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    Gaza, i parlamentari europei si uniscono nella condanna a Netanyahu

    Bruxelles – Israele è andato oltre, e continuare a dare man forte e pieno sostegno al governo e al suo leader, Benjamin Netanyahu, diventa difficile. L’Unione europea prende le distanze dal modo in cui lo Stato ebraico sta gestendo la risposta agli attacchi di Hamas del 7 ottobre, e di fatto inizia a scaricare la leadership israeliana. Il dibattito d’Aula del Parlamento europeo sulla situazione a Gaza registra toni duri, da parte della Commissione e da parte di molti parlamentari europei, che da ogni gruppo politico censurano una situazione considerata sempre più insostenibile.Inizia la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, a condannare l’operato di Netanyahu, senza comunque mai citarlo direttamente. Però, nel denunciare pubblicamente che “la situazione sul campo è più drammatica che mai e ha raggiunto un punto critico”, von der Leyen di fatto mette sul banco degli imputati lo Stato ebraico. “Abbiamo tutti visto le segnalazioni di bambini che muoiono di fame. Non può essere“. Accusa indirettamente il governo israeliano, quando sottolinea che “tutti sanno quanto sia difficile spostare gli aiuti dentro e dentro Gaza”. Un rimprovero chiaro. Da parte Ue garantisce tutto il sostegno possibile. Annuncia l’attivazione del meccanismo di protezione civile dell’Unione europea invitando gli Stati membri dell’Ue a partecipare, conferma il pieno sostegno al corridoio umanitario marittimo annunciato lo scorso fine settimana, e in tal senso “finanzieremo e coordineremo il flusso delle merci europee attraverso il corridoio”. La situazione, continua von der Leyen, “rende ancora più importante collaborare con quelle agenzie che sono ancora presenti sul territorio. E questo è il caso dell’Unrwa“, l’agenzia della Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi che Israele vorrebbe delegittimata e isolata dopo le accuse di funzionari coinvolti negli attacchi di Hamas. Una sottolineatura che segna le distanze tra Ue e Israele.Ma è nell’Aula che si consuma lo strappo forse più grande. Voci critiche si levano da tutti i principali gruppi: popolari (Ppe), socialisti (S&D), liberali (Re), Verdi, Sinistra radicale. Esponenti di tutte queste forze spendono parole dure, non necessariamente espressione delle posizione dell’intero gruppo, ma comunque sono personalità di alto livello a parlare, a testimonianza di un malumore diffuso. La più diretta è la capogruppo dei socialisti, Iratxe Garcia Perez, che parla apertamente di “massacro di palestinesi da parte di Netanyahu“, di fronte al quale “dobbiamo mandare un chiaro segnale” ed invita “far cessare la sua impunità”. Come Ue, continua, “dobbiamo evitare che i palestinesi vengano sopraffatti dal regime di apartheid istituito da Netanyahu”.Va giù duro anche Juan Fernando Lopez Aguilar (S&D), presidente della commissione Libertà civili: “Netanyahu impedisce l’accesso via terra agli aiuti umanitari”, denuncia. “Questa brutalità commessa contro il popolo di Gaza supera il legittimo diritto di autodifesa e il diritto internazionale”. Quindi l’affondo: i responsabili “devono essere puniti”. Un chiara messa in stato d’accusa per il governo di Tel Aviv.Dalle fila del Ppe è l’irlandese Sean Kelly a chiedere “lo stop dell’uccisione di persone innocenti a Gaza da parte di Netanyahu“, e invocare “un cessate il fuoco”. Parole che si contrappongono a quelle di von der Leyen, che in Aula sostiene invece la necessità di “una pausa umanitaria”. Il dibattito dunque mostra anche visioni diverse interne al Ppe.Senza accuse così veementi anche i liberali scaricano quello che una volta era un partner incondizionato. “Abbiamo perso ogni speranza in Netanyahu e in Israele“, scandisce il greco Georgos Kyrtsos, che non considera l’attuale classe dirigente come affidabile ai fini del processo di pace e una soluzione a due Stati. Valery Hayer, presidente di Renew Europe, invoca il “cessate il fuoco per ragioni umanitari”. Anche qui, cessate il fuoco invece di pausa umanitaria, a riprova dell’insostenibilità di una situazione considerata non più sostenibile. Si aggiunge alla richiesta Jordì Sole, dei Verdi, anch’egli critico di fronte al deterioramento a Gaza.Dai banchi de laSinistra i toni si fanno ancora più duri. Joao Pimenta Lopes accusa Israele di “genocidio a Gaza”, invitando l’Ue a ritirare appoggio e sostegno allo Stato ebraico. “La situazione è imbarazzante, e dovremmo smetterla di essere complici”. Il dibattito d’Aula sembra suggerire che, a prescindere da come finirà il confronto tra Israele e Hamas, lo Stato ebraico questo conflitto l’abbia già perso in termini di sostegno dell’opinione pubblica e di appoggio politico.

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    L’Ue: “Sanzioni anti-Russia funzionano. Pronti a vararne altre, se necessario”

    Bruxelles – “Voglio ribadirlo: le sanzioni contro la Russia funzionano“. Il commissario per la Giustizia, e adesso anche commissario per la Concorrenza ad interim, lo scandisce sia nell’intervento di apertura che di chiusura del dibattito d’Aula al Parlamento europeo. Didier Reynders trova un emiciclo diviso, dove al fronte dei sempre contrari alla misure restrittive nei confronti di Mosca per l’aggressione dell’Ucraina si aggiungono che iniziano a essere stanchi delle ricadute economiche. A tutti però ricorda che “le sanzioni stanno avendo un forte impatto sull’economia russa”, e lo dicono i numeri. “Solo per quest’anno le stime parlano di una contrazione economica di 1,7 miliardi di rubli”. A questo si aggiungono i circa “300 miliardi di euro di asset congelati, due terzi dei quali in Europa”.La linea non si cambia. Perché è giusto così e perché funziona. Tanto che la presidenza spagnola di turno del Consiglio dell’Ue annuncia la disponibilità ad andare avanti. “L’attuale regime di sanzioni contro la Russia è il più vasto mai adottato dall’Ue”, premette Pascual Navarro Rios, segretario per gli Affari europei del governo di Madrid. Quindi l’affondo: “L’Ue è pronta ad accrescere la pressione ulteriormente, anche con altre sanzioni, quando e dove necessario“.Un’apertura che trova il plauso di Juan Fernando Lopez Aguilar. L’europarlamentare socialista chiede di spostare attenzione e azione dell’Unione europea “sul settore dei porti”, così da chiudere ogni strada alle merci per e dalla Russia. C’è chi invece invita alla riflessione. “Sulle sanzioni sarebbe magari il caso di fare meno filosofia e iniziare a pensare sul prezzo che le aziende italiane ed europee stanno pagando”, scandisce Paolo Borchia (Lega/Id), che invoca “un ragionamento in termini di efficacia e di ricadute sulla nostra economia”. Piè deciso l’alleato Harald Vilimsky, esponente dell’ultradestra di Fpo ed euroscettico del gruppo Id, lo stesso gruppo della Lega. “Le sanzioni non garantiscono stabilità dei prezzi? No. L’inflazione è una conseguenza delle sanzioni. Dobbiamo lavorare per portare le persone attorno al tavolo”.Ma trattare non è un’opzione, almeno non per i liberali. “Sento gli amici di Putin in quest’Aula parlare dei costi delle sanzioni e contro le sanzioni, senza dire che il costo di questa guerra anche maggiore”, tuona  Sophie in’t Veld (Re).
    Il commissario per la Giustizia e la presidenza spagnola del Consiglio nell’Aula del Parlamento insistono sulla necessità di procedere come fatto finora. Sovranisti ed euroscettici vogliono lo stop e chiedono trattative con Mosca

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    Ucraina, via libera dell’Aula ai prestiti da 18 miliardi di cui Kiev ha bisogno per il 2023

    Bruxelles – Via libera dell’Aula del Parlamento europeo al sostegno finanziario da 18 miliardi di euro per l’Ucraina. Gli europarlamentari riuniti a Strasburgo per la sessione plenaria approvano a larghissima maggioranza (507 voti a favore, 38 contrari e 26 astensioni) la proposta messa sul tavolo dalla Commssione europea a inizio mese. I 18 miliardi di euro copriranno circa la metà dei 3-4 miliardi di euro di finanziamenti mensili di cui l’Ucraina ha bisogno per il l 2023.
    Secondo la proposta della Commissione, il denaro servirà a sostenere i servizi pubblici essenziali (gestione di ospedali e scuole, fornitura di alloggi per le persone trasferite) oltre ad aiutare nel ripristino delle infrastrutture critiche distrutte dalla Russia e garantire la stabilità macroeconomica del Paese. Il prestito, che sarà finanziato dall’UE sui mercati finanziari, sarà erogato in rate trimestrali.
    “L’Ucraina deve sapere che può contare sul sostegno europeo per tutto il tempo necessario”, commenta una soddisfatta Sandra Kalniete (Ppe), relatrice permanente per l’Ucraina alla commissione per il commercio internazionale. Con il voto di oggi “l’Ue è pronta a fornire un’assistenza finanziaria regolare e prevedibile per contribuire a coprire una parte consistente del fabbisogno finanziario immediato dell’Ucraina nel 2023”. Soddisfatta anche la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola. “Oggi abbiamo approvato a larga maggioranza e a velocità record un pacchetto di aiuti da 18 miliardi di euro per sopravvivere alla guerra e ripristinare le infrastrutture critiche”.
    Su questo pacchetto di aiuti la Corte dei conti europea ha comunque sollevato dubbi circa i modi in cui l’Ue ha deciso di agire, sottolineando i rischi legati al bilancio comune. Nel voto d’Aula spicca il ‘no’ espresso da Irene Tinagli, presidente della commissione Affari economici.

    ‘Sì’ a larghissima maggioranza. Soddisfatta la presidente dell’europarlamento, Roberta Metsola. Si copre circa la metà del fabbisogno ucraino per il prossimo anno

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    “Russia sponsor del terrorismo”. L’Aula del Parlamento Europeo all’attacco di Mosca

    Bruxelles – La Russia Stato sponsor del terrorismo. L’Aula del Parlamento europeo approva la risoluzione che intende isolare ancora di più  Vladimir Putin a livello internazionale. Un voto praticamente unanime, che riceve 494 voti favorevoli, 58 contrari e 44 astensioni. Tra gli astenuti la pattuglia del Movimento 5 Stelle, mentre tra le fila dei socialisti gli italiani del Pd si spaccano, con Bartolo, Cozzolono e Smeriglio che non seguono né la delegazione italiana né il gruppo parlamentare, votando contro.
    “In Ucraina è il momento di alzare i toni della pace. La risoluzione che verrà messa ai voti oggi al Parlamento europeo porta invece all’opposta direzione“, sostiene la delegazione pentastellata in Parlamento europeo, convinta che “bisogna mettere a tacere le armi e far prevalere le diplomazie”. Dello stesso avviso anche Francesca Donato, europarlamentare eletta con la Lega adesso indipendente. E’ tra i 58 ‘no’ finali, per una risoluzione che ritiene “assurda e controproducente”. Il Parlamento europeo, spiega, “ha perso un’occasione per favorire il clima di dialogo e una iniziativa di pace”.
    La censura politica dell’Aula di Strasburgo è per gli attacchi e “le atrocità intenzionali” sulla popolazione civile, la distruzione delle infrastrutture civili, e “altre gravi violazioni del diritto internazionale e umanitario”. Sono tutti “atti di terrore e crimini di guerra”, che per questo induce i due terzi dell’Aula a dichiarare la federazione russa di Putin “sponsor del terrorismo”. E’ questa la formula che elimina il nodo giuridico della questione, visto che a livello Ue non esiste un quadro che definisca uno Stato terrorista, come invece avviene negli Stati Uniti. Per questo una delle richieste a Commissione e Stati membri che arriva dal Parlamento è creare quella legislazione mancante per poter aggiungere il Paese euro-asiatica nella nell’elenco dei soggetti terroristici dell’Ue. Così facendo sarebbe possibile far scattare la tagliola di nuove sanzioni e nuove restrizioni.
    A proposito di ‘listing’, si invita il Consiglio dell’Ue ad aggiungere anche l’organizzazione paramilitare “Gruppo Wagner”, il 141esimo reggimento speciale motorizzato noto anche come “Kadyroviti”, insieme ad “altri gruppi armati, milizie e delegazioni finanziate dalla Russia”.
    La stessa risoluzione chiede anche di operare un ulteriore isolamento della Russia, chiedendo di fatto di lavorare per arrivare alla sospensione da organizzazioni e organismi internazionali come il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, una proposta peraltro già avanzata dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel.
    Il testo che dichiara la Russia Stato sponsor del terrorismo arriva dopo “l’escalation di atti di terrore del Cremlino contro il popolo ucraino”, ragion per cui, secondo gli europarlamentari, i Ventisette vengono esortati a “ultimare rapidamente il lavoro del Consiglio sul nono pacchetto di sanzioni contro Mosca”.
    Ma il nodo di fondo di questa iniziativa parlamentare è continuare con la guerra, e lo spiega molto bene Anna Fotyga, coordinatore dei Conservatori europei (Ecr) in commissione Affari esteri. “Non possiamo negoziare con i terroristi“, scandisce. L’azione di oggi manda un messaggio tanto forte quanto pericoloso.

    Di questo e di tanti altri temi di attualità nelle politiche europee si discuterà nel nono appuntamento annuale di Eunews How Can We Govern Europe?, in programma a Roma il 29 e 30 novembre negli spazi delle rappresentanze di Commissione e Parlamento europei, in piazza Venezia.

    Approvata la risoluzione che chiede anche di escludere il Paese dal consiglio di sicurezza dell’Onu. I 5 Stelle si astengono, il Pd si divide. Fotyga: “Non possiamo negoziare con Mosca”

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    UE pronta alla prova di forza con Mosca, ma il dibattito sull’Ucraina mostra i limiti in politica estera

    dall’inviato Strasburgo – Dalla parte dell’Ucraina, pronti allo scontro con la Russia, nel bel mezzo di una crisi che vede l’Europa riscoprirsi più piccola di quanto immaginato. Il dibattito sulle tensioni lungo la frontiera ucraina vede nell’Aula del Parlamento europeo un misto di preoccupazione, irritazione e frustrazione. In una sessione plenaria che contro ogni previsione vede la presenza della presidente dell’esecutivo comunitario emerge soprattutto l’immagine di un’Europa marginale nell’arena internazionale agli occhi degli stessi europei. Il primo a spiegare i limiti di un blocco dei 27 che fa fatica a trovare una quadra in politica estera è Josep Borrell, l’Alto rappresentante dai poteri limitati in materia.
    “La Russia per settimane ha scritto solo agli Stati Uniti e alla NATO. In un secondo momento ha scritto ventisette lettere per ogni Stato membro, con l’obiettivo di avere ventisette risposte diverse”. L’Alto rappresentante mostra soddisfazione per un’Unione “che non si è mostrata divisa”, ma la condotta russa mostra i limiti di un’UE che fa fatica sulla scena internazionale. I malumori diffusi tra i banchi dell’Aula li esterna Martin Schirdewan, de la Sinistra. “La pace dell’Europa deve essere decisa qui, in Europa, non a Washington né al quartier generale della NATO”.
    La crisi ucraina ripropone una questione annosa, quella della dimensione internazionale dell’Unione europea. Per questo il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, propone di “andare oltre il pacchetto di aiuti” da 1,2 miliardi di euro per l’Ucraina, e di “organizzare una conferenza dei donatori”, facendosi quindi promotore di iniziative internazionali. Senza dimenticare l’azione decisa.
    L’UE auspica il meglio, ma si prepara al peggio. Lo dicono sia Michel sia Ursula von der Leyen. Quest’ultima assicura che in caso di aggressione militare “l’UE saprà rispondere tempestivamente”, e che  “le nostre sanzioni possono colpire duramente la Russia, e il Cremlino lo sa”.  Un’affermazione che offre modo ai Verdi di scagliarsi su Nordstream2. “Dobbiamo essere pronti a sanzioni, che non sono solo sanzioni individuale. Il gasdotto deve rientrare nel pacchetto”, scandisce la co-presidente Ska Keller, che trova una sponda politica nellaa conservatrice Anna Fotyga. “Questo progetto va fermato subito, non solo in caso” in cui la situazione dovesse richiederlo.
    I popolari europei preferiscono parlare d’altro. Manfred Weber rilancia l’idea, sostenuta dal PPE, di “escludere le banche russe dal sistema internazionale”. I socialisti europei insistono sulla diplomazia come via prioritaria da seguire, ma condividono la necessità di un piano B in caso di ulteriore deterioramento. La capogruppo Iratxe Garcia Perez chiama l’Ucraina, l’invita a non cedere a Putin. “Putin ha paura del nostro modello e della nostra democrazia. Il presidente Zelensky deve continuare a impegnarsi per la via della democrazia”, quella europea.
    Di fronte alle preoccupazione per un’Europa che appare bypassata, von der Leyen assicura che il ruolo di coordinamento è stato comunque degno di nota. “I russi hanno inviato un totale di 36 lettere con richieste, le risposte che hanno avuto sono state due”. Rassicurazioni insufficienti a fugare i dubbi di un ruolo non da protagonista. “La Russia non vuole parlare con l’Europa. Putin – lamenta la liberale Hilde Vautmans – ha incontrato Macron, ma a quel lungo tavolo avrebbe dovuto sedersi l’Alto rappresentante Borrell”. Un’altra constatazione dei limiti dell’Europa in politica estera.

    Von der Leyen: “Auspichiamo il meglio, ma ci prepariamo al peggio”. Verdi, Conservatori e Sinistra chiedono lo stop a Nordstream 2, e si lamenta il ruolo secondario dell’UE nei negoziati internazionali

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    Il Parlamento UE diviso tra chi vuole rafforzare le frontiere con la Bielorussia e chi condanna le violazioni dei diritti umani

    Bruxelles – Nel giorno dell’annuncio della nuova proposta di sanzioni contro il regime di Alexander Lukashenko, con l’inclusione di una lista nera di operatori di trasporto che facilitano la tratta di persone verso l’Unione Europea, gli eurodeputati si sono confrontati con la Commissione e il Consiglio UE sulla gestione della frontiera orientale, scontrandosi e dividendosi sull’analisi della crisi migratoria in atto tra Polonia e Bielorussia.
    Nel suo intervento in Aula il vicepresidente della Commissione UE, Margaritis Schinas, ha definito le azioni del presidente della Bielorussia “una minaccia alla sicurezza dell’UE”, dal momento in cui “non sono solo le frontiere polacche, lituane e lettoni in pericolo, ma anche quelle di tutta l’Unione”. Di contro, “la nostra risposta non ha conosciuto pause, ma ora è tempo di azioni, non di diagnosi“, ha esortato il vicepresidente dell’esecutivo comunitario. Di qui le varie direttrici di intervento di Bruxelles per cercare di limitare i danni e provare a coordinare un approccio che fin a oggi sembra tutto fuorché armonizzato.
    Il vicepresidente della Commissione UE, Margaritis Schinas (23 novembre 2021)
    Prima di tutto c’è stato il sostegno per affrontare la crisi umanitaria “drammatica”, attraverso la mobilitazione di 700 mila euro del bilancio dell’Unione per le organizzazioni internazionali partner. “Dobbiamo dare una protezione adeguata alle persone bloccate alla frontiera”, ha ricordato Schinas. Altri 3,5 milioni di euro saranno stanziati dall’UE per sostenere i rimpatri volontari dalla Bielorussia ai Paesi di origine, “una priorità fondamentale, come mi è stato chiesto nel mio viaggio nei Paesi partner in Medio Oriente“, ha aggiunto il vicepresidente della Commissione UE. E poi oltre 200 milioni di fondi “ai Paesi più colpiti”, ovvero Polonia, Lituania e Lettonia, e il quinto pacchetto di sanzioni contro il regime bielorusso: “Ma siamo pronti a fare di più se e quando necessario“.
    Come già rivelato nel corso della sessione plenaria di due settimane fa, il Parlamento UE è diviso tra gruppi politici che sostengono il rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne dell’Unione e altri che definiscono “inaccettabile per i valori europei” ciò che sta accadendo sul confine tra Polonia e Bielorussia.
    Il primo approccio è quello delle destre, compresi i popolari. “Qualcuno ancora si chiede se ci troviamo in una guerra ibrida sulle frontiere orientali”, ha attaccato Esteban González Pons (PPE). “Non possiamo permetterci tentennamenti mentre la Russia continua la sua politica di invasioni e usa Lukashenko per provare a destabilizzare l’Unione Europea”. Sulla stessa linea d’onda Ryszard Antoni Legutko (ECR), che ha definito quella in corso una “minaccia diretta alla frontiera della Polonia” attraverso l’invio in massa di civili per “far scricchiolare l’UE”. Riportando le parole del primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, l’eurodeputato conservatore ha definito “la nostra passività, la sua forza”. Ancora più duro Nicolas Bay (ID), che ha accusato le istituzioni UE di “incitare i migranti a venire in Europa, promettendo anche loro di accoglierli con 700 mila euro”.
    Dall’altra parte dell’emiciclo, Birgit Sippel (S&D) ha parlato di “catastrofe umanitaria, in cui le persone vengono maltrattate e respinte con la violenza“. L’indice è puntato proprio contro il governo di Varsavia, che “non rispetta i vincoli internazionali e i diritti umani che valgono anche alle frontiere esterne dell’Unione”. L’eurodeputata socialdemocratica ha inoltre esortato la Polonia a “dare accesso alle ONG e ai giornalisti nella zona rossa”. Più radicale l’accusa di Miguel Urbán Crespo (La Sinistra): “Alla frontiera dell’UE con la Bielorussia si stanno usando donne, uomini e bambini come rifiuti, noi ci opponiamo alla visione di una guerra ibrida che giustifica il sostegno a queste politiche violente”.
    Liberali e Verdi hanno invece insistito sul fatto che l’UE non stia parlando con una sola voce contro la Bielorussia di Lukashenko, con la conseguenza di non saper coordinare una risposta “efficace e dignitosa” alle frontiere esterne. “Le telefonate della cancelliera tedesca, Angela Merkel, a Lukashenko hanno come unico risultato quello di far alzare il tiro delle sue pretese nei confronti dell’Unione”, ha attaccato Petras Auštrevičius (Renew Europe). “Dobbiamo continuare con misure dure contro il regime e contro la compagnia aerea Belavia, perché ancora dopo quattro pacchetti di sanzioni le violazioni dei diritti umani in Bielorussia non si fermano”, ha aggiunto l’eurodeputato lituano.
    Viola Von Cramon-Taubadel (Verdi/ALE) ha sottolineato che “il fatto che Belavia chieda un sacco di soldi per dare alle persone migranti una speranza vana è l’esempio di cosa sia una tratta di esseri umani”. Anche se “alcuni pensano che si possa telefonare e mediare”, il presidente bielorusso Lukashenko e la sua cerchia “possono essere fermati solo con misure dure e sostenendo l’opposizione democratica bielorussa”, ha aggiunto l’europarlamentare tedesca, anticipando l’intervento di domani (mercoledì 24 novembre) della leader Sviatlana Tsikhanouskaya.

    La frattura tra i gruppi delle destre e del fronte sinistre-Verdi-liberali si è aperta durante la discussione sulla gestione della crisi migratoria al confine tra Polonia e Bielorussia