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    Ue e Paesi del golfo persico, a Bruxelles le prove politiche di nuova collaborazione

    Bruxelles – Commercio, energia, contrasto ai cambiamenti climatici, e poi sicurezza, soprattutto marittima, e coinvolgimento in materia di sicurezza regionale. Unione europea e Paesi del golfo arabico (Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti) cercano una nuova stagione di relazioni bilaterali con il primo summit di alto livello politico, che a Bruxelles viene salutato come il momento più alto di sempre. Un punto di arrivo di un lavoro condotto meticolosamente da Luigi di Maio nella sua veste di inviato speciale dell’Ue nel golfo Persico, il primo di sempre.Un’opportunità salutata nella capitale dell’Unione europea con soddisfazione, che mostra la disponibilità del mondo arabo di mettersi in gioco, provare a dialogare su temi comunque spinosi, tutt’altro che agevoli, e su cui orientamenti e punti di vista sono tutt’altro che convergenti, a cominciare dalla questione del conflitto russo-ucraino.Tutti i Paesi della regione hanno sostenuto la risoluzione dell’Assemblea generale della Nazioni Unite che condanna l’aggressione russa, ma a differenza degli europei non hanno varato pacchetti di sanzioni. Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi “hanno relazioni con la Russia, che chiaramente cambia posizionamenti”, riconoscono fonti Ue. Questo complica anche il lavorio tecnico per la stesura di conclusioni di fine summit, che l’Ue vorrebbe ma su cui si riconoscono difficoltà e lo scenario di una fine seduta senza dichiarazioni non viene escluso.“E’ chiaro che ci sono rischi che dobbiamo correre”, ragionano le stesse fonti comunitarie. Ma si sottolinea con enfasi come “il fatto che i leader dei Paesi del golfo vengano a Bruxelles è già un elemento importante, un segno”. Certo, nel momento di discutere le conclusioni le conclusioni “verranno a galla delle problematiche”, non ci si fanno illusioni, “ma lavoriamo per trovare una soluzione”.Non si nascondono poi le difficoltà per ciò che riguarda le relazioni commerciali, che si vorrebbero rilanciare ma su cui pesano almeno due grandi ostacoli: differenza di regole per l’accesso nel settore degli appalti pubblici e idrocarburi. L’Unione europea è impegnata nella transizione verde e lo spostamento dai combustibili fossili a fonti rinnovabili, mentre i Paesi del golfo arabico dispongono di petrolio in abbondanza (Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait sono membri dell’Opec, l‘Organizzazione dei Paesi Esportatori del Petrolio) e a prezzi ridotti rispetto a quelli pagati dagli europei, il che rende poco attraente e meno competitivo optare per la transizione sostenibile su cui punta l’Ue.Ciò nonostante a Bruxelles andranno in scena prove politiche per una nuova stagione di cooperazione bilaterale. Tre gli obiettivi principali: rendere più strategiche le relazioni con questi paesi da un punto di vista geopolitico, rispondere insieme alle sfide globali (clima, energia), e rafforzare relazioni bilaterali (commercio, regime di visti). Si inizia dal summit di Bruxelles, per provare a gettare nuove basi. E avere di più al fianco degli europei Paesi ancora troppo sbilanciati verso la Russia. Un messaggio per il ‘signore di Russia’, Vladimir Putin.

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    Stretta della Repubblica ceca sulla sua chiesa ortodossa, si temono i legami con la Russia

    Bruxelles – Il dubbio che la Chiesa ortodossa possa lavorare per la Russia e il suo ‘signore’, Vladimir Putin. In Repubblica ceca si fa strada una preoccupazione che porta una parte della politica a chiedere le verifiche del caso, con tanto di indagine approfondita. E’ Pavel Fischer, presidente della commissione di Sicurezza del Senato a invitare il governo di Praga ad accendere i riflettori sulle chiese ortodosse presenti nel Paese. Queste sarebbero sempre più legate al patriarcato di Mosca, e rispondono a Kirill, capo ortodosso che la stessa Ue voleva sanzionare per i suoi legami con Putin e il ruolo svolto nel sostegno alla guerra in Ucraina.Nessuna messa al bando della chiesa ortodossa, né restrizioni religiose. La linea suggerita al governo di è di verificare che in Repubblica ceca non vi siano emissari di Putin nascosti tra le pieghe del cristianesimo, e solo in quel caso procedere all’eventuale chiusura del luogo di culto e il ritiro di permessi e concessioni. Si inizia a fare le pulci per timore che si possa esercitare influenza filo-russa.La decisione trova una spiegazione anche alla luce dei ‘precedenti’. Sempre in Repubblica ceca ha trovato spazio un quotidiano on-line, Voice of Europe, che diffondeva propaganda russa e disseminava disinformazione, costringendo le autorità nazionali a spegnere il sito. Non a caso Il parlamento della repubblica ha chiesto ai servizi segreti di controllare tutte le chiese ortodosse presenti nel Pase per verificare se siano coinvolte in operazioni volte a diffondere la narrativa filo-russa. In tal senso il Senato ceco Senato ragiona sulla possibilità di definire e proporre un disegno di legge che consentirebbe di monitorare le attività di tutte le chiese ortodosse.Ecco che in nome della sicurezza si interviene sulla libertà religiosa. Ma, sottolinea Fischer, “la libertà di religione e di associazione non deve essere sfruttata per consentire a stati stranieri ostili di esercitare un’influenza illegittima”. La presa di posizione della autorità ceche seguono la stretta operata dall’Ucraina, dove è stata appena approvata una legge storica che prevede il divieto delle attività di un ramo della chiesa ortodossa legato alla Russia. Una messa al bando che sancisce una volta di più la rottura tra Russia e Ucraina, divise non solo dalla guerra in atto ma pura da un punto di vista confessionale. La Chiesa ortodossa ucraina si è resa indipendente dal patriarcato di Mosca, dando vita ad una Chiesa autonoma riconosciuta come tale nel 2019, e fonte di attriti e tensioni con la Federazione russa.

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    L’Ue avanza a est, aiuti per le forze armate dell’Armenia in chiave anti-russa

    Bruxelles – Cooperazione militare Ue-Armenia, gli europei ci provano e forzano la mano sullo scacchiere internazionale mettendo un piede nell’area dell’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (Csto), l’alleanza militare che racchiude Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e proprio l’Armenia. Il Consiglio dell’Ue ha deciso di staccare un assegno da 10 milioni di euro a sostegno delle forze armate armene attraverso lo strumento per la pace. L’obiettivo di questa misura, la prima di sempre a favore delle autorità di Yerevan, “accelerare l’interoperabilità delle sue forze armate in caso di possibile futura partecipazione del paese alle missioni e alle operazioni militari internazionali, comprese quelle schierate dall’Ue”.Nella pratica tutto questo si traduce con la fornitura di un vero e proprio campo tendato dispiegabile per un’unità delle dimensioni di un battaglione (unità militare terrestre, generalmente composta da un numero di uomini compreso tra i 500 e i 1.000, ndr). Una mossa che perà è geopolitica, e che rischia di accrescere ulteriormente le tensioni con la Federazione russa e il suo presidente, Vladimir Putin, da sempre, anche da prima dello scoppio della guerra in Ucraina, contrario all’avanzata dell’Europa a est e all’ampliamento di quello che a Mosca viene considerata una politica di accerchiamento.Con la volontà dichiarata di includere l’Armenia nelle missioni militari europee l’Ue compie un nuovo passo verso est, nell’intento di attrarre verso di sé un Paese all’interno di un’area di interesse economico e strategico per la Russia, e che porterebbe l’Europa in Asia occidentale, nel Caucaso.L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, tira dritto. “Abbiamo un interesse reciproco per aumentare ulteriormente il nostro dialogo sulla politica estera e di sicurezza, esaminando anche la futura partecipazione dell’Armenia alle missioni e alle operazioni condotte dall’Ue”.Ufficialmente la decisione si spiega nell’ambito del partenariato bilaterale. Ma c’è anche da dover correre ai ripari dopo gli scontri tra Armenia e Azerbaijan per il controllo del Nagorno-Karaback, territorio conteso riconosciuto internazionalmente come azero ma controllato dall’Armenia dalla dissoluzione dell’Unione sovietica. Gli scontri, duri, che hanno visto il Parlamento europeo accusare Baku di pulizia etnica, hanno rilanciato certamente la necessità di rafforzare la sicurezza e la capacità di risposta delle forze armate azere. E con la Georgia che compie passi indietro sul percorso che dovrebbe portare ad un’adesione rimessa in discussione, mettere un altro piede nel Caucaso diventa ancor più prioritario per un’Unione europea desiderosa di espandersi a est e sfidare ancora una volta Vladimir Putin.

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    Da progetto di pace a promotrice di guerra, l’Ue assiste anche l’esercito di Albania e Benin

    Bruxelles – C’era una volta l’Unione europea progetto di pace, che proprio per questo venne insignita del premio Nobel appositamente dedicato. Storia di tempi non lontani, eppur remoti. La bella Ue di una volta non c’è più, smarrita e cambiata sotto i colpi di un presente incerto, molto diverso, tanto diverso anche per quel progetto di pace di cui cambia toni, narrativa e retorica. Per garantire la pace servono le armi, e mentre l’Europa rilancia l’industria bellica definita industria della difesa, arma il resto del mondo. Questo indicano i finanziamenti a Benin e Albania approvati dal Consiglio dell’Ue.Due decisioni separate e distinte, ma uguali nella natura. Con un assegno da 5 milioni di euro a favore del Benin, lo strumento per la pace dell’Ue, “le forze armate del Benin saranno dotate di un aereo militare multiuso“, fa sapere il Consiglio. Mentre con l’aiuto economico da 13 milioni di euro per l’Albania “le forze terrestri albanesi riceveranno veicoli corazzati leggeri multiuso“. In entrambi i casi si offre anche disponibilità per addestramento e formazione tecnica. Prepararsi al peggio, insomma, nel non immediato parallelismo con uno degli slogan e imperativi del mondo orwelliano: “la guerra è pace”. Analogie non immediate anche perché la versione a dodici stelle è che si vogliono sicurezza e difesa, non guerra, ma le sfumature lessicali solo in parte nascondono un’Europa sempre più in versione 1984 che 2024.Ma nell’anno in corso sempre più venti di guerra soffiano sul vecchio continente, deciso ad arginare con fermezza quelle crisi su cui l’Europa proprio esente da colpe non è. I leader dell’Ue non hanno saputo (o voluto) ascoltare gli avvertimenti che arrivavano dalla Russia, e non hanno saputo (o voluto) risolvere per davvero, in modo credibile e concreto, al netto di parole e dichiarazioni di circostanza, una questione senza fine come quella arabo-israeliana. Nel mondo improvvisamente cambiato il progetto di pace non serve più, o più semplicemente non basta più. Avanti con fornitura di armi, munizioni e nuovi comandanti per le forze armate in giro per il mondo.Oltre ai nuovi finanziamenti per Benin e Albania, gli ultimi della serie, operazioni militari Ue con tanto di contributo economico, risultano attive in Mozambico, Repubblica centrafricana, Somalia, Togo, Ghana e Costa d’avorio, Bosnia-Erzegovina e Ucraina (gestita in Belgio). E’ la nuova Unione europea, quella del nuovo corso. L’Ue raccontata fino a poco tempo fa non c’è più. C’era una volta. Adesso è un’altra storia.

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    L’Ue ripristina obbligo di visti per Vanuatu: troppe cittadinanze ‘facili’ con cui entrare in Europa

    Bruxelles – Flussi di immigrati irregolari provenienti dall’altro angolo del mondo grazie a politiche ‘generose’ in termini di concessione della cittadinanza, con documenti che agevolano l’ingresso nello spazio Schengen a russi, cinesi e iraniani. L’Unione europea vede in Vanuatu un Paese terzo che inizia a presentare “serie e carenze e falle di sicurezza” per gli interessi dell’Ue, secondo i servizi della Commissione europea, che decide di sospendere l’accordo bilaterale che abolisce l’obbligo di visto per i cittadini dell’arcipelago dell’Oceania per entrare su suolo comunitario.La decisione dell’esecutivo comunitario può sembrare ‘curiosa’. Si si dà un sguardo al mappamondo si vede che Vanuatu è assai distante dall’Europa. Situato a est dell’Australia, a sud delle isole Salomone, nel versante orientale del mar dei Coralli, Vanuatu è davvero una destinazione remota. Ma ciò non impedisce al Paese di rappresentare una minaccia in termini di immigrazione regolare e sicurezza.Quello che ravvisano a Bruxelles è una politica di concessione delle cittadinanza di Vanuatu a cittadini di altri Paesi terzi. L’acquisizione della cittadinanza implica la possibilità di poter entrare e soggiornare liberamente nell’Ue per effetto dell’accordo che non richiede il visto. Dal 2015, denuncia la Commissione, le autorità vanuatiane hanno avviato “programmi di cittadinanza per investitori che consentono ai cittadini di paesi terzi soggetti all’obbligo del visto di ottenere facilmente la cittadinanza e il passaporto di Vanuatu, consentendo loro così di ottenere l’accesso senza visto all’UE, aggirando la procedura del visto Schengen”.Una pratica che sembra studiata a tavolino, visto che questi speciali programmi non prevedono requisiti specifici minimi di residenza su almeno una delle 65 isole abitate dell’arcipelago della Melanesia. Addirittura emerge che il processo di richiesta di cittadinanza è gestito da agenzie specializzate situate fuori Vanuatu, con la Commissione che cita esplicitamente Dubai (Emirati arabi), Thailandia e Malesia. In questo gioco di ‘documenti facili’ si teme anche per le ricadute in termini di sicurezza. Nello specifico preoccupa “la legislazione permissiva sui cambi di nome, poiché il richiedente che ha ottenuto la cittadinanza per investimento può anche richiedere un cambio di identità”.A usufruire dei passaporti di Vanuatu soprattutto richiedenti cinesi, russi, iraniani, nigeriani, siriani, iracheni. L’Ue teme che il remoto Stato dell’Oceania possa operare come ‘cavallo di troia’ per potenziali spie e estremisti islamici. “Ci avvaliamo del meccanismo di sospensione dei visti per rispondere in modo efficace alle minacce alla sicurezza”, taglia corto Ylva Johannson, commissaria per gli Affari interni. Vanuatu figura già nella lista nera dell’Ue dei Paesi non collaborativi in materia di lotta all’evasione fiscale. Adesso si aggiunge il capitolo ‘passaporti facili’.

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    Difesa, l’Ue apre a Kiev l’ufficio per l’innovazione delle start-up del settore

    Bruxelles  – Ue e Ucraina tentano l’integrazione della difesa. Un modo per rinsaldare i legami tra le due parti, e mandare un messaggio a Mosca. Il primo forum dell’industria delle difesa Ue-Ucraina intende tracciare la rotta, quella di una nuova Europa, più integrata, con più Ucraina. Che chiede un cambio di passo. “E’ da un un anno e mezzo che stiamo invitando ad accrescere la produzione dell’industria europea della difesa”, scandisce il ministro degli Esteri di Kiev, Dmytro Kuleba, intervenendo al forum. “Se vogliamo mantenere la pace in Europa dobbiamo passare a un’economia di guerra, per quanto possa essere paradossale“.Da qui l’invito a creare un sistema industriale interconnesso, che passa per gli investimenti nelle imprese ucraine. “Investire nelle nostre imprese della difesa è un buon modo per aiutare l’Ucraina”, continua il ministro degli Esteri ucraino. “Ogni euro investito in Ucraina genera un ritorno nelle sicurezza dell’Europa“. Mentre la creazione di questa alleanza “sottolinea che il futuro del Paese è nell’Unione europea”, tiene a precisa Oleksandr Kamyshin, ministro per le Industria strategiche. E’ questo il messaggio politico per Putin, a a capo di quella “dittatura anti-europeista a est dell’Europa”, come la definiscono i componenti del governo ucraino, che “non si fermerà finché non ci sarà una forza di fuoco superiore”.Un messaggio che sembra essere recepito a Bruxelles, dove l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, che ai partner d’Ucraina promette che “apriremo un nuovo Ufficio per l’innovazione dell’UE a Kiev entro la fine dell’anno per facilitare l’incontro tra le start-up ucraine e le società di difesa dell’Unione europea“. Un annuncio che si aggiunge alla strategia di lungo periodo per la difesa dell’Ucraina, a cui l’Ue guarda con rinnovato slancio.Lo scopo del forum, sottolinea ancora Borrell, “è quello di rendere l’Ucraina in grado di resistere all’invasione aumentando la loro capacità industriale, utilizzando ciò che già ha, aumentandola finanziando e acquistando la loro produzione”. La tecnologia da un lato, e le capacità finanziarie dall’altra devono stare insieme, al fine di rendere gli ucraini in grado di avere le capacità militari di resistere.

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    Ucraina, l’Ue promette di velocizzare consegne militari ma non c’è accordo su come finanziarle

    Bruxelles – Più sostegno sul campo attraverso la velocizzazione delle consegne militari, anche attraverso l’eventuale utilizzo degli extra-profitti generati dai beni russi congelati in Europa e la linea dura contro i Paesi terzi che aiutano la Russia a mantenere attiva la propria macchina da guerra aggirando le sanzioni. I capi di Stato e di governo degli Stati membri dell’Ue vengono incontro alla richieste del presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, promettendo quanto prima più munizioni, pezzi di artiglieria e sistemi di difesa anti-aerea. Un modo per rispondere alle critiche e alle accuse per un’alleanza, quella con l’Ue, considerata a Kiev come “umiliante“.Le conclusioni del primo giorno di vertice del Consiglio europeo ribadiscono l’impegno incondizionato all’Ucraina. “La Russia non deve vincere“, il messaggio politico fermo messo nero su bianco dai leader, e per questo l’Unione si dice “determinata a continuare a fornire tutto il sostegno politico, economico, finanziario, militare, umanitario e diplomatico per tutto il tempo necessario“. Si riconosce la penuria e quindi la necessità di rifornimento di munizioni e sistemi di difesa anti-aerea, per cui i Ventisette si impegnano a “velocizzare e intensificare la fornitura di tutta l’assistenza militare necessaria“.Il vero nodo resta quello pratico, vale a dire finanziario, che si scontra con le necessità e le tempistiche. Servono soldi che l’Ue non ha per far ripartire l’industria bellica europea, e i leader europei lasciano il tavolo senza alcuna soluzione pratica. Invitano Commissione e ministri competenti a “esplorare tutte le opzioni” per mobilitare finanziamenti, e fare il punto della situazione “a giugno”, in occasione del vertice del consiglio Europeo di fine mese (27 e 28 giugno). Vuol dire concedere altri tre mesi all’armata russa, durante i quali gli europei continueranno, verosimilmente, a non far partire le commesse necessarie per rifornirsi e rifornire l’Ucraina.Le conclusioni sulla difesa stridono con i proclami e gli impegni scritti nelle conclusioni dedicate all’Ucraina. Vanno inoltre lette con attenzione. “Esplorare tutte le opzioni” può far intendere che l’idea di eurobond per la difesa, e quindi creazione di debito comune per stimolare l’industria del settore, non sia del tutto esclusa. Ma nel linguaggio dei tecnici gli eurobond sono riferiti a “soluzioni innovative”, riferimento scomparso dalla conclusioni. Tra chi vorrebbe eurobond (Italia, Estonia, Lituania, Spagna) e chi invece preferisce guardare gli strumenti esistenti, preferibilmente nel bilancio comune (Germania, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi e Svezia), sembra prevalere la linea di questi ultimi.Quello che ottiene Zelensky è la disponibilità dell’Unione a valutare “anche la possibilità di sostegno al finanziamento militare” attraverso l’uso degli extra-profitti derivanti dai beni russi congelati in Europa. Una proposta su cui si dovrà continuare a lavorare perché ci sia una base giuridica solida che eviti l’avvio di cause, ricorse, e le conseguenti impossibilità di aiutare militarmente Kiev e paralizzare i sistemi di giustizia nazionali. Se tutto va bene, azzarda la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, tramite extra-profitti potrebbe arrivare a Kiev “un miliardo di euro già l’1 luglio”.Resta ferma l’intenzione di fare della Banca europea per gli investimenti uno strumento utile alla causa, e aprire la strada a prestiti e finanziamenti per l’industria della difesa. Si chiede alla Bei di “adattare la propria politica” di prestiti e di “adattare la sua attuale definizione di bene a duplice-uso“. Sono proprio queste tecnologie ‘duali’ a uso civile e militare la chiave per poter aprire i rubinetti.L’Unione europea ci prova, ma ancora una volta è attesa alla prova dei fatti. Pesa l’assenza di una difesa comune, e un’Europa ancora troppo confederale. “Il sostegno militare e l’impegno alla sicurezza saranno forniti nel pieno rispetto  della politica di sicurezza e difesa di determinati Stati membri e tenendo conto degli interesse nella sicurezza e nella difesa di tutti gli Stati membri”. Vuol dire che il rischio di procedere in modo disordinato è ancora sul tavolo, e questo potrebbe giocare a favore di Putin.

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    Zelensky attacca gli alleati: “Umiliante l’aiuto su artiglieria, Ue può dare di più”

    Bruxelles – L’Unione europea fa poco. Il presidente dell’Ucraina, Volodymir Zelensky, ringrazia i capi di Stato e di governo dell’Ue per il sostegno, prezioso, ma considerato ipocrita. Di più: “Umiliante”. Perché non aiuta fino in fondo, e anzi le ‘briciole’ che l’Ue mette a disposizione per la risposta militare di Kiev all’aggressore russo aiutano il Cremlino. Irrompe nel vertice del Consiglio europeo, Zelensky, per un affondo che è un richiamo alla responsabilità. I ritardi nella consegna delle munizioni non vanno giù al leader ucraino.“Le munizioni sono una questione vitale” per rispondere all’avanzata russa, ricorda Zelensky. “Purtroppo, l’uso dell’artiglieria in prima linea da parte dei nostri soldati è umiliante per l’Europa, nel senso che l’Europa può dare di più. Ed è fondamentale dimostrarlo adesso”. Il presidente ucraino non nasconde il suo malumore per un’Europa vicina molto a parole, ma troppo poco nella pratica. L’Ue aveva promesso un milione di pezzi di artiglieria entro fino 2023, per poi ammettere di non essere in grado di tenere fede agli impegni assunti e auspicabilmente consegnare poco più della metà di quanto promesso entro fine marzo di quest’anno. L’Ucraina ha ragione da vendere, e l’irritazione di Zelensky lo stesso leader ucraino la manifesta apertamente, avvertendo i Ventisette: “Questa è la guerra della Russia non solo contro l’Ucraina, ma contro tutti noi, anche contro i vostri paesi, contro tutta la nostra Europa e lo stile di vita europeo”.Il presidente ucraino chiede uno slancio, un cambio di passo, una maggiore determinazione, un impegno vero. Non critica l’apporto avuto fin qui, comunque prezioso, consapevole che l’Ue ha scelto la via migliore per un coinvolgimento diretto nel conflitto che vorrebbe dire guerra mondiale o quasi. Critica l’entità del sostegno, insufficiente per Kiev per vincere il conflitto. Lo dice con forza quando parla della contraerea.“I sistemi di difesa aerea esistenti non sono sufficienti a proteggere l’intero nostro territorio dal terrorismo russo“, avverte Zelensky. Quello che ne deriva non è che la diretta conseguenza di un’Ucraina impreparata e debole: fornire mezzi, strumentazioni e armi necessari per fermare la guerra dell’aria che la Russia conduce assieme a quella di terra. “Sapete tutti quali sono i passi da compiere”, scandisce Zelensky, in un’implicita ma chiara richiesta di aiuto, che è anche la pretesa di tenere fede a impegni assunti dall’Ue anche in questo ambito. “Dobbiamo fornire una protezione affidabile ai cieli sopra la linea del fronte”, che l’Ucraina da sola non può garantire. “Dobbiamo far sì che Putin perda la battaglia per il cielo ucraino” perché, assicura, “se lo farà, perderà anche la terra“. Il leader ucraino è consapevole che l’Europa non ha investito nell’industria bellica perché in tempi di pace, e dunque oggi in difficoltà a far ripartire un comparto divenuto strategico e necessario, e chiede di accelerare. “Per favore, non perdete il tempo necessario per attivare la produzione della difesa“. Un invito ai Ventisette a non rinviare le decisioni che servono per finanziare la produzione a dodici stelle, senza affidarsi a terze parti. “Spero che possiamo essere tutti d’accordo sul fatto che la nostra Europa ha bisogno di una reale autosufficienza in termini di difesa”, l’auspicio di Zelensky. “Ciò può essere raggiunto solo aumentando la produzione di armi e munizioni nel continente”. Esattamente uno dei punti sul tavolo del vertice, dove i leader sono divisi.Italia, Spagna, Lituania ed Estonia vedono di buon occhio l’idea di creare eurobond per la difesa, ipotesi su cui frenano invece Germania, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi e Svezia. Un modo di presentarsi al cospetto del partner ucraino che non aiuta a fugare i dubbi sull’efficacia degli alleati europei e il loro “umiliante” sostegno.