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    Balcani occidentali, Borrell vuole far rivivere la tradizione delle “cene informali” con i leader della regione

    Bruxelles – Cena con dialogo. Sta sfoderando tutto l’arsenale diplomatico a sua disposizione l’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, per ravvivare la fiamma dell’europeismo nei Balcani occidentali e promuovere la stabilità nella regione. Rimproveri agli Stati membri UE di poco impegno, accelerazione sul fronte dei vaccini anti-COVID e ora il tentativo di far rivivere la tradizione delle “cene informali” con i leader dei Paesi balcanici (sulle orme della predecessora, Federica Mogherini). L’obiettivo rimane sempre lo stesso: far sentire la presenza geopolitica dell’Unione nella penisola e accelerare il processo di allargamento dell’UE nei Balcani.
    Ieri sera (martedì 18 maggio) i capi di Stato e di governo di Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia si sono incontrati a Bruxelles per un incontro non ufficiale, insieme all’alto rappresentante Borrell e al commissario europeo per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. “L’impegno dell’Unione nei confronti dei Balcani occidentali è indiscutibile e deve essere molto visibile”, ha twittato Borrell per spiegare i motivi della cena: “Tenere discussioni strategiche e politiche aperte sul nostro futuro comune” e “valutare la situazione e le sfide in una regione strategica per l’Europa”. Oltre all’allargamento dell’UE nella regione, c’è l’idea di condividere “un approccio più ampio e geopolitico” con i partner balcanici.

    The EU’s commitment to the Western Balkans is unquestionable and needs to be very visible. This is why I revived the tradition of regular informal dinners with the six leaders tonight, to have open strategic and political discussions on our common future. pic.twitter.com/Cn9T1ApE33
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) May 18, 2021

    Come reso noto dal Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), l’incontro si è tenuto “in un’atmosfera aperta e schietta”, che ha permesso di presentare “una riflessione strategica” su come “accelerare le riforme e soddisfare le aspettative dei cittadini sull’integrazione nell’Unione”, ma anche “rafforzare le narrazioni positive e costruttive nella regione”. Per tutti i commensali, l’integrazione europea dei Balcani occidentali rimane “un obiettivo strategico fondamentale”, mentre è stato confermato il “forte impegno per la cooperazione regionale” nelle sfide globali, come la pandemia COVID-19.
    Un resoconto confermato anche dalle parole della prima ministra della Serbia, Ana Brnabić, che in una dichiarazione alla stampa in tarda serata ha offerto un retroscena sull’incontro: “Inizialmente l’atmosfera era tesa, ma poi la cena è proseguita molto meglio ed è durata più del previsto“. Secondo la premier, “è sempre positivo quando dialoghiamo, abbiamo affrontato importanti questioni politiche ed economiche, concentrandoci sul futuro migliore per i nostri cittadini”.
    È presumibile che parte della tensione iniziale sia stata causata dalla richiesta avanzata dal nuovo primo ministro kosovaro, Albin Kurti, di spingere i cinque Paesi UE che ancora non riconoscono l’indipendenza del Kosovo (Spagna, Grecia, Cipro, Romania e Slovacchia) ad allinearsi alla posizione degli altri ventidue Stati membri e a quella del Parlamento UE. Parlando con i giornalisti, il premier ha dichiarato di aver discusso con “amici e colleghi a Bruxelles su come possono aiutarci a fare riforme nei nostri Paesi”, ma soprattutto “a convincere i cinque Stati membri che non riconoscono l’indipendenza del Kosovo a farlo“. Kurti ha poi ribadito la necessità di liberalizzare i visti per i cittadini kosovari, “gli unici in Europa soggetti a un regime di visti”. Qualche pagina del menù per la prossima cena informale è già pronto.
    Da sinistra: Albin Kurti (primo ministro del Kosovo), Zoran Tegeltija (presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina), Edi Rama (primo ministro dell’Albania), Josep Borrell (alto rappresentante UE), Milo Đukanović (presidente del Montenegro), Ana Brnabić (prima ministra della Serbia), Zoran Zaev (primo ministro della Macedonia del Nord) e Olivér Várhelyi (commissario UE per la Politica di vicinato e l’allargamento)

    L’alto rappresentate ha ospitato a Bruxelles i capi di Stato e di governo dei sei Paesi per discussioni geopolitiche in un’atmosfera “aperta e schietta”. L’obiettivo: favorire la stabilità della penisola e accelerare il processo di allargamento UE

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    COVID, a maggio il rilancio dell’UE nella consegna dei vaccini ai Balcani occidentali, tra COVAX e finanziamenti diretti

    Bruxelles – Sono settimane decisive per il rilancio dell’Unione Europea a livello di credibilità nei Balcani occidentali, sia per il processo di allargamento sia per il sostegno alla lotta contro la pandemia COVID-19, e Bruxelles sta cercando di rendere tangibile la sua presenza nella regione. Dopo il forte messaggio dell’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ai ministri degli Esteri europei e l’adozione della nuova metodologia per i negoziati di accesso di Serbia e Montenegro, è caldo il fronte dell’invio dei vaccini anti-COVID ai Paesi balcanici, per recuperare il terreno perso nella sfida diplomatica con Cina e Russia.
    Nonostante i Balcani occidentali siano considerati il primo partner strategico e zona di influenza dell’Unione Europea, Bruxelles ha registrato gravi ritardi nell’attivarsi per aiutarli a pianificare la campagna di vaccinazione. Le consegne di dosi tramite il meccanismo COVAX (la struttura globale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per garantire un accesso equo e universale ai vaccini, sostenuta anche dall’UE con un miliardo di euro) sono rimaste ferme alla fine di marzo – il 2 aprile nel caso della Serbia, con le prime 57.600 dosi arrivate – e per tutto il mese di aprile ha regnato l’immobilismo.
    Il commissario europeo per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e il ministro degli Esteri austriaco, Alexander Schallenberg, a Sarajevo (4 maggio 2021)
    Questo fino all’annuncio dell’invio di 651 mila dosi di vaccino Pfizer-BioNTech nella regione a partire da inizio maggio e fino ad agosto, attraverso un contratto finanziato direttamente da Bruxelles e concluso grazie all’impegno del governo austriaco. Stando alle cifre fornite dal Servizio europeo per l’Azione esterna, entro il 31 agosto dovrebbero arrivare 36 mila dosi in Serbia, 42 mila in Montenegro, 95 mila in Kosovo, 119.200 in Macedonia del Nord, 145 mila in Albania e 213.800 in Bosnia ed Erzegovina.
    Con l’arrivo di maggio la situazione è tornata a sbloccarsi, complice anche il viaggio del commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, nei Paesi balcanici tra il 3 e il 5 maggio, per ribadire l’impegno dell’Unione a sostegno della lotta comune alla pandemia. L’occasione è stata sfruttata anche per consegnare il primo carico simbolico in ciascuna capitale: 1.170 dosi a Belgrado, 2.430 a Podgorica, 4.680 sia a Pristina sia a Tirana, 4.850 a Skopje e 10.530 a Sarajevo.
    L’arrivo del secondo carico di vaccini tramite il meccanismo COVAX in Serbia (12 maggio 2021)
    Contemporaneamente, ha ricevuto un impulso anche la situazione sul fronte COVAX, nonostante alcune riserve. Tra l’11 e il 14 maggio sono ripresi con più costanza i voli per portare i vaccini promessi ai Balcani occidentali, cercando di colmare il ritardo sulla tabella di marcia del primo semestre 2021. A oggi, il Kosovo ha ricevuto 62.300 dosi su 100.800 previste, l’Albania 79.200 su 141.600, la Bosnia ed Erzegovina 121.300 su 177 mila, la Serbia 177.600 su 345.600. Fanno eccezione Montenegro e Macedonia del Nord, ancora fermi alle consegne del 28 marzo: al primo mancano ancora 60 mila dosi (24 mila su 84 mila), alla seconda 79.200 (24 mila su 103.200). Ma c’è ancora un mese e mezzo di tempo per recuperare il tempo perduto a inizio anno: con un massimo di due spedizioni per ogni Paese si potrebbero raggiungere tutti gli obiettivi, spazzando via almeno una parte dell’euro-scetticismo che sta serpeggiando nella regione.

    Dopo un mese di immobilismo dai primi carichi di fine marzo, Bruxelles ha sbloccato la situazione con il piano da 651 mila dosi Pfizer-BioNTech entro fine agosto e la ripresa del meccanismo dell’OMS: ancora un mese e mezzo per rispettare la tabella di marcia

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    Allargamento UE, nuova metodologia per adesione di Serbia e Montenegro: focus su riforme e gruppi di capitoli negoziali

    Bruxelles – Una nuova prospettiva per l’allargamento dell’Unione Europea nei Balcani occidentali è possibile. O almeno, è quanto si augurano gli Stati membri UE con la nuova metodologia prevista per i negoziati di adesione di Serbia e Montenegro, dopo l’intesa trovata tra i due Paesi e il Consiglio dell’UE. Focus sulle riforme e i progressi nello Stato di diritto, conferenze intergovernative periodiche a livello ministeriale e soprattutto un accorpamento di 33 capitoli negoziali in 6 gruppi tematici (rimangono a parte i capitoli 34 e 35, sulle istituzioni e altri problemi).
    A partire dalle prossime conferenze intergovernative si affronteranno i cluster relativi ai fondamenti dello Stato di diritto (sistema giudiziario, funzionamento della democrazia, riforme della pubblica amministrazione), Mercato interno (libera circolazione di beni, capitali e lavoratori), competitività e crescita inclusiva (informazione ed educazione, politica monetaria e industriale, tassazione e Unione doganale), Agenda verde e connettività sostenibile (energia, trasporti, lotta ai cambiamenti climatici), agricoltura e coesione (tra cui sviluppo rurale e coordinamento di strumenti regionali) e relazioni esterne (politica estera, di sicurezza e difesa).
    Nelle intenzioni dell’UE, questo approccio dovrebbe dare maggiore dinamismo al processo di adesione, accelerando le azioni da adottare. Al centro dell’attenzione rimangono proprio le riforme strutturali, che dovranno produrre “risultati tangibili”, si legge nel documento. La prospettiva europea richiede “impegni” a livello di Stato di diritto, diritti fondamentali, funzionamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione, ma anche di criteri economici. Per arrivare a questi risultati, l’Unione si impegna a promuovere conferenze intergovernative e consigli di stabilizzazione e associazione più frequenti, per rafforzare il dialogo con i Paesi candidati: l’obiettivo è “migliorare la prevedibilità del processo, sulla base di criteri oggettivi“.
    In questo modo, gli Stati membri UE cercano di dare un segnale forte ai due Paesi balcanici che si trovano attualmente allo stadio più avanzato del processo di adesione all’Unione. Solo lunedì (10 maggio), l’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, aveva rimproverato i ministri degli Esteri europei di non guardare sufficientemente alla regione in ottica geo-strategica e di aver lasciato la questione fuori dalla propria agenda per due anni.
    La questione dell’allargamento nei Balcani occidentali è però una delle priorità della presidenza di turno portoghese del Consiglio dell’UE. Lo hanno dimostrato non solo le ripetute dichiarazioni della sottosegretaria di Stato per gli Affari europei, Ana Paula Zacarias, ma anche questo primo passo verso l’accelerazione dei negoziati. “Una prospettiva di adesione credibile è il motore fondamentale della trasformazione nella regione e aumenta le opportunità per la nostra sicurezza e prosperità collettive”, ha commentato il risultato proprio Zacarias. “Il mantenimento e il miglioramento di questa politica è indispensabile per la credibilità, il successo e l’influenza dell’Unione nella regione“.
    Il rischio, sempre più chiaro a Bruxelles, è che sui Balcani si inneschi un processo inverso di disillusione nei confronti dell’Unione Europea. Ma anche che i sei Paesi (oltre a Serbia e Montenegro, anche Macedonia del Nord, Albania, Bosnia ed Erzegovina e Kosovo) guardino sempre più ad altre potenze (Cina e Russia, su tutti) in un momento delicato come la lotta alla pandemia COVID-19 e la fornitura di vaccini.
    I negoziati di adesione del Montenegro sono iniziati nove anni fa, con la presentazione del quadro negoziale durante la prima conferenza ministeriale il 29 giugno 2012, mentre per la Serbia il processo è in corso da sette anni, dopo l’avvio il 21 gennaio 2014. Ancora in attesa della prima conferenza intergovernativa sono invece Albania e Macedonia del Nord, dopo aver ottenuto lo status di Paesi candidati rispettivamente nel 2014 e nel 2005.

    Il Consiglio dell’UE ha approvato le linee per dare “maggiore dinamismo e prevedibilità” al processo. I 6 cluster tematici al centro delle prossime conferenze intergovernative (più frequenti)

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    Balcani occidentali, Borrell agli Stati: “Allargamento nella regione è l’unica prospettiva”

    Bruxelles – I Paesi membri UE stanno continuando a temporeggiare su dossier che andrebbero trattati come prioritari, e il tempo a disposizione sta finendo. È questo il rimprovero dell’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ai ministri degli Esteri europei, troppo disattenti su una parte d’Europa su cui l’Unione si gioca futuro e credibilità. “È la prima volta da due anni che il Consiglio Affari Esteri prende una posizione sui Balcani occidentali, è ora di guardare alla regione in ottica geo-strategica”. Uno sfogo che riassume le difficoltà a lavorare sul file nonostante il ripetere ai Paesi balcanici di essere a un passo dall’obiettivo.
    Al termine del Consiglio Affari Esteri di oggi (lunedì 10 maggio), l’alto rappresentante UE ha ribadito una volta di più come l’allargamento verso i Balcani occidentali sia “una delle nostre priorità strategiche” e lo dimostra il fatto che oggi questo punto sia stato discusso anche prima del rapporto con gli Stati Uniti nella lotta ai cambiamenti climatici, due temi – clima e relazioni transatlantiche – in alto nelle agende delle capitali. “C’è stata una lunga discussione”, ha spiegato Borrell in conferenza stampa, che tra le righe ha coinvolto la questione del presunto non paper della Slovenia sul completamento della dissoluzione dell’ex-Jugoslavia. Non è un caso se i ministri hanno ribadito con fermezza il “rispetto dei confini e della regione in generale“, mentre Borrell ha aggiunto che “non ci devono essere dubbi sull’integrità e la sovranità della Bosnia-Erzegovina”.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Ma la questione è più complessa e coinvolge le difficoltà dell’Unione nel farsi percepire come presenza affidabile sia a livello di distribuzione dei vaccini anti-COVID, sia come garante di un futuro europeo per i Balcani. “Sul fronte della pandemia COVID-19, dobbiamo ricordare costantemente che stiamo donando i vaccini, non li stiamo vendendo“, è stato il secco commento di Borrell, “e soprattutto non mettiamo condizioni a chi li riceve”.
    Sul fronte della prospettiva europea, invece, “c’è bisogno di un impegno politico più forte con i nostri partner nella regione“. Per Borrell è necessario rinforzare la “narrativa positiva” sull’attuazione delle riforme che garantiscono l’accesso all’Unione, ma anche i Paesi membri devono fare di più. “Oggi abbiamo parlato a livello teorico, adesso bisogna prendere azioni concrete“, perché “non possono passare altri due anni prima di rivedere i Balcani occidentali nell’agenda del Consiglio”. C’è bisogno di aprire i quadri negoziali con Albania e Macedonia del Nord, portare avanti i negoziati con Serbia e Montenegro, liberalizzare i visti per i cittadini del Kosovo e stimolare il processo di riforme costituzionali in Bosnia ed Erzegovina: “Parleremo di tutto questo con i leader balcanici a Bruxelles la settimana prossima“, ha anticipato Borrell.
    Scendendo più nel dettaglio, l’alto rappresentante UE ha dichiarato che “la Bulgaria è stata incoraggiata a trovare una soluzione con la Macedonia del Nord, perché Skopje ha rispettato tutte le condizioni e tutti gli altri ministri sono d’accordo” (spegnendo per il momento le ipotesi di una separazione dei dossier Albania-Macedonia per permettere a Tirana di andare avanti più velocemente). Mentre il dialogo tra Serbia e Kosovo “riprenderà entro la fine di giugno” ed è stata scartata qualsiasi ipotesi di ripartenza dei negoziati su presupposti diversi da quelli del 2020, come ventilato dai nuovi leader kosovari: “Devono studiare il dossier con attenzione e possiamo dare loro tutte le informazioni di cui hanno bisogno”, ha puntualizzato l’alto rappresentante Borrell.
    La posizione dell’Italia
    Da quanto si apprende a Bruxelles, durante il Consiglio Affari Esteri il ministro italiano Luigi Di Maio ha avvertito che “dopo l’eccellente risposta data nella prima fase della pandemia”, l’Unione Europea “si sta giocando la credibilità nei Balcani occidentali”. Questo perché non si riesce a trovare una soluzione alle difficoltà nell’aiutare la regione attraverso l’invio di vaccini. “Si sta generando un sentimento di sfiducia nei confronti dell’Unione Europea“. Secondo Di Maio, non bastano i messaggi di sostegno e lo dimostra il fatto che “la nostra postura politica è troppo debole rispetto all’impegno finanziario elevato” nella penisola.
    Il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio
    Al centro dell’intervento del ministro degli Esteri italiano c’è “l’adozione di conclusioni sui Balcani occidentali” e soprattutto il “rilancio del processo di allargamento” dell’UE nella regione. “Appare ancor più urgente, alla luce del rinnovato attivismo di attori terzi che possono facilmente riempire il vuoto creato dalle nostre indecisioni“. Nonostante non si possano “né creare scorciatoie, né diluire le riforme”, allo stesso tempo va evitato un circolo vizioso per cui l’assenza di una prospettiva europea concreta “rallenti o arresti il progresso dello Stato di diritto”, ha aggiunto Di Maio.
    Da parte dell’Italia c’è l’impegno per rivitalizzare il processo di allargamento, attraverso un “documento recentemente predisposto, con messaggi-chiave”. Il primo punto è lo sblocco dello stallo sull’adozione dei quadri negoziali con Albania e Macedonia del Nord. Il secondo passo, l’avanzamento nei negoziati con la Serbia, “in occasione della Conferenza intergovernativa di fine giugno”. L’UE non potrà permettersi di ignorare “quella che resta la domanda più forte che proviene dalla regione”, ha concluso il ministro italiano, con una nota sinistra: “Senza risultati sul fronte dell’allargamento, sarà difficile stabilizzare definitivamente la regione”.

    L’alto rappresentate duro con i ministri degli Esteri: “Non possono passare altri due anni prima che il Consiglio prenda una posizione sulla regione”. Rispetto dei confini, non si separano i dossier Albania-Macedonia del Nord e ripresa del dialogo Serbia-Kosovo entro fine giugno

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    Elezioni in Albania, socialisti verso la vittoria. Critiche dall’UE per “l’interferenza al voto” dal Kosovo

    Bruxelles – Se la tradizione delle urne in Italia dice che dopo il voto tutti hanno vinto e nessuno ha perso, nei Paesi dei Balcani occidentali vale invece un altro uso: non c’è elezione che non sia accompagnata da polemiche su interferenze esterne. Meglio ancora, che non coinvolga in qualche modo i due vicini più problematici della regione: Serbia e Kosovo. In questo modo si può leggere anche la tornata elettorale per il rinnovo del Parlamento albanese che si è svolta ieri (domenica 25 aprile).
    Il premier dell’Albania, Edi Rama, e la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen (2020)
    Scrutinato più di un terzo delle schede elettorali, il Partito Socialista del primo ministro in carica, Edi Rama, si sta proiettando vincitore con il 49,3 per cento dei voti: risultato che gli consentirebbe di guidare il Paese per la terza legislatura consecutiva (dal 2013). Il diretto avversario, il Partito Democratico di Lulzim Basha, si fermerebbe al 38,8 per cento delle preferenze: una crescita di 10 punti percentuali rispetto alle elezioni di quattro anni fa, ma non ancora sufficiente per scalzare i socialisti dal governo. La Commissione elettorale centrale albanese ha però fatto sapere che per completare il processo di conteggio delle schede ci potrebbero volere “anche 48 ore” (a partire dalla chiusura dei seggi alle ore 19 di ieri) e ha invitato a “mantenere la calma” fino a quando i risultati non saranno ufficiali.
    La vigilia delle elezioni è stata caratterizzata da tensioni in tutto il Paese e da episodi di violenza nella città di Elbasan, alimentati da un clima politico particolarmente teso negli ultimi anni. Nel febbraio del 2019 l’opposizione albanese aveva deciso di abbandonare il Parlamento in segno di protesta per le accuse di corruzione del Partito Socialista al governo e i sospetti di compravendita di voti alle elezioni del 2017. Il risultato è stato un aumento delle divisioni interne su temi-chiave per lo sviluppo del Paese e le prospettive europee, come la riforma elettorale, l’emigrazione, la lotta alla corruzione e alle interferenze nei media e le politiche di occupazione.
    Parlando alla nazione dopo la chiusura delle urne, il presidente della Repubblica, Ilir Meta, ha annunciato che “è l’Albania ad aver vinto in questo processo storico”, richiamando “la straordinaria responsabilità” degli scrutatori per “concluderlo in modo dignitoso”. Il presidente della Repubblica ha poi rassicurato i concittadini che “il risultato non sarà distorto né influenzato da nessuno“. Un riferimento al tema che nella giornata di ieri ha sollevato polemiche non solo nella regione, ma anche a Bruxelles.
    “L’interferenza” kosovara
    A infuocare la domenica elettorale albanese è stata la partecipazione al voto del neo-premier del Kosovo, Albin Kurti. Il leader del partito della sinistra nazionalista Vetëvendosje (Autodeterminazione), vincitore delle elezioni del 14 febbraio scorso, si è potuto recare alle urne nel Paese “straniero” in virtù della sua appartenenza etnica albanese, che gli ha anche permesso di presentare tre candidati del suo partito Vetëvendosje in Albania.
    Il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti
    Accompagnato dal candidato nella regione di Tirana, Boiken Abazi, il premier kosovaro ha invitato “tutti i cittadini albanesi” a “rispettare la nostra patria, facendo la scelta migliore secondo i propri principi e valori“. Parlando alla stampa, Kurti ha definito l’appuntamento di ieri “un giorno di democrazia” non solo per i cittadini della Repubblica di Albania, ma anche per i quasi due milioni di “albanesi della diaspora”, i gruppi etnici che vivono soprattutto in Kosovo e Macedonia del Nord, ma anche negli altri Paesi della penisola o nel resto del mondo. Da più di un mese il leader nazionalista kosovaro li ha invitati a recarsi alle urne in Albania (dal momento in cui la legge elettorale non contempla il voto ai cittadini che risiedono all’estero), per “realizzare un cambiamento” contro i partiti tradizionali, socialisti del premier Rama in primis.
    Da Bruxelles, una critica feroce è arrivata dalla relatrice sul Kosovo per il Parlamento Europeo, Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/ALE): “È una cosa inaccettabile“, ha tuonato. L’eurodeputata tedesca ha commentato su Twitter di non riuscire a capacitarsi della decisione: “Da una parte, tutti in Kosovo si lamentano dell’ingerenza della Serbia e del presidente Aleksandar Vučić, mentre dall’altra parte il premier kosovaro va a votare in un Paese vicino”.

    I cannot understand what this is all about. On one hand everyone in Kosovo complains about interference from Serbia or from President @avucic himself but on the other hand here does the PM of #Kosovo even vote in a neighbouring state. Not acceptable. At least not for me. https://t.co/J3ndibX1qq
    — Viola von Cramon (@ViolavonCramon) April 25, 2021

    Ed è stato proprio il presidente serbo Vučić a rincarare la dose, dopo essere arrivato ieri nella capitale belga per partecipare a una due-giorni di incontri con i vertici delle istituzioni europee (in programma ieri e oggi). “Nonostante per la nostra Costituzione Pristina faccia parte della Serbia, immaginate se fossi andato io a votare in una qualche località in Kosovo”, ha dichiarato alla stampa: “Sarebbe stato uno scandalo a livello mondiale”. Secondo il presidente serbo, “quello lanciato da Kurti è uno dei suoi tanti messaggi nazionalisti“, che spaziano “dall’unificazione del Kosovo con l’Albania alla richiesta di risarcimenti di guerra alla Serbia”.
    Coinvolti in un complesso dialogo mediato dall’Unione Europea – che recentemente ha coinvolto anche la distribuzione di vaccini anti-COVID – i leader di Serbia e Kosovo saranno entrambi ospiti a Bruxelles nel corso di questa settimana. Vučić completerà oggi il tour de force con Commissione (la presidente, Ursula von der Leyen, l’alto rappresentate UE, Josep Borrell, il commissario per l’Allargamento, Olivér Várhelyi, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák), Consiglio (il presidente Charles Michel) e il Parlamento Europeo (il relatore sulla Serbia, Vladimír Bilčík). Per mercoledì (28 aprile) è previsto invece l’arrivo del premier Kurti, che discuterà con i rappresentanti dell’UE del nuovo approccio kosovaro al dialogo con la controparte. In attesa della ripresa dei colloqui di alto livello, fermi all’incontro del 7 settembre dello scorso anno: questa settimana avrebbe potuto rappresentare l’occasione della svolta, ma per la tensione in aumento negli ultimi mesi, rischia di essere invece l’ennesima occasione persa.

    Il partito del primo ministro Rama virtualmente primo, ma la commissione elettorale avverte che “potrebbero volerci 48 ore” per lo scrutinio. Scoppia la polemica sul coinvolgimento del premier kosovaro Kurti, che ha sfruttato la carta etnica (albanese) per recarsi alle urne

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    Slovenia, il mistero del piano per “completare la dissoluzione dell’ex-Jugoslavia” e i “no comment” del Consiglio UE

    Bruxelles – Trent’anni. Il tempo per mettersi alle spalle una guerra o per riaprire le ferite di un conflitto etnico durato un decennio. Proprio nell’anniversario dello scoppio delle guerre nell’ex-Jugoslavia, la polveriera dei Balcani torna a preoccupare l’Europa e il mistero di un documento ufficioso del governo sloveno, che sarebbe già approdato a Bruxelles, sta rischiando di dare uno scossone ai fragili equilibri della regione.
    Il premier sloveno, Janez Janša
    Tutto è cominciato all’inizio di questa settimana, quando lunedì (12 aprile) alcuni media bosniaci hanno riportato l’indiscrezione secondo cui il premier sloveno, Janez Janša, avrebbe consegnato tra fine febbraio e inizio marzo al presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, un non paper (una proposta informale di accordo) sulle priorità della presidenza slovena dell’UE, che prenderà il via il prossimo primo luglio. Nel documento, Janša avrebbe indicato anche la necessità di completare la “dissoluzione dell’ex-Jugoslavia”: implicazioni a livello di confini per tutti i Paesi della regione (Slovenia esclusa), ma soprattutto una separazione in seno al territorio della Bosnia ed Erzegovina su base etnica.
    Nella regione è scoppiata la bufera, con l’ambasciatrice slovena a Sarajevo, Zorica Bukinac, invitata per un chiarimento dal membro croato della presidenza bosniaca, Željko Komšić, e i partiti di opposizione al governo Janša che hanno invitato il ministro degli esteri, Anže Logar, a riferire in Parlamento. Lubiana nega un cambiamento di politica nei confronti dei partner balcanici e lo stesso premier Janša ha smentito con ferocia ogni voce di un piano segreto per il completamento “pacifico” della dissoluzione dell’ex-Jugoslavia: “Il governo sloveno sta seriamente cercando soluzioni per lo sviluppo della regione e la prospettiva europea dei Paesi dei Balcani occidentali”, ha commentato in un tweet, rimbalzando l’accusa di “cercare di impedire tale obiettivo”.

    Eh, @eucopresident sem nazadnje srečal lani. Težko bi mu tako februarja ali marca letos karkoli fizično predal, kot piše obskurni splet, ki ga navajate. 🇸🇮 sicer resno išče rešitve za razvoj regije in EU perspektivo držav ZB, s takimi zapisi pa se ravno ta cilj skuša onemogočiti. https://t.co/aObQNCkRc5
    — Janez Janša (@JJansaSDS) April 12, 2021

    Tuttavia, dopo giorni di polemiche, smentite e pubblicazioni di stralci del documento più o meno verosimili, ciò che appare evidente è l’incapacità del Consiglio Europeo di prendere le distanze dalla notizia del non paper ricevuto o di fornire ulteriori spiegazioni. Pressato dalla stampa a Bruxelles, l’entourage del presidente Michel tiene la linea del “no comment” e del non rilasciare dichiarazioni “per il momento”. Un approccio quantomeno discutibile, che fa sospettare che qualcosa stia davvero sgorgando alla sorgente. Oppure, se così non fosse, che rischia di far cedere la diga del complottismo e della accuse tra Paesi. Insomma, di far giocare in molti con il fuoco, in un contesto – quello balcanico – che non avrebbe bisogno di ulteriori destabilizzazioni.
    Quello mostrato dal Consiglio UE è un atteggiamento agli antipodi rispetto a quello della Commissione Europea, che, sebbene non sia implicata direttamente nell’affaire Balcani, ha comunque risposto con chiarezza in merito alla sua posizione. “Non abbiamo visto né siamo a conoscenza del non paper“, ha spiegato Peter Stano, portavoce dell’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. Una dichiarazione che a molti sarà sembrata banale, ma senza tenere presente il fatto che l’esecutivo UE avrebbe avuto tutto il diritto di non rilasciare commenti su una vicenda che coinvolge un Paese membro e un’altra istituzione europea. Anzi, Stano ha ribadito che “sulla questione dei confini nei Balcani, l’unica cosa che pensiamo è che non ci sia nulla da cambiare“. La Commissione Europea si gioca parte della credibilità sul processo di allargamento promesso nei Balcani occidentali e per questo motivo “bisogna lavorare sulla cooperazione regionale e sulla riconciliazione, questo è il nostro approccio”, ha aggiunto con forza il portavoce dell’alto rappresentante UE.

    Da giorni si rincorrono le voci di un documento ufficioso inviato dal premier Jansa a Bruxelles, dai contenuti controversi sulla separazione della Bosnia ed Erzegovina e la ridefinizione dei confini nella regione. Ma l’atteggiamento dell’entourage del presidente Michel mostra l’incapacità di gestire una situazione esplosiva

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    Kosovo, la strada del dialogo con la Serbia passa dai vaccini COVID. Parola della neo-presidente Vjosa Osmani

    Bruxelles – Giovane, riformista e femminista. È questo il ritratto di Vjosa Osmani, la nuova presidente della Repubblica del Kosovo, eletta domenica scorsa (4 aprile) dopo cinque mesi di incarico ad interim. Ma se è promettente la strada verso lo Stato di diritto e la lotta alla corruzione, a Bruxelles prima di tutto interessa se e in quali modalità si potrà continuare il dialogo Serbia-Kosovo mediato dall’Unione Europea. E su questo la presidente Osmani ha le idee molto chiare: “Il dialogo prima di assicurarci i vaccini anti-COVID non è una priorità“.
    Che la musica a Pristina sia cambiata negli ultimi due mesi lo aveva già fatto presagire l’elezione di Albin Kurti, leader della sinistra nazionalista Vetëvendosje (Autodeterminazione), come primo ministro del Paese (in carica dal 22 marzo). Il giorno dopo il trionfo alle elezioni di San Valentino, Kurti aveva annunciato che “il tema del dialogo con la Serbia è al sesto o settimo posto in agenda“. Polverone diplomatico a Belgrado e tirata di orecchie a Bruxelles: la relatrice per il Kosovo al Parlamento Europeo, Viola von Cramon-Taubadel, aveva avvertito la nuova maggioranza di “affrontare subito i problemi di approccio al dialogo”, dal momento in cui “la normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi è condizione preliminare per l’adesione all’Unione“.
    La presidente della Repubblica del Kosovo, Vjosa Osmani, con il commissario europeo per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi (12 gennaio 2021)
    È notizia di ieri che a condurre la ripresa del dialogo di alto vertice (fermo al 7 settembre dello scorso anno) da parte kosovara sarà proprio il premier Kurti, in coordinamento con la presidente Osmani, così come stabilito da un pronunciamento della Corte Costituzionale del 2019. In questo senso, le parole della neo-presidente assumono un valore ancora più forte: Pristina non si siederà a un tavolo comune con la controparte fino a quando non si concretizzerà un sostegno internazionale e regionale nella lotta al COVID-19.
    Bisogna ricordare che il Kosovo ha ricevuto il 28 marzo il primo carico da 24 mila dosi di vaccino AstraZeneca all’interno del meccanismo COVAX (la struttura globale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per garantire un accesso equo e universale ai vaccini, finanziata anche dall’UE). Al conto del primo semestre ne mancano però ancora 76.800, secondo il documento di previsione della distribuzione provvisoria, La Serbia invece si è distinta per un inizio di campagna di massa efficiente – grazie anche all’utilizzo dei vaccini Sputnik V e Sinopharm – ed è diventata uno dei migliori Paesi europei per dosi somministrate ogni cento abitanti (34,15, mentre la media UE è ferma al 15,5). Per questo motivo, Kurti e Osmani vorrebbero sedersi al tavolo di Bruxelles senza l’handicap di un sistema sanitario al collasso e cercando di limitare il deficit negoziale con Belgrado su questo frangente.

    Danas smo na aerodromu u Prištini primili prvih 24.000 doza vakcina COVID-19 od COVAX opcije. Evropska unija i njene zemlje članice, nastupajući zajedno kao #TeamEurope jedan su od vodećih doprinosilaca u COVAX-u. #VaccinesWork #Vaksinohu #StrongerTogether pic.twitter.com/9JHWHuWwmT
    — European Union Kosovo (@EUKosovo) March 28, 2021

    A rendere tutto più complicato, c’è un altro paletto fissato dalla neo-presidente kosovara per la ripresa del dialogo mediato dall’UE: la questione dei dispersi nel conflitto in Kosovo del 1998/1999. “È una ferita ancora aperta e fino a quando non verrà fatta giustizia sugli scomparsi, vittime dei serbi, è difficile pensare alla pace“. Parole che hanno incendiato l’opinione pubblica serba: “Per Pristina è un problema il fatto che noi insistiamo su una soluzione di compromesso. Loro non non hanno alcun interesse nel dialogo“, ha attaccato il presidente del Parlamento serbo, Ivica Dačić.
    L’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il commissario europeo per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, si troveranno a dover affrontare una situazione sempre più tesa. Tutto il contrario di quanto promesso a novembre dello scorso anno dallo stesso Borrell. Le parti rimangono distanti, con Pristina che rivendica il riconoscimento reciproco (e di fatto l’indipendenza) e Belgrado che accusa il mancato rispetto dell’accordo del 2013, che prevede la creazione di una Comunità delle municipalità serbe in Kosovo. Il rischio è che la pandemia di COVID-19 e la corsa ai vaccini chiudano definitivamente la porta a uno sforzo diplomatico decennale. Con buona pace di riformismi e svolte nazionali.

    Dopo l’elezione dello scorso 4 aprile, la nuova capa dello Stato ha fissato i paletti per la ripresa dei negoziati mediati dall’Unione Europea: “Sostegno alla campagna vaccinale e giustizia per gli scomparsi nel conflitto del 1998/1999”. Sempre più tesi i rapporti con Belgrado

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