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    Kallas, la priorità Ue è la stabilizzazione della Siria: “Non vogliamo nuove ondate di rifugiati”

    Bruxelles – A pochi giorni dal suo insediamento a capo della diplomazia europea, il primo banco di prova di Kaja Kallas è uno dei più complessi: coordinare la strategia di Bruxelles nei confronti della nuova Siria che sorgerà dal crollo del regime di Bashar al Assad. In un confronto convocato d’urgenza con la commissione Affari Esteri (Afet) del Parlamento europeo, l’Alta rappresentante Ue ha tracciato quello che sarà il posizionamento iniziale. Fatto di sostegno al popolo siriano e alle sue minoranze, di rispetto per l’integrità e la sovranità della Siria, di attesa per capire che direzione prenderà il nuovo potere instaurato a Damasco. Per Kallas, l’azione Ue dovrà essere mirata alla stabilizzazione del Paese, la vera priorità. Perché Bruxelles “non vuole vedere nuove ondate di rifugiati dalla Siria”.In attesa del Consiglio Affari esteri del 16 dicembre, in cui i ministri dei 27 proveranno a fare il punto della situazione, a tenere banco ieri era stata soprattutto la decisione unilaterale presa da Germania, Austria, Italia, Grecia, Belgio, Svezia e Danimarca di sospendere l’esame delle richieste d’asilo dei cittadini siriani. E lo spiraglio che la caduta di Assad apre al ritorno dei rifugiati accolti in Europa dal 2011 a oggi, oltre un milione. “Quando parliamo di rimpatri, abbiamo bisogno di una stabilizzazione del Paese”, ha dichiarato Kallas. “Non ci siamo ancora, tutto è appena accaduto, ma dobbiamo supportare il Paese in modo che vada nella giusta direzione e che i rifugiati possano ritornare”, ha aggiunto.Nessuna parola riguardo la sospensione delle richieste d’asilo in corso in sette Paesi membri. Sul tema, è invece intervenuto oggi l’Alto commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr), attraverso le parole della portavoce Shabia Mantoo. “Alla luce della situazione incerta e molto fluida, la sospensione dell’esame delle domande di asilo dei siriani è accettabile finché le persone possono fare domanda di asilo e sono in grado di presentarla“, ha dichiarato Mantoo. Fermo restando che “chiunque cerchi protezione internazionale deve poter accedere alle procedure di asilo e vedere la propria domanda esaminata pienamente e individualmente nel merito“.L’Unhcr assicura che, “una volta che le condizioni in Siria saranno più chiare”, fornirà nuove indicazione agli Stati sulle “esigenze di protezione internazionale dei profili rilevanti di siriani a rischio”. Nel frattempo, i richiedenti asilo messi in attesa “devono continuare a godere degli stessi diritti di tutti gli altri richiedenti asilo, anche in termini di condizioni di accoglienza“.il leader della milizia islamista Hay’at Tahrir al-Sham(HTS), Abu Mohammed al-Jolani  (Photo by Aref TAMMAWI / AFP)A Damasco, nel frattempo, il leader della milizia islamista Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) che ha guidato il rovesciamento del regime, Abu Mohammed al-Jolani (che ha dismesso il nome da battaglia e si fa ora chiamare con il vero nome, Ahmad al Sharaa), ha incaricato formalmente l’ex capo del Governo di salvezza di Idlib, Mohammed al Bashir, di guidare un governo di transizione fino a marzo 2025. Secondo l’Alta rappresentante Ue per gli Affari Esteri, “le prossime settimane saranno cruciali per vedere la direzione” che imboccherà Damasco e per smentire le “preoccupazioni legittime che riguardano il rischio di violenza settaria, di recrudescenze estremiste e di vuoto di governance“. HTS “non è stata l’organizzazione più pacifica – ha ammesso la leader Ue -, la domanda per molti attori della regione è se ora siano veramente cambiati”.Per ora, Kallas non ha intavolato alcun contatto diretto con HTS e il suo leader. Ma ha concordato un messaggio unitario con i principali ministri degli Esteri della regione: HTS “sia giudicato dalle azioni” che intraprenderà ora che è al potere. Azioni che non possono prescindere dalla tutela dei diritti di tutti i cittadini siriani e che dovranno passare per un “processo di ricostruzione inclusivo che coinvolga tutte le minoranze, le donne e le ragazze”. E nella regione, è fondamentale che “nessun Paese tiri la coperta dalla propria parte”. La Turchia e Israele su tutti, i due Stati forti nell’area dopo la caduta del regime sostenuto dall’Iran.Sull’azione militare israeliana in territorio siriano, con bombardamenti sull’arsenale militare di Assad e l’occupazione dell’area demilitarizzata sulle Alture del Golan, Kaja Kallas però non ha alzato i toni. “Il ministro israeliano ha informato il Consiglio di sicurezza dell’Onu su ciò che sta facendo. Naturalmente tutti nella regione sono preoccupati per la propria sicurezza“, ha affermato l’Alta rappresentante Ue.

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    L’Ue saluta la caduta della dittatura in Siria: “Opportunità di libertà e pace”

    Bruxelles – L’Unione europea sorride alla fine del regime di Bashar al-Assad, rovesciato con un’improvvisa offensiva di dodici giorni da gruppi di ribelli guidati dalla milizia islamista, Hay’at Tahrir al-Sham (HTS). E con una buona dose di ottimismo, i leader delle istituzioni Ue parlano di “un’opportunità di libertà e pace” per la Siria. “Non priva di rischi”, avverte Ursula von der Leyen.La clamorosa caduta di Assad e la sua fuga a Mosca, che mette fine ad una dinastia sanguinaria di oltre mezzo secolo, è avvenuta per mano di HTS e da una serie di gruppi armati riuniti sotto il nome di Esercito Nazionale Siriano. Il leader di HTS, Abu Mohammed al-Jolani, ha incaricato l’ex primo ministro Mohammed Ghazi al-Jalali di supervisionare le istituzioni statali e garantire la continuità dei servizi sociali fino alla fine del periodo di transizione. Sulla rete televisiva nazionale, domenica pomeriggio (8 dicembre) un portavoce dei ribelli ha dichiarato: “A coloro che hanno scommesso su di noi e a coloro che non l’hanno fatto, a coloro che un giorno hanno pensato che fossimo distrutti, vi annunciamo la vittoria della grande rivoluzione siriana dopo 13 anni di pazienza e sacrificio”.Profughi siriani in un campo nel sud della TurchiaTredici anni di atroce guerra civile, durante i quali sono state uccise almeno 300 mila persone e 100 mila sono scomparse. Metà del Paese – circa 12 milioni di persone – è stata sfollata dalle proprie case e circa 5,4 milioni hanno cercato rifugio all’estero. La maggior parte nei Paesi vicini, Turchia, Libano e Giordania, ma secondo le stime dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), i Paesi europei ospitano oltre un milione di richiedenti asilo siriani.Anche per questo motivo sulle due sponde dell’Atlantico, le reazioni sono differenti. A Washington, dove il gruppo islamista una volta noto con il nome di Fronte al-Nusra è considerato un’organizzazione terroristica, il presidente uscente Joe Biden ha avvertito che gli Usa “non permetteranno all’Isis di ristabilire le proprie capacità in Siria“. Il suo omologo eletto, Donald Trump, si è sfilato senza tanti giri di parole: “Gli Stati Uniti non dovrebbero avere nulla a che fare con questo. Questa non è la nostra guerra, lasciate che si svolga“, ha dichiarato in un post sul suo account X il prossimo inquilino della Casa Bianca.A Bruxelles, la preoccupazione è palpabile e i commenti sono più cauti. I leader Ue provano a lanciare un segnale ad al-Jolani, gli tendono la mano. “L’Europa è pronta a sostenere la salvaguardia dell’unità nazionale e la ricostruzione di uno Stato siriano che protegga tutte le minoranze”, ha affermato Ursula von der Leyen. “L’Ue è pronta a collaborare con il popolo siriano per un futuro migliore”, le ha fatto eco il neo presidente del Consiglio europeo, António Costa. Per Kaja Kallas, subentrata a Josep Borrell nel ruolo di Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, “la fine della dittatura di Assad è uno sviluppo positivo e atteso da tempo”, che “mostra anche la debolezza dei sostenitori di Assad, Russia e Iran“. In una nota a nome dell’Ue, Kallas ha esortato “tutti gli attori a evitare ulteriori violenze, a garantire la protezione dei civili e a rispettare il diritto internazionale, compreso il diritto umanitario internazionale”.The cruel Assad dictatorship has collapsed.This historic change in the region offers opportunities but is not without risks.Europe is ready to support safeguarding national unity and rebuilding a Syrian state that protects all minorities.We are engaging with European and…— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) December 8, 2024In un Medio Oriente logorato da tensioni locali e regionali, sui quali il conflitto tra Israele e Hamas ha funzionato come benzina sul fuoco, il timore principale dei Paesi europei è il rischio della ‘cancrenizzazione’ di una catastrofe umanitaria iniziata con l’arrivo del terzo millennio e mai realmente interrotta. Di fronte all’escalation tra Israele ed Hezbollah in Libano e alle potenziali conseguenze sulla gestione dei profughi siriani nel sud del Paese, negli scorsi mesi Bruxelles si era messa al lavoro per ipotizzare una pragmatica revisione della Strategia Ue sulla Siria, con l’obiettivo di creare le condizioni per il “rimpatrio sicuro, volontario e dignitoso” dei rifugiati siriani. Ma senza “legittimare in alcun modo il regime” di Assad.Il leader di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), Abu Mohammed al-Jolani, tiene un discorso a Damasco, 8/12/2024 (Photo by Aref TAMMAWI / AFP)Il golpe dei ribelli islamisti a Damasco cambia tutto, e i leader europei osservano con attenzione se al-Jolani manterrà le sue promesse di una transizione pacifica. In passato la milizia HTS è stata affiliata ad al-Qaeda, per poi prenderne le distanze nel 2016. È attualmente la fazione ribelle più potente in Siria e – prima dell’offensiva che ha rovesciato Assad – controllava già un vasto territorio nella provincia di Idlib, al confine con la Turchia. Nell’area sono state denunciate gravi violazioni di diritti umani, tra cui le esecuzioni di persone accusate di affiliazione a gruppi rivali e per accuse di blasfemia e adulterio.In un comunicato pubblicato nella giornata di ieri, l’ong Human Rights Watch ha ricordato a tutti che “anche i gruppi armati non statali che operano in Siria, tra cui Hay’at Tahrir al Sham e le fazioni dell’Esercito nazionale siriano che hanno lanciato l’offensiva del 27 novembre, sono responsabili di violazioni dei diritti umani e crimini di guerra“. Insomma, non è detto che la Siria del dopo Assad sia il ‘Paese sicuro’ che le capitali europee vorrebbero, in modo da poter facilitare un rientro in patria dei milioni di profughi della guerra civile. Ne è consapevole il ministro degli Esteri francese, Jean-Noel Barrot, che in un intervento su France Info ha assicurato che il sostegno della Francia alla transizione politica in Siria “dipenderà dal rispetto dei diritti delle donne, delle minoranze e del diritto internazionale“.Sui possibili rientri di profughi siriani che la caduta di Assad potrebbe innescare, il portavoce del Servizio Ue per l’Azione esterna, Anouar El Anouni, ha dichiarato: “Spetterà a ogni individuo e a ogni famiglia decidere cosa desidera fare, tuttavia, per il momento, sosteniamo, in linea con l’Unhcr, che non ci sono le condizioni per rimpatri sicuri, volontari e dignitosi in Siria“.

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    L’Ue al lavoro per rimpatriare i rifugiati siriani, ma le ong avvertono: “Rischiano persecuzioni, la Siria non è sicura”

    Bruxelles – Creare le condizioni per il “rimpatrio sicuro, volontario e dignitoso” dei rifugiati siriani. Una strada che i governi europei sono sempre più decisi a percorrere, ora più che mai, in vista di un’eventuale ondata di arrivi di profughi siriani che scappano dal sud del Libano dilaniato dalle bombe israeliane. Il problema però – come denunciano le organizzazioni che vigilano sui diritti umani – è che la situazione a Damasco non è cambiata e i siriani che rientrano rischiano violenze e persecuzioni da parte del regime di Bashar al-Assad. O dei gruppi armati che controllano parte del territorio.L’idea di rivedere la Strategia Ue sulla Siria, relativa al 2017, circola da tempo a Bruxelles. Secondo le stime dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), i Paesi europei ospitano oltre un milione di richiedenti asilo siriani, di cui il 59 per cento solo in Germania. E il tema del rimpatrio dei rifugiati siriani “è reso ancora più urgente dell’evoluzione delle ostilità nel Medio Oriente e nel Libano”, ammettono fonti diplomatiche. Perché sempre secondo l’Unhcr, il Paese dei Cedri ospiterebbe più di un milione e mezzo di profughi dalla Siria.Già al Consiglio europeo dello scorso aprile, i leader avevano messo nero su bianco la “necessità” di mettere in moto i rimpatri “in linea con le condizioni definite dall’Unhcr“, invitando la Commissione europea a “esaminare e rafforzare l’efficacia dell’assistenza dell’Ue ai rifugiati siriani e agli sfollati in Siria e nella regione”. A luglio poi, otto Paesi membri – Italia, Austria, Croazia, Cipro, Cechia, Grecia, Slovacchia e Slovenia – hanno presentato durante una riunione dei ministri degli Esteri Ue un non paper (un documento informale) per chiedere di riconsiderare la Strategia sula Siria “nel mutato contesto regionale”, senza “legittimare in alcun modo il regime” di Assad e “senza compromessi su democrazia e diritti umani”.Bashar al-Assad, presidente della Siria dal 2000La Commissione europea sembra determinata a dare seguito alla richiesta di impostare un “approccio più realistico” alle relazioni con Damasco, una strategia “più attiva, orientata ai risultati e operativa”, con l’obiettivo di garantire il rientro sicuro dei profughi della guerra cominciata nel 2011: a quanto si apprende, nella giornata di ieri (30 ottobre), durante una riunione con gli ambasciatori dei Paesi membri, l’esecutivo Ue ha presentato un nuovo documento informale per tastare le posizioni dei 27 sul tema. Il non paper di Bruxelles rifletterebbe “in larga misura” le proposte lanciate a luglio dai governi italiano e austriaco, in particolare l’ipotesi di un Inviato speciale Ue nel Paese, il sostegno al settore privato, la cooperazione con l’Unhcr sul campo per favorire i rimpatri volontari e per sostenere l’emergenza attraverso progetti di ‘early recovery‘.Dallo scambio di opinioni tra i corpi diplomatici Ue, sarebbe emerso “ampio sostegno per il piano d’azione delineato – confermano fonti Ue -, sottolineando il coordinamento con l’Unhcr, ma anche la cautela nell’evitare qualsiasi percezione di normalizzazione delle relazioni con il regime di Assad”.D’altra parte però, l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati fa notare che “nonostante una serie di iniziative politiche nell’arco del 2023, le condizioni all’interno della Siria non sono ancora favorevoli per facilitare i rimpatri volontari su larga scala in sicurezza e dignità”. Secondo i dati dell’Unhcr, nel 2023 sono rientrati in Siria circa 38.300 rifugiati, in calo rispetto ai quasi 51 mila che avevano scelto di rientrare nel 2022. Per ora, l’Unhcr non ha modificato la sua posizione aggiornata al marzo 2021, secondo cui la Siria non è un Paese sicuro per i rimpatri.Una donna in un campo per gli sfollati interni siriani a Raqa (Photo by Delil SOULEIMAN / AFP)Una posizione condivisa e rilanciata da diverse organizzazioni internazionali, tra cui Human Rights Watch, che in un rapporto pubblicato ieri ha sottolineato che “i siriani che fuggono dalle violenze in Libano rischiano la repressione e la persecuzione da parte del governo siriano al loro ritorno”. Secondo la Mezzaluna Rossa Araba Siriana (Sarc), tra il 24 settembre e il 22 ottobre circa 440 mila persone – più dei due terzi siriani e i restanti libanesi – sono fuggiti dal Libano in Siria. Nonostante Damasco abbia finora mantenuto “aperte le frontiere e alleggerito le procedure di immigrazione”, Human Rights Watch sostiene che “il governo siriano e i gruppi armati che controllano alcune zone della Siria continuano a impedire alle organizzazioni umanitarie e per i diritti umani di accedere pienamente e senza ostacoli a tutte le aree, compresi i siti di detenzione, ostacolando gli sforzi di documentazione e oscurando la reale portata degli abusi”.Secondo l’organizzazione per i diritti umani chi rientra in Siria, “in particolare gli uomini, rischia detenzioni arbitrarie e abusi da parte delle autorità”. Human Rights Watch ha documentato numerosi casi di detenzioni arbitrarie, torture e uccisioni di rifugiati di ritorno dal 2017. Il rapporto punta il dito contro “alcuni leader europei” che sostengono “sempre più spesso che la Siria è sicura per i rimpatri, promuovendo politiche che potrebbero revocare le protezioni per i rifugiati, nonostante le continue preoccupazioni per la sicurezza e i diritti umani”.

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    Ue al lavoro per stabilizzare il Libano. Varhelyi: “Situazione difficile”

    Bruxelles – La Siria ancora nella morsa di una guerra che prosegue da 13 anni, Israele in guerra contro il terrorismo di Hamas e in tensioni crescenti con l’Iran. In un Medio Oriente più instabile che mai l’Ue si mobilita per fare in modo che non salti anche il Libano, su cui il blocco a dodici stelle fa affidamento per gestire quel poco di ‘normalità’ rimasta nella regione. Ma il Libano inizia a destare preoccupazione circa la capacità di tenuta. Oliver Várhelyi, commissario per l’Allargamento, ammette “la difficile situazione che il Libano sta vivendo a livello nazionale, ulteriormente aggravata dalle tensioni regionale”.La Commissione, sulla spinta dei capi di Stato e di governo dell’Ue, ha deciso di provare a puntellare il governo di Beirut con un pacchetto di aiuti dal valore di un miliardo di euro per il quadriennio 2024-2027. L’obiettivo è assicurare “la stabilità del Libano e il suo forte sostegno al Libano e al popolo libanese nel contesto delle attuali crisi”, continua Várhelyi. Una priorità geopolitica in un momento di tensioni geopolitiche che continuano a preoccupare l’Europa per l’immediato futuro da un punto di vista economico, e non più solo quello.Cipro denuncia l’aumento del flusso dei richiedenti asilo siriani in arrivo sull’isola, via Libano. Il Paese dei cedri non riesce più a trattenere al proprio interno profughi e sfollati siriani che continuano ad arrivare, e li lascia partire. Tra arrivi regolari e ingressi irregolari si registra “un numero di migranti a Cipro cinque volte superiore a quello di qualsiasi altro Stato membro in prima linea”, denuncia l’europarlamentare Costas Mavrides (S&D) nell‘interrogazione in materia presentata al collegio.Ylva Johansson, commissaria per gli Affari interni, riconosce che la situazione si sta facendo delicata e ricorda che “Frontex sostiene il Libano attraverso il programma EU4BorderSecurity finanziato dalla Commissione, promuovendo la cooperazione bilaterale e regionale e la condivisione delle migliori pratiche nella gestione integrata delle frontiere”. Frontex, l‘Agenzia di guardia costiera e di frontiera dell’Ue ha il mandato di “negoziare un accordo di lavoro che potrebbe contribuire a migliorare le capacità di gestione delle frontiere“, nel caso specifico con il Libano. Si lavora con il Libano anche per la questione migratoria, altro elemento di pressione politica per un’Europa desiderosa di stabilità in un Medio Oriente comunque strategico. Per quanto riguarda i flussi migratori verso Cipro, l’esecutivo comunitario fa quel che può. “La Commissione – aggiunge Johansson – è in contatto regolare con le autorità cipriote e continua, insieme alle agenzie dell’Ue, a fornire a Cipro il necessario sostegno politico, finanziario e operativo per affrontare le attuali sfide nella regione”.

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    L’Italia e altri 7 Paesi Ue chiedono a Bruxelles un cambio di strategia sulla Siria

    Bruxelles – Dal 2011 a oggi, l’Ue e i suoi Stati membri hanno mobilitato più di 33 miliardi di euro per l’assistenza umanitaria e allo sviluppo per i 7,2 milioni di cittadini sfollati in Siria e per gli oltre 5 milioni di rifugiati siriani nella regione. Un “enorme sforzo umanitario, che non si è tradotto in un corrispondente ruolo politico”. È la valutazione espressa in una lettera indirizzata all’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, dall’Italia e altri 7 Paesi membri, che chiedono a Bruxelles di cambiare strategia nei confronti del Paese lacerato da una delle peggiore catastrofi umanitarie della storia moderna.Insieme al ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, la lettera è stata firmata dagli omologhi di Austria, Slovenia, Slovacchia, Croazia, Grecia, Repubblica Ceca e Cipro. Al suo arrivo al Consiglio Ue Affari Esteri, il vicepremier Tajani ha lamentato che la Siria è diventato un tema “del quale si parla poco”, sovrastato dai recenti conflitti in Ucraina e a Gaza. “Dobbiamo avere una strategia europea anche su quella parte di Medio Oriente – ha avvertito Tajani -, da dove partono tantissimi profughi”.Dopo tredici anni di guerra civile il 90 per cento della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e 7 siriani su 10 necessitano di assistenza umanitaria. Il governo centrale, che occupa oggi ampie porzioni del territorio siriano, è ancora in mano a Bashar al Assad. Un regime che si è macchiato di atrocità contro la popolazione civile, e sul quale grava dal 2011 un duro regime di sanzioni Ue. Ma per le otto cancellerie europee, l’impegno umanitario non basta se permane un totale muro diplomatico nei confronti di Assad.Bashar al-AssadL’attuale strategia sulla Siria, adottata il 3 aprile 2017 dal Consiglio dell’Ue, si concentra su sei aree chiave: porre fine alla guerra attraverso una vera transizione politica, promuovere una transizione significativa e inclusiva, salvare vite umane rispondendo alle esigenze umanitarie dei più vulnerabili, promuovere la democrazia, i diritti umani e la libertà di parola, assicurare alla giustizia i responsabili di crimini di guerra, sostenere la resilienza della popolazione e della società siriana.“Riteniamo che sia giunto il momento di rivedere e valutare i risultati della strategia raggiunti finora, l’efficacia delle nostre azioni e dei nostri strumenti”, recita la lettera al capo della diplomazia Ue. L’Italia e gli altri 7 chiedono una politica per la Siria che sia “più attiva, orientata ai risultati e operativa”. L’obiettivo è “raggiungere le condizioni per ritorni sicuri, volontari e dignitosi dei rifugiati siriani, in conformità con gli standard dell’Unhcr”.I Paesi europei accolgono oltre un milione di rifugiati dalla Siria, di cui più della metà in Germania. Anche nel 2023, i cittadini siriani sono stati i più numerosi tra i richiedenti asilo, circa 183 mila. Contro la lettera firmata da Tajani si è immediatamente scagliata la delegazione del Partito Democratico a Bruxelles, che ha denunciato la presenza di “diversi punti poco chiari o contraddittori che chiediamo al ministro italiano di chiarire pubblicamente”. Lucia Annunziata, Nicola Zingaretti, Giorgio Gori, Alessandra Moretti e Marco Tarquinio – i cinque dem che fanno parte della Commissione Affari Esteri all’Eurocamera -, si chiedono come sia possibile conciliare “l’affermata volontà di contribuire al raggiungimento per un ritorno sicuro, volontario e dignitoso dei rifugiati siriani, in conformità con gli standard dell’Unhcr con la richiesta di rilanciare un dialogo sostanziale e significativo con gli attuali governanti di Damasco”.All’accusa Pd di voler “riabilitare Assad” per potergli rispedire indietro i profughi siriani, Tajani ha risposto in maniera pragmatica: “Abbiamo sempre condannato alcuni comportamenti per quanto riguarda i diritti civili, ma non possiamo non tener conto di ciò che sta accadendo, serve una strategia e bisogna discuterne”. Il problema è ora sulla scrivania di Borrell, che ne discuterà con i ministri dei 27 già dal prossimo Consiglio Ue Affari esteri, dopo la pausa estiva. Sul primo giro di tavolo, tenutosi oggi a Bruxelles come ultimo punto dell’incontro dei ministri, il capo della diplomazia europea ha commentato: “Il lavoro continuerà, con pragmatismo ma senza ingenuità. Conosciamo il regime di Assad, sappiamo quanto è vicino a Iran e Russia”.

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    Il Consiglio Ue rinnova di un altro anno le sanzioni contro la Siria

    Bruxelles – Avanti per un altro anno con le sanzioni contro il governo siriano di Bashar al-Assad e i suoi sostenitori. “Vista la gravità del deterioramento della situazione” nel Paese, il Consiglio dell’Ue ha deciso di rinnovare ed estendere fino all’1 giugno 2025 le misure restrittive introdotte per la prima volta a maggio 2011.  I Ventisette si dicono “profondamente preoccupati” per l’assenza di progressi. “Dopo più di 13 anni – recita la nota di accompagnamento alla decisione – il conflitto rimane fonte di sofferenza e instabilità per il popolo siriano e per la regione”. In questo contesto, il Consiglio ritiene che “il regime siriano continua a perseguire una politica di repressione e violazione dei diritti umani”. Risulta quindi “opportuno e necessario mantenere le misure restrittive in vigore“.

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    La Commissione europea stanzia 2,12 miliardi di euro per aiutare il popolo siriano

    Bruxelles – Continuare a sostenere il popolo siriano con un aiuto da 2,12 miliardi di euro per il 2024 e il 2025. È questa la risposta della Commissione europea per assistere sia le persone in Siria si quelle che hanno lasciato il Paese per salvarsi dalla fame e dalla guerra, rifugiandosi negli Stati vicini. Le misure adottate dalla Commissione Ue sono state dibattute durante la conferenza ‘Sostenere il futuro della Siria e della regione’. L’Unione europea con questo nuovo stanziamento conferma il suo impegno nel perseguire la risoluzione 2254 delle Nazioni Unite che chiede il cessate il fuoco immediato e l’avvio di negoziati politici.La situazione in Siria è preoccupante con la guerra civile che continua da 13 anni e la popolazione che soffre la fame e la distruzione. L’Ue in questo contesto vuole continuare a supportare il popolo siriano: 560 milioni di euro sono destinati alle persone in difficoltà all’interno del Paese, mentre altrettanti saranno destinanti alle persone che sono scappate dalla Siria e hanno trovato rifugio in Iraq, Libano e Giordania. Anche in questi Paesi la situazione non è facile: gli immensi campi profughi e le condizioni difficili delle nazioni ospitanti non rendono agevole la vita di chi è scappato. Un altro miliardo di euro infine sarà destinato ad aiutare le comunità siriane che hanno trovato rifugio in Turchia.Secondo Janez Lenarčič, Commissario europeo per la cooperazione internazionale e gli aiuti umanitari, in Siria sarebbero circa 16,7 milioni le persone che necessitano di aiuti salvavita, di cui metà di queste sarebbero donne e bambini. Josep Borrell, l’alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, punta il dito contro il presidente siriano, Bashar al-Assad, responsabile di questa situazione: “Il regime di Damasco continua a perpetrare diffuse violazioni dei diritti umani che creano seri ostacoli al processo politico”.

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    I curdi del Rojava, gli alleati dimenticati dall’Occidente. Per l’Ue devono essere parte del processo di pacificazione in Siria

    Bruxelles – Guerra in Ucraina, tensioni tra Cina e Taiwan, lo scoppio delle ostilità in Sudan. Nella dichiarazione congiunta diffusa dai ministri degli Esteri dei Paesi del G7 a margine del meeting a Karuizawa, in Giappone, gli attuali sconvolgimenti geopolitici l’hanno fatta da padroni. Ma i capi delle diplomazie dei principali Paesi industrializzati e dell’Unione europea hanno anche voluto ribadire il sostegno al processo di pacificazione in Siria, portato avanti con difficoltà dalle Nazioni Unite e dall’Inviato Speciale, il norvegese Geir Otto Pedersen. Un processo che, “in un modo o nell’altro”, secondo Bruxelles dovrà tenere conto anche dei curdi che abitano nella regione autonoma nel Nord-est del Paese.
    I circa 5 milioni di curdi che dal 2016 hanno auto proclamato l’Amministrazione autonoma del Rojava rischiano infatti di rimanere fuori dai giochi: schiacciati su due fronti, tra il brutale regime di Assad che non ha mai riconosciuto la loro autonomia e la Turchia di Erdogan che negli ultimi mesi ha intensificato i bombardamenti sulla regione, gli eroi della guerra contro l’Isis non hanno ancora conosciuto la pace. I combattenti dell’Unità di Protezione Popolare (Ypg) e le combattenti dell’Unità di Protezione delle Donne (Ypj) lottano ancora per la sopravvivenza di quel sistema confederale rivoluzionario e femminista che rappresenta un unicum in tutto il Medio Oriente.
    Le combattenti delle Ypj, l’Unità di Protezione delle Donne curde (Photo by Delil SOULEIMAN / AFP)
    E anche l’Unione Europea, baluardo di principi democratici e di autodeterminazione dei popoli, sembra essersi dimenticata di loro: per superare il veto posto dalla Turchia all’ingresso di Svezia e e Finlandia nella Nato, la scorsa estate l’Occidente cedeva al ricatto di Erdogan e, in nome di una presunta lotta al terrorismo, sceglieva di voltarsi dall’altra parte mentre Ankara ridava vigore al suo tentativo di eliminare la Confederazione democratica che i curdi hanno costruito al di là del confine.
    La situazione nella regione è drammatica: oltre alle continue tensioni con le forze governative siriane e ai bombardamenti turchi, per la popolazione del Rojava la guerra contro lo Stato Islamico non è mai finita. La maggior parte dei centri di detenzione per i terroristi si trova nel Nord est della Siria, dove sono ancora attive diverse cellule di estremisti islamici. E gli aiuti umanitari che la comunità internazionale ha cercato di mandare nei villaggi curdi a seguito del terribile terremoto del 6 febbraio vengono sistematicamente fermati dalle autorità turche, come denunciato da diverse ong internazionali.
    I Ministri degli Esteri del G7 al meeting a Karuizawa, Giappone (Photo by Yuichi YAMAZAKI / POOL / AFP)
    Al G7 in Giappone, i ministri degli Esteri non hanno parlato del Rojava, ma hanno richiamato ancora una volta quella risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che risale al 2015, in cui si afferma l’impegno “per un processo politico inclusivo, guidato dalla Siria e facilitato dalle Nazione Unite“. Un processo che, ha ricordato il portavoce del Servizio Europeo di Azione Esterna, Peter Stano, possa raggiungere “una soluzione duratura in pieno rispetto dell’unità, dell’integrità territoriale e della sovranità della Siria”. Può convivere l’esperimento democratico curdo con il principio dell’integrità statale? La logica, e il silenzio dell’Occidente che da mesi accompagna le azioni militari siriane contro le città curde, suggerisce di no. Ma per l’Ue “in un modo o nell’altro” i curdi dovranno essere parte del processo di pacificazione nel Paese, perché “sono una componente importante della popolazione siriana e del paesaggio politico”.

    Al meeting del G7 in Giappone, i ministri degli Esteri dei Paesi più industrializzati hanno ribadito la necessità che la comunità internazionale continui a sostenere l’inviato speciale delle Nazioni Unite a Damasco. Per Peter Stano (Seae), la soluzione dovrà rispettare “l’unità, l’integrità territoriale e la sovranità” della Siria