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    La Global Sumud Flotilla naviga verso Gaza, Israele prepara una reazione muscolare

    Bruxelles – Il maltempo non ferma la Global Sumud Flotilla. Seppur con qualche ritardo sulla tabella di marcia iniziale, i partecipanti all’iniziativa transnazionale hanno ripreso il mare e stanno navigando verso le coste di Gaza. Nei prossimi giorni altre imbarcazioni si uniranno alla spedizione umanitaria per fornire sollievo ai palestinesi della Striscia, che Israele sta massacrando indiscriminatamente da oltre 22 mesi. Sui ponti della “flotta resistente” anche diversi politici italiani.Continua ad allargarsi il sostegno internazionale alla missione di solidarietà della Global Sumud Flotilla, la più grande mobilitazione della società civile mai messa in piedi nella storia recente appena salpata alla volta di Gaza. Obiettivo: spezzare il blocco illegale imposto da Israele e aprire un corridoio umanitario marittimo, nel tentativo di far entrare nella Striscia gli aiuti di cui la popolazione palestinese ha un disperato bisogno dopo quasi due anni di bombardamenti incessanti e una carestia creata artificialmente da Tel Aviv.Nelle ultime ore si sono “arruolati” volontariamente svariati politici di diversi Paesi, inclusi quattro italiani. Ci sono le europarlamentari Benedetta Scuderi (Avs) e Annalisa Corrado (Pd), il senatore Marco Croatti (M5s) e il deputato Arturo Scotto (Pd). Con loro anche altri due membri del gruppo della Sinistra all’Eurocamera di Strasburgo, la francese Emma Fourreau e l’irlandese Lynn Boylan (quest’ultimo a bordo di una nave indipendente che monitorerà lo svolgimento delle operazioni).L’eurodeputata di Avs Benedetta Scuderi (foto: Andrea Panegrossi via Imagoeconomica)“Questo governo è complice”, ha denunciato Scuderi additando Palazzo Chigi, rinnovando gli appelli per “fare pressioni” su Benjamin Netanyahu – ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità – e “smettere di inviare armi” a Tel Aviv. L’eurodeputata lamenta peraltro il silenzio di Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen sulla Flotilla: né Roma né Bruxelles hanno offerto alcuna copertura politico-istituzionale agli attivisti, che pure stanno cercando di colmare coi loro corpi un vuoto lasciato aperto dalle cancellerie dell’Europa e del mondo.Corrado invoca la “protezione” del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e sottolinea come nella Striscia non siano morti “solo 65mila esseri umani, in gran parte civili e bambini” ma anche “la democrazia, la fiducia nella politica e nelle istituzioni internazionali, tra silenzi e inazione”. “A Gaza stiamo morendo tutte e tutti noi”, osserva, paragonando la Flotilla ad una “arca di Noè del nostro tempo“.La partenza della Flotilla non è stata delle più semplici. A causa delle condizioni meteorologiche avverse, una trentina di navi con oltre 300 attivisti salpate la notte del 31 agosto da Barcellona sono dovute rientrare nel porto catalano poche ore dopo essersi messe in mare, all’alba del primo settembre. Da lì sono ripartite la sera stessa, ma per una seconda volta nella giornata di ieri (2 settembre) cinque piccole imbarcazioni hanno dovuto tornare indietro per riparare i danni.Le altre 24 hanno proseguito, meno sette che hanno fatto tappa alle Baleari per sostenere ulteriori riparazioni e aspettare i natanti che nel frattempo sono ripartiti da Barcellona. Il convoglio si sarebbe dovuto riunire domani (4 settembre) col resto della Flotilla al largo delle coste tunisine, ma a quanto pare l’appuntamento è stato rimandato al 7 settembre. A quel punto si congiungeranno anche i naviganti salpati da Genova, dalla Sicilia e dalla Grecia per veleggiare tutti insieme verso Gaza. L’organizzazione Emergency ha annunciato che si unirà alla missione con la sua nave Life support.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Shaul Golan/Afp)Nel frattempo si intensifica la pressione politica su Israele, anche se continuano a mancare azioni concrete da parte dei governi occidentali per porre fine allo sterminio dei gazawi e assicurare la consegna degli aiuti umanitari nella martoriata exclave costiera. All’Eurocamera di Strasburgo ha raccolto un centinaio di firme la richiesta di interrogazione scritta all’Alta rappresentante Kaja Kallas sulla strage dei cronisti palestinesi a Gaza – oltre 240 dall’ottobre 2023, stando ai dati Onu – avanzata dal dem Sandro Ruotolo, secondo cui “chi colpisce i giornalisti colpisce il diritto a conoscere la verità”.Ieri il Belgio si è aggiunto al novero dei Paesi che si dichiarano pronti a riconoscere lo Stato di Palestina all’imminente Assemblea generale dell’Onu, seguendo le più recenti orme di Francia, Malta e Regno Unito. Solo qualche giorno prima, l’Associazione internazionale degli studiosi di genocidio (Iags) ha certificato che Tel Aviv sta perpetrando il “crimine dei crimini” nella Striscia, come già rilevato dalle stesse ong israeliane.Lo Stato ebraico risponde in maniera muscolare. La marina israeliana ha condotto un’esercitazione nelle acque antistanti Gaza, mentre un numero di droni non identificati sorvola le imbarcazioni della Flotilla, probabilmente per sorvegliarle. Erano senza dubbio israeliani, invece, i droni che hanno colpito le strutture in cui sono stanziati i caschi blu dell’Unifil, così come i velivoli dell’aeronautica di Tel Aviv che nelle scorse ore sono atterrati all’aeroporto militare di Sigonella, dopo aver sorvolato la Sicilia. Quanto agli attivisti della Flotilla, il ministro ultraortodosso della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir li ritiene dei “terroristi” e dice di volerli trattare di conseguenza.

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    Falsa partenza (causa meteo) della Global Sumud Flotilla. Tutti gli occhi su Tel Aviv

    Bruxelles – La Global Sumud Flotilla è dovuta tornare indietro poche ore dopo essere salpata. La gigantesca mobilitazione della società civile internazionale per portare aiuti umanitari alla Striscia di Gaza via mare è partita ieri da diversi porti alla volta dell’exclave palestinese assediata. Dovrebbe arrivare al largo delle coste gazawe tra un paio di settimane, e punta a mantenere alta l’attenzione mediatica per mettere pressione su Israele, che con ogni probabilità impedirà alle imbarcazioni di sbarcare.È partita ieri (31 agosto) la prima parte della Global Sumud Flotilla, una flotta di decine di navi di dimensioni medio-piccole messe in acqua dagli aderenti a quella che potrebbe essere la più grande mobilitazione transnazionale della storia recente, ma è dovuta rientrare in porto poche ore dopo a causa delle condizioni meteorologiche avverse. Non è chiaro, al momento, quando potrà ritentare il mare.Una ventina di navi sono salpate da Barcellona, dove oltre 5mila persone hanno salutato i circa 300 naviganti: non solo marinai ma anche attivisti, giornalisti, avvocati, medici, personaggi pubblici e membri della società civile. Sulle imbarcazioni, tonnellate di aiuti umanitari per i palestinesi della Striscia, intrappolati da oltre 18 anni di assedio illegale dello Stato ebraico, iniziato nel giugno 2007.Tra gli altri c’era anche Greta Thunberg, che figura nel board dell’iniziativa. “La questione riguarda come le persone vengono deliberatamente private dei mezzi di sussistenza più elementari e come il mondo possa tacere“, ha dichiarato la giovane attivista svedese, accusando Tel Aviv di voler “cancellare la nazione palestinese“.Contemporaneamente, da Genova mollavano gli ormeggi altre imbarcazioni con la “benedizione” della sindaca Silvia Salis. La sera precedente, una manifestazione partecipatissima (gli organizzatori parlano di 50mila presenze) ha portato sul lungomare la cittadinanza per l’ennesima dimostrazione di solidarietà coi gazawi vittime dello sterminio. I rappresentanti dei portuali hanno promesso di “bloccare tutto” – riferendosi alle spedizioni per Israele, incluse quelle di armi, che partono regolarmente dalla Liguria – se verrà usata violenza contro la Flotilla.Altre navi sono partite da altri porti del Mediterraneo occidentale e tutte stanno facendo vela verso la zona centrale del Mare Nostrum dove, il prossimo 4 settembre, raccoglieranno ulteriori naviganti da altre località, incluse Tunisia, Grecia e Sicilia, per un totale di circa 50 imbarcazioni con oltre 500 naviganti provenienti da 44 Paesi. Obiettivo: forzare il blocco, o almeno trasmettere in diretta mondiale la risposta israeliana (negli scorsi mesi, Tel Aviv ha fermato diverse spedizioni umanitarie che avevano tentato di raggiungere Gaza, talvolta ricorrendo a metodi pirateschi come attacchi con droni in acque internazionali). L’arrivo era originariamente previsto per metà settembre.Come qualunque iniziativa simile, nemmeno la Global Sumud Flotilla è esente da critiche. Alcuni osservatori ne hanno messo in dubbio la genuinità e l’opportunità, domandandosi se si tratti di un gesto realmente utile – date le probabilità di successo dell’impresa, prossime allo zero, ma anche dati i costi esorbitanti della mobilitazione e una serie di apparenti inefficienze logistiche – o non piuttosto di una spettacolarizzazione mediatica per fornire all’ennesimo slancio del performattivismo occidentale una veste di dignità umanitaria con la quale l’opinione pubblica globale si potrà lavare la coscienza.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (sinistra) e il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)Sia come sia, quel che è certo è che si tratta dell’unica azione concreta attualmente sul tavolo tesa a fermare la carneficina in corso a Gaza e a cercare di mettere all’angolo Benjamin Netanyahu, ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità ma intoccabile fintantoché gode della protezione incondizionata delle potenze occidentali, a partire dagli Stati Uniti.Nessun governo sta esercitando una reale pressione su Tel Aviv affinché ponga fine allo sterminio dei palestinesi (bollato come genocidio dalle stesse ong israeliane, oltre che da un buon numero di giuristi ed esperti), alla pulizia etnica nella Striscia, allo sfollamento forzato, all’apartheid in Cisgiordania, alle violazioni estese e sistematiche dei diritti umani e, in definitiva, allo smantellamento delle fondamenta stesse del diritto internazionale.Quest’ultimo sembra ormai evaporato, cancellato insieme agli edifici rasi al suolo dall’esercito israeliano (Idf), alla carestia creata artificialmente come ai tempi dell’Holodomor, agli assassini di civili, giornalisti e personale sanitario perpetrati con metodi terroristici, alla violenza impunita dei coloni, alle detenzioni extragiudiziali e ai soprusi di ogni genere che il popolo palestinese subisce da decenni, intensificatisi gravemente negli ultimi 22 mesi. Indisturbato, Netanyahu procede nel fare a pezzi la Palestina, dalle demolizioni in Cisgiordania all’assalto su Gaza City tutt’ora in corso, e il suo sodale Donald Trump continua a vaneggiare di trasformare Gaza nella “riviera del Medio Oriente“.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Consiglio europeo)Mentre Tel Aviv starebbe valutando di annettere l’intera zona C – la porzione di Cisgiordania (circa il 60 per cento) che, in base agli accordi di Oslo di trent’anni fa, si trova attualmente sotto il “temporaneo” controllo amministrativo e militare israeliano – come risposta (sic) alle “minacce” di diversi Paesi di riconoscere lo Stato di Palestina all’imminente Assemblea generale dell’Onu, i leader Ue rimangono divisi e in diversi casi rischiano crisi politiche paralizzanti.Non si vede all’orizzonte nemmeno una maggioranza qualificata per una misura cosmetica come la sospensione parziale dei fondi Horizon+ a Israele, come certificato dall’Alta rappresentante Kaja Kallas. “Gli Stati membri non sono d’accordo su come far cambiare rotta al governo israeliano“, ha ammesso il capo della diplomazia comunitaria al termine dell’informale Difesa svoltosi l’altroieri a Copenaghen, dichiarandosi “non molto ottimista” sulla possibilità di fare progressi a stretto giro. Il portavoce della Commissione Thomas Regnier ha rifiutato di commentare su “casi specifici”, rispondendo ad una domanda sulle tecnologie militari vendute da Bruxelles all’Idf per lo sviluppo di droni usati contro i palestinesi.

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    La battaglia delle ong belghe contro l’appalto ad un’impresa spagnola che opera in Cisgiordania

    Bruxelles – La società civile belga vuole impedire che i soldi dei contribuenti contribuiscano a sostenere i crimini commessi da Israele contro i palestinesi, dal genocidio in corso nella Striscia di Gaza all’apartheid in Cisgiordania. Nel mirino di una serie di gruppi per i diritti umani, supportati dalla relatrice speciale dell’Onu Francesca Albanese, è finita una commessa multimiliardaria affidata dalle ferrovie pubbliche nazionali ad un’azienda spagnola che fa affari con l’economia dell’occupazione israeliana.Durante un incontro con la stampa, una coalizione di organizzazioni non governative con sede in Belgio ha ribadito oggi (26 agosto) il proprio impegno per evitare che l’Sncb/Nmbs, il gruppo proprietario delle ferrovie federali, proceda con l’assegnazione alla spagnola Construcciones y Auxiliar de Ferrocarriles (Caf) di un contratto da 3 miliardi di euro per l’acquisto di 600 vagoni. La prima designazione della Caf come vincitrice del bando risale allo scorso febbraio: è stata poi sospesa ad aprile e successivamente riconfermata a luglio.L’appello lanciato da Al-Haq Europe, Intal, Vrede vzw e 11.11.11 è semplice: i soldi pubblici non devono finire nelle tasche di un’impresa che con le sue attività nei territori palestinesi occupati alimenta quella che la relatrice speciale delle Nazioni Unite per i Territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, definisce la “economia del genocidio” dello Stato ebraico, basata sulla pulizia etnica, la distruzione, il furto di terre e, in definitiva, la violazione sistematica dei diritti umani e del diritto internazionale.Demolizioni israeliane supervisionate dall’Idf a Judeira, nella Cisgiordania occupata (foto: Zain Jaafar/Afp)Essendo coinvolta in dal 2019 nella costruzione e manutenzione di una linea tramviaria che collega la Gerusalemme Est occupata con gli insediamenti illegali in Cisgiordania, sostengono le ong, l’azienda basca va esclusa dalla gara d’appalto. “Non si può firmare un contratto con un’azienda profondamente coinvolta nella politica di occupazione”, osserva Willem Staes di 11.11.11.Staes e i suoi collaboratori spiegano che il Belgio, in quanto Stato membro dell’Ue, sostiene la soluzione a due Stati, ma che i legami economici di Bruxelles con le colonie israeliane illegali costituiscono de facto una violazione degli obblighi giuridici del Paese. L’Sncb, stando alla loro denuncia, non ha incorporato nella procedura d’appalto alcuna analisi del rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale da parte della Caf. Una mancanza che potrebbe configurare una “grave negligenza professionale” per le ferrovie federali ai sensi della normativa belga.Le quattro sigle della società civile hanno intrapreso un’azione legale contro l’Sncb di fronte al Consiglio di Stato, la più alta istanza di giudizio del Belgio in ambito amministrativo, che dovrebbe discutere la questione la prossima settimana ed emettere una sentenza entro tre settimane. Giustificano questo procedimento irrituale con la necessità di creare “un precedente cruciale per ritenere le istituzioni pubbliche responsabili dei loro legami economici con aziende coinvolte in gravi violazioni dei diritti umani“, come si legge in un comunicato congiunto delle associazioni.Pure Albanese ha ribadito la centralità del concetto di responsabilità, declinandolo su due piani distinti ma collegati. Da un lato la responsabilità pubblica, per cui è necessario chiedere conto a decisori politici e istituzioni dei loro legami con entità che si macchiano di crimini tanto efferati.“I doveri in capo agli Stati e le responsabilità in capo alle aziende sono due facce della stessa medaglia”, ragiona l’avvocata. La stessa Caf, ricorda, è già presente nel database dell’Onu dove sono registrate le aziende che coi loro affari alimentano le violazioni israeliane, incluse la segregazione e lo sfollamento forzato. L’impresa basca, sostiene, “è un attore chiave” negli sforzi per la “annessione permanente di terra palestinese“.La relatrice speciale dell’Onu per i territori palestinesi occupati, Francesca Albanese (foto: Saverio De Giglio via Imagoeconomica)Albanese denuncia come “scioccante” l’immobilità dei governi mondiali, incapaci di mettere in campo “una risposta politica robusta” nei confronti di Israele. A partire da quelli dei Ventisette che, dopo oltre 22 mesi di sterminio quasi scientifico (accoppiato ad una carestia orchestrata in maniera artificiale, come certificato dall’Onu), rimangono divisi persino su una misura blanda come la sospensione parziale dei fondi Horizon+ per Tel Aviv.Iniziative come quella della Global Sumud Flotilla – forse la mobilitazione transnazionale più ampia di sempre, per rompere l’assedio di Gaza e far entrare nella Striscia gli aiuti umanitari – sono importanti, ragiona, “ma è responsabilità degli Stati” reagire in maniera strutturale. “L’Ue e i suoi Paesi membri non possono interagire con Israele come se nulla fosse“, incalza, evidenziando come lo Stato ebraico “si è spinto molto più in là” del Sud Africa nell’epoca dell’apartheid, finito giustamente nel mirino di sanzioni e boicottaggi internazionali.D’altra parte, la relatrice Onu ha rinnovato l’appello alla responsabilità individuale dei singoli cittadini in un momento storico in cui rimanere in silenzio è ormai un atto di complicità. E suggerisce tre livelli di azione che ogni persona può intraprendere autonomamente: informarsi sulla Palestina, con una prospettiva storica e senza fermarsi alla situazione attuale; fare pressione sul proprio governo tramite proteste e manifestazioni e, infine, fare pressione su aziende e imprese per mezzo di boicottaggi e abitudini d’acquisto e di consumo eticamente consapevoli.

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    Gaza, la Global Sumud Flotilla tenta di rompere l’assedio per portare gli aiuti umanitari

    Bruxelles – Nell’inazione dei governi di tutto il mondo nei confronti di Israele, tocca alla società civile mobilitarsi e cercare di fermare le atrocità commesse da Tel Aviv nella Striscia di Gaza. A fine mese, decine di imbarcazioni salperanno alla volta dell’exclave costiera, nel tentativo di rompere il blocco navale e far arrivare alla popolazione civile gli aiuti umanitari di cui ha disperatamente bisogno, ma che lo Stato ebraico continua a non lasciar passare.Il prossimo 31 agosto decine di barche e navi provenienti da 44 Paesi prenderanno il mare per raggiungere le coste di Gaza. Alcune partiranno dalla Spagna, mentre altre molleranno gli ormeggi il 4 settembre dalla Tunisia. È la Global Sumud Flotilla, un movimento transnazionale nato dall’unione di tre precedenti iniziative – la Freedom Flotilla Coalition, il Movimento Globale per Gaza e il Maghreb Sumud Convoy – con l’obiettivo di spezzare l’assedio totale con cui Israele cinge la Striscia per terra, mare e aria e consegnare gli aiuti umanitari vitali alla popolazione civile, ormai sull’orlo del collasso.All’appello globale alla solidarietà nei confronti del popolo palestinese lanciato dall’associazone stanno rispondendo decine di uomini e donne dal mondo della politica, dell’attivismo, della cultura e della musica che stanno usando le proprie piattaforme per diffondere il messaggio umanitario dell’iniziativa, oltre a migliaia di cittadini da tutti gli angoli del mondo, inclusi medici, giornalisti e avvocati. “Ogni barca rappresenta una comunità e il rifiuto di rimanere in silenzio di fronte al genocidio“, scrivono i promotori della coalizione internazionale.Anche diversi personaggi pubblici italiani hanno deciso di metterci la faccia e alzare la voce contro i crimini di guerra perpetrati da Tel Aviv, con l’obiettivo di tenere alta l’attenzione mediatica verso l’iniziativa: da Alessandro Gassman a Claudio Santamaria, da Alessandro Barbero a Zerocalcare. Affiancano volti noti a livello internazionale come Greta Thunberg, Mark Ruffalo, Susan Sarandon, Liam Cunningham e molti altri.Anche alla Mostra del Cinema di Venezia, diversi artisti italiani hanno scritto una lettera aperta chiedendo al festival di schierarsi contro il genocidio in corso. Tra i firmatari, nomi di spicco come Carolina Crescentini, Serena Dandini, Fiorella Mannoia, Gabriele Muccino, Alba e Alice Rohrwacher, Pietro Sermonti, Claudio Santamaria, Toni Servillo e Marco Bellocchio.La parola sumud in arabo significa “resilienza“. Una resistenza pacifica, nonviolenta, che fa ricorso alla disobbedienza civile – a cui si può prendere parte non solo tramite la partecipazione diretta a bordo di un vascello, ma in molti modi anche “a distanza” – per ribellarsi contro uno dei crimini più efferati ed abominevoli della contemporaneità. Nel solco di altre iniziative collettive messe in piedi nelle scorse settimane, come il viaggio del vascello Madleen, intercettato dallo Stato ebraico al largo delle coste di Gaza, in acque internazionali (fato toccato anche alla Handala, mentre la Conscience era stata attaccata da droni israeliani).La nave Madleen del collettivo Freedom Flotilla (foto dall’account X della Freedom Flotilla Coalition)E nel nome di un senso di umanità che a quanto pare non è condiviso dai governi mondiali: a partire da quelli europei che tanto amano dipingersi come difensori del diritto e dei diritti, ma che tuttavia non riescono nemmeno a mettersi d’accordo su una misura essenzialmente simbolica come la sospensione parziale dei fondi Horizon+ per Tel Aviv. In alcuni Paesi i governi sono entrati in crisi solo per aver contemplato come argomento di discussione politica il potenziale riconoscimento dello Stato di Palestina.Stato palestinese che, nei fatti, potrebbe presto non poter esistere più, cancellato per sempre dalla mappa. Da un lato, l’ecatombe nella Striscia non sembra conoscere fine. Le operazioni dell’Idf continuano a Gaza City mentre i civili palestinesi vengono assassinati quando tentano di raccogliere il cibo distribuito col contagocce dalle autorità di Tel Aviv (che assoldano influencer per diffondere la propria propaganda e addossare la colpa alle Nazioni Unite).Da oltre 22 mesi, il governo di Benjamin Netanyahu (sul cui capo pende un mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale) sta deliberatamente sterminando tramite il combinato disposto di una violentissima campagna militare – bollata come genocidio anche dalle stesse ong israeliane – e di una carestia creata artificialmente per affamare gli oltre 2 milioni di civili ancora rimasti nell’area, come certificato dall’Onu. L’esecutivo di Tel Aviv pare intenzionato a rioccupare permanentemente l’exclave, 20 anni dopo essersi ritirato dall’area.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Charly Triballeau/Afp)Stamattina, un bombardamento israeliano presso l’ospedale Nasser di Khan Yunis ha ucciso almeno 20 persone, tra cui 5 giornalisti, con la tecnica del cosiddetto double tap: ad un primo attacco ne fa seguito un secondo contro lo stesso bersaglio, per massimizzare i danni colpendo le squadre di soccorso quando arrivano sul posto. Un metodo barbaro, utilizzato anche dalla Russia in Ucraina: in quel contesto, i governi occidentali si sperticano giustamente per denunciarne l’inumanità. In questo, invece, il loro silenzio è assordante.Dall’altro lato, continua a incancrenirsi pure il regime di apartheid messo in piedi da Israele nella Cisgiordania occupata, dove aumentano le demolizioni (anche di strutture scolastiche finanziate coi soldi europei) e le violenze dei coloni. E dove Tel Aviv potrebbe presto procedere con lo scellerato progetto noto come E1, che collegherebbe l’insediamento di Maale Adumim con Gerusalemme Est, tagliando de facto in due questa porzione di Palestina.

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    Nell’inerzia del mondo (e dell’Ue), Israele sta smantellando la Palestina

    Bruxelles – L’Europa e il mondo restano a guardare mentre Israele seppellisce definitivamente ogni prospettiva per la costruzione di uno Stato palestinese. E probabilmente, allo stesso tempo, anche la possibilità di una ricomposizione politica della decennale crisi mediorientale. Dopo aver approvato il controverso piano per la creazione dell’insediamento E1, che spezza la Cisgiordania in due, il gabinetto di Benjamin Netanyahu ha avviato stanotte un’offensiva terrestre su Gaza City.Approfittando della disattenzione dei partner occidentali, febbrilmente indaffarati a preparare il terreno per una potenziale soluzione negoziata della guerra in Ucraina, Tel Aviv sta premendo sull’acceleratore per distruggere completamente quel poco che resta della Palestina, conducendo in contemporanea due azioni diverse ma complementari tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania occupata.Dopo giorni di intensi bombardamenti, nella notte tra il 20 e il 21 agosto sono iniziate le operazioni di terra dell’esercito israeliano (Idf) per la conquista definitiva di Gaza City, la capitale dell’exclave costiera ormai rasa quasi completamente al suolo dalla violentissima campagna militare avviata nell’ottobre 2023 in risposta agli attacchi dei miliziani di Hamas. La situazione umanitaria nell’area è gravissima, come denunciano quotidianamente le Nazioni Unite, le ong e associazioni internazionali e locali e gli stessi alleati dello Stato ebraico, e il numero dei morti ha superato le 62mile unità.La distruzione a Gaza City (foto: Omar Al-Qattaa/Afp)Ma il primo ministro Benjamin Netanyahu (ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità) tira dritto e procede coi suoi piani di rioccupare permanentemente la Striscia, dalla quale Israele si era ritirato nel 2005. Per portarli a termine, il suo gabinetto ha richiamato 60mila riservisti da impiegare in prima linea nelle prossime settimane. Diverse ong israeliane parlano ormai apertamente delle operazioni a Gaza bollandole come genocidio del popolo palestinese, condotto sia con mezzi militari sia tramite la strumentalizzazione della fame.Diventa peraltro sempre più difficile per il mondo esterno sapere cosa accade nella Striscia, dato che le Idf continuano a massacrare indiscriminatamente i giornalisti (oltre 240 in 22 mesi, secondo i dati dell’Onu), sospettati di connivenza con Hamas. Mentre il gruppo palestinese e il governo di Tel Aviv si stanno scambiando accuse reciproche di sabotaggio dei negoziati per una tregua, i cittadini israeliani riempiono le piazze per chiedere la fine delle ostilità e il rilascio degli ostaggi (una cinquantina, di cui una ventina ancora in vita) in una serie di mobilitazioni tra le più grandi nella storia del Paese.Parallelamente, la situazione sta precipitando anche in Cisgiordania, dove il dominio della potenza occupante ha da tempo assunto i connotati di un vero e proprio sistema di apartheid (come denunciato, ancora una volta, dalle ong israeliane). Qui da molti mesi si assiste ad una recrudescenza delle violenze dei coloni (spalleggiati dall’Idf) che fa il paio con le continue demolizioni di abitazioni e infrastrutture palestinesi.Giusto ieri, il governo israeliano ha dato il via libera definitivo al controverso progetto di espansione degli insediamenti nella cosiddetta area E1 (acronimo di East 1), tramite cui verrà costruito un nuovo corridoio tra la Gerusalemme Est occupata e la colonia già esistente di Maale Adumim. Con questa mossa – nel cassetto di Tel Aviv già dagli anni Novanta, ma mai attuata per l’opposizione degli alleati occidentali, inclusi gli Usa – verrà de facto tagliata in due la Cisgiordania, uno dei nuclei di un ipotetico Stato di Palestina, interrompendo la continuità territoriale tra Ramallah a nord (sede dell’Autorità nazionale palestinese) e Betlemme a sud.Il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich descrive il progetto E1 con l’ausilio di una mappa (foto: Menahem Kahana/Afp)“Lo Stato palestinese viene cancellato dal tavolo delle trattative non con slogan, ma con azioni concrete“, ha proclamato trionfalmente il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, uno degli uomini di punta dell’estrema destra messianica dalla quale dipende la sopravvivenza del sesto governo Netanyahu. “Ogni insediamento, ogni quartiere, ogni unità abitativa è un altro chiodo nella bara di questa idea pericolosa“, ha aggiunto.Lo stesso premier, visitando un insediamento della Cisgiordania fondato un quarto di secolo fa, ha rivendicato orgogliosamente la linea dell’esecutivo: “Venticinque anni fa ho detto che avremmo fatto di tutto per garantire il nostro controllo sulla Terra di Israele, per impedire la creazione di uno Stato palestinese, per impedire i tentativi di sradicarci da qui. Grazie a Dio, abbiamo mantenuto la promessa”.Queste azioni configurano violazioni eclatanti del diritto internazionale e, come confermato da dichiarazioni di simile tenore, stanno venendo perpetrate con l’esplicito intento di mettere una pietra tombale su ogni velleità di costruire uno Stato palestinese. Sempre Smotrich ha sottolineato che si tratta anche di una risposta all’intenzione di diversi Paesi occidentali di riconoscere la Palestina il mese prossimo e sancendo formalmente una realtà che era già sotto gli occhi di tutti da molti anni.Anche se le cancellerie mondiali faticano ad ammetterlo, la “soluzione a due Stati” è ormai diventata una formula priva di qualunque significato reale, dato che nessuno dei governi succedutisi a Tel Aviv negli ultimi trent’anni ha mai compiuto passi concreti per realizzare quanto pattuito col processo di Oslo ed avvicinare la formazione di uno Stato di Palestina autonomo e indipendente che vivesse “in pace e sicurezza” accanto a Israele.Demolizioni israeliane supervisionate dall’Idf a Judeira, nella Cisgiordania occupata (foto: Zain Jaafar/Afp)Da Bruxelles, tuttavia, giungono solo i soliti commenti retorici, ritriti e stucchevoli. I portavoce della Commissione continuano a rimandare i giornalisti ai post su X di Ursula von der Leyen e Kaja Kallas, ripetendo che “la diplomazia è lo strumento principale“. Ma a questo punto, espressioni come “situazione umanitaria spaventosa” e “protezione della popolazione civile” suonano quasi grottesche se affiancate alle immagini che arrivano dal terreno, con buona pace delle pretese comunitarie di proiettare una qualche forma di soft power nell’arena internazionale.“L’Ue rifiuta qualsiasi tentativo di modifica territoriale e demografica nella Striscia di Gaza“, ha ribadito per l’ennesima volta Anitta Hipper, portavoce dell’Alta rappresentante, evidenziando al contempo che il piano sull’E1 “mina la soluzione a due Stati e viola il diritto internazionale”. Peccato che all’orizzonte, in termini di azioni concrete ci sia poco o nulla. Le proposte di sanzioni contro Tel Aviv continuano a cadere nel vuoto, e i Ventisette non sono nemmeno in grado di mettersi d’accordo su una sospensione parziale dei fondi Horizon+ destinati a Israele nel bilancio 2028-2034.

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    Nell’inerzia del mondo (e dell’Ue), Israele sta smantellando la Palestina

    Bruxelles – L’Europa e il mondo restano a guardare mentre Israele seppellisce definitivamente ogni prospettiva per la costruzione di uno Stato palestinese. E probabilmente, allo stesso tempo, anche la possibilità di una ricomposizione politica della decennale crisi mediorientale. Dopo aver approvato il controverso piano per la creazione dell’insediamento E1, che spezza la Cisgiordania in due, il gabinetto di Benjamin Netanyahu ha avviato stanotte un’offensiva terrestre su Gaza City.Approfittando della disattenzione dei partner occidentali, febbrilmente indaffarati a preparare il terreno per una potenziale soluzione negoziata della guerra in Ucraina, Tel Aviv sta premendo sull’acceleratore per distruggere completamente quel poco che resta della Palestina, conducendo in contemporanea due azioni diverse ma complementari tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania occupata.Dopo giorni di intensi bombardamenti, nella notte tra il 20 e il 21 agosto sono iniziate le operazioni di terra dell’esercito israeliano (Idf) per la conquista definitiva di Gaza City, la capitale dell’exclave costiera ormai rasa quasi completamente al suolo dalla violentissima campagna militare avviata nell’ottobre 2023 in risposta agli attacchi dei miliziani di Hamas. La situazione umanitaria nell’area è gravissima, come denunciano quotidianamente le Nazioni Unite, le ong e associazioni internazionali e locali e gli stessi alleati dello Stato ebraico, e il numero dei morti ha superato le 62mile unità.La distruzione a Gaza City (foto: Omar Al-Qattaa/Afp)Ma il primo ministro Benjamin Netanyahu (ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità) tira dritto e procede coi suoi piani di rioccupare permanentemente la Striscia, dalla quale Israele si era ritirato nel 2005. Per portarli a termine, il suo gabinetto ha richiamato 60mila riservisti da impiegare in prima linea nelle prossime settimane. Diverse ong israeliane parlano ormai apertamente delle operazioni a Gaza bollandole come genocidio del popolo palestinese, condotto sia con mezzi militari sia tramite la strumentalizzazione della fame.Diventa peraltro sempre più difficile per il mondo esterno sapere cosa accade nella Striscia, dato che le Idf continuano a massacrare indiscriminatamente i giornalisti (oltre 240 in 22 mesi, secondo i dati dell’Onu), sospettati di connivenza con Hamas. Mentre il gruppo palestinese e il governo di Tel Aviv si stanno scambiando accuse reciproche di sabotaggio dei negoziati per una tregua, i cittadini israeliani riempiono le piazze per chiedere la fine delle ostilità e il rilascio degli ostaggi (una cinquantina, di cui una ventina ancora in vita) in una serie di mobilitazioni tra le più grandi nella storia del Paese.Parallelamente, la situazione sta precipitando anche in Cisgiordania, dove il dominio della potenza occupante ha da tempo assunto i connotati di un vero e proprio sistema di apartheid (come denunciato, ancora una volta, dalle ong israeliane). Qui da molti mesi si assiste ad una recrudescenza delle violenze dei coloni (spalleggiati dall’Idf) che fa il paio con le continue demolizioni di abitazioni e infrastrutture palestinesi.Giusto ieri, il governo israeliano ha dato il via libera definitivo al controverso progetto di espansione degli insediamenti nella cosiddetta area E1 (acronimo di East 1), tramite cui verrà costruito un nuovo corridoio tra la Gerusalemme Est occupata e la colonia già esistente di Maale Adumim. Con questa mossa – nel cassetto di Tel Aviv già dagli anni Novanta, ma mai attuata per l’opposizione degli alleati occidentali, inclusi gli Usa – verrà de facto tagliata in due la Cisgiordania, uno dei nuclei di un ipotetico Stato di Palestina, interrompendo la continuità territoriale tra Ramallah a nord (sede dell’Autorità nazionale palestinese) e Betlemme a sud.Il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich descrive il progetto E1 con l’ausilio di una mappa (foto: Menahem Kahana/Afp)“Lo Stato palestinese viene cancellato dal tavolo delle trattative non con slogan, ma con azioni concrete“, ha proclamato trionfalmente il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, uno degli uomini di punta dell’estrema destra messianica dalla quale dipende la sopravvivenza del sesto governo Netanyahu. “Ogni insediamento, ogni quartiere, ogni unità abitativa è un altro chiodo nella bara di questa idea pericolosa“, ha aggiunto.Lo stesso premier, visitando un insediamento della Cisgiordania fondato un quarto di secolo fa, ha rivendicato orgogliosamente la linea dell’esecutivo: “Venticinque anni fa ho detto che avremmo fatto di tutto per garantire il nostro controllo sulla Terra di Israele, per impedire la creazione di uno Stato palestinese, per impedire i tentativi di sradicarci da qui. Grazie a Dio, abbiamo mantenuto la promessa”.Queste azioni configurano violazioni eclatanti del diritto internazionale e, come confermato da dichiarazioni di simile tenore, stanno venendo perpetrate con l’esplicito intento di mettere una pietra tombale su ogni velleità di costruire uno Stato palestinese. Sempre Smotrich ha sottolineato che si tratta anche di una risposta all’intenzione di diversi Paesi occidentali di riconoscere la Palestina il mese prossimo e sancendo formalmente una realtà che era già sotto gli occhi di tutti da molti anni.Anche se le cancellerie mondiali faticano ad ammetterlo, la “soluzione a due Stati” è ormai diventata una formula priva di qualunque significato reale, dato che nessuno dei governi succedutisi a Tel Aviv negli ultimi trent’anni ha mai compiuto passi concreti per realizzare quanto pattuito col processo di Oslo ed avvicinare la formazione di uno Stato di Palestina autonomo e indipendente che vivesse “in pace e sicurezza” accanto a Israele.Demolizioni israeliane supervisionate dall’Idf a Judeira, nella Cisgiordania occupata (foto: Zain Jaafar/Afp)Da Bruxelles, tuttavia, giungono solo i soliti commenti retorici, ritriti e stucchevoli. I portavoce della Commissione continuano a rimandare i giornalisti ai post su X di Ursula von der Leyen e Kaja Kallas, ripetendo che “la diplomazia è lo strumento principale“. Ma a questo punto, espressioni come “situazione umanitaria spaventosa” e “protezione della popolazione civile” suonano quasi grottesche se affiancate alle immagini che arrivano dal terreno, con buona pace delle pretese comunitarie di proiettare una qualche forma di soft power nell’arena internazionale.“L’Ue rifiuta qualsiasi tentativo di modifica territoriale e demografica nella Striscia di Gaza“, ha ribadito per l’ennesima volta Anitta Hipper, portavoce dell’Alta rappresentante, evidenziando al contempo che il piano sull’E1 “mina la soluzione a due Stati e viola il diritto internazionale”. Peccato che all’orizzonte, in termini di azioni concrete ci sia poco o nulla. Le proposte di sanzioni contro Tel Aviv continuano a cadere nel vuoto, e i Ventisette non sono nemmeno in grado di mettersi d’accordo su una sospensione parziale dei fondi Horizon+ destinati a Israele nel bilancio 2028-2034.

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    Cisgiordania, l’Ue è “sconvolta” dalle azioni illegali dei coloni israeliani. Ma è incapace di agire

    Bruxelles – Nel mirino di Tel Aviv non c’è solo la Striscia di Gaza. Le violenze dei coloni israeliani in Cisgiordania – che insieme all’exclave costiera dovrebbe costituire il futuro Stato di Palestina – continuano a moltiplicarsi, estendendosi persino agli stessi militari con la stella di David e, nelle ultime settimane, addirittura alle strutture finanziate coi fondi europei. Ma dall’Ue giungono solo condanne retoriche e stucchevoli a cui non fa seguito alcun provvedimento concreto.Ci sono volute due settimane perché da Bruxelles trapelasse uno striminzito commento di condanna nei confronti dello Stato ebraico per la demolizione di una scuola ancora in costruzione, finanziata coi fondi comunitari e dell’Agenzia francese per lo sviluppo (Afd) nel villaggio di Al-Aqaba, nella Cisgiordania settentrionale.La dichiarazione comparsa oggi (19 agosto) sul sito del Servizio europeo di azione esterna (Seae), la Farnesina dell’Unione guidata dall’Alta rappresentante Kaja Kallas, non è nemmeno firmato ma semplicemente attribuito al servizio dei portavoce. “L’Ue è sconcertata dalla demolizione“, si legge nel comunicato di quattro righe, dove viene ricordato che “l’istruzione è un diritto fondamentale” dei palestinesi.Anche Parigi “condanna fermamente” la distruzione della scuola, e chiede alle autorità di Tel Aviv di “rendere conto” delle proprie azioni. “Il proseguimento della politica di insediamento (di Israele nei territori palestinesi di Cisgiordania, ndr) costituisce una grave violazione del diritto internazionale e minaccia la prospettiva della soluzione dei due Stati“, si legge sul sito del ministero transalpino degli Affari esteri.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Consiglio europeo)La struttura, la cui demolizione è iniziata in realtà lo scorso 5 agosto col supporto determinante delle forze armate israeliane (Idf), avrebbe dovuto ospitare un centinaio di bambini delle comunità locali. Bruxelles “si aspetta che i suoi investimenti a sostegno del popolo palestinese siano protetti da danni e distruzioni da parte di Israele, in conformità col diritto internazionale”, conclude la nota del Seae.Non una parola di più contro le azioni criminali condotte dai coloni in Cisgiordania, difesi e spesso spalleggiati dall’Idf quando perpetrano ogni tipo di soprusi ai danni dei palestinesi della regione: dalle intimidazioni ai furti, passando per l’assalto a case e strutture di vario genere e, nel peggiore dei casi, spingendosi fino a macchiarsi di uccisioni e linciaggi. Recente il caso di un gruppo di coloni estremisti che ha addirittura attaccato i militari israeliani, rei di non averli aiutati nell’aggredire gli abitanti palestinesi.L’episodio della scuola di Al-Aqaba non è isolato. Lo scorso novembre, una sorte analoga era toccata al centro dell’associazione Al-Bustan, baricentro di un altro progetto di sviluppo sostenuto dall’Afd nella Gerusalemme Est occupata. Anche da fatti di questo genere si evince in quale considerazione coloni e autorità israeliani tengano non solo i diritti fondamentali dei palestinesi – sistematicamente violati in tutti i territori occupati, come denunciato tra gli altri dal regista premio Oscar Basel Adra – ma pure la propria immagine agli occhi dei partner internazionali di Tel Aviv.Tuttavia, sembra non essere ancora abbastanza per convincere i Ventisette a procedere con sanzioni più dure nei confronti dello Stato ebraico, come ad esempio la sospensione dell’accordo di associazione Ue-Israele, una prospettiva di cui si discute da mesi ma che con ogni probabilità non otterrà mai il disco verde. Basti pensare che le cancellerie non sono nemmeno riuscite a mettersi d’accordo sul congelamento parziale dei fondi Horizon+ per Tel Aviv, una mossa che avrebbe effetto dal 2028 e riguarderebbe una somma dell’ordine di poche centinaia di milioni di euro.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Menahem Kahana/Afp)Del resto, le demolizioni a tappeto e l’espansione delle colonie illegali rendono sostanzialmente impossibile qualunque progresso verso la costruzione di uno Stato di Palestina, che dovrebbe sorgere proprio tra la Striscia e la Cisgiordania e il cui riconoscimento formale è stato annunciato nelle scorse settimane da un numero crescente di Paesi, inclusi due membri del G7 quali Francia e Regno Unito.Ma a qualunque idea di statualità palestinese si oppongono fermamente il premier israeliano Benjamin Netanyahu – sul cui capo pende un mandato di cattura della Corte penale internazionale – e diversi membri del suo governo come il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che ha tirato fuori dal cassetto il controverso “piano E1” per estendere gli insediamenti in Cisgiordania, tagliandola di fatto in due con l’obiettivo di “seppellire definitivamente l’idea di uno Stato palestinese“. La Knesset, il Parlamento monocamerale israeliano, ha approvato mesi fa una risoluzione non vincolante sull’annessione della Cisgiordania, poco prima che l’esecutivo approvasse il piano di (ri)occupazione totale della Striscia.Nel frattempo, nell’exclave costiera i gazawi continuano a venire massacrati e affamati artificialmente (con buona pace degli “accordi umanitari” stretti da Tel Aviv con Bruxelles), come conseguenza diretta di quello che le stesse ong israeliane bollano inequivocabilmente come genocidio del popolo palestinese. Netanyahu tira dritto per la sua strada, incurante tanto della montante opposizione interna quanto della pressione esterna affinché sia concessa una tregua umanitaria ai civili di Gaza e si raggiunga un cessate il fuoco con Hamas.

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    I Ventisette sono divisi sulla sospensione dei fondi Horizon per Israele

    Bruxelles – Mentre si moltiplicano le accuse di genocidio nei confronti del governo di Benjamin Netanyahu, responsabile della carneficina in corso da oltre 21 mesi nella Striscia di Gaza, l’Unione europea fa fatica a mettere in campo azioni concrete per mettere pressione sull’alleato mediorientale. Gli Stati membri hanno discusso la proposta della Commissione di sospendere parzialmente i fondi Horizon+, il programma Ue che finanzia la ricerca accademica e industriale dentro e fuori l’Ue, ma sono già emerse divisioni.L’operato del governo di Benjamin Netanyahu (dallo scorso novembre ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità) sta ricevendo critiche sempre più pesanti sia dai partner internazionali di Tel Aviv – persino Donald Trump ha espresso dubbi sulle più recenti mosse dell’alleato mediorientale – sia dalle stesse ong israeliane, che ora parlano apertamente di genocidio contro i palestinesi di Gaza.Eppure, nonostante si proclami paladina dei diritti e del diritto, l’Ue non è ancora riuscita ad adottare misure concrete e realmente efficaci nei confronti dello Stato ebraico, per indurlo a porre fine alla strage dei palestinesi nell’enclave costiera. Un mese fa, il Servizio europeo di azione esterna (Seae) ha certificato la violazione dell’articolo 2 dell’accordo di associazione Ue-Israele, che prescrive il rispetto dei diritti umani fondamentali e del diritto internazionale da parte di Tel Aviv.Le macerie dopo l’attacco israeliano a Jabalia, nel nord della Striscia di Gaza, il 10 novembre 2024 (foto: Omar Al-Qattaa/Afp)Il rapporto è arrivato mentre era già in corso il processo di revisione dell’accordo in questione. Come reazione a quella rilevazione, l’esecutivo a dodici stelle ha approvato ieri sera (28 luglio) una proposta interpretata soprattutto come un segnale politico, cioè la sospensione parziale dei fondi erogati a Israele nel quadro del programma Horizon+, con cui Bruxelles sostiene la ricerca accademica e industriale negli Stati membri e in alcuni Paesi terzi.Più che una dura sanzione, tuttavia, appare poco più che una misura cosmetica: se non altro perché, come confermano i funzionari del Berlaymont, non vengono toccati i fondi già stanziati nell’attuale bilancio comunitario per i progetti attualmente in corso, ma si parlerebbe di uno stop a partire dal 2028. Difficile vedere come Tel Aviv possa sentirsi sotto pressione per porre fine alle ostilità fin da ora.Oggi gli ambasciatori dei Ventisette hanno fatto un primo giro di tavolo per avviare la discussione sul tema, ma si sono già registrate le consuete divisioni. Stando a fonti comunitarie, un gruppo di Paesi, guidato dalla Germania, starebbe tirando il freno mentre almeno una decina sarebbe favorevole allo stop. Per approvarlo serve la maggioranza qualificata: almeno il 55 per cento degli Stati membri che rappresentino almeno il 65 per cento della popolazione Ue.La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen (foto: Alexandros Michalidis via Imagoeconomica)Se mai questa verrà raggiunta, il divieto si applicherà alle aziende basate nello Stato ebraico che lavorano ad innovazioni dirompenti e tecnologie emergenti con potenziali applicazioni a duplice uso, alle quali non sarà concesso di chiedere sovvenzioni a Bruxelles nell’ambito del cosiddetto Acceleratore del Consiglio europeo dell’innovazione.L’esecutivo comunitario stima che, se lo stop fosse stato attivo già per l’attuale periodo di bilancio (2021-2027), i fondi “congelati” per Israele ammonterebbero oggi intorno ai 200 milioni di euro, cioè circa il 22 per cento dei 900 milioni che Tel Aviv ha ricevuto dal programma Horizon+ in cinque anni.La Commissione parla di una “misura appropriata e proporzionata” e sottolineano che si percepisce una “urgenza speciale” di reagire alla crescente devastazione a Gaza. Non ci sono precedenti storici analoghi di sospensioni totali o parziali dei fondi Horizon+. I casi di Regno Unito e Svizzera – che hanno visto chiudersi i rubinetti rispettivamente tra il 2020 e il 2023 e tra il 2021 e il 2024 – sono diversi perché quei congelamenti erano avvenuti mentre Londra e Berna non erano formalmente associate al programma.