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    Ue al lavoro per stabilizzare il Libano. Varhelyi: “Situazione difficile”

    Bruxelles – La Siria ancora nella morsa di una guerra che prosegue da 13 anni, Israele in guerra contro il terrorismo di Hamas e in tensioni crescenti con l’Iran. In un Medio Oriente più instabile che mai l’Ue si mobilita per fare in modo che non salti anche il Libano, su cui il blocco a dodici stelle fa affidamento per gestire quel poco di ‘normalità’ rimasta nella regione. Ma il Libano inizia a destare preoccupazione circa la capacità di tenuta. Oliver Várhelyi, commissario per l’Allargamento, ammette “la difficile situazione che il Libano sta vivendo a livello nazionale, ulteriormente aggravata dalle tensioni regionale”.La Commissione, sulla spinta dei capi di Stato e di governo dell’Ue, ha deciso di provare a puntellare il governo di Beirut con un pacchetto di aiuti dal valore di un miliardo di euro per il quadriennio 2024-2027. L’obiettivo è assicurare “la stabilità del Libano e il suo forte sostegno al Libano e al popolo libanese nel contesto delle attuali crisi”, continua Várhelyi. Una priorità geopolitica in un momento di tensioni geopolitiche che continuano a preoccupare l’Europa per l’immediato futuro da un punto di vista economico, e non più solo quello.Cipro denuncia l’aumento del flusso dei richiedenti asilo siriani in arrivo sull’isola, via Libano. Il Paese dei cedri non riesce più a trattenere al proprio interno profughi e sfollati siriani che continuano ad arrivare, e li lascia partire. Tra arrivi regolari e ingressi irregolari si registra “un numero di migranti a Cipro cinque volte superiore a quello di qualsiasi altro Stato membro in prima linea”, denuncia l’europarlamentare Costas Mavrides (S&D) nell‘interrogazione in materia presentata al collegio.Ylva Johansson, commissaria per gli Affari interni, riconosce che la situazione si sta facendo delicata e ricorda che “Frontex sostiene il Libano attraverso il programma EU4BorderSecurity finanziato dalla Commissione, promuovendo la cooperazione bilaterale e regionale e la condivisione delle migliori pratiche nella gestione integrata delle frontiere”. Frontex, l‘Agenzia di guardia costiera e di frontiera dell’Ue ha il mandato di “negoziare un accordo di lavoro che potrebbe contribuire a migliorare le capacità di gestione delle frontiere“, nel caso specifico con il Libano. Si lavora con il Libano anche per la questione migratoria, altro elemento di pressione politica per un’Europa desiderosa di stabilità in un Medio Oriente comunque strategico. Per quanto riguarda i flussi migratori verso Cipro, l’esecutivo comunitario fa quel che può. “La Commissione – aggiunge Johansson – è in contatto regolare con le autorità cipriote e continua, insieme alle agenzie dell’Ue, a fornire a Cipro il necessario sostegno politico, finanziario e operativo per affrontare le attuali sfide nella regione”.

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    L’Italia e altri 7 Paesi Ue chiedono a Bruxelles un cambio di strategia sulla Siria

    Bruxelles – Dal 2011 a oggi, l’Ue e i suoi Stati membri hanno mobilitato più di 33 miliardi di euro per l’assistenza umanitaria e allo sviluppo per i 7,2 milioni di cittadini sfollati in Siria e per gli oltre 5 milioni di rifugiati siriani nella regione. Un “enorme sforzo umanitario, che non si è tradotto in un corrispondente ruolo politico”. È la valutazione espressa in una lettera indirizzata all’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, dall’Italia e altri 7 Paesi membri, che chiedono a Bruxelles di cambiare strategia nei confronti del Paese lacerato da una delle peggiore catastrofi umanitarie della storia moderna.Insieme al ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, la lettera è stata firmata dagli omologhi di Austria, Slovenia, Slovacchia, Croazia, Grecia, Repubblica Ceca e Cipro. Al suo arrivo al Consiglio Ue Affari Esteri, il vicepremier Tajani ha lamentato che la Siria è diventato un tema “del quale si parla poco”, sovrastato dai recenti conflitti in Ucraina e a Gaza. “Dobbiamo avere una strategia europea anche su quella parte di Medio Oriente – ha avvertito Tajani -, da dove partono tantissimi profughi”.Dopo tredici anni di guerra civile il 90 per cento della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e 7 siriani su 10 necessitano di assistenza umanitaria. Il governo centrale, che occupa oggi ampie porzioni del territorio siriano, è ancora in mano a Bashar al Assad. Un regime che si è macchiato di atrocità contro la popolazione civile, e sul quale grava dal 2011 un duro regime di sanzioni Ue. Ma per le otto cancellerie europee, l’impegno umanitario non basta se permane un totale muro diplomatico nei confronti di Assad.Bashar al-AssadL’attuale strategia sulla Siria, adottata il 3 aprile 2017 dal Consiglio dell’Ue, si concentra su sei aree chiave: porre fine alla guerra attraverso una vera transizione politica, promuovere una transizione significativa e inclusiva, salvare vite umane rispondendo alle esigenze umanitarie dei più vulnerabili, promuovere la democrazia, i diritti umani e la libertà di parola, assicurare alla giustizia i responsabili di crimini di guerra, sostenere la resilienza della popolazione e della società siriana.“Riteniamo che sia giunto il momento di rivedere e valutare i risultati della strategia raggiunti finora, l’efficacia delle nostre azioni e dei nostri strumenti”, recita la lettera al capo della diplomazia Ue. L’Italia e gli altri 7 chiedono una politica per la Siria che sia “più attiva, orientata ai risultati e operativa”. L’obiettivo è “raggiungere le condizioni per ritorni sicuri, volontari e dignitosi dei rifugiati siriani, in conformità con gli standard dell’Unhcr”.I Paesi europei accolgono oltre un milione di rifugiati dalla Siria, di cui più della metà in Germania. Anche nel 2023, i cittadini siriani sono stati i più numerosi tra i richiedenti asilo, circa 183 mila. Contro la lettera firmata da Tajani si è immediatamente scagliata la delegazione del Partito Democratico a Bruxelles, che ha denunciato la presenza di “diversi punti poco chiari o contraddittori che chiediamo al ministro italiano di chiarire pubblicamente”. Lucia Annunziata, Nicola Zingaretti, Giorgio Gori, Alessandra Moretti e Marco Tarquinio – i cinque dem che fanno parte della Commissione Affari Esteri all’Eurocamera -, si chiedono come sia possibile conciliare “l’affermata volontà di contribuire al raggiungimento per un ritorno sicuro, volontario e dignitoso dei rifugiati siriani, in conformità con gli standard dell’Unhcr con la richiesta di rilanciare un dialogo sostanziale e significativo con gli attuali governanti di Damasco”.All’accusa Pd di voler “riabilitare Assad” per potergli rispedire indietro i profughi siriani, Tajani ha risposto in maniera pragmatica: “Abbiamo sempre condannato alcuni comportamenti per quanto riguarda i diritti civili, ma non possiamo non tener conto di ciò che sta accadendo, serve una strategia e bisogna discuterne”. Il problema è ora sulla scrivania di Borrell, che ne discuterà con i ministri dei 27 già dal prossimo Consiglio Ue Affari esteri, dopo la pausa estiva. Sul primo giro di tavolo, tenutosi oggi a Bruxelles come ultimo punto dell’incontro dei ministri, il capo della diplomazia europea ha commentato: “Il lavoro continuerà, con pragmatismo ma senza ingenuità. Conosciamo il regime di Assad, sappiamo quanto è vicino a Iran e Russia”.

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    Il Consiglio Ue rinnova di un altro anno le sanzioni contro la Siria

    Bruxelles – Avanti per un altro anno con le sanzioni contro il governo siriano di Bashar al-Assad e i suoi sostenitori. “Vista la gravità del deterioramento della situazione” nel Paese, il Consiglio dell’Ue ha deciso di rinnovare ed estendere fino all’1 giugno 2025 le misure restrittive introdotte per la prima volta a maggio 2011.  I Ventisette si dicono “profondamente preoccupati” per l’assenza di progressi. “Dopo più di 13 anni – recita la nota di accompagnamento alla decisione – il conflitto rimane fonte di sofferenza e instabilità per il popolo siriano e per la regione”. In questo contesto, il Consiglio ritiene che “il regime siriano continua a perseguire una politica di repressione e violazione dei diritti umani”. Risulta quindi “opportuno e necessario mantenere le misure restrittive in vigore“.

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    La Commissione europea stanzia 2,12 miliardi di euro per aiutare il popolo siriano

    Bruxelles – Continuare a sostenere il popolo siriano con un aiuto da 2,12 miliardi di euro per il 2024 e il 2025. È questa la risposta della Commissione europea per assistere sia le persone in Siria si quelle che hanno lasciato il Paese per salvarsi dalla fame e dalla guerra, rifugiandosi negli Stati vicini. Le misure adottate dalla Commissione Ue sono state dibattute durante la conferenza ‘Sostenere il futuro della Siria e della regione’. L’Unione europea con questo nuovo stanziamento conferma il suo impegno nel perseguire la risoluzione 2254 delle Nazioni Unite che chiede il cessate il fuoco immediato e l’avvio di negoziati politici.La situazione in Siria è preoccupante con la guerra civile che continua da 13 anni e la popolazione che soffre la fame e la distruzione. L’Ue in questo contesto vuole continuare a supportare il popolo siriano: 560 milioni di euro sono destinati alle persone in difficoltà all’interno del Paese, mentre altrettanti saranno destinanti alle persone che sono scappate dalla Siria e hanno trovato rifugio in Iraq, Libano e Giordania. Anche in questi Paesi la situazione non è facile: gli immensi campi profughi e le condizioni difficili delle nazioni ospitanti non rendono agevole la vita di chi è scappato. Un altro miliardo di euro infine sarà destinato ad aiutare le comunità siriane che hanno trovato rifugio in Turchia.Secondo Janez Lenarčič, Commissario europeo per la cooperazione internazionale e gli aiuti umanitari, in Siria sarebbero circa 16,7 milioni le persone che necessitano di aiuti salvavita, di cui metà di queste sarebbero donne e bambini. Josep Borrell, l’alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, punta il dito contro il presidente siriano, Bashar al-Assad, responsabile di questa situazione: “Il regime di Damasco continua a perpetrare diffuse violazioni dei diritti umani che creano seri ostacoli al processo politico”.

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    I curdi del Rojava, gli alleati dimenticati dall’Occidente. Per l’Ue devono essere parte del processo di pacificazione in Siria

    Bruxelles – Guerra in Ucraina, tensioni tra Cina e Taiwan, lo scoppio delle ostilità in Sudan. Nella dichiarazione congiunta diffusa dai ministri degli Esteri dei Paesi del G7 a margine del meeting a Karuizawa, in Giappone, gli attuali sconvolgimenti geopolitici l’hanno fatta da padroni. Ma i capi delle diplomazie dei principali Paesi industrializzati e dell’Unione europea hanno anche voluto ribadire il sostegno al processo di pacificazione in Siria, portato avanti con difficoltà dalle Nazioni Unite e dall’Inviato Speciale, il norvegese Geir Otto Pedersen. Un processo che, “in un modo o nell’altro”, secondo Bruxelles dovrà tenere conto anche dei curdi che abitano nella regione autonoma nel Nord-est del Paese.
    I circa 5 milioni di curdi che dal 2016 hanno auto proclamato l’Amministrazione autonoma del Rojava rischiano infatti di rimanere fuori dai giochi: schiacciati su due fronti, tra il brutale regime di Assad che non ha mai riconosciuto la loro autonomia e la Turchia di Erdogan che negli ultimi mesi ha intensificato i bombardamenti sulla regione, gli eroi della guerra contro l’Isis non hanno ancora conosciuto la pace. I combattenti dell’Unità di Protezione Popolare (Ypg) e le combattenti dell’Unità di Protezione delle Donne (Ypj) lottano ancora per la sopravvivenza di quel sistema confederale rivoluzionario e femminista che rappresenta un unicum in tutto il Medio Oriente.
    Le combattenti delle Ypj, l’Unità di Protezione delle Donne curde (Photo by Delil SOULEIMAN / AFP)
    E anche l’Unione Europea, baluardo di principi democratici e di autodeterminazione dei popoli, sembra essersi dimenticata di loro: per superare il veto posto dalla Turchia all’ingresso di Svezia e e Finlandia nella Nato, la scorsa estate l’Occidente cedeva al ricatto di Erdogan e, in nome di una presunta lotta al terrorismo, sceglieva di voltarsi dall’altra parte mentre Ankara ridava vigore al suo tentativo di eliminare la Confederazione democratica che i curdi hanno costruito al di là del confine.
    La situazione nella regione è drammatica: oltre alle continue tensioni con le forze governative siriane e ai bombardamenti turchi, per la popolazione del Rojava la guerra contro lo Stato Islamico non è mai finita. La maggior parte dei centri di detenzione per i terroristi si trova nel Nord est della Siria, dove sono ancora attive diverse cellule di estremisti islamici. E gli aiuti umanitari che la comunità internazionale ha cercato di mandare nei villaggi curdi a seguito del terribile terremoto del 6 febbraio vengono sistematicamente fermati dalle autorità turche, come denunciato da diverse ong internazionali.
    I Ministri degli Esteri del G7 al meeting a Karuizawa, Giappone (Photo by Yuichi YAMAZAKI / POOL / AFP)
    Al G7 in Giappone, i ministri degli Esteri non hanno parlato del Rojava, ma hanno richiamato ancora una volta quella risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che risale al 2015, in cui si afferma l’impegno “per un processo politico inclusivo, guidato dalla Siria e facilitato dalle Nazione Unite“. Un processo che, ha ricordato il portavoce del Servizio Europeo di Azione Esterna, Peter Stano, possa raggiungere “una soluzione duratura in pieno rispetto dell’unità, dell’integrità territoriale e della sovranità della Siria”. Può convivere l’esperimento democratico curdo con il principio dell’integrità statale? La logica, e il silenzio dell’Occidente che da mesi accompagna le azioni militari siriane contro le città curde, suggerisce di no. Ma per l’Ue “in un modo o nell’altro” i curdi dovranno essere parte del processo di pacificazione nel Paese, perché “sono una componente importante della popolazione siriana e del paesaggio politico”.

    Al meeting del G7 in Giappone, i ministri degli Esteri dei Paesi più industrializzati hanno ribadito la necessità che la comunità internazionale continui a sostenere l’inviato speciale delle Nazioni Unite a Damasco. Per Peter Stano (Seae), la soluzione dovrà rispettare “l’unità, l’integrità territoriale e la sovranità” della Siria

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    Le istituzioni Ue ad Ankara per discutere con le autorità turche sull’organizzazione della Conferenza dei donatori

    Bruxelles – Ad Ankara, per impostare sul campo le direttrici principali dello sforzo di solidarietà internazionale a sostegno delle popolazioni di Turchia e Siria colpite dalle scosse di terremoto in un febbraio devastante. Il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e il ministro svedese per la Cooperazione internazionale allo sviluppo e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Johan Forssell, hanno viaggiato oggi (22 febbraio) nella capitale turca per una serie di incontri con i membri dell’esecutivo di Recep Tayyip Erdoğan, con l’obiettivo di preparare con coerenza la Conferenza internazionale dei donatori in programma il prossimo 16 marzo a Bruxelles.
    Il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e il ministro svedese per la Cooperazione internazionale allo sviluppo e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Johan Forssell, a confronto con i membri del governo della Turchia ad Ankara (23 febbraio 2023)
    “Siamo tutti scioccati dall’orrore che la Turchia sta attraversando, siamo qui per aiutare, perché siamo amici e alleati”, ha messo in chiaro il commissario Várhelyi, parlando alla stampa al termine degli incontri guidati dal ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu: “La nostra generazione non ha mai visto una distruzione del genere, la situazione è peggiore di quanto pensassimo” e per questo motivo “dobbiamo aiutare il popolo turco e siriano in questa tragedia”. Sul breve termine Bruxelles si è già mobilitata dal primo giorno attraverso il Meccanismo di protezione civile dell’Ue: “Ventuno Stati membri hanno inviato in Turchia team di ricerca e soccorso, un aereo per l’evacuazione medica e squadre mediche, mentre in 18 hanno fornito alloggi ed attrezzatura medica”. A ciò si aggiungono i 5,5 milioni di euro in aiuti umanitari, che però sono “solo la prima risposta immediata a chi soffre ogni giorno”, ha confermato il commissario Várhelyi.
    I due rappresentanti delle istituzioni comunitarie si sono detti d’accordo che è necessario “fare significativamente di più per alleviare le sofferenze causate dal terremoto” e, da quanto emerge dalle parole del commissario ungherese, questo “richiederà operazioni di ricostruzione enormi, che forse non abbiamo mai visto prima”. Per questo motivo è iniziato ad Ankara il confronto con i vari ministeri coinvolti. Con il titolare dell’Industria e della tecnologia, Mustafa Varank, è stato discusso di sostegno per le piccole e medie imprese e il settore privato, “compresa l’economia verde”, gli sforzi per affrontare l’assistenza e i soccorsi di emergenza e piani per la ricostruzione. Con il ministro delle Finanze, Nureddin Nebati, è stata affrontata la situazione macroeconomica e finanziaria post-terremoto e la valutazione dei “bisogni post-catastrofe”, con un occhio rivolto alle “possibili collaborazioni per la Conferenza dei donatori”. Come confermato dal ministro Forssell, “gli incontri di oggi sono stati fondamentali per l’organizzazione” della riunione di alto livello del 16 marzo.
    Adana, Turchia (credits: Can Erok / Afp)
    A proposito della Conferenza dei donatori che si svolgerà a Bruxelles, il ministro svedese ha confermato che “sarà uno dei molti modi per l’Ue di manifestare l’ulteriore supporto” alle popolazioni di Turchia e Siria e che “è in cima alle priorità dell’agenda della presidenza svedese“. La decisione di mobilitare la comunità internazionale è stata presa a Stoccolma “nei primi giorni dopo il sisma e la Commissione Europea ha risposto subito positivamente” durante la conversazione telefonica tra il premier svedese, Ulf Kristersson, e la presidente dell’esecutivo Ue, Ursula von der Leyen, ha precisato Forssell.
    Tutti i Ventisette e i Paesi vicini, membri e agenzie delle Nazioni Unite, istituzioni finanziarie internazionali e altre parti interessate saranno invitati una conferenza “non solo necessaria, ma anche utile, oggi abbiamo discusso su come svilupparla al meglio”, gli ha fatto eco il commissario Várhelyi. Attraverso la mobilitazione internazionale per i bisogni immediati e la ricostruzione “non potremo coprire tutto, ma almeno una parte significativa” e l’Unione non diminuirà il suo impegno: “Siamo pronti a fare tutto ciò che in nostro potere per ricostruire nuove case, ospedali, scuole e perché la vita normale possa tornare” nelle zone colpite dal sisma, ha concluso il commissario Várhelyi, con una promessa ad Ankara: “Richiederà tempo e sarà costoso, ma ci muoveremo velocemente e in modo flessibile per iniziare il lavoro sul campo”.

    Il commissario per la Politica di vicinato, Olivér Várhelyi, e il ministro svedese per la Cooperazione internazionale allo sviluppo, Johan Forssell, hanno ascoltato le richieste per la ricostruzione delle aree colpite dal terremoto in vista della riunione di alto livello a Bruxelles il 16 marzo

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    Si terrà il 16 marzo a Bruxelles la Conferenza dei donatori a supporto dei terremotati in Turchia e Siria

    Bruxelles – Mentre continua senza sosta l’invio di aiuti umanitari a Turchia e Siria attraverso il Meccanismo di protezione civile dell’Ue, le istituzioni comunitarie hanno fissato la data dell’appuntamento-chiave per raccogliere fondi per il sostegno immediato e il coordinamento della ricostruzione delle aree colpite dal terremoto del 6 febbraio, che ha causato la morte di oltre 45 mila persone nei due Paesi. Il prossimo 16 marzo a Bruxelles si terrà la Conferenza dei donatori, organizzata dalla presidenza di turno del Consiglio dell’Ue in collaborazione con la Commissione, per portare allo stesso tavolo “Paesi Ue e vicini, membri delle Nazioni Unite, istituzioni finanziarie internazionali e parti interessate” a partecipare a questo sforzo di solidarietà a sostegno delle popolazioni terremotate.
    Antiochia, Turchia (credits: Sameer Al-Doumy)
    A renderlo noto sono state entrambe le istituzioni Ue, a partire dal ministro degli Esteri e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Tobias Billström, facendo ingresso questa mattina (20 febbraio) al Consiglio Affari Esteri: “Vogliamo fare tutto il possibile” per fornire “supporto addizionale per alleviare le terribili conseguenze di questo terremoto”. Il ministro svedese ha precisato di aspettarsi “un’alta partecipazione e anche di raccogliere più soldi possibile” nel corso di una Conferenza il cui obiettivo – come ha spiegato la portavoce dell’esecutivo comunitario Dana Spinant – è quello di “raccogliere risorse e coordinare la risposta a supporto della ricostruzione nelle aree colpite in entrambi i Paesi”.
    Della volontà di organizzare una Conferenza dei donatori si era a conoscenza da qualche giorno a Bruxelles, quando la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e il primo ministro della Svezia, Ulf Kristersson, ne avevano discusso nel corso di una conversazione telefonica. Ma ancora non erano stati forniti dettagli sulla data. La conferenza di alto livello sarà presieduta dal commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e dal ministro svedese per la Cooperazione internazionale allo sviluppo, Johan Forssell. “Stiamo inviando un messaggio alle popolazioni della Turchia e della Siria, l’Ue sosterrà le vostre comunità perché nessuno dovrebbe essere lasciato solo quando una tragedia come questa colpisce un popolo”, aveva sottolineato la presidente von der Leyen, anticipando la decisione di organizzare una Conferenza dei donatori.
    La mobilitazione Ue a sostegno di Turchia e Siria
    Jindires, Siria (credits: Afp)
    In parallelo al Consiglio Affari Esteri di oggi si è svolta anche una nuova riunione del meccanismo integrato di risposta politica alle crisi (Ipcr) dell’Ue “per affrontare la situazione a seguito del sisma in Turchia e Siria”, ha fatto sapere la presidenza di turno svedese del Consiglio dell’Ue. I Ventisette hanno fatto il punto “sul sostegno dell’Ue e degli Stati membri, al fine di coordinare gli sforzi per soddisfare le esigenze immediate e affrontare i colli di bottiglia“. In vista della Conferenza del 16 marzo, la riunione di oggi tra le istituzioni Ue, le autorità turche e l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) “ha fornito un aggiornamento della situazione sul campo”, in particolare sull’assistenza attraverso il Meccanismo di protezione civile dell’Ue.
    A proposito del Meccanismo di protezione civile dell’Ue, a sostegno della Turchia si sono mobilitati 21 Stati europei – Albania, Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Repubblica Ceca, Slovenia, Slovacchia, Spagna e Svezia – con squadre mediche e milioni di articoli, come attrezzature per rifugi, stufe, generatori, mobili, attrezzature mediche, kit igienici, cibo e indumenti caldi. In totale per Ankara sono stati stanziati 5,5 milioni di euro di aiuti umanitari, ma anche duemila tende e ottomila letti attraverso la riserva rescEu ospitata dalla Romania e 500 unità abitative di soccorso dotate di 2.500 letti dalla riserva ospitata dalla Svezia. Per la Siria si sono mobilitati 12 Paesi europei – Austria, Bulgaria, Cipro, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Romania, Slovenia e Norvegia – attraverso gli hub di Beirut e Gaziantep (Turchia) e l’Unione ha stanziato 10 milioni di euro in aiuti umanitari per offrire un rapido soccorso alle vittime del sisma.

    La Commissione Europea e la presidenza di turno svedese del Consiglio dell’Ue ospiteranno la riunione aperta ai Ventisette, Paesi vicini, Nazioni Unite, istituzioni finanziarie e tutte le parti interessate a “raccogliere fondi e coordinare la risposta per la ricostruzione” post-sisma

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    L’Ue ha inviato squadre di soccorso da 13 Paesi membri per aiutare Turchia e Siria nel dopo terremoto

    Bruxelles – C’è anche l’Italia tra i Paesi membri Ue che stanno sostenendo l’azione di supporto di Bruxelles a Turchia e Siria per affrontare le conseguenze del terremoto di magnitudo 7.8 sulla scala Richter, il primo di uno sciame sismico che da questa mattina (6 febbraio) ha colpito i due Paesi. “La situazione sta evolvendo velocemente e la nostra reazione è in aggiornamento, ma sono 13 gli Stati membri che hanno già offerto aiuto alla Turchia e alla Siria“, ha spiegato il portavoce della Commissione Ue responsabile per gli Aiuti umanitari e la gestione delle crisi, Balazs Ujvar, precisando alla stampa l’intervento dell’Unione attraverso il Meccanismo di protezione civile dell’Ue.
    I danni del terremoto del 6 febbraio 2023 ad Adana, Turchia (credits: Can Erok / Afp)
    Dopo il primo terremoto di questa mattina nella regione di Gaziantep (sud della Turchia) sono state “rapidamente mobilitate dieci squadre di ricerca e soccorso urbano da Bulgaria, Croazia, Francia, Grecia, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica Ceca e Romania per sostenere i primi soccorritori sul campo”, mentre “Italia, Malta, Slovacchia, Spagna e Ungheria hanno offerto le loro squadre di soccorso“, è stata la riposta immediata dell’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il commissario europeo per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, al “potente terremoto, uno dei più forti nella regione da oltre 100 anni”.
    Dopo la richiesta di attivazione del Meccanismo di protezione civile Ue da parte di Ankara, Bruxelles ha non solo mobilitato le squadre di ricerca e soccorso, ma ha anche messo a disposizione il sistema satellitare Copernicus “per fornire servizi di mappatura di emergenza”, mentre sul fronte siriano l’Unione “è pronta a sostenere le persone colpite attraverso i suoi programmi di assistenza umanitaria”. Mentre ancora i mezzi di soccorso stanno coordinando le operazioni nelle regioni di confine tra i due Paesi, la Turchia conta più di mille vittime e la Siria almeno ottocento, mentre il bilancio dei feriti è oltre i cinquemila. “Il sostegno dell’Europa è già in arrivo e siamo pronti a continuare ad aiutare in ogni modo possibile”, ha assicurato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, esprimendo la “piena solidarietà con le popolazioni dopo il terremoto mortale che le ha colpite”.
    La presidenza di turno svedese ha poi convocato questa sera una riunione dell’Ipcr (i Dispositivi integrati per la risposta politica alle crisi) per coordinare le misure di sostegno dell’Ue in risposta al terremoto, in stretta collaborazione con la Commissione europea.
    Insieme alla numero uno della Commissione anche gli altri vertici delle istituzioni comunitarie hanno espresso la vicinanza dell’Unione ad Ankara e Damasco. “Le mie più sentite condoglianze alle numerose famiglie che hanno perso la vita e auguro una rapida guarigione ai feriti”, è stato il commento del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel: “L’Ue è pienamente solidale con voi”. Gli ha fatto eco la presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola: “L’Europa è al fianco del popolo turco e siriano in questo momento di difficoltà”, in particolare per “le persone intrappolate, i feriti e tutti i soccorritori che stanno facendo del loro meglio per salvare vite umane”.

    Deeply saddened after the terrible earthquake at the Turkish-Syrian border.
    My thoughts are with those killed, those trapped, those injured & with all rescuers doing their utmost to save lives.
    Europe stands with the people of Türkiye & Syria at this moment of distress 🇪🇺🇹🇷🇸🇾
    — Roberta Metsola (@EP_President) February 6, 2023

    Il Meccanismo di protezione civile Ue contro il terremoto (e altri disastri)
    Il Meccanismo di protezione civile Ue è stato istituito nel 2001 dalla Commissione ed  è il mezzo attraverso cui i 27 Paesi membri e altri 8 Stati partecipanti (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Islanda, Macedonia del Nord, Montenegro, Norvegia, Serbia e Turchia) possono rafforzare la cooperazione per la prevenzione, la preparazione e la risposta ai disastri, in particolare quelli naturali. Una o più autorità nazionali possono richiedere l’attivazione del Meccanismo quando un’emergenza supera le capacità di risposta dei singoli Paesi colpiti, come fatto questa mattina dalla Turchia. La Commissione coordina la risposta di solidarietà degli altri partecipanti con un unico punto di contatto – per evitare la duplicazione degli sforzi – e contribuisce ad almeno a tre quarti dei costi operativi degli interventi di ricerca e soccorso e di lotta agli incendi.
    Il Meccanismo comprende un pool europeo di protezione civile Ue, formato da risorse pre-impegnate dagli Stati aderenti, che possono essere dispiegate immediatamente all’occorrenza. Il centro di coordinamento della risposta alle emergenze è il cuore operativo ed è attivo tutti i giorni 24 ore su 24. A questo si aggiunge la riserva rescEu, una flotta di aerei ed elicotteri antincendio (oltre a ospedali da campo e stock di articoli medici per le emergenze sanitarie) per potenziare le componenti della gestione del rischio di catastrofi. Nell’estate 2022 Bruxelles ha finanziato anche il mantenimento di una flotta antincendio rescEu aggiuntiva in stand-by, messa a disposizione da Italia, Croazia, Francia, Grecia, Spagna e Svezia, e la riserva medica di attrezzature e dispositivi di protezione in Belgio, Croazia, Danimarca, Germania, Grecia, Paesi Bassi, Romania, Slovenia, Svezia e Ungheria. Dallo scorso 17 gennaio è anche iniziata la fase di sviluppo in Finlandia della riserva strategica contro incidenti chimici, biologici, radiologici e nucleari (Cbrn).

    Nella notte tra domenica 5 e lunedì 6 febbraio uno sciame sismico di magnitudo 7,8 sulla scala Richter. Bruxelles ha attivato il Meccanismo di protezione civile dell’Ue (coinvolta anche l’Italia) e il sistema Copernicus per la mappatura d’emergenza