli intermediari dell’Africa subsahariana per la concessione di prestiti alle piccole e medie imprese nelle catene del valore agroalimentari. Il Fondo fiduciario, invece, andrà a sostenere la costruzione di piccole centrali elettriche a energia rinnovabile, per consentire l’approvvigionamento autonomo di elettricità in aree remote non collegate alla rete.

    A che punto siamo con il Global Gateway
    Le intese da 4 miliardi di euro vanno ad aggiungersi all’accordo di garanzia da 26,7 miliardi di euro firmato da Ue e Bei nel maggio del 2022. Primi mattoni posti nell’Ue per dare concretezza alla strategia da 300 miliardi di euro che risale al dicembre 2021, in risposta alla Belt and Road Initiative della Cina e per rispondere alle sfide globali della transizione verde, della connettività digitale e dell’accesso alla salute pubblica. L’obiettivo del Global Gateway è proprio quello di veicolare un aumento degli investimenti in progetti locali, per “promuovere valori democratici, buona governance, trasparenza e partenariati equi”, mettendo in contatto istituzioni finanziarie e di sviluppo degli Stati membri, la Bei e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers).
    Metà degli sforzi d’investimento del Global Gateway hanno come punto focale i progetti di sviluppo che riguardano il continente africano. Circa 150 miliardi di euro che, come confermato al vertice Ue-Unione Africana di un anno fa dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, saranno indirizzati a potenziare le transizioni verde e digitale. Sul piano energetico, nello specifico, la volontà è quella di dare una spinta decisiva al potenziale verde del continente africano tra sole, vento e idroelettrico, attraverso la piena decarbonizzazione e il traguardo del cento per cento rinnovabile. In questo senso va letto anche il progetto della Grande Muraglia Verde contro desertificazione, effetti dei cambiamenti climatici e crisi alimentare in Africa, aspetti imprescindibili del Global Gateway. La stessa presidente von der Leyen ha definito la Grande Muraglia Verde un “baluardo contro l’insicurezza alimentare e il cambiamento climatico”, per cui la Banca Europea per gli Investimenti potrebbe presto svolgere un ruolo decisivo per la sua implementazione con il sostegno a progetti imprenditoriali concreti.

    Gli accordi di investimento consistono di un accordo di garanzia fino a 3,5 miliardi in prestiti e di un contributo del Fondo fiduciario di 500 milioni, a sostegno delle imprese dei Paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico fino al 2027: “Il settore privato è fondamentale per lo sviluppo sostenibile”

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    Soldati russi in Kazakistan per aiutare il regime a reprimere le proteste. L’UE temporeggia (e fa male)

    Bruxelles – In Kazakistan sono stati paracadutati i soldati russi dell’alleanza militare guidata da Mosca per aiutare il regime a reprimere le proteste in corso da sabato scorso (1 gennaio) e per l’UE è una notizia tutt’altro che rassicurante. Non lo è sotto due aspetti: per prima cosa, il caso dell’Ucraina dovrebbe aver dimostrato che quando la Russia invia soldati in un Paese confinante è per rispondere a mire egemoniche e territoriali. Ma soprattutto perché il Kazakistan rappresenta un attore geopolitico chiave sul piano energetico e in particolare per i piani (divisivi) di transizione verde dell’UE: non solo per l’estrazione di gas naturale – risorsa fondamentale nel pieno della crisi energetica globale – ma anche per le aspirazioni sul nucleare della Commissione Europea e di parte degli Stati membri. Senza dimenticare l‘accordo rafforzato di partenariato e cooperazione UE-Kazakistan, che fa di quella kazaka la repubblica ex sovietica con cui il blocco dei Ventisette vanta relazioni approfondite.
    Insomma, l’UE rischia di perdere il Kazakistan. Avrebbe tutti gli interessi per alzare la voce sul coinvolgimento russo nel Paese, ma al momento temporeggia. “Prendiamo nota della richiesta di assistenza al Trattato di Sicurezza Collettiva per un periodo di tempo limitato e per stabilizzare la situazione. Questo intervento deve rispettare la sovranità del Paese“, ha commentato oggi (giovedì 6 gennaio) la portavoce della Commissione UE, Nabila Massrali, durante il punto quotidiano con la stampa. “Continuiamo a seguire la situazione delicata in corso in Kazakistan, l’Unione Europea è pronta a sostenere il dialogo per arrivare a una risoluzione pacifica della situazione”.
    Proteste ad Almaty, Kazakistan
    L’UE monitora la situazione, ma intanto il Cremlino si è attivato attraverso l’alleanza composta da Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan. L’obiettivo è quello di sostenere il regime del presidente Kassym-Jomart Tokayev a riprendere il controllo del Paese, dopo l’ondata di violenze che ha travolto Almaty, la città più grande del Kazakistan, e la capitale Nur-Sultan (Astana, fino a marzo 2019). A scatenare il disordine è stata la decisione del governo di eliminare il limite massimo al prezzo del GPL, facendo lievitare i prezzi del carburante. Ad Almaty si stanno riunendo da giorni migliaia di manifestanti, con duri scontri con le forze dell’ordine: ieri (mercoledì 5 gennaio) è stata assaltata la sede del governo locale.
    La risposta del presidente Tokayev è stata particolarmente dura. Dopo aver sciolto l’esecutivo, ha dichiarato lo stato di emergenza – che prevede coprifuoco e limitazioni di libertà di assemblea – ha ordinato alle forze di sicurezza di reprimere proteste “nel modo più duro possibile”, ha bloccato l’accesso a Internet su tutto il territorio nazionale e infine ha assunto personalmente la guida del Consiglio di Sicurezza, (l’organo che si occupa di questioni militari e di sicurezza), togliendola a Nursultan Nazarbayev, l’ex-presidente kazako dal 1990 al 2019. Come gesto estremo ha invocato l’aiuto del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) contro le “azioni di terroristi e banditi”, subito approvato dall’alleanza e a cui ha dato una risposta sul campo la Russia di Vladimir Putin.
    A far temere interessi che vanno aldilà della solidarietà dell’alleanza in Asia centrale è la concomitanza di eventi con la crisi a un’altra frontiera della Russia, quella ucraina. A causa di un possibile intervento di Mosca nel Paese, l’alto rappresentante UE per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, si è recato sulla frontiera orientale dell’Ucraina per ribadire il sostegno di Bruxelles alla sovranità dell’Ucraina, e anche l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord si è mobilitata: per domani è previsto un vertice straordinario dei ministri degli Esteri NATO e mercoledì prossimo (12 gennaio) si terrà la riunione del Consiglio NATO-Russia.
    Il presidente del Kazakistan, Kassym-Jomart Tokayev
    Mosca si muove su diversi scenari strategici e sembra essere preoccupata dall’incapacità del presidente kazako di tenere sotto controllo le proteste in un Paese alleato a livello militare ed economico (partner dell’Unione eurasiatica, con Bielorussia, Armenia e Kirghizistan), che dal crollo del regime sovietico non ha praticamente mai assistito a forme di dissenso organizzato di dimensioni rilevanti. Se l’ondata di violenze è scattata a causa dell’aumento dei prezzi del gas, è facile comprendere che si tratta solo dell’ultima goccia in un vaso ormai colmo dopo tre decenni di autoritarismo: come riportano fonti di The Guardian, i manifestanti chiedono riforme politiche, elezioni libere ed eque, opportunità di lavoro, migliori condizioni di vita e la fine del regime nepotista e corrotto. La stabilità politica che ha conosciuto il Kazakistan dal 1990 a oggi è stata frutto di un dominio incontrastato dell’ex presidente Nazarbayev (leader post-sovietico più longevo, a cui è stato dedicato il nuovo nome della capitale), che solo dal 2019 ha iniziato a passare il testimone del potere ai suoi uomini più fidati.
    Un ultimo parallelismo che si può facilmente delineare – e che ancora una volta coinvolge le mire egemoniche russe – è quello con la Bielorussia di Alexander Lukashenko. Anche in questo caso l’ultimo dittatore d’Europa è ininterrottamente al potere da decenni (dal 1995) e da agosto del 2020 sta reprimendo nel sangue le proteste dell’opposizione, grazie al sostegno militare e finanziario del Cremlino. Se in entrambi i Paesi le proteste sono scoppiate in modo dirompente dopo anni di autoritarismo e con rivendicazioni di diritti civili e politici, il Kazakistan presenta però alcune differenze che rischiano di far naufragare le speranze di democrazia.
    Prima di tutto la violenza delle proteste (mai verificatasi in Bielorussia) ha dato una scusa alla Russia per intervenire in modo formale, attraverso l’attivazione di una clausola dell’alleanza. In secondo luogo, l’eliminazione sistematica di qualsiasi astro nascente dell’opposizione ha lasciato il movimento di protesta privo di figure carismatiche attorno alle quali unirsi. L’opposizione bielorussa invece ha sempre potuto contare sulla voce forte e ascoltata a livello internazionale della presidente riconosciuta dall’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya, che in queste ore ha preso posizione sulla questione kazaka: “L’invio di truppe è un’ingerenza militare negli affari di un altro Stato e Lukashenko non ha nessun mandato per inviare truppe bielorusse”.
    Infine, a differenza del caso bielorusso, nei confronti del Kazakistan l’UE sta mantenendo un atteggiamento attendista. “Pur riconoscendo il diritto a manifestazioni pacifiche, l’Unione Europea si aspetta che esse rimangano non violente ed evitino qualsiasi incitamento alla violenza”, si legge in una nota del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE). Intanto però non viene rispettata quella richiesta di “proporzionalità nell’uso della forza” da parte delle autorità kazake e la Russia muove le proprie pedine nell’area centro-asiatica. Mentre i leader europei dovranno trovare una linea comune con la NATO sulla situazione sul confine ucraino e non dimenticare il sostegno all’opposizione bielorussa, per l’UE è già tempo di ragionare su come affrontare le ingerenze russe in Kazakistan, se non vuole già dire addio a una parte dei propri piani sulla transizione verde.

    Belarus troops deployed to 🇰🇿 participate in an armed intervention into internal affairs of a sovereign state. Lukashenka lost legitimacy & has no mandate to make such decisions, especially when they threaten the sovereignty of Belarus itself. We call for dialogue in 🇰🇿. pic.twitter.com/MelHdjID7f
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) January 6, 2022

    Si tratta di una nuova fonte di preoccupazione per Bruxelles, dopo la crisi in Ucraina: il Kazakistan è un attore geopolitico fondamentale per la transizione verde dell’UE, sia per il gas sia per il nucleare