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    Morti e feriti nel campo profughi palestinese di Jenin. L’Ue richiama ancora alla calma Israele

    Bruxelles – Cinque morti e 91 feriti palestinesi a Jenin, nella Cisgiordania occupata da Israele. Sette i feriti tra le forze armate di Tel Aviv. L’ennesima operazione militare israeliana che dà il via a violenti scontri con la popolazione civile. E l’ennesimo richiamo alla calma da parte dell’Unione europea, “fortemente preoccupata per gli ultimi avvenimenti che hanno provocato diverse vittime civili”.
    Gli scontri di questa mattina (19 giugno) sono tra i più violenti degli ultimi tempi, con Israele che ha addirittura utilizzato un elicottero militare per lanciare missili sul campo profughi di Jenin. La miccia, come capitato più volte, un raid delle forze armate di Tel Aviv per arrestare due “sospetti” palestinesi. “Le operazioni militari devono essere proporzionate e in linea con il diritto umanitario internazionale”, sottolineano dal Servizio Europeo d’Azione Esterna (Seae).
    Un elicottero militare israeliano in azione a Jenin (Photo by Jaafar ASHTIYEH / AFP)
    Secondo quanto riportato da Wafa, l’agenzia di stampa dell’Autorità Palestinese, i soldati avrebbero fatto irruzione nel campo profughi con armi da fuoco, granate stordenti e lacrimogeni. A quel punto, stando alla versione dell’esercito israeliano, alcuni palestinesi avrebbero lanciato esplosivi contro i loro veicoli, cercando di bloccarli nel campo. Questo avrebbe scatenato la reazione di Tel Aviv, che ha deciso di intervenire con gli elicotteri militari per neutralizzare gli uomini armati palestinesi. La ministra della Salute dell’Autorità Palestinese, Mai al-Kaila, ha dichiarato che le persone uccise avevano tra i 15 e i 29 anni, e che diversi feriti -tra cui alcuni giornalisti palestinesi- sarebbero in gravi condizioni.
    Allarmanti i dati registrati dall’ufficio di coordinamento umanitario per il Territorio Palestinese Occupato (Ocha-Opt) delle Nazioni Unite: dall’inizio del 2023 sarebbero già 147 i palestinesi morti durante operazioni militari israeliane, 4315 i feriti. Numero delle vittime che sembra destinato a superare quello drammatico del 2022, in cui i palestinesi caduti erano stati 191. Israele, che nei primi sei mesi dell’anno conta 18 vittime, non sembra voler mettere fine alle violenze: il ministro degli Esteri di Tel Aviv, Eli Cohen, dopo gli scontri di Jenin ha dichiarato che il governo “continuerà ad utilizzare il pugno di ferro contro il terrorismo”.
    Non solo, Israele ha deciso di anticipare la pianificazione di più di 4 mila nuove unità di insediamento in territorio palestinese entro la fine di giugno. Le colonie “sono illegali secondo il diritto internazionale, costituiscono un ostacolo alla pace e minacciano la praticabilità della soluzione dei due Stati”, ricorda il Seae, invitando Israele a “non procedere in tal senso”.

    Sarebbero 5 i morti e oltre 91 i feriti palestinesi durante un’operazione militare israeliana in Cisgiordania occupata, 7 feriti anche tra i soldati di Tel Aviv. Il commento del Seae: “Le operazioni militari devono essere proporzionate e in linea con il diritto umanitario internazionale”

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    Israele non si ferma più, ennesimo appello dell’Ue per porre fine alle “colonie illegali”

    Bruxelles – Continuano gli appelli europei per porre fine all’illegale occupazione israeliana nei territori palestinesi. Ma, invece che ridursi, le colonie sono sempre di più: dopo il via libera, datato 17 maggio, del governo israeliano per la costruzione di oltre 600 unità abitative negli insediamenti esistenti e nuovi in Cisgiordania, il 22 maggio gli abitanti di Ein Samiya, piccolo villaggio a pochi chilometri da Ramallah, hanno dovuto dire addio alle proprie case dopo anni di angherie subite per mano di cittadini israeliani.
    “L’Ue è sconvolta nell’apprendere che la comunità palestinese di Ein Samiya, che comprende 172 persone, tra cui 78 bambini, è stata costretta a lasciare definitivamente le proprie case a seguito dei ripetuti attacchi dei coloni e degli ordini di demolizione”, ha dichiarato in una nota Peter Stano, portavoce del Servizio Europeo di Azione Esterna (Seae). Dopo diversi episodi di violenza, restrizioni sulla costruzione di case e infrastrutture, demolizioni – l’ultima approvata da Tel Aviv riguarda una scuola finanziata proprio dall’Unione Europea- gli abitanti palestinesi hanno alzato bandiera bianca. Se anche la scuola del villaggio verrà rasa al suolo, andrà ad aggiungersi alle 101 costruzioni finanziate dall’Unione Europea o dai suoi Stati membri demolite lo scorso anno da Israele, per un valore di circa 337 mila euro.
    Una tenda bruciata nel villaggio di Ein Samiya, dopo un attacco di estremisti israeliani nel 2015 (Photo by ABBAS MOMANI / AFP)
    Anche il commissario Ue per la gestione delle crisi, Janez Lenarčič, ha espresso dure parole di condanna: “Lo sgombero forzato dei palestinesi dalla Cisgiordania, la demolizione delle strutture finanziate dai donatori, la violenza e la coercizione devono finire. Esorto Israele a prevenire i trasferimenti forzati, porre fine alle violazioni del diritto internazionale e garantire la sicurezza delle persone colpite”, ha dichiarato su Twitter.
    Oggi sono circa 475 mila i coloni israeliani che vivono in insediamenti, autorizzati dal governo, nella West Bank palestinese. “Gli insediamenti – ha ricordato il portavoce dell’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell – sono illegali secondo il diritto internazionale e minano la praticabilità della soluzione dei due Stati. Tali azioni unilaterali vanno contro gli sforzi per abbassare le tensioni sul terreno”.

    Dopo il via libera alla costruzione di oltre 600 nuove unità abitative in Cisgiordania, i quasi 200 abitanti del piccolo villaggio palestinese di Ein Samiya sono stati costretti ad abbandonare le proprie case. A rischio demolizione anche una scuola finanziata dall’Ue. “La violenza deve finire”, ha dichiarato il commissario Ue, Janez Lenarčič

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    L’incaricata d’affari della delegazione Ue in Bielorussia è stata detenuta illegalmente dalla polizia di Lukashenko

    Bruxelles – Una “grave violazione” della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche che garantisce l’inviolabilità personale dei diplomatici. La denuncia arriva direttamente dal portavoce del Servizio europeo per l’Azione estera (Seae), Peter Stano, nel punto quotidiano di oggi (giovedì 8 settembre) con la stampa europea. “Martedì [6 settembre, ndr] è avvenuto un atto inaccettabile e deplorevole di violazione dello status diplomatico”, in cui “la nostra incaricata d’affari ad interim della delegazione Ue in Bielorussia è stata trattenuta dalla polizia per più di due ore“.
    A subire la “detenzione illegale” è stata l’alta diplomatica Evelina Schulz, incaricata d’affari dell’Ue in Bielorussia. L’incaricato d’affari è l’agente diplomatico di minor rango rispetto all’ambasciatore, secondo la gerarchia stabilita proprio dalla Convenzione di Vienna, ed è definito ‘ad interim’ quando sostituisce temporaneamente il capo-missione. “È la seconda volta che accade un incidente del genere contro il corpo diplomatico dell’Ue e abbiamo già convocato l’ambasciatore della Bielorussia a Bruxelles“, ha fatto sapere il portavoce dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell.
    La detenzione della diplomatica Ue è iniziata all’uscita di un tribunale a Minsk, dove si era recata per assistere alla lettura pubblica di un processo a porte chiuse contro dieci attivisti politici “condannati a pene severe con prove insufficienti”, ha precisato il portavoce Stano. Dopo il fermo, Schulz è stata trattenuta in una stazione di polizia per circa due ore, prima di essere liberata. L’incaricata d’affari è attualmente a capo della delegazione Ue a Minsk, dopo che nel giugno 2021 il capo delegazione del Seae in Bielorussia, Dirk Schuebel, è stato allontanato dal Paese su richiesta delle autorità che fanno capo all’autoproclamato presidente, Alexander Lukashenko.

    L’alta diplomatica Ue Evelina Schulz è stata trattenuta per due ore dalle forze di polizia dopo aver assistito in tribunale a un processo a porte chiuse contro dieci attivisti politici: “Grave violazione della Convenzione di Vienna sull’inviolabilità personale dei diplomatici”

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    L’UE inizia a ristabilire una “presenza minima” in Afghanistan: “Questo non è un riconoscimento del regime talebano”

    Bruxelles – Sono iniziate le operazioni dell’UE per ristabilire una “presenza minima di personale internazionale” in Afghanistan. Lo ha reso noto Peter Stano, portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) in una dichiarazione alla stampa di Bruxelles.
    Ampiamente annunciata da mesi, questa decisione di Bruxelles risponde alla necessità di “facilitare la consegna degli aiuti e monitorare la situazione umanitaria”, ha specificato Stano. Tuttavia, “la nostra presenza minima a Kabul non deve in alcun modo essere vista come un riconoscimento” del regime talebano, ha sottolineato con forza il portavoce: “Questo è stato chiaramente comunicato anche alle autorità di fatto” nel Paese.
    Una fonte della Commissione ha fatto sapere che la dichiarazione di Stano è stata una reazione a un tweet “leggermente esagerato” da parte dei talebani. Il contenuto incriminato era stato pubblicato ieri sera (giovedì 20 gennaio) sul profilo Twitter del portavoce del regime, Abdul Qahar Balkhi: “Dopo il raggiungimento di un’intesa con i rappresentanti dell’UE in Afghanistan, è stata ufficialmente aperta l’ambasciata con una presenza permanente a Kabul”, specificando che il personale diplomatico “ha iniziato le operazioni sul terreno”.
    A poche settimane dalla conquista del potere in Afghanistan da parte dei talebani il 15 agosto dello scorso anno, era stato l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ad affermare che l’Unione Europea non ha “altra possibilità se non impegnarci con i talebani, parlare, discutere e accordarci qualora possibile”, con l’obiettivo di “sostenere chi è rimasto nel Paese”. Per questo motivo le istituzioni comunitarie dovevano iniziare a ragionare su “come impostare una presenza UE a Kabul coordinata dal Servizio europeo per l’azione esterna”. La sede UE nella capitale dell’Afghanistan non è mai stata chiusa in tutti questi mesi: “La nostra delegazione potrebbe essere riattivata se le condizioni di sicurezza saranno garantite”, aveva avvertito Borrell.
    A ottobre si era tenuto a Doha (Qatar) un incontro informale a livello tecnico tra l’UE e i talebani con la mediazione dell’emirato del Golfo, per cercare accordi soprattutto nella gestione della crisi migratoria, mentre la Commissione annunciava un pacchetto di aiuti da un miliardo di euro a supporto dei cittadini dell’Afghanistan e dei Paesi vicini. Poco più di mese dopo era arrivata proprio dal regime talebano la richiesta a Bruxelles di assistenza operativa per garantire il funzionamento degli aeroporti, ritenuta essenziale anche dai rappresentanti dell’UE per facilitare il passaggio sicuro dei cittadini stranieri e afghani che cercano di lasciare il Paese.

    Per Bruxelles la presenza di personale internazionale a Kabul servirebbe solo a “facilitare la consegna degli aiuti UE e monitorare la situazione umanitaria in Afghanistan”, specifica il portavoce Peter Stano

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    Cina preoccupata dal rapporto sulla disinformazione, ma “nessuna pressione su Bruxelles per modificarlo”

    RT _President: Very constructive & in-depth discussion today w/ In full agreement that the EU has promptly reacted to… RT : Jahier (Cese): «Serve un’Unione europea della salute» di RT : Every crisis has only hardened the European Union. Europe will show the world that our democratic societies are capable… : , fake news minano […]