More stories

  • in

    Siria, ora l’Ue teme il ritorno di combattenti islamici radicalizzati

    Bruxelles – Il nuovo corso in Siria porta con sé rischi per la sicurezza dell’Ue, a cominciare quelli legati al possibile ritorno di combattenti islamici radicalizzati. Un problema avvertito certamente in Parlamento europeo, dove non si parla apertamente di minaccia terroristica ma si fa comunque notare che la presa del potere da parte di Hayʼat Tahrir al-Sham (HTS), la milizia islamica che ha rovesciato il regime di Assad, abbia svuotato le carceri lasciano a piede libero miliziani dell’Isis e di Al-Qaeda. Si tratta non solo di cittadini siriani, ma, viene fatto notare, anche di persone che molto probabilmente hanno la nazionalità dell’Ue.La minaccia c’è, e lo riconosce anche l’Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Kaja Kallas, quando rispondendo all’interrogazione parlamentare in materia ammette che “la Commissione, in collaborazione con gli Stati membri, continua a seguire il destino dei cittadini dell’Ue che si sono recati in zone di conflitto come la Siria per unirsi a organizzazioni terroristiche e non sono tornati o le cui morti rimangono non confermate“. Segno che la situazione preoccupa e quindi monitoraggio e controllo si rendono necessari. Se da una parte nell’Ue non si vogliono nuove ondate di rifugiati, dall’altra parte non si vuole neppure un nuovo livello di allerta di minaccia terroristica.Però, viene ricordato sempre dall’Alto rappresentante, in linea di principio ai cittadini dell’Ue non può essere impedito di tornare a meno che non venga revocata la loro nazionalità. Quindi il rientro in Europa di individui radicalizzati non può essere escluso. “Per coloro che tornano e costituiscono una minaccia per la sicurezza, l’azione penale è uno strumento primario”, sottolinea Kallas, la quale ricorda inoltre che in materia di sicurezza la responsabilità primaria è degli Stati membri. Spetta dunque ai governi tenere alta l’attenzione e verificare quanti attraversano la frontiera.Gli Stati membri possono comunque avvalersi della collaborazione di Frontex (l’agenzia di guardia costiera e di frontiera) per quanto riguarda il sostegno operativo alla gestione delle migrazioni, oltre a quella di Europol (la polizia europea) per ciò che riguarda la condivisione di informazioni di intelligence. “Insieme – conclude Kallas – queste misure mirano a impedire il rientro di individui ad alto rischio e a garantire la responsabilità delle loro azioni”.La Commissione europea, comunque, in nome della stabilità del Paese e della regione, ha deciso di intrattenere relazioni con il nuovo governo nonostante sia retto da HTS, la milizia islamica riconosciuta dall’Onu come terroristica, con l’Ue allineata alle decisioni delle Nazioni Unite.

  • in

    Il libro bianco sulla difesa certifica che Russia e Cina sono i possibili nemici dell’Ue

    Bruxelles – La Russia senza ombra di dubbio, e poi la Cina. I nemici potenziali dell’Unione europea sono loro, sono i grandi attori del versante orientale del mondo, e da adesso sono nemici dichiarati, perché tali sono definiti all’interno del libro bianco sul futuro della difesa. Qui si citano esplicitamente, per il ruolo che hanno giocato e, soprattutto per quello che ancora non hanno avuto.“La Russia è una minaccia esistenziale per l’Unione“, si legge nell’introduzione del documento redatto a Bruxelles. “Considerato il suo passato di invasione dei suoi vicini e le sue attuali politiche espansionistiche, la necessità di una deterrenza contro le aggressioni armate della Russia resterà anche dopo un accordo di pace giusta e duratura in Ucraina“. Visioni e considerazioni sul Cremlino sono chiare, e fanno capire come l’Ue intende vivere da qui in avanti, con uno stato di allerta perenne per una minaccia avvertita come persistente, ma non isolata.Perché la minaccia russa è strettamente collegata quella cinese. “Anche se un cessate il fuoco dovesse essere raggiunto in Ucraina, la Russia probabilmente continuerà ad aumentare la scale della sua economia di guerra, col sostegno di Bielorussia, Cina e Corea del nord“. E’ questo un nuovo, più diretto, attacco frontale dell’Ue alla Repubblica popolare, già criticata per il suo appoggio a Mosca. Se da una parte “una Russia revanscista è la minaccia militare immediata per l’Ue“, dall’altra parte c’è il governo di Pechino che “sta aumentando costantemente” la sua produzione di capacità militare col risultato che adesso la Cina “possiede un forza militare di primo rango con capacità marittime senza precedenti”.Un dragone cinese. La Cina è diventata una minaccia per l’Ue [foto: imagoeconomica, tramite AI]Il risultato di questa crescita militare cinese, riconosce pubblicamente la Commissione europea, è che “l’equilibrio strategico nella regione dell’Indo-Pacifico è sotto pressione, il che influisce sulla sicurezza dell’Ue“. Insomma, il libro bianco sul futuro della difesa sconfessa le aspettative della presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, che proprio alla Cina guardava come possibile alternativa agli Stati Uniti di Donald Trump. Invece, a giudicare dai contenuti del documento, i migliori auspici appaiono morti e sepolti. Anche perché, si denuncia ancora, “la Cina è diventato un un attore ibrido principale che minaccia l’Ue“. Vuol dire che Pechino attacca l’Europa senza bisogno di muovere truppe, utilizzando tecniche diverse e metodi diversi da quelli militari per indebolire il blocco a dodici stelle.Certo, non è un mistero che la Repubblica popolare abbia importanti leve economiche grazie al controllo dei porti europei, che garantiscono al Paese asiatico una presenza tale da minacciare la sicurezza a dodici stelle.  Ma la minaccia cinese si estende oltre l’Europa e diventa più globale, e l’Ue lo mette nero su bianco. “La Cina sta utilizzando l’insieme dei suoi strumenti economici, militari e informatici per esercitare pressione su Tawain e sui Paesi che si affacciano sul mar cinese meridionale“. Le acque dell’area sono ‘agitate’, visto che le isola Paracelso, controllate da Pechino dal 1974, sono rivendicate da Taiwan e dal Vietnam, mentre tra Repubblica popolare e Filippine si contendono le isole Spratly, che ricadono nella zona economica esclusiva di Manila per le contestazioni cinesi.In sostanza, la Cina “sta minando la stabilità regionale”, avverte la Commissione europea, preoccupata per le ricadute anche economiche potenziali. Il mar cinese meridionale è gioca un ruolo commerciale non indifferente, essendo al centro di alcune delle rotte marittime più trafficate al mondo che collegano Cina, Giappone, Corea del sud e Taiwan con l’oceano Indiano. Non solo: i fondali di questa porzione marittima nascondono importanti giacimenti di petrolio e di gas, che fanno del controllo dell’area un motivo di confronto accesso.Di questi e altri temi legati alla Difesa si parlerà il 15 aprile a Roma nell’evento della serie Connact “Difesa comune europea: finanziamenti e integrazione industriale“.

  • in

    L’Ue rinnova il sostegno all’Ucraina. Impegno a 26, senza l’Ungheria messa all’angolo

    Bruxelles – I timori di un possibile accordo mancato svaniscono presto, poco dopo le 20, quando i capi di Stato e di governo dell’Ue riuniti a Bruxelles per il vertice straordinario dedicato a difesa e Ucraina approvano il testo sugli aiuti a Kiev, isolando e mettendo all’angolo l’Ungheria di Viktor Orban lasciata sola a recitare la parte dell’alleato di ferro di Mosca. Certo, non è stato possibile approvare un testo di conclusioni tutti insieme, ma il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, riesce comunque a risolvere il problema facendo approvare un allegato alla conclusioni sulla difesa. Un escamotage per andare avanti, e mostrare che gli europei, a differenza degli americani, sono davvero amici fedeli, credibili e affidabili.“Oggi è una giornata importante per la difesa europea e l’Ucraina“, sottolinea Costa, che guarda all’esito della riunione. L’unità a 27 è un principio che viene di fatto superato, i leader scelgono un approccio tutto nuovo, forte anche della famiglia dei popolari (Ppe), nutrita e numerosa, un terzo di tutti i leader, ben 10 su 27, che ha scelto di scaricare il premier ungherese e senza neppure nasconderlo.Il primo ministro ungherese, Viktor Orban, è stato lasciato solo a dire ‘no’ al sostegno all’Ucraina [Bruxelles, 6 marzo 2025. Foto: European Council]Alla fine la dichiarazione sull’Ucraina allegata alle conclusioni mantengono proclami, impegni e posizioni espressi fin qui: rispetto dell’integrità territoriale del Paese secondo i confini “internazionalmente riconosciuti”, e quindi comprendenti anche della Crimea annessa nel 2014. Una condizione che difficilmente potrà essere accettata dalla Russia in chiave negoziale. I Ventisei poi insistono sulla necessità di “raggiungere la pace attraverso la forza”, che obiettivo che implica “solide capacità militari e di difesa come componente essenziale”. Ed è in tale ottica che i leader europei si impegnano a continuare a fornire ogni tipo di sostegno (politico, finanziario, economico, umanitario, militare e diplomatico).Sul fronte finanziario a Kiev vengono assicurati 30,6 miliardi di euro per il 2025, con la richiesta esplicita alla Commissione a incrementare le risorse dello Strumento europeo per la pace (European Peace Facility). Oltre a ciò i capi di Stato e di governi dell’Ue si rendono disponibili a “intensificare urgentemente” gli sforzi per rispondere alle urgenti esigenze militari e di difesa dell’Ucraina, “in particolare la fornitura di sistemi di difesa aerea, munizioni e missili, la fornitura della formazione e delle attrezzature necessarie per le brigate ucraine e altre esigenze che l’Ucraina potrebbe avere”.Per il futuro, poi, si resta disponibili a lavorare per quelle ‘garanzie di sicurezza’ da ottenere soprattutto in un’ottica post-negoziale e di pace. Qui, recitano le conclusioni, “l‘Unione e gli Stati membri sono pronti a contribuire ulteriormente sulla base delle rispettive competenze e capacità”. Le misure non vengono esplicitate perché vanno stabilite e definite, i leader rimandano alle prossime riunione del Consiglio europeo, a iniziare da quella di fine mese (20 e 21 marzo). 

  • in

    Zelensky: “Noi pronti alla pace, la Russia vuole smettere di fare la guerra?”

    Bruxelles – L’Ucraina è pronta a sedersi al tavolo delle trattative e discutere le condizioni per la fine del conflitto con la Russia, ma in questo esercizio non semplice e scontato il vero punto interrogativo è rappresentato dalle intenzioni del Cremlino. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, condivide ai capi di Stato e di governo dell’Ue quello che è il suo dubbio più grande: “Gli ucraini vogliono davvero la pace, ma non a costo di rinunciare all’Ucraina. È la Russia capace di rinunciare alla guerra – questa è la domanda a cui qualsiasi negoziato deve rispondere”. E’ questo il timore che ha voluto condividere in occasione della partecipazione al vertice straordinario del Consiglio europeo.A riprova delle vere intenzioni ai Ventisette Zelensky confida che “i nostri team, quelli di Ucraina e Stati Uniti, hanno ripreso il lavoro“. Si torna a discutere e a trattare, nonostante lo strappo consumato alla Casa Bianca di appena una settimana fa. Un’evoluzione positiva e costruttiva, che fa ben sperare in prima battuta le autorità ucraine e che potrebbe infondere fiducia anche ad un’Ue preoccupata a dover ridefinire le relazioni con il partner transatlantico. Per questo il presidente ucraino invita gli alleati europei a “sostenerci in questo” sforzo diplomatico che non è solo parole: “L’Ucraina non è solo pronta a compiere i passi necessari per la pace, ma stiamo anche proponendo quali sono questi passi“.[foto: European Council]Nel piano di pace a cui Zelensky ragiona ci sono “due forme di silenzio” bellico che si possono cercare in quanto “facili da stabilire e monitorare”. Da una parte, spiega ai leader dell’Ue, stop ad attacchi a infrastrutture energetiche e obiettivi civili, nella forma di tregua per missili, bombe e droni a lungo raggio. Seconda condizione: tregua via mare, il che significa “nessuna operazione militare nel Mar Nero”.Il discorso di Zelensky incassa apprezzamento e sostegno degli interlocutori, senza però superare le riserve attorno al tavolo. L’Ungheria di Viktor Orban continua a non voler sentire ragioni su un’escalation di tensioni con Mosca e mantiene la minaccia di veto sulle conclusioni dei leader, mentre la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ribadisce il ‘no’ dell’Italia a invio di truppe su suolo ucraino, neppure per missioni di peacekeeping. Pochi distinguo in un’Unione europea che comunque si schiera con l’Ucraina e il suo presidente Zelensky.

  • in

    Pace e sostegno a Zelensky, a Londra la svolta europea per l’Ucraina. Von der Leyen: “Riarmare l’Ue”

    Bruxelles – Una pace con garanzie solide per il futuro, un sostegno nuovo e ancor più incondizionato l’Ucraina e il suo presidente, Volodymyr Zelensky, un riarmo in grande stile del vecchio continente. L’Europa chiamata a dare una risposta agli Stati Uniti di Donald Trump e il modo tutto nuovo di gestire gli affari di politica estera a Washington produce una scossa. I leader riuniti a Londra dal premier britannico Keir Starmer fanno quadrato attorno a Zelensky dopo l’umiliazione patita oltre oceano, e già questo è un dato politico di non poco conto. Ma c’è soprattutto l’impegno per una fine delle ostilità per rimettere in gioco gli Stati Uniti.Del resto, riconosce il premier britannico nella conferenza stampa di fine vertice, gli Stati Uniti restano “un partner indispensabile per la sicurezza” globale e regionale, e non si può immaginare di poter fare tutto senza il contributo americano. Il summit di Londra è servito a prendere coscienza del fatto che e“l‘Europa deve farsi carico del grosso del lavoro” per continuare a sostenere Kiev militarmente sia adesso sia ancor più dopo, in caso un futuro accordo di pace, continua Starmer. Da questo punto di vista l’impegno c’è.La foto di famiglia del summit di Londra [foto: Antonio Costa, account X]Gli impegni finanziariSul piano finanziario, il Regno Unito contribuisce con due pacchetti diversi. Il primo, da 2,26 miliardi di sterline (circa 2,7 miliardi di euro), attraverso i proventi dei fondi russi congelati. Obiettivo: aiutare Kiev con soldi utili alla risposta bellica e al funzionamento dello Stato. Il secondo pacchetto di aiuti, da 1,6 miliardi di sterline (circa 1,9 miliardi di euro) per l’acquisto di 5mila missioni di difesa anti-aerea prodotti a Belfast. Si attende il contributo Ue, che i 27 intendono annunciare in occasione del vertice straordinario di questo giovedi (6 marzo).Il percorso di pace e il nodo dell’invio di soldatiA Londra si inizia a discutere di pace. I dettagli non vengono svelati. L’iniziativa franco-britannica, con il coinvolgimento dell’Ucraina, si vuole sottoporre all’attenzione degli Stati Uniti. Washington comunque continuerà a giocare un ruolo nel negoziato che si vuole intavolare. Certo l’iniziativa aiuta anche l’Ue, dove Slovacchia e ancor più Ungheria minacciano veti ad ogni conclusione del vertice del Consiglio europeo senza un impegno chiaro di cessate il fuoco. “I leader forti fanno la pace, i leader deboli la guerra”, il messaggio del primo ministro ungherese alla vigilia del vertice di Londra che da questo punto di vista mette d’accordo tutti, o quasi.Il nodo vero sta nel post-conflitto. La colazione dei volenterosi allo stato attuale formata da Regno Unito e Francia vorebbe lo schieramento su suolo ucraino di soldati europei nella veste di peacekeepers. Un’ipotesi respinta dall’Italia e dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, al pari di altri leader attorno al tavolo. Starmer però insiste: “L’obiettivo è mantenere la pace, e se vogliamo mantenere la pace dobbiamo difenderla”. Senza entrare nel merito il presidente del Consiglio europeo, insiste sulla necessità di condizioni che impediscano nuove aggressioni future. “Non dobbiamo ripetere gli errori degli accordi di Minsk“, dice Antonio Costa riferendosi all’intesa concepita nel 2015 per porre fine agli scontri in Donbass, mai rispettati. Serviranno in sostanza delle garanzie solide, vere, e in tale ottica contingenti non ucraini in sostegno dell’Ucraina appare la soluzione, tutt’altro che gradita a Mosca però.L’Ue si riarmaIn una gestione del conflitto russo-ucraino che passa per un maggiore impegno dell’Ue in materia di difesa, si registra il cambio di passo a dodici stelle. “Dobbiamo riarmare l’Europa con urgenza“, scandisce la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, lasciando Lancaster House. Quindi annuncia: “Presenterò il piano il 6 marzo“, in occasione del vertice dei capi di Stato e di governo. Nessun indizio, ma due elementi se li lascia scappare. Il primo riguarda lo spazio di spesa pubblica, e quindi l’allentamento del patto di stabilità per la difesa. Il secondo riguarda “scudi aerei” europei.

  • in

    Ue-India, c’è la strategia per una nuova collaborazione. Modi: “Accordo commerciale entro fine anno”

    Bruxelles – Commercio, tecnologia, innovazione, investimenti. E l’impegno di un nuovo accordo di libero scambio già nel 2025. Ursula von der Leyen e il suo collegio dei commissari trovano in India quelle risposte che cercavano. Il viaggio a est voluto dalla presidente della Commissione Ue produce gli effetti desiderati. Tutti da definire e sviluppare in concreto, certo, ma comunque c’è una rinnovata partnership. C’è l’accordo, spiega il primo ministro indiano, Narendra Modi, per “un libro blu per mobilità, sicurezza, innovazione, green economy, commercio, investimenti“. C’è una strategia chiara su cui lavorare.L’Europa quello che cercava a oriente non l’aveva nascosto. Serviva la risposta dell’interlocutore, e Modi la offre in pubblico, in conferenza stampa. “Questa visita ha ridato vigore alle nostre relazioni” bilaterali, riconosce ad una sorridente von der Leyen, raggiante nel sentire dal primo ministro indiano che “abbiamo deciso di creare un’agenda ambiziosa e audace per le relazioni Ue-India post-2025“, che passa anche per voglia di chiudere “un accordo commerciale bilaterale per la fine dell’anno”.In linea di principio von der Leyen ottiene praticamente tutto ciò che voleva. “È tempo di portare la nostra partnership strategica UE-India al livello successivo“, il mantra ripetuto dalla tedesca anche in occasione del suo viaggio in Asia meridionale, ed è esattamente quello che ottiene. La presidente della Commissione europea è arrivata in India con un’agenda chiara, costituita da tre aree su cui lavorare per la nuova stagione di relazioni bilaterali: commercio e la tecnologia, sicurezza e difesa, connettività e partnership globale. Da Modi ottiene gli impegni in questo senso.“Ora più che mai gli eventi geopolitici richiedono questi passi”, scandisce von der Leyen nella conferenza congiunta con il premier indiano. Un riferimento alle manovre militari russe in Ucraina, all‘unilateralismo trumpiano in politica estera e in materia commerciale, ad una Cina che guarda silenziosa ma non a braccia conserte cosa accade sullo scacchiere internazionale. “Per l’Europa l’India è un pilastro di affidabilità in un mondo di imprevedibilità“. Ora l’Ue può iniziare a sentirsi meno insicura.

  • in

    L’industria della difesa europea agli Stati: “Basta contratti di appalto a fornitori di Paesi terzi”

    Bruxelles – Ora più che mai pensare ‘europeo’. Quando si parla di sicurezza e difesa l’Unione europea deve saper tenere fede ad ambizioni e agende. Alla vigilia della conferenza internazionale sulla sicurezza di Monaco, l’industria del settore vuole suggerire all’Europa degli Stati come provvedere davvero alla sicurezza europea. Asd Europe, l’insieme dei produttori europei, pone l’accento sulla necessità di cambiare logiche che non fanno il bene della sicurezza europea. “Molti contratti di appalto europei vengono assegnati a fornitori di paesi terzi“, sottolinea l’associazione, per la quale “questa tendenza deve essere invertita“. Le relazioni esterne dell’Ue e dei suoi Stati membri rischiano di diventare un fattore contrario alla crescita dell’industria delle difesa. Per rispondere ai dazi annunciati dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, nelle istituzioni Ue inizia a prendere corpo l’idea di acquistare di più in America proprio in difesa, quale modo per superare le barriere commerciali e ristabilire il quieto vivere con il partner d’oltre Atlantico. Un modo di fare in contraddizione con il rapporto Draghi – che Eunews ha integralmente tradotto in italiano – e l’agenda europea volta al rilancio di un settore strategico per la sicurezza.“Dobbiamo spendere di più, e di più in Europa“, ribadisce Asd Europe, che sulla dipendenza economica di soggetti extra-Ue nell’industria delle difesa ha già messo in guardia pubblicamente nei mesi scorsi: “Una solida base industriale europea è essenziale per la preparazione alla difesa europea: è una capacità di difesa in sé“. Rimanere nel solco del ‘made in Eu’ è dunque la via da seguire e da non abbandonare. “La preferenza europea è un imperativo strategico”, e se l’Ue vuole svolgere un ruolo di peso sullo scacchiere internazionale “deve rafforzare la propria capacità produttiva” anziché affidarsi a fonti esterne.Da qui l’industria europea della difesa rivolge suggerimenti utili alla politica. Innanzitutto fare sempre in modo che “ove possibile, le soluzioni di difesa europee dovrebbero avere la priorità“. Laddove non esiste una soluzione di capacità europea, l’attenzione dovrebbe essere rivolta a sviluppare una. Infine, bisognerebbe fare sempre in modo che se proprio non esiste davvero una soluzione Ue praticabile, gli appalti non europei dovrebbero evitare di ostacolare uno sviluppo Ue.

  • in

    Torna la paura terrorismo nell’Ue: “La capacità di Daesh di colpire sta crescendo”

    Bruxelles – Torna a crescere l’allerta terrorismo in Europa, con gli Stati membri dell’Ue ora inquieti per Daesh e una possibile nuova stagione di attentati di matrice islamica. L’allarme c’è, e gli Stati non fanno nulla per nasconderlo. Anzi, lo mettono nero su bianco anche nel comunicato stampa che accompagna la decisione politica di rafforzare la cooperazione nella lotta al terrorismo non solo tra i Ventisette, ma soprattutto con i Paesi terzi.“Il Consiglio nota con grande preoccupazione che la capacità della provincia di Daesh Khorasan (ISKP) di ispirare e condurre operazioni esterne, anche in Europa, sta crescendo“, riconoscono i ministri degli Esteri al termine della riunione tenuta a Bruxelles. Una riunione ministeriale della coalizione globale anti-Daesh. Della coalizione fanno parte Australia, Bahrain, Belgio, Regno Unito, Canada, Danimarca, l’Egitto, Francia, Germania, Iraq, Italia, Giordania, Kuwait, Libano, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Qatar, Arabia Saudita, Spagna, Svezia, Turchia, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti [foto: Angelo Carconi/imagoeconomica]La minaccia è globale. Da un parte si guarda all’Asia, perché Isis-Daesh ha sede in Afghanistan e “presente nelle aree limitrofe”. Il problema è che l’Afghanistan è ora sotto il controllo dei talebani, con cui l’Ue fa non poca fatica a relazionarsi. Un interlocutore difficile, e parlare con il governo per ragioni di sicurezza vuol dire riconoscere il regime islamico.Ancora, in questo scenario il Consiglio Ue sottolinea come “la crisi in corso in Medio Oriente stia guidando la radicalizzazione in tutto il mondo“, con tutte le ricadute del caso. A cominciare dalla regione. Per questo il consesso dei ministri degli Esteri conferma “l’impegno incrollabile dell’Ue nella lotta al terrorismo in Iraq e Siria”. Un riferimento non casuale quello del Paese appena liberato dall’ex presidente Bashar al-Assad, ma liberato da forze – la milizia islamista Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) – che l’Ue riconosce come organizzazione terroristica. L’Ue vuole lavorare ad un stabilizzazione della Siria, più per paura di migranti in marcia verso l’Europa che per i valori tanto sbandierati in questi ultimi mesi. Proprio la questione migratoria alimenta anche i rinnovati timori per il continente sulla sponda sud del Mediterraneo. “La minaccia terroristica in Africa sta aumentando, con Da’esh, al-Qaeda, i loro affiliati e altri attori non statali che sfruttano i conflitti locali e la fragilità sociale, politica ed economica”, avvertono i ministri, i quali sottolineano che “di particolare preoccupazione è il deterioramento della situazione della sicurezza nel Sahel, con effetti di ricaduta sugli stati costieri dell’Africa occidentale e potenzialmente sul Nord Africa”.